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Il post in cui Manq rivaluta Matteo Renzi

E’ giunto il momento di parlare come si deve delle primarie del Partito Democratico e, per farlo, non posso partire che da una premessa. Scrivo questo blog da quasi otto anni. In questo lungo lasso di tempo ho attraversato diverse stagioni politiche e ideologiche, ognuna delle quali ha avuto radici e motivazioni che se anche non ho saputo chiarire qui sopra, per me avevano in quel momento tutto il senso del mondo.
Mi reputo, da sempre, “di sinistra”.
L’ultima versione del Manq soggetto politico tuttavia incarnava una radicata e non certo sopita vena di disgusto per la classe dirigente del suo Paese. In toto. No, niente antipolitica. L’antipolitica è una mistificazione, l’ennesimo tentativo di scaricare le responsabilità da parte del reale oggetto delle imputazioni. Non c’è una guerra alla politica, ma a CHI l’ha mal praticata e non c’è nulla di meno antipolitico che combattere questa guerra. Il nodo della questione è capire come.
Nel recente passato la mia posizione era l’annullamento della scheda, unico modo che mi consentisse di far presente l’assenza di una rappresentanza che sentissi eleggibile. Pur non rinnegando nulla, oggi la mia posizione potrebbe cambiare e tornare ad essere quella di un soggetto votante. Fortissima discriminante in questo percorso sarà l’esito delle primarie del PD perchè, poco ma sicuro, tornerò ad esprimere una preferenza se sarò nelle condizioni di esprimere un voto PER qualcuno e non CONTRO qualcun altro.
Ieri quindi mi sono registrato alle liste per le primarie e oggi provo a spiegare perchè Domenica 25 Novembre voterò per Matteo Renzi.
Prima di iniziare però, è bene che chi si appresti a leggere quanto segue sia a conoscenza del programma su cui tutto si fonda. Qui infatti non si tratta di quanto bene io vi venda le mie motivazioni, ma della base sulla quale ho deciso di fondarle.
Dopo vent’anni di Berlusconismo è impossible, purtroppo, approcciarsi alla politica senza partire dall’uomo, ovvero dal soggetto che rappresenta ed incarna il progetto che espone. Io ne farei volentieri a meno, forte dell’idea per cui le persone cambiano, ma il progetto deve andare avanti, però a quanto pare non si può discutere di politica nel nostro paese senza dare una valutazione personale dei candidati. Io, paradossalmente, ho più simpatia per Renzi che non per l’interezza del suo programma di eventuale governo. Il punto chiave, tuttavia, è che non sarà per questo che lo voterò.
E’ ovvio che quanto scritto possa apparire insensato o confuso, quindi adesso cercherò di spiegarmi. Ho letto con attenzione il programma che ho linkato qui sopra e ho anche avuto modo di sentire alcuni interventi di Renzi in tv, non ultimo quello dell’ormai famoso confronto a cinque. Per come sono fatto io e per le mie radici ideologiche è difficile sposare in toto il progetto Renzi e poi illustrerò magari le cose di cui sono poco convinto. Prima però è necessario chiarire cosa mi ha convinto.
In primo luogo è vitale sostenere Renzi alle primarie, paradossalmente ancor più che alle politiche, perchè se vogliamo credere ancora alla possibilità che il PD possa dare qualcosa all’Italia è mandatorio dare un segnale netto, definitivo ed incontrovertibile che tutto quello che è stato fatto fino ad ora NON VA BENE. E consegnare le primarie a Renzi è quel segno. Il concetto lo spiega bene Enrico Sola in questo post, ma mi piace riprenderlo. E’ ora di dire basta a chi ha come primo obbiettivo vincere le elezioni e dare spazio a chi vuole provare a guidare un paese. Sembra una frase fatta, ma è realmente lo specchio della questione. Cercare di vincere tirando dentro alleanze che a priori si sa non potranno convivere è rifiutarsi di puntare a governare. E io voglio provare l’ebrezza di vedere il mio voto sopravvivere ad una legislatura intera.
Quindi bene l’approccio, ma vediamo i contenuti. Del programma di Renzi mi piace molto la visione europeista, vera chiave contro le derive nazionaliste che stanno cavalcando un po’ tutti i paesi investiti dalla crisi. Si fa un gran parlare degli Stati Uniti, cercando di imitarli in tutto quello che di pessimo possono offrire, senza mai riflettere sul fatto che sono, appunto, Stati UNITI e che in quello, forse, c’è da ricercare parte del loro successo.
Mi piace molto, moltissimo, come suona il progetto di una ricerca finanziata per merito, con non solo più investimenti, ma soprattutto target più meritevoli per i suddetti e per quanto possa aver capito io della cosa, mi piace anche l’idea che c’è alla base di una riforma sanitaria volta all’eccellenza.
Ritengo enormemente importanti i punti riguardo la fecondazione assistita e le civil partnership.
Da ignorante trovo buoni anche i punti in termini di giustizia e lotta all’evasione.
E allora perchè all’inizio ho detto che non ho completa simpatia per il progetto Renzi? E’ semplice, perchè io vorrei di più. Io vorrei ad esempio che per le coppie omosessuali si potesse parlare di matrimonio e di figli. Vorrei una politica del lavoro che non debba scegliere chi inculare tra giovani e meno giovani. Vorrei un rapporto diverso tra Stato e confindustria (o anche solo tra stato e Fiat). Vorrei che non si pensasse mai alle banche come strumento per garantire un’istruzione elitaria a chi non ha i mezzi economici per farcela da solo. Vorrei una riforma della politica che non privi “i ricchi” della possibilità di entrarci, ma che garantisca ai “non ricchi” di poter fare altrettanto (e questa era l’obbiezione di Vendola durante il confronto TV cui tu, caro Matteo, non hai risposto se non rigirando la questione).
Poco più di un anno fa scrivevo questo post.
Evidentemente ho cambiato idea, anche se poi entrando nel merito neanche più di tanto.
Oggi però ho in mano un programma e, leggendolo, mi son trovato costretto ad ammettere di condividerne buona parte.
Per il Manq di oggi è evidentemente abbastanza. Renzi non è il mio candidato ideale quanto l’Italia non è il mio paese ideale. Però è qui che vivo e forse Renzi può far fare al Paese mezzo passo in avanti.
Io di rinunciarci sulla base del fatto che è troppo poco non me la sento.

Toc!

