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Once upon a time #6

In onore di Elisabetta Imelio rispolvero questa vecchia rubrica del blog ricordando quando i Prozac+ hanno suonato all’MTV DAY del 1998.
Invitati sull’onda del successo di Acida, il loro essere completamente fuori contesto si cristallizza proprio sulla conclusione del pezzo, che Gian Maria dedica ai butafuori “che credono di essere a un incontro di lotta libera”, suggellando il tutto con un moccolo in diretta TV anni prima del Baffo alla Fattoria.
La battaglia di GM continua anche in seguito, arrivando anche a fermare un pezzo per ribadire il concetto e fino alla conclusione a suo modo epica con “questo concerto è dedicato a chi le prende e non a chi le dà”.
Il momento cruciale della vicenda lo trovate qui, ma io posto l’intero live e l’annessa intervista, per completezza. Rivedendolo mi viene da ridere per tutti quelli che sbraitano che “Oggi la musica spinge la droga”. Sta roba andava in diretta TV ventidue (V-E-N-T-I-D-U-E) anni fa. 
Elisabetta, nel 1998, era grossomodo la donna ideale e le si è voluto molto bene.

Once upon a time nasce come rubrica di manq.it che racconta momenti che hanno fatto la storia della musica. O forse la storia in generale.
L’uscita di Once upon a time #7 è da considerarsi altamente improbabile perchè la ribruca era morta e sepolta, principalmente per via del fatto che non esiste traccia in rete del video di Madaski al Roxy Bar.

Contromano in tangenziale

ATTENZIONE: questo è uno di quei post in cui mi parlo addosso con lo scopo ultimo di cavar fuori una direzione al mio complicato modo di essere. Lo scrivo per lettori che non esistono, ma che ipotizzo eviterebbero volentieri di finire a leggere una cosa così senza preavviso.

La barzelletta di quello che guida contromano in tangenziale la conosciamo tutti:
+ La radio: “Avvistato un pazzo contromano in tangenziale…”
+ Uomo al volante: “Uno? A me sembrano tantissimi!”
Fa ridere.
Però io ci vivo dentro.

Il mio problema è che non sono matto a sufficienza da pensare di essere l’unico nel giusto, sempre e comunque, ma contemporaneamente non riesco a capire come faccia la maggioranza delle persone con cui interagisco a non vedere il mondo come lo vedo io. La testa, programmata per ragionare con logica, mi porta a pensare sia io quello sbagliato, eppure la stessa logica spesso non mi permette di trovare l’errore. E questo porta al crash del sistema.
Una canzone che mi piace dice:

Mio nonno
Per quasi settant’anni
È stato in minoranza
E sta benissimo!

È una bella frase e Dio solo sa quanto mi piacerebbe fosse applicabile alla mia vita. Purtroppo non è così: io la vivo male.
L’ultimo ambito in cui mi sto scontrando con le persone che frequento, da amici, a colleghi, a persone con cui in qualche modo interagisco online è la situazione relativa all’infezione da coronavirus che stiamo vivendo, ma è davvero solo un altro esempio di una routine in cui mi trovo a sedermi dal lato opposto della maggioranza dei miei conoscenti e investo ore nel tentativo di discuterne.
Vista da fuori è facile: è il profilo tipico di quello che gode nell’andare contro tutti, ma la realtà dei fatti (per lo meno a livello conscio) è esattamente all’opposto. Allora perché faccio così? Non lo so.
Di solito inizio a ragionare su un argomento a partire dagli elementi che ho in mano, costruendomi un’opinione che poi uso per dibattere col prossimo. Questo mi serve per approfondire, dare spessore al mio punto di vista ed irrobustirlo, oppure cambiarlo. Non so se sia cosí per tutti, ma per me funziona.
Ci sono volte (rare, imho) in cui però sono sufficientemente convinto di quanto sostengo da volerlo spiegare a tutti. Boh, forse è un retaggio evangelico della mia educazione cattolica, cazzo ne so. Il punto è che mi ci sbatto e quando fallisco di norma mi deprimo.
Il motivo ho provato a spiegarlo fuori contesto giorni fa su twitter:

Il problema infatti è che non mi metto mai a discutere con chi so a priori non possa farcela a seguire il discorso (a mio insindacabile e del tutto soggettivo giudizio), io punto solo su cavalli che stimo, gente che penso possa capire e che, se non arriverà a sposare la mia linea, nella mia testa lo farà argomentando in modo dettagliato ed univoco, fornendomi spunti di riflessione magari nuovi a cui non avevo pensato in partenza.
Quanto ci credo? Nel 100% dei casi.
Quanto succede? Non ho fatto un conto, ma la percezione sta intorno al 10-20%.
Eppure insisto.
Ogni cazzo di volta.
E così accumulo delusioni, amarezza e senso di inopportuno.

