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Il gioco delle tre carte

[…]
– E’ che, senza il congresso, qui non c’è molto di fare. E anche il congresso non era molto… – Snijders fece un verso strano con la bocca.
– Non era interessante? Forse era un po’ fuori dai suoi argomenti.
– Sì, anche, ma non solo. È che ormai sento sempre le stesse cose. È raro trovare un po’ di fantasia, di inventiva. In particolare gli italiani hanno una cosa strana. Come competenza, intendo.
Ne abbiamo tante di cose strane, bello, a livello di competenza. Sei in un paese in cui le veline parlano di calcio e i preti parlano di sesso e di famiglia.
– E quale?
– Non sono originali. Quasi mai, intendo. Ultimamente vedo gente che fa le stesse cose che faceva venti anni fa. Raffinano. Limano qualcosa. Fanno roba bellissima, a volte. Molto complessa. Ma sempre con gli stessi modelli. Io intendo, parlo in generale. Le eccezioni ci sono. Ma sono rare. E la scienza non è questa. Ci vuole originalità, idee nuove. Le applicazioni le deve fare l’industria. Noi dobbiamo fare ricerca.
Notevole. Nuova sorgente di acqua calda scoperta in località Pineta dal professor Snijders dell’università di Groningen.
– E non capisco il motivo – continuò Snijders, dato che evidentemente l’argomento lo appassionava. – Scientificamente, gli italiani sono sempre stati validi. Preparati bene come studenti. Non come i russi, o gli indiani, ma molto meglio della media europea. È strano.
Massimo si sentì punto sul vivo. Su quell’argomento si era fatto venire il sangue amaro tante di quelle volte che, anche non volendo, ormai sentirne parlare gli attivava un riflesso pavloviano.
– Non è strano – disse mentre porgeva a Snijders la focaccina su un piatto. – Lo sa perché? La ricerca in Italia non è originale perché è comandata da dei tirannosauri. In Italia, il quarantasette per cento dei professori ordinari è gente che ha più di sessant’anni. Sessant’anni. Non ci riusciva Gioacchino Rossini ad essere originale a sessant’anni, e vuole che riesca gente come questa qui?
– Ma perché non vanno in pensione, allora? – chiese Snijders a bocca piena. – Non si rendono conto che non fanno del bene?
– No. Non se ne rendono conto. Perché in questo paese del menga siamo abituati a fare del bene in modo morboso. Le faccio un esempio semplice. Gran parte dei professori dice: «Non posso andare in pensione ora, anche se ne avrei diritto e anche se non ho più voglia di fare una sega, perché prima devo sistemare il mio dottorando, assegnista o qualunque ruolo abbia lo schiavo di turno». Il concetto è che siccome quel tipo ha fatto tesi, dottorato e tutto il resto con me come tutore allora ho una sorta di obbligo morale a sistemarlo. Come no. Peccato che se tu ti levassi dai piedi libereresti i soldi necessari a farne tre, dico tre, di ricercatori. Però magari in questo modo il tuo figlioccio potrebbe non entrare. Specialmente se è una immonda testa di cazzo che ha come unica dote l’ostinazione. Perché il fatto è che negli ultimi anni in Italia non entri all’università per bravura. Ci entri soprattutto per sfinimento. E questo è il primo problema.
– Ah, c’è anche un secondo problema? – chiese Snijders masticando.
– Sissignore. Il secondo problema è che, come giovani, eravamo troppi. Troppi, e con in mezzo troppa gente assolutamente inadatta. Ho visto ammettere al dottorato di ricerca persone che da studenti faticavano per passare gli esami. E perché sono entrate loro? Semplicemente perché quelli più bravi avevano abbastanza iniziativa per andare all’estero, o per andare a lavorare fuori dall’università. Quelli che non erano buoni a levarsi un dito dal culo da soli invece sono rimasti lì, e hanno cominciato la trafila. Il contrattino, il dottorato, la borsa, l’assegno e cazzi vari. Intendiamoci, in questo i professori hanno la loro buona parte di colpa. Invece di fissare una soglia che garantisse la decenza, hanno continuato a prendere un numero di persone fisso, e troppo grande rispetto a quello che sarebbero stati in grado di integrare in futuro. Così, insieme a gente brava che si meritava di fare il dottorato e di rimanere a fare ricerca, hanno raccattato morti e feriti. Che però, dopo aver preso a venticinque anni, dopo il dottorato ne hanno ventotto, e dopo l’assegno trenta o trentadue. E a quel punto o li assume l’industria farmaceutica come cavie oppure te li tieni sul gozzo, perché un laureato di trentadue anni, magari con il dottorato, leindustrie al momento non lo vogliono nemmeno in regalo. Io lo so bene. Sono uno di quelli.
[…]