“Se ci sei, batti un colpo!” è un modo di dire che non ho bene idea da dove nasca. So che è diffuso, però, e quindi è da lì che voglio cominciare.
Questo post, col suo titolo onomatopeico, è il mio tentativo di dare un segnale di presenza on-line che vada oltre le tonnellate di cazzate che quotidianamente riverso su Twitter o su Facebook. I social network. Strumenti del demonio che con la loro semplicità e immediatezza ti spolpano della voglia di argomentare. La vita ridotta ad una serie di battute flash, istintive, immediate. Zero spazio per fermarsi a riflettere e costruire un discorso, per mettere in piedi un concetto che abbia non solo un senso, ma una struttura. Non c’è tempo, nè per chi scrive, nè per chi legge. E’ il 2.0 che avanza ed io, che ultimamente (eufemismo) mi percepisco oltremodo vecchio, lo soffro. Perchè è vero che “non è la pistola che uccide, ma chi spara”, però è difficile resistere ad un meccanismo di semplicità così ammiccante, perlomeno per il sottoscritto, e così ogni volta mi ci ritrovo schiacciato, complice la mia proverbiale pigrizia.
Esempio.
Settimana scorsa ci sono state le presidenziali americane. Obama, Romney, l’health care, l’alternanza, i tentativi di boicottaggio del voto, la situazione politica americana fatta essenzialmente di due fazioni quasi perfettamente sovrapponibili, l’aberrante concetto “Non importa per chi voti, l’importante è votare”, la riconferma a mio avviso quasi scontata, il reale peso del presidente più potente del mondo sulla gestione dello stato che presiede, l’interesse di tutto il mondo, le reazioni discutibili nel nostro paese. Questi sono alcuni dei punti che comporterebbe trattare volendo parlare dell’argomento. Invece no, usiamo 140 caratteri, e quel che ne esce non può che essere un’opinione sciapa, incompleta, vuota.
Fine esempio.
Oggi, mentre mi districavo sapientemente nella selva di inutilità proposta dai SN, mi sono imbattuto in un post di Luca riguardo la mobilitazione europea, gli scontri, la chiave di lettura degli eventi e il concetto di protesta ai giorni nostri. Il pezzo, questo qui, oltre che ben scritto e interessante presenta un’analisi che gioco forza necessita di argomentazioni, di parole, di spazio e tempo. Ed è questo ciò di cui c’è bisogno. Condivisibile o meno l’analisi, sottoscrivibile o meno il messaggio, è il caso di riprendere a riflettere sulle cose. La società sta cambiando e la stiamo costruendo sulla superficialità, sulle prime impressioni, sulle scelte d’istinto.
Ci stiamo svuotando.
E questa cosa si vede anche e soprtattutto in situazioni estreme come quelle degli scontri. E’ bellissimo il paragone che Luca fa con l’assedio medioevale, davvero bello, ma a differenza sua io più che valutare gli effetti di questo fenomeno, mi preoccupo delle cause. Gli scontri tra polizia e manifestanti da “effetto collaterale” sono diventati il target della cura. Ed è tremendo perchè c’è chi è disposto a prendere un sacco di botte per uno scopo che ha completamente perso di vista.
Uscendo di casa, prima della piazza, qualcuno si pone la domanda “Ok, se la polizia non dovesse bloccarci e caricarci, se semplicemente si facesse da parte o, ancora meglio, non si presentasse proprio, noi cosa faremmo?”? Che foto girerebbero su FB o Twitter il giorno dopo? Certo, qualcuno magari prenderebbe a sassate qualche vetrina e darebbe fuoco a qualche macchina comunque, ma gli altri?
Avere un blog è questo: fermarsi e riflettere sulle cose. E io perdo sempre più l’occasione di farlo buttando alle ortiche un’opportunità gigantesca. Non che non ne senta la necessità eh, perchè mi basta niente per sfogare il mio malcelato bisogno di analisi. Non fosse così, non si spiegherebbero fenomeni come il tirare 200 commenti su Serialmente trasformando una recensione sugli zombie in una discussione sulle società civili. E’ che scrivere non è facile. Quando ti ci metti non puoi poi distogliere lo sguardo se quel che vedi non ti piace. Non puoi far finta di niente, smettere di ascoltare o iniziare a pensare ai cazzi tuoi. O meglio puoi farlo, ma a quel punto il pezzo diventa una bozza abbandonata che non riprenderai in mano mai più e che sarà, inevitabilmente, un’altra occasione persa per chiarirti le idee.
E se tutto questo non vale per voi, beh, vale per me.
Ci ho messo diverse ore a scrivere questo post e l’ho fatto nei ritagli di tempo al lavoro. Dovrei rileggerlo, perchè sono del tutto sicuro sia sconnesso e poco lineare, ma correrò il rischio di farlo dopo la pubblicazione.
Come sempre, è stato un processo utile.
Forse dovrei rifarlo, nel breve.
Magari costringendomi a scrivere delle primarie del PD.
Di “Papa Giovanni
No ecco, di quello è meglio non scrivere.

PS: Sì, la sensazione che io abbia usato questo post anche come maxi riassunto di tutti i post che non ho scritto di recente è legittima.

Oliver Stone, vaffanculo.

ATTENZIONE: questo post è scritto da una persona che pur non sapendo nulla di cinema si appresta a buttare giù una recensione tirando fuori termini inventati di sana pianta. Uno di questi potrebbe essere “overdiretto”, ma anche no. Inoltre c’è la possibilità che la stessa persona ci infili spoiler come non ci fosse un domani, ma proverà comunque a segnalarli per tempo.
Prima di iniziare però, meglio contestualizzare.

Io i libri di Don Winslow li ho letti tutti. O perlomeno, ho letto tutti quelli che sono arrivati in Italia. Quello da cui è tratto questo film si intitola “Le belve” e da noi è uscito a Settembre dello scorso anno. Stando alla mia pagina aNobii io l’ho letto tra il 3 e l’8 Novembre, ben prima di scoprire se ne sarebbe tratto un lungometraggio. Nel leggerlo, anche paragonandolo agli altri romanzi dell’autore, l’impressione era di avere per le mani una sceneggiatura fatta e finita per il cinema. Io non ne ho mai lette, di sceneggiature per il cinema, ma se dovessi scriverne una, stilisticamente e tecnicamente parlando, la imposterei esattamente come Winslow ha messo giù “Savages”. Dovessi ipotizzare, questo libro è nato con l’idea di farne un film.
Il materiale di partenza, quindi, non era di difficilissima trasposizione. In più la storia ed i personaggi sono opera di uno dei miei scrittori preferiti e quindi, per il sottoscritto, roba di prima classe. I personaggi, soprattutto.
Quello che c’era da fare quindi era prendere un insieme di attori che potessero andare bene per la cosa e fargli fare nè più nè meno di quel che c’è scritto su quel dannato libro. Punto. Giri le scene, monti tutto insieme e lo porti a casa. L’avesse girato Renè Ferretti, questo film, forse adesso ne parlerei diversamente. Sicuramente anzi, perchè mi ritroverei 1) senza il rimpianto di veder sprecato tanto buon materiale 2) senza l’impressione di essere stato sottoposto al tentativo insistente di dimostrarmi quanto il regista è un figo e 3) con la consapevolezza o quantomeno la convinzione che lo stupro del finale (ci torno dopo) fosse figlio di un esigenza imposta su un regista che, non essendo nessuno, non può certo opporsi alle dinamiche di produzione.
#einvece, per dirla alla twitter maniera.
Questo “Le Belve”, secondo il modesto giudizio di un ignorante che se l’è visto doppiato in maniera becera, ha un buon cast. A me gli attori son piaciuti grossomodo tutti, ad eccezione forse della biondina sciapa che interpreta O. I personaggi vengono fuori abbastanza bene e sono personaggi fighi. Fighissimo Travolta, gigante Del Toro, credibile la Hayek. Pure i due protagonisti, che non credo d’aver mai visto prima, secondo me mettono lì una prova più che onesta.
La fotografia, sempre da ignorante, m’è piaciuta un bel po’. E mi son piaciute anche le scene con gli spari e i botti, soprattutto quella della rapina.
A farmi completamente cagare, invece, son state tutte quelle scelte di montaggio e post produzione che, a conti fatti, oltre a non servire a un cazzo ti tirano fuori di peso dal film. Da lì, l’idea di usare una parola di fantasia come “overdiretto”. Ci sono diversi modi per costruire una scena, secondo me. Il primo è fartela vedere per com’è, senza cazzeggiare. Il secondo è ricamarci sopra. In questo caso, se poi il messaggio passa con lo stesso impatto, sei un figo. Se lo smorzi, hai toppato. In questo film, Oliver Stone smorza che è una bellezza.
Ma adesso parliamo del finale, quindi [SPOLIER ALERT].
La prima cazzata la mette a segno a 30 secondi netti dall’inizio, con quella frase di cui nessuno sente il bisogno e che recita tipo: “Il fatto che stia raccontando questa storia non vuol dire che io ne sia uscita viva.”. Vaffanculo. Poi ho pensato: “Calma, Manq. E’ l’inizio del film. Tu sai che cosa succederà, ma chi non ha letto il libro no. E’ una di quelle frasi che poi ti dimentichi e che alla fine dici CAZZO, L’AVEVA DETTO ALL’INIZIO, BOMBA!”. Quindi ok, concessa. La seconda cazzata è all’inizio della sequenza finale, quando in maniera del tutto random e demolendo qualsiasi tensione nello spettatore, gliela fai ripetere di nuovo. A sto punto non hai scusanti, sei un coglione. La precisazione è inutile e, in ogni caso, l’avevi già fatta in apertura. Perchè cazzo insisti con sta cosa di rovinarmi il finale? Che cazzo ho fatto di male? Segue concitata serie di eventi girati e montati senza il minimo senso. Spari. Gente ferita. Gente molto ferita. E poi, in un secondo, senza pathos e senza un minimo di atmosfera che possa anche solo marginalmente suscitare empatia o partecipazione al dolore, la decisione finale. Il suicidio. L’abbraccio. Una merda fotonica, pensi. Ma non fai neanche in tempo a finire di incazzarti che una voce fuori campo dice qualcosa come “Così è come pensavo finisse, ma in realtà è andata diversamente”. Tu sgrani gli occhi e passa una serie ancora più agghiacciante di scene stronze che, oltretutto, sai che nel libro non ci sono. Il libro finisce male. Il film finisce in una festa che è una presa per il culo colossale. Dovrei essere contento perchè i tre sono salcazzo dove a fare surf dopo tutto sto casino? Dovrei essere felice perchè il boss del narcotraffico, quella che ordinava ai suoi uomini di decapitare i nemici, invece di morire va in prigione? Dovrei godere per lo sbirro corrotto che diventa un eroe? Cristo, dovrei forse gioire del fatto che il cattivo, se ce n’è uno nel film, invece di crepare male ne esce tanto bene da lasciare lo schermo con un flashforward che lo ritrae con la moglie, felice, mentre guarda il figlio giocare a baseball? Quest’ultima, perdio, mi devi davvero spiegare come t’è venuta in mente, caro il mio Oliver Stone.
Aspetta.
E’ per questo che ogni due per tre fai dire alla protagonista: “Va che alla fine muoio”, perchè poi non muore. Beh, VAFFANCULO. Vaffanculo perchè non devi comunque fargli dire un bel niente e lasciare chi guarda col suo cazzo di fiato sospeso. E, soprattutto, vaffanculo perchè la tipa nella storia muore e non puoi decidere di ribaltare tutto solo perchè non ti va il finale triste. A me il finale triste piaceva. Me ne sbatto i coglioni se te l’hanno imposto, sto stravolgimento. Sei Oliver Stone, mica Gino lo spazzino. Imponiti, cazzo.
E comunque, stravolgimento per stravolgimento, che minchia di decisione è quella di mettere tutti e due i finali? Mettine uno. Vuoi quello paraculo, metti quello paraculo. I Blue Ray esistono per quello. Le Director’s cut pure. Ci montavi un bel contenuto speciale col finalone alternativo (che poi alternativo stocazzo, ma ci siam capiti) ed eravamo tutti comunque incazzati, ma almeno salvavi un po’ la faccia. E, già che c’eri, potevi permetterti di girare il finale tragico con più cura, dandogli lo spessore emotivo ed emozionale richiesto e senza buttarlo lì con la scusa del “tanto non serve a niente”.
Non so se passa il concetto, ma sto film mi ha fatto incazzare un bel po’.
Ora vado a vedere se qualche sito di cinema tra quelli che seguo ne ha scritto, perchè ho bisogno di riscontri.
Per quanto mi riguarda però, vale il titolo del post.

