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Nights, where post happens

Zapping.
Guardo un video su MTV, a quest’ora c’è Brand New. Il video è figo, parecchio, il pezzo non male.
Alla fine scopro che sono i Floggin Molly e penso: “Cazzo, se il BU scopre che mi piace sono finito.”
Forse è il caso di cambiare canale, ma Orlando-Philadelphia non è ancora iniziata e sullo stesso canale parte il video dei Kings of Leon. Questo è un gran pezzo, quindi aspetto.
“Use Somebody” è il genere di canzone che, in momenti come questo, amplifica le emozioni.
Non ho sonno, anzi ne ho parecchio, ma non voglio andare a letto.
Domani non lavoro, sono ospite ad un matrimonio, e spero di poter usare la mattina per pulire casa.
Casamia attualmente fa schifo.
Finisce anche il pezzo dei Kings of Leon, partono i Prodigy e cambio canale.
Non c’è veramente un cazzo in tele. Non ci sono più neanche le pubblicità zozze, quindi piuttosto che porta a porta, matrix o ancor peggio the club, mi guardo coming soon che è sicuramente il programma migliore del palinsesto.
Oggi ho ufficializzato il mio futuro. Chiunque mi conosce sa di cosa parlo e chi non mi conosce credo vivrà bene anche senza ulteriori precisazioni. Scelta più o meno obbligata, ma pesante ripercussione emotiva già dall’arrivo a casa.
La mia casa.
Alla fine, le tue cose ti possiedono.
Questi sono stati anche i giorni in cui ho piazzato una delle mie classiche uscite, una di quelle che creano scompiglio, malumeore, risentimento, ma intanto risolvono problemi che, altrimenti, sarebbero restati tali per chissà quanto tempo.
Sono abbastanza soddisfatto di come ho gestito la cosa, anche se forse qualche ulteriore precisazione andrebbe fatta di persona a chi di dovere. Se capiterà l’occasione lo farò, ma se ho capito come vanno le cose da queste parti in 28 anni, penso che con tutta probabilità nessuno dirà nulla e si andrà avanti come niente fosse successo.
As usual.
E’ iniziata la partita e dai primi giochi Orlando mi sembra imbarazzante. Al momento è sotto di sei in casa con i 76ers, in una serie che sulla carta avrebbe dovuto dominare. Vediamo come evolverà.
Orlando vs. Philadelphia.
Se tutto va come spero le vedrò entrambe tra qualche mese, ma anche da questo punto di vista non è che arrivino tutte ste buone notizie quindi meglio chiudere qui la parentesi per evitare malumori.
La regione Lombardia oggi ha approvato la legge anti kebab.
Io amo il kebab.
Non mi soffermerò sulla ridicolaggine della cosa, perchè è una legge targata Lega e questo dice già tutto.
Le cose che mi fanno riflettere sono due: la prima è che questa legge fa parte di un pacchetto “sicurezza”, la seconda è che alla lega gli immigrati probabilmente danno in culo sia se non lavorano, sia se lavorano tanto.
E poi rompono il cazzo a me se, guardando una partita, mi accanisco con la madre di Balotelli.
Per carità, non è elegante agurarsi saltellando la morte di un giocatore di pallone, per quanto irritante, ma credo che in quanto a razzismo io abbia ancora veramente tanto da imparare da chi mi governa.
Orlando è sopra di tre.
Vado a guardarmi la partita.
Chissà se questa notte i miei Hornets espugneranno Denver…