Tre dischi tre

Che io non abbia più tanto tempo per scrivere mi pare si intuisca. Anche per questo ho smesso di scrivere di musica per Groovebox, non potendo più garantire una “professionalità” mai richiesta, ma che per me è importante quando si decide di fare qualcosa.
Questa cosa però fa si che se un pomeriggio, come oggi, mi prendesse voglia di scrivere di musica io possa farlo sul mio blog. Just like old times. E quindi eccomi qui, a buttar giù qualche riga su alcuni dischi che di recente ho ascoltato e sto ascoltando e di cui, per un motivo o per l’altro, mi sento di dire due robe. Partiamo.

NOMADS – S/T
Questo disco l’ho scoperto grazie al Fragolone, che l’ha scoperto casualmente grazie a facebook. E’ un disco di post rock strumentale come ce ne sono, immagino, centomilioni di altri. La differenza però è che questo a me non annoia e, anzi, in certi punti commuove proprio. Tipo con “Home”. E’ un periodo questo in cui col post rock sto andando abbastanza d’accordo, anche se sono molte di più le cose che non mi piacciono di quelle che apprezzo. Ho ancora molte difficoltà coi dischi interamente strumentali, che spesso appunto mi lasciano davvero pochino, e anche in questo “Nomads” ci sono diversi punti in cui io ci avrei sbattuto una bella voce sopra. Delle belle linee vocali, a dare al tutto una forma più consona al mio palato. Però a differenza di altri casi (sì, parlo per esempio dei Mogwai), anche senza una voce sopra il disco sta in piedi e riesce ad emozionare. Io gli unici dischi completamente strumentali che riesco ad ascoltare sono “The Earth is not a cold dead place” degli Explosion in the Sky e l’ultimo EP degli End of the Ocean. E poi questo, che tutto sommato non ha moltissimo in comune con gli altri due. Io non faccio magari testo, però oh, se piace a me può piacere a tutti.

DEAFHEAVEN – SUNBATHER
Questo disco invece l’ho scoperto grazie all’internet che ne parla da tempo in termini entusiastici. Ci ho messo un po’ ad approcciarlo. Prima perchè ho confuso il gruppo coi Deerhunter, che non mi piacciono, poi perchè alla fine della fiera si tratta di un disco balck metal. E io credo non ci sia bisogno di ribadire il mio rapporto non proprio d’amore col metal. Però ci ho creduto, me lo sono ascoltato un po’ di volte e alla fine è stato amore. Che poi, se lo chiedete a me, non sono convinto sia davvero un disco black metal. Innanzi tutto la copertina è rosa. Poi i testi, per quanto li abbia letti velocemente, non mi paiono particolarmente metal. A renderlo un disco black sono chiaramente le urla strazianti del cantante (anche se, da ignorante, mi chiedo quale sia il confine tra questo black metal e certo emo violence o screamo o che dir si voglia, ma vabbè) che difficilmente si possono ignorare e che richiedono un po’ di tempo per essere metabolizzate. E io di gente che grida ne ascolto eh, ma così no. Così mai. Una volta assimilata la voce ed equiparata ad un altro strumento musicale distorto, il tutto è in discesa perchè le melodie sono di una bellezza sconfinata. Di una poesia rara. Uno dei dischi più belli che mi siano passati per le mani quest’anno, nonchè uno dei più “estremi” che io abbia mai comprato.