Sono le 2:49.
Questo post ho iniziato a scriverlo dopo essermi sfogato con quella santa di mia moglie, che alla 1:00 di tutto aveva voglia, tranne che di sentirsi vomitare addosso le mie menate esistenziali, soprattutto se derivanti dall’ennesima discussione su twitter con un estraneo.
Non sono per nulla convinto, razionalmente, di non essere io lo scemo del villaggio.
Eppure non riesco a prendere in considerazione la cosa e continuo a sentirmi come il tizio che corre sicuro di sé, contromano, in tangenziale.

Notizie dal fronte: CORONAVIRUS

Siccome il business non si ferma certo per quattro colpi di tosse mi trovo a Linate, pronto a volare su Napoli con la speranza non decidano di sbattermi in quarantena appena atterrato.
La situazione in aereoporto è, occhiometricamente, quella standard delle partenze del lunedì mattina. Forse c’era un minimo di coda in meno al bar Motta, il primo dopo i controlli di sicurezza, ma non mi sono trovato nell’aereoporto deserto che qualcuno poteva ipotizzare e, a parte qualche mascherina e l’istinto incontrollabire di dare fuoco a chiunque soffi il naso, direi che non c’è niente da segnalare.
Siccome al mio imbarco manca grossomodo un’ora, scrivo due righe sul blog in merito al CORONAVIRUS (tutto maiuscolo, così siete avvisati e dopo aver letto lavate le mani 20″).

Un po’ per la voglia di stare sul pezzo e un po’ per ipocondria, ho seguito la vicenda fin dai primi di gennaio, quando si è iniziato a parlare di Wuhan. Su una scala ipotetica di panico, mi sono stabilizzato quasi subito su un valore grossomodo intorno al 30%, beccandomi del paranoico un po’ da tutti. La situazione però era destinata a cambiare, come illustra il grafico qui sotto:

L’intersezione tra la retta rossa e quella verde è stimabile a venerdì scorso (21/2/20) nel primo pomeriggio.

Da quel momento sono passato dall’essere un matto allarmista ad essere un matto negazionista.
In queste ore quindi sto leggendo tantissimo di quello che circola sul tema, sia da fonti ufficiali, sia sui social network, luogo magico dove chiunque può togliersi il dubbio di sapere cosa pensi, che ne so, Paola Ferrari, di questa situazione (SPOILER: una serie di cazzate.).
Segue quindi un mini elenco di riflessioni sparse su quanto ho letto, classificate tramite categorie di persone che fosse per me andrebbero chiuse in centri per l’igiene mentale non credo abbiano le idee molto chiare in argomento.

1) Quelli che “Ma cos’è questa isteria di chiudere scuole/bar/negozi/ecc…? Ma ripigliatevi.”
Il problema di un virus che possono prendere tutti è, tenetevi forte, il fatto che possano prenderlo tutti. Questo vuol dire principalmente due cose. La prima è che se i contagiati superano una certa soglia, il nostro SSN per quanto buono finirebbe per collassare, con ovvie controindicazioni per la salute di tutti. La seconda è che più contagiati ci sono, più sale la probabilità lo contraggano persone più a rischio. Il che ci porta ad una seconda categoria.

2) Quelli che “La mortalità nelle persone giovani e sane è quasi nulla. Relax!”, che poi sono il sottoinsieme sfacciato del gruppo 1. Gente che magari fino a ieri si batteva per sensibilizzare in merito ai cambiamenti climatici e al futuro del pianeta che ci riguarda TUTTI, ma che per tutti intende evidentemente solo loro, o prima loro. Perché non è difficile capire che, di nuovo, senza prevenzione questa situazione può essere un problema serio per tante persone, che già hanno magari i cazzi loro da gestire.

3) Quelli che “I cinesi…”. Quanta miseria umana.

4) Quelli che “Avete rotto il cazzo coi cinesi e poi è colpa di un businessman milanese…”. Io la capisco la necessità di dare addosso al gruppo 3, è anche giusto, ma infilare la lotta di classe a cazzo di cane in ogni contesto e senza cognizione di causa non fa di voi persone intelligenti.

5) Quelli che “Burioni è il nemico a prescindere”. Di nuovo, capisco la volontà di ridimensionare l’ego di un uomo a cui è sfuggita di mano la percezione di sé e del proprio ruolo, ma un conto è criticare l’uomo e condannare certi suoi atteggiamenti, un altro è provare a dimostrare sia un pirla a 360°, o comunque anche nell’ambito delle sue competenze. Non è così e, spiace dirlo, ogni accusa di questo tipo che viene rispedita al mittente dai dati o dall’evidenza quell’ego lo pompa.