Give it a name

Lo dico subito: per una volta, la prima volta forse, è valsa la pena di farsi lo sbattimento.
Alla luce dei fatti quindi posso smetterla di darmi del coglione poichè non è vero che un festival con diverse band di questo tipo debba forzatamente venire fuori una merda.
Un festival di questo tipo può anche venire bene, con dei buoni suoni e delle buone performance.
Questo inevitabilmente aggrava molto i giudizi (peraltro già non fantasmagorici) sulle manifestazioni precedenti, ma almeno mi dimostra che crederci e partire per un concerto alla distanza complessiva di 450 km non è una pirlata a priori.
Ok, questa pera di autoconvinzione era doverosa, ora posso commentare il concerto.
Give it a name II @ Estragon (Bologna).
Taking Back Sunday, Underøath, Thursday, Escape the Fate, Emery, InnerPartySystem e Your Hero.
30 sacchi di ingresso (senza prevendita), 23 di casello, 40 di benzina e 5 di piada del voncione con annessa acqua.
Ok, la riga qui sopra cozza un po’ col mio tentativo di smetterla di darmi del pirla, but who cares?
Sono partito da Milano alle 16 in punto sperando di evitare il traffico qui e possibilmente anche quello sulla tangenziale bolognese. Il piano può dirsi riuscito poichè anche a destinazione non ho praticamente mai fatto coda e così alle 17.50 ero già in fila alla biglietteria dell’Estragon.
Viaggiare da solo in macchina per qualche ora è sempre una bella esperienza. Musica in sottofondo, strada sgombra e tanto tempo per stare con sè stessi sono una situazione che, ogni tanto, mi concedo volentieri.
Giunto in loco ho incontrato Safebet ed un suo amico di cui non ricordo il nome, anche loro profughi da Milano, nonchè Uazza il geometra. Con loro tre ho passato poi l’intero live e si sono rivelati una gradevolissima compagnia.
La prima band ad esibirsi sono gli Your Hero, italiani (credo di Roma). Bravi, c’è da riconoscerlo, e nemmeno troppo musicalmente ruffiani visto il contesto in cui erano inseriti. Personalmente li ho apprezzati anche nella parentesi di cordoglio per le vittime del terremoto, mi è parso tutto genuino e quindi da applausi. Fossero stati a Domenica In forse avrei recepito in maniera diversa.
Forse però son solo pippe mentali mie.
I loro venti minuti procedono veloci, trascorrono bene e lasciano la voglia di sentire un altro paio di pezzi quando il set è concluso. Promossi.
I secondi sono gli InnerPartySystem e qui il giudizio cambia, si accorcia: una merda. Oltre ad essere inadatti al contesto mi son sembrati proprio scarsi. Potrei non dico apprezzarli, ma almeno non odiarli se li vedessi live una sera al Plastic, per dire, ma non ne sono nemmeno sicuro. In sostanza venti minuti che durano un’eternità. Bocciati.
Terzo giro, tocca agli Emery. Non li avevo mai visti dal vivo e non li ho mai cagati nemmeno su disco. Alla luce dei fatti non ne sono affatto rammaricato. Mi è parso il classico gruppo nu-emocore come ce ne sono tanti, con l’onestà di chi questa roba la fa più o meno da quando è nata, ma con anche l’aggravante di non lasciare nulla a chi ora, con un background che non sia proprio zero sull’argomento, li sente per la prima volta. So per certo che ai fan di vecchio corso, Safebet è uno di questi, non sono affatto dispiaciuti quindi probabilmente il set non è stato male. A me però non hanno detto niente. Ad essere onesti anzi li ho trovati un po’ vuoti di suono e di voce, ma non credo di avere materiale a sufficienza per valutarli. Senza voto.
E’ il turno degli Escape de Fate. Io li odio essenzialmente perchè la loro presenza ha reso l’intero festival una gigantesca puntata di TRL. Io non ho nulla contro le mode dei giovani, anzi, però trovo questa nuova ondata di ragazzini confezionati nei jeans aderenti onestamente inguardabile. Ecco, il gruppo in questione incarna in pieno il giudizio espresso sul suo pubblico. Prima ancora che iniziassero a suonare, già trovavo irrispettoso il fatto che loro, a metà della scaletta del festival, si permettessero di arredare il palco con scenografie da far impallidire gli Iron Maiden (che almeno queste tarrate se le fanno ai live dove sono headliner). Una roba imbarazzante, se si pensa ad un gruppo che si limita a fare peggio di altri un genere che ha iniziato a stufare già da diversi anni. Il fake metal modaiolo è già di suo un genere discutibile, persino quando a proporlo sono i gruppi che l’hanno inventato, figuriamoci se a suonarlo son quattro ragazzini. Oltretutto, musicalmente