JIMMY EAT WORLD – DAMAGE
Ed eccoci infine alla nota dolente, ovvero il nuovo disco dei Jimmy Eat World, che è sostanzialmente un disco inutile. Ci sono dentro una sfilza di pezzi anonimi, un pezzo decoroso (How’d You Have Me) e un pezzo orribile (ByeByeLove) e non c’è verso di definirlo diversamente nonostante mi sia sforzato di ascoltarlo più volte. L’altro giorno su Facebook il buon Ghibo condivideva un video in cui i JEW suonano la cover di Taylor Swift “We are never getting back together” e quel che ne esce è un pezzo cento volte migliore di qualunque cosa si possa trovare in Damage. Credo sia una roba indicativa.

Rientro

Rientrato da una settimana, questo sarebbe il tempo di scrivere due righe sul viaggio da poco concluso, ma non ne ho tanta voglia.
Ho fatto il classico reportino del tour di Maui, che sta come tutti gli altri nella sezione itinerari. Ci sono anche delle foto, ma fanno cagare. Manq che fotografa le Hawaii è un fail clamoroso. Tipo quelli che hanno vestito Bar Rafaeli a Sanremo e l’han fatta sembrare un cesso.
Con le foto di NYC è andata un po’ meglio, ma credo sia anche e soprattutto perchè ho optato per la tecnica Jay Z, ovvero il bianco e nero. Il punto era che a New York ero già stato e le cose che mi erano piaciute le avevo tutte già fotografate. Sto giro le ho ovviamente fotografate di nuovo, ma ripubblicare gli scatti mi faceva tristezza.
E basta, non c’è molto altro da dire. Ho ascoltato i dischi che mi avevano consigliato, apprezzandone ben pochi. Jets to Brazil bello, Halestorm divertente nella misura in cui può esserlo un disco di Pink suonato da dei metallari (quindi a volte tanto), Godspeed you, Black Emperor! a tratti interessanti, Mogwai quasi sempre noioserrimi, Thee Silver Mt. Zion ecc… mi son sembrati una roba vicinissima a certi Brand New in certi punti e lì li ho apprezzati, Mikal Cronin carino. Il resto semplicemente non mi ha convinto o non mi è piaciuto o non fa per me (come se fossero tre cose differenti). Potrei non aver ascoltato tutto, ad onor del vero, ma se ho saltato qualcosa non è molto.
That’s it.
Ah no, dimenticavo.
Sette anni e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Forse non era la nipote di Mubarak.

Best gig location EVAH

Quando rientrerò farò, credo, un resoconto completo ed esaustivo del viaggione in corso.
Sta sera mi prendo quindi giusto due minuti per commentare a caldissimo un’esperienza veramente fantastica. Sono andato a sentire i Less Than Jake.
Ok, non proprio la band della vita, MA:
1- Di spalla suonavano i Pentimento.
2- Il concerto si è svolto “on a fucking boat” impegnata a circumnavigare Manhattan.
Il tutto è stato quindi clamoroso per diversi aspetti. Non mi metto a fare un report serio, ho sonno, ma alcune cose vorrei dirle (per farlo farei anche un elenco a punti, ma in sto post me lo sono giocato due righe fa e non posso ripetermi).
Inizio quindi col dire che i Pentimento dal vivo son bravi bravi. Ottima scena, ottimo suono, ottima scaletta, tiro assurdo. Ma roba veramente grossa, che magari da dei ragazzini (perchè son giovani) non ti aspetteresti. Dopo il live sono riuscito anche a comprare il fantomatico disco, che per diverse peripezie non ha avuto una facile distribuzione. Quindi obbiettivo principale della serata portato agilmente a casa.
La bomba vera però è stata la location, che per ovvi motivi si piazza al volo in cima alla lista dei posti più suggestivi in cui io abbia mai visto un concerto. La barca è partita al tramonto e ci ha proposto una visione spettacolare dello skyline di NY nel momento migliore della giornata, passando anche vicinissima alla Statua della Libertà che in questi giorni non è altrimenti accessibile. Veramente una roba da urlo. Poi il ponte era decisamente piccolo, il palco non c’era, i suoni erano buoni e quindi anche le performance musicali aggiuntive son state godibilissime. Menzione particolare ai Less Than Jake che han suonato tipo cinque pezzi dall’unico disco loro che mi sia mai capitato di sentire e che quindi mi hanno reso più accessibile il set. Questo potrebbe aprire a domande sul fatto che una band suoni gran parte dei pezzi di un disco del ’98 (circa, sto sparando) nel 2013, ma chissene. Per me scelta ottima.
Chiudo con un video che ho fatto durante il live. Non sono un pro del filmare/fotografare col cellulare durante i concerti. Anzi, è una roba che non sopporto, ma le circostanze lo richiedevano. Peccato anzi non aver immortalato Lady Liberty e, soprattutto, il finalissimo “circle pit on circus line” che ha chiuso il tutto col botto.