#400tv is a state of mind

I bei tempi in cui questo blog veniva aggiornato di frequente sono finiti, o quantomeno non ci sono attualmente contemporanei. Causa l’impazzare dei social network ed il poco tempo a disposizione ormai qui sopra ci scrivo solo quando c’è qualcosa di veramente GROSSO da dire o raccontare. Ecco, oggi siamo in quelle circostanze lì.
Ieri sera infatti è andata in scena la serata conclusiva della seconda serie della #400tv, quella dedicata al ciclo Nati per Vincere, e per l’occasione il team de “I 400 calci” ha deciso di fare le cose in grande.
Prima di tutto l’evento in questione ha affiancato alla ormai consolidata visione domestica con twittata selvaggia anche la possibilità di trovarsi e vedere il film in compagnia. Le locations sponsorizzate erano due, una a Milano ed una a Roma, e così ho deciso di prendere parte alla “Real Delux Experience” andando ad unirmi al #TemMilano in quel della Santeria. Nota: la Santeria è un localino mica male in zona Milano est che fa un ottimo hamburger con mozzarella di bufala e che, soprattutto, ti omaggia di un piatto di lasagne mentre lo aspetti.
La seconda mossa totale è stata selezionare il più grande capolavoro cinematografico di sempre per la visione collettiva. E non dovrei nemmeno stare a precisare qual è il film di cui si parla (un po’ perchè la locandina qui affianco parla da sola e un po’ perchè non credo possa venirvi in mente altro titolo in seguito alle parole che ho scritto), ma lo faccio solo perchè nell’era Nolan ho imparato che niente deve essere mai lasciato intendere: la pellicola selezionata per la serata finale della #400tv vol.2 è “THE LAST BOYSCOUT”.
Pausa.
Bruce Willis.Tony Scott. Shane Black.
Se cercate on line notizie su questo film potete trovare dei rumors secondo cui Gesù ai tempi decise di ritornare tra noi per prendere parte alla pellicola, ma che poi cambiò idea resosi conto non sarebbe potuta essere in ogni caso migliore di come la conosciamo.
Se cercate on line notizie su questo film sperando di trovare quella che ho scritto qui sopra smettete subito di leggere questo blog, vi prego. O quantomeno non dite a nessuno che lo fate.
Ad ogni modo, tornando a noi, tutto questo insieme di fattori ha reso la serata di ieri una cosa decisamente epica. Più della volta in cui, per vedere lo stesso capolavoro, abbiamo occupato (credo illegalmente, ma non ne ho tutt’oggi la certezza) la sala del cinema di Agrate e ce lo siamo gustati in proiezione privata. Ieri eravamo tantissimi in uno spazio piccolissimo. C’era quella sensazione di umidità e sudore che si riscontra solo in circostanze ad alta carica erotica tipo i video di Britney Spears o la metropolitana in luglio. E poi c’erano le facce. Per me che sono evidentemente anziano (“Ciao, io su twitter sono @tizio92” “92 nel senso che sei del 1992?” “Sì.” “Me lo ripeti?”) le facce hanno ancora una loro certa importanza. Vedere e parlare con le persone nel tentativo, quasi sempre destinato a fallire, di collegarle ai nick con cui di solito chiacchieri on-line è una cosa fighissima. Gente che non avrei mai riconosciuto, gente che immaginavo completamente diversa. Una cosa che mi ha rimandato indietro ai tempi dei forum di GdR. Stesso nerdismo, stesso mix di nick buffi e nick incomprensibili, con l’intersezione dei due insiemi che tende ad infinito.
Tutti belli. Tutti bravi.
E allora la serata funziona a prescindere, anche se dei dieci lettori DVD in sala (credo rubati, non c’è altra spiegazione) non ce ne fosse uno accoppiato ad uno qualsiasi dei venti telecomandi e la visione fosse piombata sul canale audio inglese. Tanto i presenti avrebbero potuto ridoppiarlo interamente lì, sul momento, dalla prima all’ultima scena. Invece s’è preferito commentare, ridere, tifare, applaudire e #berneunpaio che poi, alla fine, credo siano state più di due per grossomodo tutti. Tranne il sottoscritto, che causa arrivo in loco alle 21.00 s’era sparato le sue cartucce ben prima della proiezione.
Chiudo qui, quindi, salutando e ringraziando tutti i presenti per la bella serata in compagnia. Eventuali repliche future non potranno che farmi piacere.
E comunque, #wouldbang Halle Berry.