6) Quelli che “Italia Paese ridicolo, unici in Europa che non hanno arginato il problema…”. Raga, no. In Italia una serie piuttosto unica di coincidenze ha voluto che un trentottenne grave (evento raro) dicesse di avere un amico rientrato dalla cina (che poi non c’entrava una beata minchia) per innalzare i livelli di attenzione ed intensificare i controlli. A questo punto, come dice il proverbio, chi cerca trova. È difficile pensare l’Italia abbia più rapporti con la Cina rispetto ad altri Paesi europei e, a quanto ho letto, non c’erano altrove misure più stringenti delle nostre per il contenimento. Questa continua necessità di autodipingerci come repubblica delle banane non è che faccia bene.

7) Quelli che “Facciamo le scorte!!!1!”. Qui non so neanche cosa dire, mi chiedo solo quelli che si portano a casa settemilioni di casse d’acqua cosa pensano faccia il CORONAVIRUS ai rubinetti. Boh.

Ok, mi sono imbarcato e non mi vengono altre considerazioni al momento. Dal fronte è tutto, a voi studio.

Verticale di cotechini

Ogni tanto mi piace mettere qui sopra delle ricette. Di solito lo faccio quando, dopo innumerevoli tentativi, definisco il protocollo migliore per il piatto in questione e lo cristallizzo. A quel punto la ricetta diventa GIUSTA e mi piace metterla a disposizione di chi fosse interessato.
Ad oggi credo di averlo fatto quattro volte in quindici anni, quindi il mio non è propriamente il blog di Benedetta Parodi, però dai feedback che ho tirato insieme le ricette sono state apprezzate e questo mi fa piacere.

Oggi tuttavia non posterò una ricetta GIUSTA, ma il frutto di un esperimento volto a definire il miglior modo di cuocere un cotechino, che ha dato certamente qualche risposta, ma che non ha ancora definitivamente chiuso la questione.
Se sei tra quelli che pensano che il cotechino si debba fare unicamente bollito, forse continuare a leggere qui sotto può aprirti un mondo.
Ah, precisazione stupida, ma forse necessaria: qui si parla di cotechini crudi, non di quelle porcate precotte da scaldare che trovate nei cesti da 0,99 euro.
Non fatemi bestemmiare.

VERSIONE 1: El Clásico
Bollire il cotechino non è l’unica via, ma è certamente la più comune e tradizionale, anche perchè parte di uno dei pilastri della nostra cucina: il bollito misto. Ciò nonostante è incredibile quante persone non siano in grado di farlo.
Per cucinare il cotechino bollito bisogna avere una gran pazienza.
Si prende il cotechino, lo si buca con uno stuzzicadenti in più punti, lo si immerge in acqua fredda non salata e poi lo si mette sul fuoco. Quando l’acqua sobbolle, si abbassa la fiamma al minimo e lo si lascia andare per circa due ore e mezza.
A quel punto, si spegne il fuoco e lo si fa raffreddare nella sua stessa acqua di cottura fino ad una temperatura che ne permetta il servizio.
NOTA 1: Il tempo di cottura dipende dalle dimensioni del cotechino, qui io faccio riferimento a cotechini standard diciamo lunghi sui 25 cm e dal diametro intorno agli 8 cm. Se fate una bogia mantovana probabilmente vi servirà molto più tempo.
NOTA 2: Alcuni macellai consigliano di avvolgere il cotechino nella stagnola e legarlo, prima di bucarlo e metterlo in acqua fredda. Io non lo faccio.

VERSIONE 2: New Era
Questa versione, come le prossime, prevede un cambio drastico nel metodo di cottura, passando dall’acqua bollente alla brace. Il motivo principale per portare il cotechino nel bbq è la possibilità di affumicare.
Per intraprendere questa nuova via è necessario avere un minimo di basi nella cucina al bbq di tipo americano, ovvero essere in grado di:
– Cuocere in modalità indiretta, quindi con l’alimento non a diretto contatto col calore derivante dalla brace.
– Stabilizzare un dispositivo bbq, ovvero impostarlo perchè rimanga ad una temperatura costante che stia tra i 100° C e i 120° C per tutto il tempo necessario
– Affumicare, ovvero avere a disposizione un bbq chiuso in cui si possa aggiungere legna bagnata sul fuoco e generare fumo che resti a contatto con gli alimenti conferendo il tipico aroma affumicato. Per i cotechini ho usato del legno di ciliegio, che oltre ad essere molto indicato per il maiale conferisce un bel colore rosso vivo alla carne.