Musica da vacanza

Anche a sto giro, vista l’imminente partenza, è il momento di mettere insieme il CD della vacanza.
Rispetto agli altri anni però non si tratterà della classica compilation perchè non ci dovrebbero essere grossi spostamenti in automobile. Ci sarà però un grosso spostamento in aereo e in questo caso, per quanto potessi sforzarmi ad elaborarla, una compilation non sarebbe bastata.
Così ho deciso di sfruttare ancora una volta i potenti mezzi dell’internet e chiedere ai miei contatti sui vari social network di consigliarmi un po’ di dischi imprescindibili che la mia ignoranza, fino ad oggi, mi ha sempre impedito di approcciare.
Ne è uscita una lista incredibilmente lunga che riporto qui in seguito:

Caspian – Waking season
Editors – An end has a start*
Frightened Rabbit – Pedestrian verse
Godspeed you, Black Emperor! – Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven**
Halestorm – The strange case of
Hüsker Dü – Candy apple grey**
Hüsker Dü – Zen arcade**
Jets to Brazil – Orange rhyming dictionary*
Karate – In place of real insight*
Mikal Cronin – MCII
Mogwai – Hardcore will never die, but you will*
Mogwai – Young Team*
The National – Alligator*
The National – High violet*
The Thermals – More parts per million
The Thermals – The body, the blood, the machine
Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra & Tra-La La Band – Horses in the sky
White lies – Ritual
Wolf Parade – Apologies to the Queen Mary

* mi incuriosisce e penso possa piacermi
** mi incuriosisce, ma temo mi farà cagare

La lista come si vede è abbastanza lunga e di roba da ascoltare ce n’è a pacchi. A naso, le persone che conosco e che hanno voluto provare ad aiutarmi sono tutte o quasi in fissa per il post rock. Vediamo se con sta scusa di acculturarmi riesco ad aprire quel minimo i miei orizzonti.
Ah, vabbè, dimenticavo. La mia compilation ufficiale dell’estate 2013 in realtà esiste e l’ho messa su spotify un po’ di tempo fa, quando sembrava che il sole si fosse deciso a venir fuori. E niente, l’ho intitolata “Summer has come” e ci sono un po’ di pezzi carini dentro a tema squisitamente estivo.