La volta che ho bevuto una birretta con Pippo Civati

E’ un po’ che non aggiorno il mio blog e il motivo è che aspettavo di poter raccontare questa storia per intero. Oltre al fatto che non avessi in realtà molto altro di cui scrivere, ovviamente.
Tutto inizia più o meno dieci giorni fa, quando girando per i vari social network mi imbatto in un post intitolato “Occupy Civati” che racconta come Pippo Civati, giovane esponente del PD categoria “nuovo che avanza”, abbia anche lui qualche cosina di cui rispondere. Nella fattispecie gli viene contestata la scelta di sottoscrivere una proposta di legge dal titolo: “NORME PER LO SVILUPPO DI METODI SCIENTIFICI INNOVATIVI E TECNOLOGICAMENTE AVANZATI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA RICERCA BIOMEDICA E LA SOSTITUZIONE DELLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE”.
Incuriosito, ho deciso di leggermi cosa potesse avere di tanto sbagliato una proposta di legge con un titolo così promettente (no sarcasmo, giuro). Ora, assunto che le quattro persone che leggono questo blog ormai sappiano la mia posizione in materia, ho pensato che prima di criticare fosse il caso di chiedere all’interessato il motivo che lo avesse spinto a firmare una proposta come quella e così ho deciso di scrivergli questa email:

Buongiorno
Mi chiamo Manq [NdM: No, c’era scritto il mio nome] e sono, da qualche anno, un ex elettore PD. Non mi dilungherò nello spiegare i motivi che mi hanno portato a essere un ex elettore, tuttavia vedo nelle imminenti primarie un buon momento per provare a ricucire il mio rapporto con il PD e la politica.
Per farlo però, ho deciso di informarmi un po’ riguardo ai candidati.
La presente quindi è una mail volta a chiedere chiarimenti riguardo alla tua (mi permetto di darti del tu) sottoscrizione al progetto di legge PdL n° 151, quello titolato: “NORME PER LO SVILUPPO DI METODI SCIENTIFICI INNOVATIVI E TECNOLOGICAMENTE AVANZATI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA RICERCA BIOMEDICA E LA SOSTITUZIONE DELLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE”.
Io sono un biotecnologo con un PhD in medicina molecolare e traslazionale e per anni ho lavorato in laboratori in cui la sperimentazione animale era parte fondamentale dell’attività di ricerca. Da sempre, tuttavia, ho sviluppato una certa sensibilità alla questione dell’utilizzo di cavie in laboratorio.
L’idea di un progetto di legge volto alla ricerca e allo sviluppo di metodologie alternative alla sperimentazione animale, o quantomeno ad alcune delle sue applicazioni, è a mio avviso lodevole in linea di principio. Leggendolo, tuttavia, mi è parso scritto con i presupposti più sbagliati.
Non starò a dilungarmi in considerazioni scientifiche lunghe e noiose, però vorrei sottolineare un punto, tra i tanti, per esemplificare i miei dubbi in merito (cito dalla parte riguardante l’embriotossicità):
“Saggi alternativi:
Sono stati sviluppati e validati metodi che consentono di individuare possibili effetti nocivi sull’embrione. Tra questi, un saggio che sostituisce completamente l’uso degli animali è quello chiamato EST (embryonic stem cell test), che si basa sull’uso di cellule staminali (ECVAM, 2002).
(fonte: http://www.enpa.it/it/uffici/ducumenti_av/VIV-Sistemi_alt_IPAM.pdf:
SISTEMI ALTERNATIVI alla SPERIMENTAZIONE ANIMALE Annalaura Stammati
Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria, Istituto Superiore di Sanità, Roma).”
Mi pare lecito chiedermi, a questo punto, di che cellule staminali embrionali parliamo. Umane? No, perché per lo Stato l’embrione è vita e quindi non lo si può toccare. Animali? No, perché per lo Stato l’embrione è vita e questa è una proposta di legge volta a sostituire la ricerca sugli animali. E allora di che cellule si parla?
Questo per dire che mi pare la questione sia stata affrontata con un po’ di superficialità (avrei davvero molti altri esempi), superficialità che a mio avviso nuoce alla questione.
Io non dubito assolutamente della buona fede e degli ideali su cui si basano progetti di questo tipo. Il punto è che tutto, nel nostro Paese, viene affrontato un po’ come fosse tifo (quanto aveva ragione Churchill ) e si creano facilmente fazioni opposte brandenti una sorta di integralismo che poco riscontro ha, effettivamente, con la realtà dei fatti. Siti come quello più volte citato nel progetto di legge (www.novivisezione.org) seppur mossi da sentimenti assolutamente non deprecabili, hanno in genere ben pochi riscontri scientifici e quei pochi che utilizzano, spesso decontestualizzati e a sproposito, servono più che altro ad imbonire. Di contro, chi sostiene la ricerca scientifica sugli animali, spesso esagera dall’altro lato e si barrica dietro la sua essenzialità, almeno oggi e almeno in certi campi, per celarne le problematiche innegabili.
Partendo dal presupposto che un progetto di questo tipo sia volto a tutelare gli animali e non a far propria quella fetta di elettorato “green-like” che c’è in tutti gli schieramenti, vorrei una tua opinione sulla questione “Sperimentazione animale”. Più importante, mi piacerebbe sapere se per sottoscrivere una proposta come la 151 tu ti sia affidato a qualche tipo di consulenza esterna e, nella fattispecie, a quali.
In qualità di elettore ritengo questa questione abbastanza importante e, onestamente, una richiesta diretta è credo uno dei pochi modi per sentire parlare dell’argomento.
Immagino che tu non possa rispondere a tutti i possibili elettori che ti scrivono facendoti delle domande, ma spero tu possa fare un’eccezione.
Grazie in anticipo per l’attenzione e la disponibilità.
In bocca al lupo per la tua corsa.

La risposta, effettivamente, è arrivata ed è stata di vedersi per discutere della faccenda a quattr’occhi. Ieri sera quindi sono andato in Regione a trovarlo e dopo averne parlato ci siamo bevuti una birretta insieme. Le impressioni che ho avuto sono varie e adesso cercherò di riassumerle, anche perché scriverle mi aiuterà a rifletterci sopra.
Partiamo dalle cose positive. E’ sicuramente apprezzabile che Civati si sia dimostrato interessato alle mie obbiezioni e abbia voluto ascoltarle. Per molti dei punti da me sollevati, che poi son sempre i soliti, mi è parso ci fosse sintonia. E’ venuto fuori che il tutto è nato sull’onda del caso Green Hill, cosa che potevo ampiamente immaginare, e che l’idea fosse fare qualcosa prima che venisse fatto qualcosa di “sbagliato” da altri. Da che ho capito, la proposta è stata presentata senza un particolare studio dell’argomento (quantomeno non da parte di Civati) nell’idea che il tutto sarebbe servito solo a porre una questione, nell’ottica del fatto che si sarebbe ampiamente potuto migliorare il testo in seguito.
Mia nonna mi diceva che a far le cose bene al primo colpo ci si guadagna tutti, ma mia nonna non faceva politica quindi ci sta. Consequenzialmente io ai miei nipoti probabilmente insegnerò che fare qualcosa solo per non farla fare agli altri è poco furbo, ma ho come l’idea che neanche io farò mai politica.
Anyway, la disponibilità ad ascoltare eventuali suggerimenti c’è e questo è indubbiamente positivo. Più o meno implicitamente ci siamo oltretutto ritrovati a riconoscere come una normativa sensata in tema di sperimentazione scientifica non potrà mai essere regionale (io continuo ad avere dubbi anche in chiave nazionale, ma tant’è) e di conseguenza, a mente fredda, ho l’impressione si sia piacevolmente discorso riguardo una proposta che probabilmente morirà in regione, la cui portata è pressochè nulla e che altro non era che figlia di un momento in cui i beagle chiedevano giustizia, anche sommaria.
Mentre scrivo mi sento pure un po’ coglioncello ad averla presa tanto sul serio, sta proposta, ma questo non mi impedirà di continuare a cercare di renderla, a mio modo di vedere, migliore.
Ad ogni modo, finita la discussione in merito alla proposta di legge n° 0151, io e Pippo Civati siamo andati a berci una birretta in un bar zona Pirellone e abbiamo fatto due chiacchiere riguardo al PD, ai suoi esponenti, al nostro Paese e, soprattutto, all’identità politica di Pippo Civati. Son venute fuori tante cose interessanti, diverse idee condivisibili e un quadro complessivo in cui il PD non è ritratto benissimo.
Tutto l’incontro però mi ha ricordato una situazione vissuta in gioventù quando, lasciato l’oratorio, avevo incontrato il mio prete per strada.
“Non ti fai più vedere in oratorio.”
“E’ vero, DonGa, ma ho rivisto un attimo le mie prospettive.”
“Ok. Perchè non vieni su da me che facciamo due chiacchiere?”
“Va bene.”
Quando sono salito però, invece che sederci e discutere, mi ha confessato.