La seconda versione del mio cotechino è stata quindi cotta nel weber in due fasi. La fase iniziale di affumicatura è durata 30′ con il cotechino “nudo” in cottura indiretta. Al termine di questi 30′ ho avvolto il cotechino nella carta stagnola e proseguito per altre due ore. L’obbiettivo della stagnola era fermare il processo di affumicatura, lasciando quindi un gusto più mild, ed evitare che il cotechino seccasse vista l’assenza di liquidi di cottura. Per questo motivo non ho effettuato buchi nel cotechino.

VERSIONE 3: Beer Bong
Sempre utilizzando il bbq ho voluto provare una strategia che viene comunemente utilizzata per la cottura di salsicce e salamelle, ma applicandola al cotechino. 
Partito in parallelo alla versione 2, una volta trascorsi i 30′ di affumicatura questo cotechino è stato trasferito in una casseruola di terracotta in cui avevo pre-riscaldato della birra (ho usato la Moretti Rossa). La casseruola, chiusa adeguatamente col coperchio, è stata poi re-inserita nel bbq per continuare la cottura nelle successive due ore.

VERSIONE 4: Hardcore
Qui siamo alla versione più estrema delle quattro, quella in cui il cotechino è rimasto per 2 ore e 30′ nudo in cottura indiretta e senza alcuna protezione/schermo dal fumo presente nel dispositivo. Il processo di affumicatura è quindi coinciso con tutta la durata della cottura.

CONCLUSIONI:
Come detto, i 4 cotechini sono stati cotti simultaneamente per lo stesso tempo e grossomodo alle stesse temperature. Dopo un piccolo riposo di fine cottura che li ha portati ad una temperatura interna di circa 75°, li ho serviti a cinque commensali in modo da raccogliere pareri ed opinioni.
Quello che ha riscosso un maggior successo è stato il New Era. Aver fermato l’affumicatura ha dato al cotechino una spinta in più in termini di gusto, ma senza allontanarlo completamente dalle sue origini. La stagnola ha anche permesso di mantenere l’ambiente di cottura più umido, quindi il cotechino più morbido e simile alla versione classica bollita. Per chi non è abituato ai sapori del bbq è probabilmente il passaggio più facile, ma in qualche modo è anche la versione che riesce a soddisfare i puristi del cotechino bollito, che continuano a trovarci quelli che considerano i trademark del piatto.
La versione Hardcore, comunque apprezzata, porta il cotechino a tutto un altro livello che non ha oggettivamente nulla in comune con la versione classica. Cambio totale di colore, consistenza e gusto. Per me in questa versione la nota affumicata è fin troppo accentuata, anche se non arriva ad essere fastidiosa, perchè trasforma il cotechino in un cugino delle salsicce tirolesi e io non sono particolarmente fan delle salsicce tirolesi.
Delusione totale per la versione Beer Bong. La cottura in umido mantiene certamente il cotechino più morbido e non elimina i toni affumicati presi nello step iniziale, tuttavia il retrogusto amarognolo conferito dalla birra non è di fato un plus, anzi “rovina” il gusto del cotechino. Forse la scelta della birra è stata completamente sbagliata, serviva qualcosa di più morbido e rotondo di una Moretti Rossa, ma a conti fatti è l’unica versione che difficilmente riproporrei.
Su El Clásico invece nulla da dire: messo nel piatto unicamente come benchmark per gli altri tre, resta una pietra di paragone scomoda da superare. Il gusto è probabilmente meno complesso e particolare, ma rimane un piatto per me irrinunciabile.

Sanremo 2020: le canzoni in gara

Non sto seguendo Sanremo.
Non perchè abbia di meglio da fare o perchè ritenga importante boicottare il festival, semplicemente preso come spettacolo di intrattenimento non mi interessa per nulla e, anzi, soffrirei terribilmente se provassi a guardarlo.
Discorso diverso sono le canzoni in gara, che per qualche motivo ogni anno solleticano la mia curiosità pur sapendo a priori siano tutte ultra lontane dal poter finire anche per sbaglio nello spettro dei miei ascolti.
Questa mattina quindi ho approfittato della playlist che Spotify ha creato ad hoc e mi sono sentito tutti i pezzi, commentandoli di getto e al primo ascolto su twitter.
Qualcuno mi ha detto che poteva essere più intelligente, avendo un blog, racchiudere tutti i tweet in un unico post(o) ed in effetti ha senso, quindi li riporto di seguito esattamente come mi sono usciti.
Una sorta di mini guida a questa edizione del Festival della Canzone Italiana.