Fast 6

  • Manq 
  • Film

Non sono una persona molto sicura di se. Mi piace far credere non sia cosi (che poi boh, non son neanche certo di riuscirci), ma sappiate che mento. Questa cosa fa sì che io abbia poche ore per mettere per iscritto quello che penso di Fast&Furious 6, ovvero il tempo che ci separa dalla recensione de i 400 Calci al film. Una volta letta la loro opinione, infatti, in caso di valutazione comune avrei remore a scriverci sopra un post pensando di passare per quello che copia, mentre in caso di dissenso passerei ore a interrogarmi sul perchè io la pensi diversamente, con esito comune per quanto riguarda le sorti di questo post.
La monumentalità di F&F6 la si poteva intuire ben prima di andare al cinema, ma non dal trailer (che comunque è tantissima roba). Lo si poteva intuire dal fatto che fosse il film con le locandine più fighe della storia. Basta guardare qui a sinistra. E’ semplicemente stupenda.
Ora, io potrei scrivere pagine e pagine parlandovi delle scene del trailer. Camion che partoriscono carri armati, aerei che partoriscono macchine elaborate, uomini che saltano da oggetti lanciati a velocità folle, esplosioni, pizze in faccia e via dicendo, ma non lo farò. Son tutte scene grosse e mantengono ogni aspettativa pure che a volte son buie e un po’ confuse. Il bello però non è solo quello. E’ chiaro che un film che si apre con The Rock che infila un tizio dentro al contro soffitto della centrale di polizia allo scopo di interrogarlo mette in chiaro subito quali siano i presupposti, però c’è molto di più.
Una roba che ho notato, ad esempio, è che son tornati gli one-liner e che Dwayne Johnson li padroneggia come non vedevo fare da anni. Perchè è vero che la comicità nel film è relegata ad altri personaggi (e fa ridere, tra l’altro, per una volta), ma è la roccia che ha il compito di mettere lì sentenze granitiche col tono, la sicumera e l’inespressività tipiche del miglior Arnie e, con sommo stupore, porta a casa il risultato tra applausi sentiti.
Altra cosa figa è che in questo film torna il culto dell’automobile. Non è più un film di corse e va bene che sia così, ma l’auto non è solo il mezzo per fare azione. Trapela la cultura e la storia dei personaggi, sotto la trama alla James Bond, e questo, secondo me, da una profondità tremenda al film in chiave soprattutto del brand. Se l’ultimo Die Hard non è un Die Hard, questo è un Fast&Furious al 100% e non tanto per il suo ricongiungere tutti i capitoli della saga in maniera tutto sommato discreta, ma proprio perchè trasuda lo spirito del primo film, pur completamente fuori contesto.
Ed è fighissimo.
Per carità, ci sono anche i difetti eh. Come dicevo sopra, alcune scene action sono buie e confuse, su tutte quella finale all’aeroporto dove non si capisce bene chi picchia chi, da che auto e a quale scopo. Pure le scene con le botte ogni tanto son caricaturali, con gente che viene scagliata tipo gravità zero, ma nel computo totale delle pizze in faccia son più quelle che funzionano di quelle che fanno storcere il naso. E poi ci sono Vin e Dwayne che omaggiano la Legion of Doom quindi lamentarsi dovrebbe essere illegale. C’è pure qualche voragine nel plot giustificata a cazzo di cane, ma davvero, nulla a livello degli ultimi action che ho visto, dal previa citato Die Hard al secondo Expendables. E poi c’è LA SCENA, il MACCOSA più assurdo e out of contest mai visto. Non dico che scena è, perchè a vederlo lo si capisce al volo. Cito solo il commento del tipo al cinema dietro di me: “L’ha anche messa incinta” e chi l’ha visto sa di cosa sto parlando.
Insomma, Fast 6 è un film che da tanta soddisfazione ai fan dell’action, ma soprattutto ai fan della saga. Riesce a dare un senso a Tokyo Drift, per dire, cosa che a chiunque sembrava impossibile. E per farlo non è che si inventa voli pindarici o digressioni, ma 10″ di Statham.
Per il sottoscritto, basta e avanza a farne il film dell’anno.