In tutto questo, ringrazio pubblicamente Civati per la disponibilità, la chiacchierata, il libro che leggerò con molta attenzione e la birra che ha insistito per pagare, precisando non ne avrebbe chiesto il rimborso.

E noi abbiamo Cassano

Oggi, tramite l’ormai indispensabile strumento che è Twitter, sono venuto a conoscenza di una notizia riportata da il Post.it. La storia, riassunta in breve, scaturisce da una risposta del delegato democratico del Maryland Emmet C. Burns Jr. alle esternazioni del giocatore dei Baltimora Ravens Brendon Ayanbadejo in materia di matrimoni gay. Nella fattispecie Ayanbadejo pare essersi pubblicamente schierato, più volte, in favore della concessione di questo diritto alle coppe omosessuali.
La presa di posizione di Burns nei confronti delle esternazioni del giocatore è stata espressa sotto forma di lettera, direttamente alla dirigenza dei Ravens. Questo il testo:

Molti dei miei elettori e molti dei vostri tifosi sono inorriditi e sbalorditi dal fatto che un membro di una squadra di football possa esprimersi in merito a una questione così controversa e cercare di influenzare l’opinione pubblica in un senso o nell’altro. Molti dei vostri tifosi non sono d’accordo con le sue posizioni e pensano che non debbano avere posto nello sport, che è fatto per il tifo, l’intrattenimento e l’entusiasmo. Penso che Ayanbadejo dovrebbe concentrarsi sul football ed evitare di dividere i suoi tifosi.
Richiedo pertanto che lei prenda i necessari provvedimenti, come proprietario della squadra, per impedire altre dichiarazioni di questo tipo da parte dei suoi dipendenti, e che ordini a Ayanbadejo di smetterla con questo comportamento ingiurioso. Non sono a conoscenza di altri giocatori che abbiano fatto quello che fa Ayanbadejo.

(La versione originale della lettera del delegato Burns è visibile qui)
Questa lettera, che effettivamente si commenta da sola, ha tuttavia suscitato la reazione di un altro giocatore della NFL, Chris Kluwe dei Minnesota Vikings, che ha deciso di dire la sua scrivendo una lettera di risposta direttamente al delegato. Il testo della contro replica è decisamente degno di segnalazione, tanto per il contenuto, quanto per lo stile diciamo non propriamente elegante. Stando a quanto sostiene Kluwe, infatti, l’utilizzo di espressioni colorite e forti non solo faciliterebbe l’arrivo del messaggio, ma dovrebbe anche fungere da “cartina tornasole per quelli che sanno vedere il contenuto di verità di un messaggio invece che fermarsi a guardare la confezione con cui quel messaggio è consegnato”.
Di seguito riporto la versione tradotta e “ripulita” del testo. Non perchè mi siano particolarmente indigeste le volgarità, quanto perchè è l’unica traduzione che ho trovato senza dovermela fare da solo. Qui, tuttavia, la versione originale del documento:

Caro Emmett C. Burns Jr.,
Trovo inconcepibile che lei sia stato eletto come delegato dello stato del Maryland. Il suo livore e la sua intolleranza mi imbarazzano, e mi disgusta pensare che lei sia in qualsiasi modo e a qualsiasi livello coinvolto nel processo di formazione delle politiche sociali.
Le posizioni che lei abbraccia ed espone non prendono in considerazione alcuni punti fondamentali, che illustrerò con dovizia di particolari (potrebbe esserle necessaria l’assunzione di uno stagista che la aiuti con le parole più lunghe):
1. Come sospettavo, non ha letto la Costituzione, quindi le vorrei ricordare che il Primo, primissimo emendamento di questo fondamentale documento si occupa della libertà di parola, e in particolar modo delle limitazioni di tale libertà.
Utilizzando la sua posizione istituzionale (facendo riferimento ai suoi elettori in modo da minacciare implicitamente la gestione dei Ravens) per dichiarare che i Ravens dovrebbero «scoraggiare dichiarazioni di questo genere» da parte dei loro dipendenti – nello specifico Brendon Ayanbadejo – non solo lei sta chiaramente violando il Primo Emendamento, ma dimostra di essere una narcisista macchia di merda.
Che cosa mai l’ha fatta diventare così stupido? Mi sconcerta che un uomo come lei, che fa affidamento sullo stesso Primo Emendamento per coltivare i propri studi religiosi senza timore di ritorsioni da parte dello Stato, possa giustificare il soffocamento del diritto alla libertà di espressione di qualcun altro. Chiamare “ipocrita” un uomo come lei sarebbe mancare di rispetto alla parola. “Osceno, assurdo ipocrita del cazzo” è un po’ più appropriato, forse.
2. «Molti dei vostri tifosi non sono d’accordo con questa presa di posizione e ritengono che [questi argomenti] non debbano avere posto nello sport, che dovrebbe riguardare il tifo, l’intrattenimento, l’entusiasmo e nient’altro». Santo cielo, quante stronzate. Ha sul serio detto questa roba, lei che è stato «attivamente coinvolto nelle task force del governo che si sono occupate delle conseguenze culturali e sociali della schiavitù in Maryland» (come recita la sua voce di Wikipedia, ndt)? Non ha mai sentito parlare di Kenny Washington? Di Jackie Robinson? Nel 1962 la NFL prevedeva ancora la segregazione razziale, che è stata spazzata via grazie a atleti e allenatori coraggiosi che hanno osato esprimere il loro parere e fare la cosa giusta. E nonostante tutto questo lei è capace di dire che la politica e le questioni politiche «non dovrebbero avere un posto nello sport»? Non so neanche da dove cominciare per immaginare la dissonanza cognitiva che con ogni probabilità sconvolge in questo momento la sua mente confusa e marcia, e la ginnastica mentale con cui il suo cervello si è contorto fino a produrre una dichiarazione così assurda da meritare una medaglia d’oro olimpica (il giudice russo sicuramente le darebbe 10, per “bellissimo repressivismo”).
3. Questo è più un mio dubbio personale. Ma perché odia la libertà? Perché odia il fatto che altre persone vogliano avere la possibilità di vivere le loro vite ed essere felici, anche se la pensano in modo diverso dal suo, o si comportano in modo diverso? In che modo, in che forma, la riguarda il matrimonio gay? In che modo influisce sulla sua vita? Teme che se il matrimonio gay diventasse legale, lei comincerebbe all’improvviso a pensare al pene? «Oh merda, il matrimonio gay è stato approvato, devo subito correre a farmi sfondare di cazzi!». Ha paura che tutti i suoi amici diventino gay e non vengano più la domenica a vedere le partite da lei? (Comunque è improbabile, dato che anche ai gay piace guardare il football).
Posso assicurarle che il matrimonio gay non avrà alcun effetto sulla sua vita. I gay non verranno a casa sua a rubare i suoi figli. Non la trasformeranno magicamente in un lussurioso mostro mangiacazzi. Non rovesceranno il governo in un’orgia di edonistica dissolutezza soltanto perché all’improvviso avranno gli stessi diritti del 90 per cento della nostra popolazione – diritti come le indennità della previdenza, agevolazioni fiscali per chi ha figli, i permessi familiari o i congedi per malattia per prendersi cura dei propri cari, e l’assistenza sanitaria estesa a coniugi e figli. Sa che cosa farà ai gay il fatto di avere questi diritti? Li renderà cittadini americani a tutti gli effetti, proprio come tutti gli altri, con la libertà di perseguire la felicità con tutto ciò che questo comporta. Le dicono niente le battaglie per i diritti civili degli ultimi 200 anni?
In conclusione, spero che questa lettera, in qualche modo, la porti a riflettere sulla dimensione del colossale casino che lei ha spudoratamente scatenato ai danni di una persona il cui solo crimine è stato esporsi per qualcosa in cui credeva. Buona fortuna per le prossime elezioni, sono certo che ne avrà bisogno.
Cordialmente,
Chris Kluwe
P.S. Mi sono dannatamente esposto sulla questione del matrimonio gay, quindi può anche prendere il suo «non sono a conoscenza di altri giocatori della NFL che abbiano fatto quello che fa Ayanbadejo» e ficcarselo nella sua piccola boccaccia priva di empatia, strozzandocisi.
Stronzo.