  1. Musica (E il resto scompare) di Elettra Lamborghini.
    Boh dai, poi rompevate il cazzo per Despacito.
  2. Me ne frego di Achille Lauro
    Funziona, per me pure più di Rolls Royce. Il personaggio mi resta comunque indigeribile.
  3. Eden di Rancore/Dardust
    Questi han puntato sull’impegno politico perchè gli mancava la canzone. Dubito paghi.
  4. Andromeda di Elodie
    Nel 2020 credo ci stia e lei è brava. A me il pezzo fa cagare.
  5. Tikibombom di Levante
    Fino ad ora il pezzo migliore e lei non è che mi faccia impazzire.
  6. Rosso di Rabbia di Anastasio
    Premio “ritornello dimmerda”. Non è l’unico problema eh.
  7. Fai Rumore di Diodato
    La prima Canzone di Sanremo™ che sento in questa playlist. Per molti è un bene, chi sono io per?
  8. Ringo Starr di Pinguini Tattici Nucleari
    Not my cup of tea, ma il testo è carino e tutto sommato se la sentissi in radio probabilmente non spegnerei
  9. NO GRAZIE di JUNIOR CALLY
    Ma perchè il caps lock? Perchè? Cmq un pezzo rap anonimo e cerchiobottista di cui aveva bisogno solo chi la musica non dovrebbe ascoltarla.
  10. Viceversa di Francesco Gabbani
    Dovrei chiedere a mio figlio, che è il target. La paura è che il ritornello potrebbe anche piacergli, ma con quella strofa la probabilità che ci arrivi è bassina. Brutta non direi, però.
  11. Come mia madre di Giordana Angi
    Sorvoliamo sul “questa chi è?” perchè non è l’unica che non conosco in playlist e l’ignoranza è al portatore come i libretti postali. La voce mi piace ed è la seconda Canzone di Sanremo™ , la SNAI manco quota che me la dimentichi subito.
  12. Baciami Adesso di Enrico Nigiotti
    Sono entrato nel blocco Canzone di Sanremo™? Possibile, cmq non credo ci fosse bisogno di un altro Biagio Antonacci.
  13. Dov’è di Le Vibrazioni
    Sono nel blocco, senti che sensazione di comfort. Però oh, questa tra le Canzoni di Sanremo™ al momento è la meglio per ampio distacco.
  14. Il confronto di Marco Masini
    Perchè Marco? Perchè?
    (Canzoni di Sanremo™ in rimontissima si portano a 6/14)
  15. Carioca di Raphael Gualazzi
    Se skippo è tipo barare, vero?
    Ad un certo punto, prima che diventi triste come un party di capodanno su Canale 5, c’è una linea di piano che per me ha fottuto da qualche parte.
  16. Sincero di Bugo/Morgan
    Non so, mi pare indiscutibile giochi un altro sport rispetto al resto pur trasudando sforzo di non risultare fuori contesto.
    Leggevo che sono ultimi, difficile stupirsi.
  17. Finalmente io di Irene Grandi
    Finalmente?
  18. Voglio parlarti adesso di Paolo Jannacci
    Se vedete due robe che rotolano in terra me le rispedite?
    Non che mi servano eh, è più una questione affettiva.
    (Canzoni di Sanremo™ report: 7/18)
  19. Il Sole ad Est di Alberto Urso
    Mi dite se almeno è cieco? Se no non si spiega.
    (Non rompetemi il cazzo, ho tanti amici ciechi. Canzone di Sanremo™, così anche nel 2020 la quota tenore è salva)
  20. Lo sappiamo entrambi di RIKI
    A questo punto la domanda è lecita: perchè 32 artisti di cui metà inutili? Per finire alle due di notte lo spettacolo? Boh.
    Nona Canzone di Sanremo™ su venti pezzi totali. Inizio ad essere preoccupato, le proiezioni a 2/3 dello spoglio le danno sotto.
  21. Gigante di Piero Pelù
    AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH
  22. Nell’estasi o nel fango di Michele Zarrillo
    Ho perso le parole o forse sono loro che perdono me (cit.)
  23. Niente (Resilienza 74) di Rita Pavone
    Solo cuori.
    E NON VOGLIO SENTIRE REPLICHE.
  24. Ho amato tutto di Tosca
    Ultime speranze per una rimonta impossibile della Canzone di Sanremo™ affidate a sta lagna. Butta male. 
  25. Per sentirmi vivo di Fasma/GG
    Qui è dove mi piglio gli insulti, ma io la salvo nonostante TUTTO. E vi dico di più, la conto come Canzone di Sanremo™.
  26. Tsunami di Eugenio in via di Gioia
    “Siamo figli di Steve Jobs e del T9”
    Salta traccia.
  27. Va bene così di Leo Gassmann
    Non so, Leo. Non sono convinto vada davvero bene così. Direi l’opposto, anzi. (Canzone di Sanremo™ +1)
  28. 8 Marzo di Tecla
    Tecla è un bel nome, non mi spingerei oltre. Poi oh, in confronto al monologo della Leotta questo pezzo è un trattato femminista.
  29. Due Noi di Fadi
    Stiamo chiudendo il recinto coi buoi ormai scappati. Canzone di Sanremo™ matematicamente sconfitta da questa edizione del Festival. A nulla serve questo colpo di reni di Fadi, che quindi potevamo pure evitarci.
  30. Il gigante d’acciaio di Gabriella Martinelli/Lula
    Dignitosissima fino al ritornello, poi va beh, è pur sempre una roba da cantare sul palco dell’Ariston.
  31. Billy blu di MARCO SENTIERI
    Ma perchè il caps lock? Ad ogni modo, le canzoni di denuncia fino a qui erano effettivamente poche, c’era da aspettarsela. Vorrei strapparmi le orecchie.
  32. Nel bene e nel male di Matteo Faustini
    La Canzone di Sanremo™ chiude a 14/32, una debacle pazzesca, ma in fondo “è solo un bene che ci faccia così male”.