parlando, gli Escape the Fate sono veramente quattro (il cantante non lo considero nemmeno) incapaci. Suoni osceni, assoli fuori tempo e basso praticamente inesistente fusi in una performance che avrei ritenuto opinabile anche al concerto annuale delle scuole monzesi. La chicca però era il secondo chitarrista: un trentenne nascosto dietro la scenografia credo perchè non sufficientemente poser per essere ammesso di diritto nella band. Vabbè, il giudizio è scontato: bocciati, anzi espulsi proprio dalla scuola. Vederli dal vivo ha fatto poi sorgere in me una considerazione. Questi gruppi per teenagers in america vanno fortissimo e fino a qui nulla di nuovo. Vanno fortissimo anche in Italia, talmente forte da sdoganarsi come musica e come look perfino a MTV. Perchè allora i gruppi italiani che son voluti salire in corsa su questo treno si son presi solo il fattore estetico? Perchè i teen-emo-posers italiani, abbigliamento escluso, sono rimasti musicalmente inchiodati al pop anni sessanta? Perchè testi e arrangiamenti dei Lost, per fare un nome, potrebbero essere benissimo farina del sacco di Dodi Battaglia? Gli Escape the Fate almeno, pur risultando credibili quanto Krusty il Clown che recita Shakespeare, cercano di proporre la musica che oggi si rispecchia in quella moda. Mah, disgustorama.
Thursday. Standing ovation.
Devo ammettere che anche in questo caso la mia considerazione nei loro confronti è sempre stata pressochè nulla. Conscio si trattasse di uno tra i capistipiti della corrente musicale nu-emocore gli ho sempre preferito altre band per una mera questione di gusti. L’opportunità di vederli dal vivo però mi incuriosiva e devo ammettere che riponevo su di loro un bel po’ di aspettativa. Mi hanno impressionato. Una potenza di suono indescrivibile, una pulizia difficilmente eguagliabile, voci e cori sempre precisi e puntuali ed una presenza scenica non indifferente: semplicemente perfetti. Con ogni probabilità, la band del New Jersey a fine anno si collocherà tra i migliori live del 2009. Promossi a pieni voti e con la particolare lode di aver dimostrato all’audience cosa vuol dire suonare dal vivo, con buona pace dei ragazzini finto metallari di prima.
A questo punto mancano all’appello due band, quelle per cui mi sono fatto la trasferta.
I primi a presentarsi sul palco sono gli Underøath. 55 minuti di violenza, acustica e visiva, suonati tutti di fila e senza tregua alcuna per lo spettatore. Rispetto all’ultima volta in cui li ho visti, i suoni mi son sembrati più impastati all’interno del caos generale e meno definiti, tuttavia trattandosi di un certo tipo di suono la cosa non guasta. La title track dell’ultimo disco vista live è impressionante, così come “Writing on the walls”, ma nel complesso non c’è stato un solo minuto sottotono all’interno del set. Esattamente come me li ricordavo, esattamente come me li aspettavo: promossi.
Siamo alla fine e, pur dovendo ancora suonare il gruppo che più mi piace tra tutti i presenti, sono già molto soddisfatto.
I Taking Back Sunday si presentano sul palco a chiudere la serata, forti di un nuovo chitarrista (che sul momento mi è sembrato poter essere il buon vecchio Nolan, con conseguente mezzo infarto per la commozione, e che oggi invece ho appreso essere nuovo di pacca), di un nuovo disco in prossima uscita e di un precedente live all’Estragon difficilmente peggiorabile. Forse anche per questo mi sono piaciuti, perchè non mi aspettavo nulla di buono. Adam Lazzara è oggettivamente un incapace, tuttavia il nuovo chitarrista sopperisce bene ed il suono è decisamente vivo, rispetto alla mosceria della precedente occasione. Suonano anche loro un’oretta, proponendo una scaletta che pesca in pari proporzioni da tutti e quattro i dischi, se si conta anche il quarto in uscita. Promossi anche loro, quindi.
Così il concerto finisce e io me ne ritorno a Milano con la mia schiena capricciosa che inizia a dolorare, le orecchie che fischiano e “Una vita nuova” di Fabrizio Coppola che mi tiene compagnia lungo la strada, rilassandomi senza addormentarmi.
Sabato pensavo di aver fatto una stupidata a perdere il live di Joey Cape acustico a Parma, ma con il senno del poi è stato meglio così. Credo che infondo se ci fossi andato non avrei apprezzato appieno, come invece ho fatto ieri sera.
Soprattutto, se ci fossi andato, ieri sera con ogni probabilità sarei stato a casa.
Come sempre più persone mi dicono, sto decisamente invecchiando.