A me, tutta questa faccenda, ha chiaramente ricordato le esternazioni di Cassano all’Europeo.
Il punto però non è tanto che ci siano omofobi in Serie A, perchè nella NFL ce ne sono sicuramente di più. La questione è: quando, in Italia, un calciatore proverà ad usare la notorietà per combattere delle battaglie sociali?

The dark knight rises

  • Manq 
  • Film

ATTENZIONE. Per quanto immagino che ormai chiunque fosse interessato abbia già visto il film, non essendo io come al solito particolarmente sul pezzo, mi preme chiarire che nel post a seguire potrebbero esserci SPOILER di ogni tipo e modo sul terzo capitolo del Batman di Nolan. Non avendo io ancora scritto il pezzo, non so dire quanti e quanto grossi, ma preferisco tutelarmi a priori.

Nel parlare di questo film, mi piace partire dal titolo.
In lingua originale questo film si chiama “The dark knight rises” e, dopo averlo visto, non posso che sottolineare l’adeguatezza del titolo scelto. Per quasi tre ore infatti si parla del cavaliere oscuro che si rialza, dopo essere stato abbattuto fisicamente o psicologicamente da amici e nemici vari. Il cavaliere oscuro, per chi non lo sapesse, è quel personaggio che di volta in volta interpreta ruoli che vanno dal miliardario egocentrico, al ninja, al super eroe, all’eremita, al filantropo. Bruce Wayne è una delle sue interpretazioni, Batman un’altra, ma contrariamente a quanto si possa pensare, la somma di questi due elementi non ci restituisce il 100% del protagonista. Qui, secondo me, sta uno dei due punti di forza di quest’opera, intesa come trilogia. C’è un percorso umano, tutt’altro che rettilineo, che vuole il nostro cavaliere impegnato nel dare un senso alla sua vita ogni qualvolta le circostanze lo mettano di fronte al fatto che, effettivamente, non tutto gira benissimo. Da qui i continui scivoloni da cui, puntualmente, il nostro eroe si rialza. Intendiamoci, a volte il processo di “rising” è strettamente legato al rimettersi in piedi dopo aver preso talmente tante botte da aver compromesso il fisico, ma le cadute emotive e quelle fisiche si intrecciano così tanto che, nell’allegoria generale, diventano di fatto la stessa cosa. E quindi chissenefotte se il ginocchio marcio non guarisce in otto lunghi anni di nulla in cui ci sarebbero tutto il tempo e i mezzi per farselo fare nuovo, mentre le stesse articolazioni e le vertebre rimescolategli da Bane vanno a posto senza cure in una fossa chissà dove nel mondo in soli tre mesi e con una catastrofe nucleare incombente che mette quella certa pressa. Il film parla di rialzarsi dopo le scoppole e delle motivazioni che portano a farlo. Con la leva giusta ci si può sollevare il mondo. Piaccia o meno, come messaggio, una volta che lo si spalma alla base dell’opera non c’è davvero nulla che fatichi ad incastrarcisi.
Analizzato ciò di cui parla il film, il punto due e vedere come ne parle e secondo il sottoscritto, ne parla bene. La parola parla, in questo caso, andrebbe sottolineata più volte. Il film infatti è un megagigantesco spiegone del concetto di cui sopra, ripetuto in talmente tante salse e circostanze che, davvero, non può non arrivare. Per i più veloci il film può arrivare al ridondante, per i più lenti è comunque chiaro. Dietro al DVD scriveranno “Film per tutti” e vuol dire questo. Infatti ce l’ha in mano uno che non è propriamente noto per lasciar spazio alle interpretazioni, uno che tra un chiarimento in più ed uno in meno sceglie sempre il chiarimento in più.
Prima parlavo dei due grossi meriti di questa trilogia. Uno l’ho spiegato, quindi andiamo al secondo. Non sono uno di quelli che parlerebbe di “realismo” dovendo descrivere questa trilogia. Secondo me c’è solo maggiore spessore nel definire il male. Spessore che viene fuori bene nel primo film, superbamente nel secondo e che segna, secondo me, il vero passo falso di questo terzo round. “Gotham merita un criminale di maggior classe”, direbbe il Joker.
Stringi stringi infatti, qui siamo a livelli infimi di caratterizzazione del villain. La sceneggiatura, parafrasata, sta a livelli di “La figlia di un precedente cattivo vuole vendicarsi di Batman e si fa aiutare da un ex galeotto affetto da pedofilia platonica”. Che. Merda. Insomma, mi infili tutto quel gigantesco sottotesto sul caos, l’indole umana, l’anarchia, il bene attraverso il male, Gotham come unica artefice della salvezza di Gotham e poi brutalizzi tutto con la tipella e il fidanzatino che vogliono vendetta? Ok, io ho capito caro Nolan che qui non volevi togliere spazio e neuroni alla comprensione del cavaliere oscuro che si rialza. La comprendo la necessità di non infilare ulteriori livelli di comprensione che poi, conoscendoti, avresti dovuto passare ore a spiegare. Però dai, esistono le vie di mezzo.
Grande spreco, insomma, delle potenzialità che la Gotham anarchica avrebbe potuto esprimere sullo schermo. Io che settimana scorsa mi son visto il secondo film e che ho ben presenti scene tipo quella dei due traghetti, con sto terzo episodio mi ritrovo in mano pochino.
Ok, queste a grandi linee le mie personalissime letture dell’opera. Ora chiudo con i dettagli.
– Sorpresona Anne Hathaway. Il personaggio viene fuori gran bene, lei mi pare brava brava e per qualche secondo ci si dimentica abbia il sex appeal di un termosifone. Era una delle cose su cui nutrivo più dubbi, direi che se ne esce bene.
– Il discussissimo finale della Firenze smarmellata sponsorizzato Fernet Branca a me non è piaciuto. E non è perchè Batman sopravvive, cosa che stando alla mia lettura sul rialzarsi è unica conclusione possibile, ma per come è messo sullo schermo. Qui secondo me Nolan toppa alla grande. Non passa il messaggio della leggenda che sopravvive all’uomo, dell’importanza del simbolo e della continuità. Questo capitolo doveva essere conclusivo e conclusivo non è, nel momento in cui metà della sala si alza dicendo “mo’ faranno Batman e Robin”. Servivano più palle, serviva una parola FINE scritta grossa così. Quindi ok il bat-segnale ricostruito, ok la statua, ok Robin che scopre la bat-caverna, ok Wayne che sopravvive (ecco, magari omettendo tutta quella parte sul pilota automatico perchè è imbarazzo vero). Tutto giusto. Solo, andava fatto vedere in maniera diversa. Non m’è piaciuto, insomma.
– Ho letto in giro che per molti il film è noioso. Sono due ore e quaranta e a me è passato via facilissimo. Io però non faccio testo, quindi uso il mio solito riferimento: alla Polly non solo è passato di bestia, ma le è pure piaciuto un bel po’. La Polly s’è addormentata durante The Avengers. Quindi no, non credo si possa definire noioso. Poi certo, dura come il secondo e succedono un terzo delle cose, ma questa è un’altra faccenda. Io alla fine mi son chiesto come fossero passate due ore e quaranta visto che succedeva poco e un cazzo, ma durante il film non ho mai pensato, neanche per un minuto, “che palle”.
– Io non so nulla di cinema a livello tecnico, sono semplice fruitore, quindi magari dico ovvietà. Però una delle cose più fighe di questo film è l’uso dei silenzi unito all’assenza di musiche in molte scene in cui, di solito, la musica troneggia. A me l’effetto che ne esce è piaciuto notevolmente.
Ok, questo direi che è quanto ho da dire riguardo a “Il ritorno del cavaliere oscuro”. Altre recensioni belle, che dicono a volte cose diverse ed altre le stesse, ma dette meglio, sono questa, questa e questa. Ah, c’è anche questa.
Per il sottoscritto non il film dell’anno, ma sicuramente una cosa che non fa male vedere.