Smartblog

Aggiornamento super conciso del blog dovuto al fatto che, recentemente, sono approdato nel magico mondo dello smart web e di conseguenza ho implementato notevolmente la mia già ampia gamma di profili on-line.
Ora ho un account Instagram, per dire, che è la roba di cui più sentivo la mancanza. Ovviamente ora che ce l’ho non lo userò mai, oppure lo userò malissimo, ma chissene.
Il punto è che questo blog, per me, sarà sempre lo snodo principale di tutte le mie attività on-line e quindi da qui dovrebbero poter essere seguite tutte. Nel menu a destra, quindi, alla voce foto, ora è possibile vedere un bel widgettino contenente l’ultimo scatto effettuato e il bottoncione che rimanda alla mia pagina. Sotto restano comunque tutte le gallerie che c’erano prima, perchè son sempre la parte principale di quella sezione.
L’altra novità è il reintegro della categoria musica, sempre nel menù a destra. Ora ci si trovano altri due bei widgettini. Il primo serve ad ascoltare in streaming le playlist che faccio con Spotify, il secondo serve ad ascoltare in streaming tutti gli episodi di quello che fu il mio programmino radiofonico.
Quest’ultimo l’ho messo perchè avrei sempre voglia di fare una seconda stagione e non è detto che prima o poi mi decida a mandarla in onda.
Fare questi aggiornamenti al blog ogni tanto mi fa sentire come quelli che nel 2013 fanno ancora i tagliandi alla Ritmo, ma vabbè.