Giovedì di Pasqua

Ogni anno, da tradizione, il Giovedì di Pasqua io sdogano il pantalone corto.
Questa mattina non ci ho creduto. Pensavo facesse troppo freddo, che fosse troppo presto.
Mi sbagliavo.
Ho quindi rimediato.

* i jeans stretti non sono l’ideale da risvoltare. E nemmeno i gambaletti blu da impiegato.

Il suono della linfa

Il suono della linfaCome promesso agli autori, mi appresto a scrivere qualche riga riguardo a “Il suono della linfa”, primo lavoro su lunga distanza dei Seventy Times Seven, o 70t7, che dir si voglia.
Per prima cosa devo ammettere che l’oggettino in se è veramente ben fatto. Ok, la copertina è un po’ troppo “tool” per i miei gusti e forse anche per il contenuto musicale del disco, però le grafiche interne mi piacciono: pulite, lineari e con dei bei colori. Molto figa anche l’idea di inserirmi nei ringraziamenti, se devo essere onesto.
Dopo averlo guardato per benino è però giunto il momento dell’ascolto. Degli ascolti, anzi, prima in macchina e poi a casa. Sentire il disco di una band che hai sempre visto dal vivo è strano. L’impatto coi pezzi ti lascia spiazzato perchè il tutto sembra troppo pulito e quindi meno “carico”, ma è solo una prima impressione. Al secondo ascolto la qualità del lavoro fatto in fase di registrazione e mixaggio viene fuori tutta e quindi il disco prende la forma di ciò che è e non di ciò che si è già sentito ai concerti. La parola che mi viene in mente ascoltando “Il suono della linfa” è cura. Cura nei particolari di tutti i suoni. Ogni accordo, ogni riff, ogni coro è esattamente dove deve stare ed ha un perfetto senso nel contesto. Bello. Anche quando le scelte non coincidono con il mio gusto, con i suoni a cui sono più familiare. Capita, ascoltando i dischi, di sentire passaggi e pensare “io qui avrei usato suoni diversi”. Se si ascolta un disco rock con il mio orecchio, abituato da sempre alla sporcizia sonora, è normale trovare questi dieci pezzi troppo poco ruvidi. E’ tuttavia unicamente un problema di abitudine e si risolve con gli ascolti, cosa a cui sto già provvedendo. Tra l’altro, rispetto all’EP uscito un paio d’anni fa, mi pare siano stati fatti in questa direzione dei passi giganteschi poichè l’aggressività, quando serve, questi pezzi ce l’hanno e la tirano fuori bene. Una pecca, a voler essere pignolo, sono i volumi delle voci che a volte rimangono troppo imprigionate nella musica e non risaltano a sufficienza. Sempre personalmente parlando, s’intende. In sostanza a me il disco piace parecchio. Dieci tracce tra cui non saprei ancora scegliere una preferita, nè indicarne una che non mi piaccia. “Asfalto Bagnato” è un bel singolone e si fa cantare sempre, “Time to explode” e “All inside my head” suonano decisamente bene ad alto volume, “Scivolo piano” credo sia il pezzo più rappresentativo del disco e pur non avendola mai sentita prima già mi piace un bel po’, così come “Piove su di te”. “Dance of the shadow” è un pezzo che non può non piacermi, con archi e tastiere a manetta e “Cenere e anima” ha un minuto finale da pelle d’oca. Restano da commentare “Il suono della tua linfa” e “Too much paranoid” per cui credo di necessitare di qualche ascolto in più e “Burning again” che è ormai una certezza, pur essendo il pezzo che più soffre la trasposizione palco/stereo.
Il mio giudizio quindi è decisamente positivo: il disco mi piace, non mi stanca e continua a regalarmi qualcosina ad ogni nuovo replay.
Ecco, questo è il mio parere in merito.
Ah, ascoltato in cuffia è un’atra cosa, rispetto alla macchina.

Google Hit List [Marzo 2009]

Con una prima in classifica del genere, non serve scrivere null’altro.
Sono commosso.

1 – sprazzi di quotidiana libidine italiana
2 – leggere in alternativa alla televisione
3 – non ho la forza di oppormi
4 – accoppiare cravatta e camicia
5 – alternativismo
6 – righe regimental
7 – chi sono i giovani d’oggi?
8 – frase acida x msn
9 – prodotti farmaceutici per eliminare le occhiaie
10 – new era si lascia etichetta?

Nota: aggiornata la sezione “musica”

Manq @ Vans Warped Tour?