Bojack Horseman

E così è finito anche Bojack Horseman.
Ricordo quando l’ho iniziato, credo fosse già alla sua seconda o terza stagione e in giro ne parlavano più o meno tutti. Pensavo di trovarmi davanti una roba semi demenziale, volgarotta, di quelle che di solito a me non divertono, invece rimasi spiazzato. Non era quello che mi aspettavo, ma non era nemmeno qualcosa in cui è facile entrare, quantomeno non all’inizio.
Ho insistito e più andavo avanti più mi rendevo conto di non aver mai visto nulla che avesse la stessa potenza nel delineare i drammi umani contemporanei, con l’ulteriore aggiunta di una libertà narrativa che solo una serie animata può avere.
Ci sono episodi di Bojack Horseman che per me stanno di diritto tra i migliori episodi mai scritti in televisione: Fish Out of Water, That’s Too Much, Man!, Free Churro fino a quel capolavoro pazzesco che è The View from Halfway Down. Tutte puntate che per potenza narrativa mangiano in testa a roba ben più blasonata. Probabilmente ne dimentico anche qualcuno.
Serviva davvero umanizzare un cavallo per raccontarci le persone ed i loro rapporti, come partire da dei disegni di fantasia era davvero il miglior modo per mettere in scena relazioni interpersonali così dannatamente reali e vere.
Bojack Horseman è una serie perfetta con un finale perfetto.
E mi mancherà tantissimo.

Kobe

Addio Kobe.
Vivere la tua epoca è stato un lusso.

Where’s your anger? Where’s your fucking rage?

“Io capisco se in scaletta ci mettono dopo i Pennywise, ma i BoySetsFire?
Chi cazzo sono i BoySetsFire?”

Non so se esistesse davvero una scena punk-rock in Italia tra fine anni ’90 e primi anni ’00, quello che so è che in quegli anni io ed alcuni amici seguivamo alcune band in giro per la Lombardia come fosse un lavoro. Se suonavano da qualche parte ci si andava, che tanto non c’era comunque di meglio da fare.
Una di queste band erano i Persiana Jones.
Erano i primi anni della comunicazione digitale, internet che passava da posto dove cercare le cose a posto dove incontrare le persone. ICQ, MSN, le message board, i forum. Non ricordo bene tramite quale canale successe, ma ad un certo punto a furia di stare dietro ai Persiana Jones avevamo conosciuto Sara, che era una figura all’interno del loro team (non ho idea del ruolo, ricordo che sul telefono avevo il suo numero sotto “Sara Persiana Jones”) e con cui ci si sentiva prima di andare ai concerti, così da passare un po’ di tempo coi ragazzi prima e dopo lo show. Non che fosse necessario avere agganci per fare una roba del genere, l’evento tipo di cui stiamo parlando era una qualsiasi Festa Campagnola di Biassono e i PJ non erano propriamente gli Oasis, però avere una sorta di aggancio per noi era una roba carina.
Ho questo ricordo: fa abbastanza caldo e siamo in un qualche campo brianzolo in cui la giunta comunale ha allestito il classico tendone bianco con i tavoli e la fila per prendere le salamelle, due o tre cessi chimici ed un palco evidentemente sovradimensionato per le band che ci suoneranno sopra. Stiamo bevendoci una birra e a qualcuno di noi viene in mente di dire che andremo anche a Bologna a vederli in un festival grosso, che potrebbe essere il Deconstruction o l’Independent. E’ lì che Silvio un po’ si incazza e tira fuori la frase con cui ho aperto il pezzo. Dice che loro hanno suonato di spalla a tante band e che hanno rispetto per tutti, ma che in Italia muovono parecchie persone e non è giusto che li facciano suonare prima di gruppi americani che non si incula nessuno.
A quel festival ci vado abbastanza prevenuto.
Come si permettono ‘sti BoySetsFire di fare i prepotenti e togliere spazio ai Persiana Jones? Per protesta, me li guardo dalla montagnetta che sta in fondo all’Area Parco Nord. Poi succede che arriva il loro turno, effettivamente piuttosto alto in scaletta, salgono sul palco e attaccano a suonare prendendo a sberle grossomodo tutta la folla presente che, in larga parte, non aveva idea di chi fossero.
A fine set io sono seriamente impressionato, Carlo scende al merch e gli compra tutti i dischi (l’ultimo, in quel momento, era Tomorrow come Today). Qualche tempo dopo me li faccio prestare e li ascolto. Altro tempo dopo li compro pure io. Ancora dopo, diciamo ieri, stavo su twitter a rimpiangere il fatto che di dischi come quelli non ne escano più e che, magari sbaglio, di band come i BoySetsFire non ne esistono più.