Le monografie #1 – HC melodico

Hardcore Melodico by Manq on Grooveshark Dopo tanto parlarne, finalmente ho completato la prima delle famigerate monografie che il sottoscritto ha intenzione di dedicare alla musica che gli piace. Nulla vieta che questo primo capitolo diventi col tempo anche l’ultimo, non sono noto per portare a termine quel che comincio, però nell’immaginario del sottoscritto dovrebbe uscirne almeno un altro. O magari qualcosa che invece di un genere presenti una band. Insomma, vedremo. Tanto son cose di cui si parlerà tra un bel po’ di tempo, in ogni caso.
Tornando a bomba sul tema della monografia, questa selezione di brani, che potete ascoltare utilizzando il player qui a sinistra, ha la presunzione di dare un quadro di cosa sia per me l’Hardcore Melodico, approcciato da diverse direzioni e con diverse prospettive, nell’idea di dare al tutto una finta aura di completezza. Prima di iniziare, direi che è il caso di fare qualche premessa. Come tutte le etichette di genere, anche l’HC melodico ha dei confini molto poco marcati. Spesso è difficile stare lì a delineare dove finisce il punk-rock e dove inizia l’HC melodico, oppure dove finisca l’HC melodico ed inizi l’HC e basta, o ancora cosa ci sia di diverso tra il genere che presento qui e quella cosa che molti chiamano skate-punk.
Questa monografia presenta un certo tipo di suono, caratterizzato essenzialmente da velocità e melodia, non forzatamente legata alle linee vocali. Cerco quindi di tenere fuori i discorsi di tipo attitudinale e/o apparenza e mi butto a bomba sul suono. Se ascoltandola qualcuno penserà che ci ho messo roba che non c’entra, è liberissimo di farlo notare perchè i commenti son lì apposta.
Diretta conseguenza di quanto ho scritto sopra è la scelta dei pezzi. Qui non trovate le mie canzioni preferite delle band in questione, ma le canzoni che mi servono a chiarire il concetto. Alcune sono le mie preferite, altre no, ma il punto non sta lì. Che poi son comunque tutti pezzi clamorosi, quindi bene così.
Ok, direi che con l’introduzione ho concluso, quindi posso iniziare a presentarvi la mia selezione di pezzi.
Inizio, per forza di cose, con i Nofx. Per quanto mi riguarda, se dovessi spiegare l’HC melodico a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare, difficilmente partirei da altri. Inventori o meno del genere, sicuramente sono tra tutti quelli che ne hanno dettato i canoni e che hanno sviluppato meglio il discorso. Il pezzo che ho messo, preso da una compilation di millemila anni fa e con il titolo lunghissimo, basterebbe da solo ad illustrare il fulcro della questione. Parto dalle basi quindi e di conseguenza non posso che citare Bad Religion e Pennywise. Mai stato fan di nessuna delle due realtà, ma citarne l’apporto all’inizio del fenomeno è fondamentale. Da questi tre gruppi, essenzialmente, si apre una seconda generazione. Qui lo spettro si amplia e le differenze tra i gruppi diventano meno marcate, anche a causa delle parentele tra le varie band. Ecco quindi i Ten Foot Pole e i loro figliocci Pulley come primo ramo dell’albero. Poi ci sono i Lagwagonche, forse, a livello qualitativo assoluto di questa seconda tornata sono un po’ il capostipite inteso come pura fedeltà alla struttura del genere. Con loro, l’altro gruppo imprescindibile sono i No Use for a Name del compiantissimo Tony Sly. I No Use però iniziano a mischiare le carte in tavola, per quanto possibile, tirando dal lato del sentimento ed esasperando non tanto il concetto di melodia, quanto quello di ballata e di deriva “pop”. Non definibili come band “pop-punk”, almeno per quanto mi riguarda, son di certo quelli che stanno in mezzo tra la prima parte del discorso e gruppi tipo gli Ataris o gli Autopilot Off. Il pop-punk affonda profondamente le radici nell’HC melodico, ma non solo per quanto riguarda il filone “sentimentale/pseudoemo” che parte dagli Ataris (o che comunque da loro è definibile), ma anche per tutte quelle cose più squisitamente punk-rock come possono essere i Blink-182.
Tornando alla diramazione presa coi Lagwagon e i No Use, il terzo filone identificabile è composto da quelle band che, strizzando un po’ l’occhio al metal, iniziando a prestare attenzione al suono delle chitarre e ai loro intrecci. Per quanto mi riguarda, anche qui il riferimento sono gli Strung Out, seguiti da gente come Belvedere e i primi Rufio. Se mi state seguendo, forse qualche differenza tra i diversi suoni la cogliete. Poi oh, liberissimi di dirmi che è tutta roba che suona uguale, non mi offendo.
Altro filone, altro regalo. Qui si parte dagli AFI e le contaminazioni sono più verso un immaginario “dark” che può, forse, prendere origine da cose tipo i Misfits. Ma anche no. Mai piaciuta sta roba, ad essere onesto. Figli autoproclamatisi degli AFI sono gli Aiden, band che nei rari casi in cui non è impegnata a fare musica oltre l’osceno fa suo il concetto infarcendolo di poserismo e di tutti i clichè che nel post 2000 giravano in un certo ambiente.
L’impegno politico, in tutto questo, non è stato certo tralasciato. Il primo nome che deve venire in mente, in questo senso, sono i Propagandhi, ma a ruota troviamo i Good Riddance e i loro cloni postumi Rise Against. Tra l’altro, dai Good Riddance, prendo spunto per delineare un certo spostamento verso l’HC “vero e proprio” che parte e arriva unicamente nel timbro vocale o nei cori, lasciando più o meno immutate le restanti parti musicali. In quest’ottica si inseriscono gruppi tipo gli H2O, più tendenti al melodico, o i Comeback Kid, più spostati verso l’accaccì. In mezzo, i previa citati Good Riddance e compagnia.
Non può mancare infine, nella disamina del fenomeno, la componente religiosa. In particolare qui analizzo il filone “Christian”, che in ambito HC melodico fonda, o quasi, sugli MxPx, da cui derivano fenomeni più o meno irrilevanti come gli Slick Shoes (che, cmq, qui includo con un pezzo spessissimo).
Tutto chiaro? Mi sa di no. E’ tutto un gran casino, infatti, perchè discriminare in base al suono e contemporaneamente al contenuto genera intersezioni insiemistiche che neanche alle elementari. Ci si perde immediatamente. Questo anche a sottolineare come chi si mette col righello a tracciare i confini delle etichette, dicendo cosa è dentro e cosa è fuori, spesso dice minchiate.
Fin qui la situazione ammerigana. Ma vuoi che nel vecchio continente non si facesse nulla di tutto questo? Figurarsi. Qui c’erano robe come i Satanic Surfers e i Millencolin a rallegrare le vite dei giovani. Si arrivava dopo, vero, ma non ancora fuori tempo massimo, quindi ok.
E nel bel Paese? Con soli 10 anni di ritardo, in molti casi, qualcosa è arrivato, ma è stato usato per generare fenomeni discutibilissimi. Esempio? I Vanilla Sky. Meno in ritardo e con molto più senso d’essere ci sono invece stati un sacco di gruppi, tra cui io però cito e citerò alla morte i Murder, We Wrote, band che amo come poche altre nella storia del genere.
Ora, finita la lista dei sottogeneri e delle correnti, veniamo ai fenomeni di costume, che in ambito HC melodico sono essenzialmente due. Il primo è quello non proprio esclusivissimo, della cover. Qui il nome neanche c’è da starlo a cercare, perchè la all-star band dei Me First and the Gimme Gimmes è più che sufficiente a colmare ogni desiderio di sapere. Per completezza, e per nominare un’altra band, infilo anche i New Found Glory che con le cover han fatto addirittura due dischi.
Secondo fenomeno è invece la canzone da trenta secondi, che più o meno tutti avevano in repertorio. L’opera omnia in questo senso è la compilation “Short music for short people” che, pur mettendo in fila band non esclusivamente HC melodico, è pensata da chi suonava quello. Non temo smentite. Da quel disco fondamentale pesco tre band tra quelle di genere che non avevo ancora citato, e segnalo così 88 Fingers Louie, Diesel Boy e Useless ID (proudly from Israel).
Cosa resta quindi, di tutto sto carrozzone? Molto. Tante band sono ancora in giro, alcune ancora scrivono dischi identici a se stessi volta dopo volta. Quelli che a detta di molti sarebbero dovuti essere gli eredi designati della scena sono gli A Wilhelm Scream, ma io non li ho mai ascoltati e, visti una volta dal vivo, avrei preferito continuare ad ignorarli.
Chiudo questo infinito discorso, quindi, con quella che per me è la summa del genere e del post. Si torna ai Nofx, perchè mi piacciono le robe cicolari, e la chicca di cui parlo è l’EP chiamato The Decline. Diciotto minuti che valgono oro e che esplicano certamente meglio di me tutto quello che avrei voluto dire con questo post.
Fine.
Ore rileggo tutto e pubblico, ma soprattutto mi riascolto la playlist che ne è uscita perchè il mio post magari fa schifo, ma la scaletta dei pezzi è suprema.