Non sono morto.
Sono stanco, quello sì, ma è solo per quello che la mia attività di blogger sta subendo dei ritardi gigantoscopici.
Potrei fare di questo post, il post delle parole inesistenti.
Ma anche no.
Userò questa pagina per parlare del primo obbiettivo della mia esistenza in questo momento: la florida.
Pur non essendo affatto sicuro che riuscirò ad andarci, alla fine, ormai sono proiettato in quel di Miami.
La frommer è arrivata e da un primo sguardo ci sono già un monte di cose che rientrano nella lista degli appuntamenti imperdibili.
Alcuni esempi:
– Cape Canaveral
– Il circuito di Daytona
– Walt Disney World
– Everglades (ovvero il parco naturale dove si gira in hovercraft per vedere gli alligatori)
– Miami
– Lo stadio dei Dolphins a Miami
– Miami Beach
– Le tipe in rollerblade a Miami Beach
Questo solo dopo un primo sguardo alla guida.
Quello che sulla guida non c’è scritto è che dal 24 al 26 Luglio in florida sosterà il Vans Warped Tour.
Per me questo ha l’importanza che potrebbe avere per un credente sapere che nei giorni in cui sarà in vacanza in un certo luogo, comparirà la Madonna.
Il Vans Warped Tour è stato per tantissimi anni il sogno nel cassetto, il desiderio segreto e la fantasia proibita.
Tutto insieme.
Solo l’idea di poterci andare mi rende euforico.
La cosa buffa è che non ho la più pallida idea di chi potrebbe suonarci, quest’anno.
Chissenefrega.
Io ci vado uguale.
Anzi, mi sa che mi prendo il biglietto del VWT prima ancora del biglietto aereo.
Alla peggio, ho buttato 30 dollari.
Riuscire a piazzare il concerto all’interno del tour della florida è ormai il mio primo obbiettivo, con buona pace della Polly che fino a ieri doveva lottare contro il precedente capolista: il noleggio di una cabrio.
Adesso torno a guardarmi la seconda serie di Dexter, che guardacaso è ambientato a Miami.
Ho visto il primo episodio e già sono in dipendenza.

100% Niko Belic

Dopo due mesi e mezzo di gioco intenso, questa sera ho finito GTA 4.
Per finito non intendo solo la conclusione della trama principale, ma il completamento di tutte le parti del gioco.
La caratteristica di questo titolo infatti, come dei suoi predecessori, è quello di unire ad una trama piuttosto lunga ed articolata, un sacco di altre sottoquest che allungano di tantissimo la longevità del videogame.
Personalmente preferisco sempre completare tutto il “contorno” prima di ultimare le missioni finali della storia principale, così da completare simultaneamente la trama ed il gioco.
Amo questa serie e ho amato questo capitolo come i suoi predecessori, anche se all’inizio ritenevo che rispetto al precedente capitolo si fossero fatti alcuni passi indietro.
Non si possono comprare edifici, non si può modificare il proprio aspetto fisico se non per una “ristretta” gamma di abbigliamenti e non si possono avviare attività che con l’andare del gioco portino a degli introiti.
Questo per citare alcune delle cose che avevo particolarmente apprezzato del precedente “San Andreas”.
Le novità introdotte che ho amato di più invece sono state il cellulare con la gestione delle amicizie e delle love stories, la rete internet interna al mondo di Liberty City, la possibilità di scegliere se uccidere o meno alcuni dei personaggi ed il doppio finale.
Oltretutto alcune delle possibilità che c’erano in passato e che sono state tolte non mi piacevano granchè, quindi ho apprezzato non dover più compiere consegne per le pizzerie, soccorrere i malati ed estinguere gli incendi.
GTA 4 in sostanza si sviluppa come una nuovo gioco, rispetto ai capitoli PS2, e lascia ampio spazio alle novità, poichè ho l’impressione che con questo titolo non siano state sfruttate appieno le potenzialità della nuova console e del supporto blueray.
Vedremo cosa riserveranno i prossimi titoli della saga.
Una menzione particolare, per chiudere, voglio darla alla storia del gioco (che da qui in avanti potrei anche spoilerare) che mi è piaciuta veramente tanto.
Appassionante, mai troppo scontata e coinvolgente perchè sempre coerente con il profilo del personaggio protagonista.
Per me che nasco come giocatore di ruolo questo è un aspetto molto importante.
Proprio in base a quello che secondo me era il personaggio, ho preso tutte le “decisioni” interne al gioco cercando di essere sempre coerente con quel che secondo me è il vero carattere di Niko Belic.
Per questo alla fine non ho risparmiato la vita a Darko Brevic, sfogando su di lui il rancore che il protagonista si portava dietro dall’inizio del gioco e per lo stesso motivo al bivio finale ho scelto di rinunciare ai soldi pur di vendicarmi di quella merda di Dimitri Rascalov.
Peccato che questa scelta abbia portato alla morte di Kate.
L’altro finale l’ho comunque giocato, ma non l’ho apprezzato perchè lo ritenevo incoerente.
Forse non mi è piaciuto anche perchè in questo secondo caso a morire è Roman, il cugino di Niko, un personaggio che ho amato fin dal principio.
Ora che il gioco è completo, non mi resta che decidere se approcciarlo in modalità multiplayer, oppure riporlo sullo scaffale.
Vedremo.
Intanto da domani credo si tornerà sui campi di PES a provare di diventare un mito.
Certo, a meno che decida di regalarmi l’altro gioco che mi incuriosisce da che ho questa console: “Assassin Creed”.