Il discorso qui sopra è importante per quel che voglio dire.
Io credo che in questi anni la voglia di dire delle cose, di prendere delle posizioni nette, manchi più delle chitarre distorte nel panorama musicale che ci circonda.
Non tutta la musica deve portare un messaggio, non tutti i messaggi che la musica porta devono essere condivisibili, ma ad oggi mi piacerebbe veder suonare gente che crede nei propri valori quanto ci hanno sempre creduto i BoySetsFire e magari sono io, magari il mio giudizio è viziato dai sentimenti, ma quel fuoco vivo dentro gli occhi prima che dentro ai testi io non l’ho mai visto uguale in nessun altra band.

L’ultima volta che ho visto suonare i BoySetsFire è stato al Transilvania Live nel 2006 (a naso quindi li ho visti solo due volte).
Ricordo che hanno suonato per cinquanta persone mal contate, in un locale che sembrava se possibile ancora più vuoto di quanto fosse. Saliti sul palco ci buttarono lo stesso livello di energia, impegno e attitudine di tre anni prima, per poi saltare giù dal palco e venire direttamente al bancone per passare un po’ di tempo con tutti i ragazzi che ne avessero voglia. 
Dopo quel concerto li ho seguiti ancora per un po’, dal brutto incidente capitato a Josh fino a quando decisero di prendersi una pausa. Lì una pausa me la sono presa anche io e per quanto fossi felice di sapere della reunion nel 2010, non sono più tornato ad interessarmi di quel che facessero o di dove suonassero. E’ possibile io abbia recensito il disco post reunion, While a Nation sleeps, non lo ricordo nemmeno brutto, ma è più onesto dire che non lo ricordo proprio.

Come dicevo poco più su, da ieri sono tornato abbastanza in fissa con i loro tre dischi cardine, After the Eulogy, Tomorrow come Today e The Misery Index
Son tre ottimi dischi, sebbene io mi dimentichi quasi sempre di citarli tra i miei preferiti. Probabilmente è perchè quando penso ai BoySetsFire penso al mio gruppo preferito non per tanto per la musica che ha scritto, ma per le persone che mi hanno sempre dato l’idea di essere.
Anche se, diciamocelo chiaro, hanno scritto una manciata grossa di canzoni incredibili.

NBA All-Star Game 2020

Anche quest’anno inauguriamo i post sul blog con le votazioni per l’All-Star Game NBA. Giochino divertente per una manifestazione irritante e senza senso, come ogni anno, e bla bla bla.
Solite cose dai, non sto a ripeterle anche quest’anno.
Vi sparo i quintetti, come sempre mix di simpatia e valore oggettivo. Poi, sotto, la spiega.

EAST:
GRAHAM: Partiamo subito con la quota Charlotte. E’ questione di tifo, ma se non stiamo facendo l’indegna figura che avevo pronosticato ad inizio stagione (ben lontana dal 13-21 che attualmente ci piazza al nono posto ad est) è soprattutto merito del signorino qui, che a tratti mi ha fatto pensare a Kemba come qualcosa di effettivamente non necessario. Tipo Rozier.
BROGDON: Su questo signore ci ho scommesso per Dunkest e devo dire di averci azzeccato. E’ buono, sta facendo bene ed è finito in un contesto secondo me interessante. Indiana squadra preferita ad Est e col rientro di Oladipo spero possa dare fastidio a qualcuno di ben più accreditato.
HAYWARD: Impossibile non votarlo. Una calamita per le calamità (cit.) che però ha fatto vedere di essere tornato il giocatore che pensavo non sarebbe più stato. Boston vola e spero per lui la stagione abbia già bussato abbastanza con la sfiga. Daje Gordon.
ANTETOKOUNMPO: Va beh dai, come fai a non votarlo.
ADEBAYO: Miami sorpresissima ad est, almeno per me, e gran parte del merito è suo. Sta facendo cose pazzesche, ma soprattutto mi permette di dare credito alla squadra senza dover votare l’odiosissimo Butler.