A tuo rischio e pericolo

[…]
Dev’esserci una cinquantina di gradi Fahrenheit. Quella dei Fahrenheit è una faccenda che la fa uscire dai gangheri. Non riuscirà mai a calcolare d’istinto una temperatura in gradi Celsius. Non gliel’hanno insegnato. E se non ti insegnano il sistema metrico decimale vieni su come se avessi le briglie al cervello.
Nel sistema metrico, un millilitro d’acqua occupa un centimetro cubo, pesa un grammo e consuma una caloria per raggiungere la temperatura di un grado centigrado – che è poi l’uno per cento della differenza tra il punto di congelamento e il punto di ebollizione. E la stessa quantità di idrogeno contiene esattamente una mole di atomi.
Invece, nel sistema americano la risposta a “Quanta energia ci vuole per far bollire un gallone d’acqua a temperatura ambiente?” è “Ma vaffanculo”, perchè non si può mettere in rapporto diretto nessuna di quelle quantità.
Finchè il quadrante del suo orologio rimane illuminato, Violet decide di calcolare la temperatura in base al verso di un grillo. Conosce l’equazione*, e l’equazione – come tutte quelle a lei note – segue il sistema metrico decimale.
A dar retta al grillo ci sono dieci gradi Celsius. Che convertiti in Fahrenheit fanno cinquanta.
Il calcolo la convince a lasciare la veranda. Qualunque cosa ci sia fuori è meglio che riflettere su certe stronzate.
[…]

Nella bibliografia di fine libro, si legge: “Secondo The Manga Guide to Calculus, di H. Kojima e S. Togami, 2009, la formula che mette in relazione la temperatura con la frequenza del canto del grillo è Fc = 7(Tc), dove Fc è la frequenza del canto e Tc è la temperatura in gradi centigradi. Da notare che la stessa equazione in Fahrenheit (Tf) sembra inizialmente pesante: Tf = 9/5[(Fc+30)/7]+32 ma si riduce a Fc/0,26+39,71 che arriva abbastanza comodamente vicino (specie se i grilli non sono proprio precisissimi) a Tf = 4(Fc)+40 oppure Tf = 4(Fc+10).”

“Rest in pieces”

  • Manq 
  • Film

Premessa:
Se vai al cinema a vedere “The Expendables 2” e non esci con il cazzo sotto il mento ci sono un problema e due possibili spiegazioni.
Il problema non serve nemmeno esplicitarlo.
Le due spiegazioni sono che o ho qualcosa che non va io, o ha qualcosa che non va il film.
Nel primo caso, che considerato il film in questione non mi sento di escludere, da scrivere rimarrebbe poco quindi provo ad ipotizzare quali possono essere le motivazioni alla base di un ipotetico scenario B.
Prima di tutto però, è doveroso avere chiarissimo ciò di cui stiamo parlando:

Il mio discutibilissimo parere:
A me il primo Expendables era piaciuto parecchio. E vorrei vedere. Prima della visione di sta sera quindi io e Bazzu eravamo fuori dall’Arcadia di Melzo ed era tutto un “E’ resuscitato il film d’azione”, basandoci unicamente su due principi di cui il primo è proprio che nel film di partenza tutto funzionava e il secondo è che l’unica cosa nota del sequel era l’averci messo ancora più gente grossa. E invece, paradossalmente, l’equilibrio si spacca e ti ritrovi a pensare che, col cast della foto qui sopra, è possibile fare qualcosa di meglio. E lì tutto inizia ad andare a rotoli, ti senti sporco che più sporco non si può e hai bisogno di giustificare ogni due righe il tuo non essere convinto.
Che poi è quello eh, perchè non puoi scrivere “non mi è piaciuto” parlando di un film come The Expendables 2. Bastano i primi quindici minuti, con tutto che esplode e/o sanguina (non necessariamente nell’ordine) e tu sei lì che leggi le varie scritte sui tank e hai già tutto il sangue convogliato in un’unica parte del corpo. [SPOILER: non è il cervello]. Poi i conti però iniziano a non tornare. Lungi da me dire che tutto vada a rotoli eh, perchè le due scazzottate finali son roba grossissima, ma ci son cose che onestamente non capisco e che adesso elenco per punti visto che scrivere male di sto film mi sta mettendo a disagio:
– Fai un film in cui Stallone, Shwartzy, Willis e compagnia non fanno che sparare ad ogni cosa si muove. Mi vuoi davvero dire che serve infilarci del fan service? Il film stesso è un cazzo di fan service. Se ci piazzi battute tipo “ti termino” rivolta ad Arnie, “Yippie-Ya-Yee” rivolta a Bruce e compagnia secondo me caghi fuori dalla tazza. Poi oh, Norris che recita uno dei celeberrimi facts m’ha ucciso sul momento, ma a rifletterci boh… no vabbeh dai, quella ci stava, ma per il resto confermo la mia tesi.
– Il punto precedente è parte di un macropunto più ampio: la comicità. Per come la vedo io il film d’azione ha una sola comicità plausibile al suo interno, ovvero quella sarcastico/smargiassa che ha toccato il suo punto massimo con “l’ultimo boyscout”. Se Sly crivella di colpi un tizio e poi gli dice “Rest in pieces” (dio ci salvi dal doppiaggio, davvero squalificante ammesso questa parola esista) io mi gaso e la cosa funziona. A non andare sono invece i momenti da sitcom di cui è infarcito questo film. Un po’ perchè spesso non fanno ridere e tendono al patetico e un po’ perchè dei sessant’enni che fanno il culo al mondo sono un soggetto che è ad un niente dal diventare grottesco. L’autoironia ci sta (bella la battuta alla fine sui pezzi da museo) ed è necessaria nel contesto, ma buttare tutto in vacca no.
– Anche la comicità è parte a sua volta di un terzo macropunto ulteriore: il film. Qui non c’hanno nemmeno tentato di fare un film. E non ci provate a dirmi che anche negli action anni ’80 era così perchè la risposta è “STOCAZZO”. Qui han buttato assieme un po’ di scenette a cazzo di cane, incollate tra loro a volte con lo sputo e a volte nemmeno con quello. Poi è chiaro che se le scene sono di botti, morti e calci in faccia uno magari lo nota meno, ma a voler ben guardare qui ci sono pure un montone di scene inutili incollate tra loro alla cieca e in cui non succede un bel cazzo di niente se non qualche perculata tra Stallone e Statham. Battutine che oltretutto non fanno un cazzo ridere, mannaggia a loro. Non è che mi aspetti un plot lineare e inattaccabile eh, da un film così, ma cazzo almeno il tentativo di tirare in piedi una mezza sceneggiatura secondo me era auspicabile. Nel primo film c’era una trama. Di dieci righe eh, scritte grosse, ma almeno composta di frasi consequenziali e con capo e coda. Qui buio pesto, da sto punto di vista, e ritorno a dire che se fai una cosa del genere devi mettermici talmente tanti schiaffi dentro che non me ne devo accorgere. Cosa che evidentemente non è successa.
Insomma ecco, questi sono i dubbi che ho dopo aver visto il film e che, a costo di ripetermi, uno che vede un film con il cast della foto sopra non dovrebbe avere. Mai. E quindi niente, spero di avere qualcosa io, perchè pensare che “The Expendables 2” non sarà il mio film dell’anno è una roba troppo brutta.