Tutto quello che vi stanno nascondendo dell’inciucio PD-PdL

Sento crescere forte è chiara la necessità del web di conoscere la mia posizione in merito al nuovo governo Letta, quello che i più accaniti antagonisti del superlativo assoluto definiscono “governissimo”. Conscio di questa richiesta e spinto dal mio proverbiale senso del dovere, ho deciso di scriverci due righe sopra.
Il titolo che ho scelto mi è stato suggerito da diversi esperti di marketing e scie chimiche e dovrebbe garantire al post incalcolabili visualizzazioni. Io tuttavia sento il bisogno di scusarmene, anche se devo riconoscere abbia centrato in pieno il nocciolo della questione.
E’ infatti impossibile parlare del neonato governo Letta senza partire dall’alleanza PD-PdL su cui questo si fonda e che verrà tramandata ai posteri col termine tecnico di inciucione. Se la domanda fosse: “Sei favorevole all’accordo?”, la risposta, ça va sans dire, sarebbe “NO!”. Credo tuttavia ci siano un sacco di elementi che andrebbero considerati nel valutare questa cosa e non tutti sono, a mio modo di vedere, completamente negativi.
Partiamo dal principio, ovvero dal risultato elettorale. “Previously on Italian politics…”, per dirla alla HBO, abbiamo assistito all’arrivo appaiato di tre forze politiche equidistanti tra loro. Nessuna delle tre aveva i numeri per governare da sola e nessuna combinazione mostrava più punti in comune che punti di forte dissenso. Al PD, primo al fotofinish, il non facile compito di tirar fuori qualcosa dalla situazione. Ci ha provato e, come ovvio, ha cappellato.
I temi condivisi col M5S imponevano di provare a partire da lì, ma l’attaccamento di una parte del patito allo status quo unito all’atteggiamento autistico del MoVimento hanno reso di fatto impossibile la cosa. Grida assoluta vendetta la questione Prodi coi suoi 101 franchi tiratori, ma analizzandola a livello politico, anche in caso di successo dell’operazione, si sarebbe trattato di un gesto il cui unico risultato sarebbe stato scavare un solco con le altre due forze politiche, rendendo di fatto impossibile qual si voglia opzione di governo.
Si sarebbe dovuto quindi andare a votare, dopo pochi mesi, sperando in un radicale cambio dei risultati (tutto da dimostrare, a meno che ci sia ancora chi crede ai sondaggisti), ma costringendo il Paese ad allungare la sua fase di immobilismo, in un periodo che, insomma, non consente troppo margine d’attesa. Lo so, sta cosa la dice Renzi di continuo tipo disco e suona retorica, ma lui sostiene la linea “Governo oppure voto”, mentre qui sto dicendo che il voto non sarebbe andato bene. Leggete prima di cagare il cazzo. Grazie.
Io quindi tifavo, e tifo tutt’ora, per un governo che possa fare qualcosa subito. Avrei preferito un governo ad interim PD-M5S, come detto svariate volte in passato, ma non s’è fatto. Che alternativa resta, quindi? Quella più orribile e schifosa, ideologicamente parlando. Mi fa incazzare la premeditazione di una parte consistente del PD verso questa soluzione? Di brutto. Ha pesato così tanto? Secondo me no, perchè con Grillo non ci sono mai stati presupposti concreti. Quindi io sono assolutamente favorevole a Civati quando dice che i 101 devono venire fuori, perchè il loro comportamento è inqualificabile, ma ritengo gli si stiano dando colpe/meriti di cui, in tutta franchezza, non sono responsabili se non in parte.
Analizzate le premesse, eccoci quindi giunti alla disamina della situazione attuale.
SeL, stabilita l’alleanza col PdL, ha immediatamente mollato la coalizione schierandosi all’opposizione. Ci sta, per carità, dopo una campagna elettorale il cui unico punto è stato “mai col PdL”. Ora però mi aspetto che la cosa si concretizzi in un’opposizione per una volta sensata. Il PD aveva un programma (giuro, a cercarlo bene lo si trovava in giro) ed è lecito aspettarsi che Letta porti avanti alcuni di questi punti col suo nuovo esecutivo. Ecco, su queste questioni il NO ideologico mi farebbe ampiamente girare il cazzo, per dirla con un francesismo. Idem per quanto riguarda le frange “dissidenti” interne al PD, anche se non mi pare molto coerente additare chi non vota Prodi e poi non appoggiare un Governo che il partito, a maggioranza, ha scelto di appoggiare. C’è una differenza in termini di trasparenza che va riconosciuta, ma all’atto pratico non cambia un cazzo.
Ad essere onesto e maligno ci vedo pure un filino di dolo, o quantomeno di “messaggio auto-promozionale”, nel distaccarsi da una linea che sta evidentemente scontentando la base (vedi #occupyPD) e continuare a sbandierarlo ai quattro venti. Prendo sempre d’esempio Civati. La contrarietà all’inciucio era nota e la si è ribadita. Io, Manq, avrei apprezzato molto di più un NO secco e reiterato a questo tipo di politica, ma, una volta presa coscienza della decisione del partito, la sottoscrizione della stessa pur nell’esplicito disaccordo. Invece mi è parso di vedere un po’ troppo senno del poi nelle disamine del buon Pippo, condito da quel prendere sempre le distanze da qual si voglia responsabilità, e questa cosa non l’ho particolarmente gradita.
Poi oh (e chiudo la polemica giuro), Civati quando dice “per quanto mi riguarda, cancellare l’Imu ai benestanti, in questo momento, è più o meno folle” dovrebbe anche spiegare chi siano per lui i benestanti. Perchè se ne può discutere, certo, ma visto che l’ultima volta che gli ho parlato i suoi cinquemila euro di stipendio (al netto di duemila di spese di lavoro a quanto pare non rimborsabili e altri duemila devoluti al partito) non erano poi “sta cifra esorbitante”, forse c’è un gap di comunicazione che mi impedisce di capire a chi faccia riferimento.
Comunque sia, il risultato è che abbiamo un Governo (fiducia del Senato confermata poco fa), che è cosa a mio parere buona.
Ci sono facce che mi piacciono e facce che non mi piacciono, ruoli centrati e ruoli sulla carta affidati più o meno a caso (fa molto ridere in tal senso la vignetta che gira su FB in cui ci si chiede in quale Paese serva una laurea per fare l’infermiere, ma non per fare il Ministro della Sanità).
Viste le premesse, però, prima di giudicarlo aspetterò di vedere cosa farà e come.
Nel frattempo, sto seriamente meditando di iscrivermi al PD. Lo so, il momento pare dei peggiori perchè dopo tutto quel che han fatto supportarli è da folli. Innegabile. Però credo, anzi spero, che questi mesi di governo Letta saranno il tempo in cui il PD verrà ricostruito. C’è una base forte e cosciente, mi par di capire, pronta a cambiare le cose ed giusto provare a farne parte, in piccolissimo, nell’ottica di dare se possibile un contributo.
Poi magari mi passa eh.