WEST:
DONCIC: Che meraviglia (autocit.). No dai, seriamente, la cosa più bella dell’NBA attuale.
HARDEN: Magari non vincerà mai niente (più che probabile), ma non me la sento proprio di lasciar fuori uno che ne mette 38 di media. TRENTOTTO. Cioè, non scherziamo.
JAMES: Per quel che mi riguarda sta facendo una stagione pazzesca, nonostante i 35 anni. In posizione di guardia, se sta bene fisicamente, è semplicemente illegale.
LEONARD: Volevo segarlo perchè la mossa fatta in estate, secondo me, è una porcheria epica, di quelle che fanno male alla lega. Però la realtà è che al momento penso sia il più grande vincente in NBA.
HOLMES: Giocatore simpatia di questa stagione. Ritrovatosi con minuti per pura circostanza, si è guadagnato un posto da titolare con tanta energia, sacrificio e intensità difensiva. Gli voglio davvero tantissimo bene.

Il 2019 di Manq

Fine anno, classico momento per tirare due somme. Oltretutto a questo giro finisce anche un decennio, quindi le somme da tirare sono anche più di due.
Dal 2010 ad oggi di cose, a voler guardare bene, ne ho combinate. Sono rientrato in Italia, ho preso un dottorato di ricerca, mi sono sposato, mi son trovato un lavoro a tempo indeterminato che tutto sommato mi piace, ho comprato casa, ho perso quasi quindici chili e ho messo al mondo due figli meravigliosi (ok, questo potrei non averlo fatto fisicamente io, ma ci siamo capiti). Un decennio decisamente positivo, nulla da dire. Un decennio in cui sono stato prevalentemente bene.
Eppure questo 2019 è stato l’anno in cui mi sono imbruttito.
Me ne rendo conto.
La spiegazione che mi sono dato è che… aspetta. Quel che segue è probabilmente un post di quelli che scrivevo nel decennio precedente, pieni di autoanalisi da quattro soldi e presa male gratis, quindi evitatelo. Davvero. Non è scritto per te.
La spiegazione, dicevo, che mi sono dato è che i due figli stupendi di cui sopra assorbano grandissima parte della mia pazienza. Il poco che rimane lo investo nel tentativo di non uccidere nessuno al lavoro e nei compromessi necessari alla vita di coppia. La cosa bella è che ho una moglie fantastica che 1) non usufruisce che di una porzione infinitesima della mia pazienza e 2) capisce quando non ne ho più e mi vuole bene anche se ogni tanto sbrocco.
Tutto ciò che sta fuori da questi tre ambiti, purtroppo, si becca un Manq a tolleranza zero e non è una bella cosa. Non lo è per chi mi sta intorno, ma non lo è nemmeno per me che di stare in mezzo alle persone inizio ad avere sempre meno voglia. Anche perchè vivo un quotidiano in cui tutte le interazioni si sono esasperate, estremizzate, e in ogni situazione c’è sempre qualcuno pronto a dirti quanto sei un coglione o ad insegnarti come si sta al mondo. 
Una volta abbozzavo. Serenamente. Magari mi spingevo nella discussione (senza il magari, son pur sempre quello che adora le discussioni), ma capivo piuttosto bene quando fermarmi e quando smussare. E lo facevo, di nuovo, serenamente. Oggi no.
Oggi mi trovo spessissimo a pensare “Ma perchè cazzo dovrei desistere dal mandare ‘sto tizio affanculo?” e l’unica risposta che ne esce è “per educazione” oppure, peggio, “per non incrinare il rapporto”. E sarò certamente io in un momento davvero passivo aggressivo della mia vita, ma ho l’impressione che a parti inverse nessuno si sia mai fatto questi scrupoli con me, quindi la vivo un po’ come essere in credito di 38 anni di diplomazia che nessuno sembra intenzionato a darmi indietro.
In più, come dicevo all’inizio, questo decennio è stato quello dei trent’anni che non è probabilmente il più divertente della vita, ma penso sia quello della realizzazione personale. Per me lo è stato.
E’ difficile guardare ai prossimi dieci anni con lo stesso senso di sfida o con la stessa fame di risultati. Anzi, è ovvio che prima o poi la vita inizi a chiedere conto anche delle rotture di coglioni che ci sono per tutti e che io, unicamente per fortuna, fino ad oggi sono riuscito a schivare. 
L’ho detto, mi sto imbruttendo.

Quest’anno ho ascoltato un po’ di dischi, qualcuno anche molto bello.
Li ho riassunti in una playlist di 12 canzoni, scegliendo per ogni mese quella più rappresentativa della fissa che avevo in quel momento.
Non è malissimo, la metto qui sotto.
Buon anno.