Consigli per dormire sereni

E’ vero, a quest’ora dovrei andare a dormire.
Invece mi ascolto i Propagandhi.
Perchè? Perchè è uscito il disco nuovo e perchè per leggere certe notizie serve la giusta base musicale.
Quando leggo certe cose mi passa la voglia di dormire.
Ho paura dei terribili incubi che potrei fare.
Questo CD non mi sta aiutando.
Cambio.
Ora va molto meglio.

“…and you pigs will pay…”

Broken promise ring?????

Non l’ha suonata.
Bastardo.
Però ha suonato “Boys of summer”.
Bastardo due volte, visto che tagli il pezzo che sogno di ascoltare live da 10 anni per fare una cover.
Questo dovrebbe portare ad una valutazione negativa del concerto di ieri sera al Tambourine, ma così non è.
“I won’t spend another night alone” acustica vale, da sola, l’intera serata.
Pelle d’oca di diverse spanne. L’ho cantata tutta a squarciagola insieme a più o meno tutti quelli che c’erano intorno a me e alla fine ero relamente commosso. Dopo quel pezzo avrebbe potuto suonare anche l’intero repertorio dei Cannibal Corpse a cappella che sarei stato soddisfatto ugualmente.
Dall’album di cui questo tour dovrebbe essere il tributo ha poi suonato altri quattro pezzi: “Losing streaks”, “1*15*96”, “Your boyfriend sucks” e l’immancabile “San dimas high school…”.
Tutti eclatanti, ovviamente, per l’emozione generata.
Per il resto poi è stato quasi tutto “So long astoria”, album preferito dall’80% dei presenti al concerto, da quel che mi è parso, e che per me ha segnato la fine degli Ataris.
Ieri sera mi sarei aspettato una maggiore presenza di gente della mia età ed invece mi sono ritrovato semicircondato da teenagers che hanno di Kris Roe un concetto molto, ma molto diverso dal mio.
Per esemplificare meglio: sulla previa citata “Boys of summer” la gente ha dato di matto.
Io volevo tirargli una scarpa.
Da citare, per chiudere il quadro sul live acustico del frontman degli Ataris, l’esecuzione di “Fast times at drop-out high”, unico estratto da “End is forever” e “The cheyenne line”, unico estratto nonchè unico pezzo decente di “Welcome the night”.
Che dire quindi, forse è stato il più bel live che ho visto fare a Kris Roe e questo la dice molto lunga.
Io però lo amo e mi sono fatto una foto con lui (che ricordo a Bazzu di spedirmi, essendo sul suo cellulare) e gli ho pure comprato una stampa autografata della foto usata per la copertina di “Blue skies, broken hearts… Next 12 exit”.
Me la appenderò in casa nonappena riuscirò ad incorniciarla.
Chiudo con una citazione d’onore alle due band di spalla.
I “My own rush” non mi hanno convinto appieno. Credo abbiano fatto sei pezzi: due carini, due orrendi e due di nuovo carini. Facevano molta fatica a suonare assieme, non so perchè, forse a causa delle spie. Lui però a mio avviso ha una bella voce.
Discorso diverso per i “Minnies” che mi son proprio piaciuti un sacco. Sono uno di quei gruppi che sento nominare in giro da dieci anni e che non mi sono mai cagato. Senza un reale motivo, ad essere onesti.
Ieri però mi hanno proprio impressionato, seppur suonando in chiave “acustica”. Ho apprezzato molto il cantato in italiano con testi che ad una prima analisi mi son sembrati belli e per nulla banali.
Approfondirò il discorso.
Non sono sicuramente uno che arriva per primo sulle cose, però c’è da riconoscermi una certa propensione a rimediare agli errori e alle sviste.