Anche basta

Arriva il momento in cui si passa il limite ed è il caso di dire basta.
Sabato alcune colossali teste di cazzo hanno fatto irruzione in uno degli stabulari dell’Università di Milano, liberando diversi topi e causando una montagna di danni, in primis agli stessi animali che presumibilmente non tollereranno lo shock del cambiamento ambientale e moriranno male entro pochi giorni.
Qui non si tratta più di ideologie o di campagne di sensibilizzazione e quindi voglio dire chiaro e tondo quello che avrei fatto io se fosse stato responsabile di uno dei progetti mandati a puttane da questi minorati mentali.
Io difficilmente sarei stato a guardare.
Sbagliando eh, ma qualche errore nella vita lo fanno tutti.
Troppo spesso ci si dimentica che chi fa ricerca Universitaria in Italia fa una vita di merda e la fa per l’unica soddisfazione di sentirsi utile col proprio lavoro alla collettività. Te ne stai sottopagato, costantemente precario e spesso sfruttato a fare un lavoro che nessuno o quasi capisce e che per nessuno o quasi conta un cazzo. Quando va bene ti ignorano, perchè le battaglie sindacali non sono mai per te, quando va male ti accusano neanche fossi il DG di una multinazionale del farmaco. Fai ricerca in Università, dove pure i muri sanno non esserci nemmeno i soldi per piangere, e ti prendi del lobbista da uno che, nove su dieci, è un figlio di papà che ha talmente pochi problemi da imbarcarsi in battaglie che non capisce giusto per tenersi occupato e gridare il suo bisogno di attenzione.
Ecco, io tutta questa frustrazione l’ho vissuta e la vivo tutt’ora. Ho provato mille volte, nel mio piccolo, a restare sul piano del dialogo verso certe posizioni, a spiegare, a cercare di fare informazione.
Voi però avete varcato la soglia, brutti pezzi di merda.
Non avete idea di quanto lavoro e sacrificio ci sia dietro uno solo dei progetti che avete distrutto (Nota: manica di coglioni, lo sapete che l’unico vero risultato ottenuto dalla vostra azione sarà la necessità di ripartire, aumentando il numero di animali necessari ad ogni singolo progetto, sì? Lo sapete che, a causa vostra, saranno sacrificati più animali del previsto? No che non lo sapete, stronzi…). Come il gioielliere che spara al ladro che gli entra in negozio, anche il borsista precario che vi riempie di sberle sbaglia. Gravemente.
Però ecco, ci vuole molta forza d’animo per non commettere quell’errore e io non so se ce l’avrei.

Questo post è stato scritto a caldo, sull’onda della rabbia vera che certe situazioni scatenano. Sono stato a lungo in dubbio se pubblicarlo o meno. Ad un certo punto avrei semplicemente voluto cancellarlo e finirla lì, però poi ho deciso che fosse giusto metterlo comunque on-line. Non sono una persona violenta, non lo sono mai stato. E’ ovvio quindi che io non sia affatto favorevole ad una contro-azione violenta, anzi colgo l’occasione per applaudire con grande vigore i ragazzi che oggi hanno deciso di manifestare pacificamente, ma con decisione contro questo intollerabile abuso. Credo tuttavia che la mia reazione, per quanto verbale e legata alla calma della mia scrivania, possa essere indicativa. Certe situazioni non dovrebbero succedere perchè possono dare il via a reazioni a catena difficilmente controllabili. Ed è anche per questo che la giustizia dovrebbe intervenire e farsi sentire in merito. L’esempio del gioielliere riportato qui sopra è realmente indicativo. In un sistema in cui il furto è ostacolato fortemente e che, comunque, quando perpetrato viene giustamente punito ci sarebbe probabilmente meno tendenza al farsi giustizia da soli. E’ innegabile che quando invece si avverte una mancanza di tutela da parte delle forze dell’ordine e degli enti preposti, l’istinto a provvedere per se stessi trovi terreno più fertile.
La causa animalista è legittima e può, direi deve, essere portata avanti.
Non così.