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Diario dall’isolamento 2: day 22

Il venerdì ha smesso di essere un giorno rilevante e io non ho molti argomenti per oggi. Manco uno in realtà.
Se ripercorro la mia giornata fino ad ora, oltre a lavorare, ho:
– litigato su twitter parlando di Mattia Feltri, che non credo riuscireri ad inserire in una classifica di motivazioni per cui discutere neanche se partissi ad elencare dalla posizione mille
– ascoltato Punk in Drublic
– Giocato un po’ a THPS1+2 in pausa pranzo, chiudendo un paio di combo.
– Chiacchierato di Xfactor e punk-rock con Ale su Skype (discussioni separate, nessun legame tra le due)
– Mangiato un pan gocciole

Tra poco esco a prendere i bimbi all’asilo e passo in macelleria a ritirare il cinghiale, che domenica voglio fare il ragù con le tagliatelle fatte in casa.
Poi chiamerò i miei, col solito cinema dei bambini che ne hanno pieno il cazzo delle videochiamate.
Alla fine leggeremo qualcosa, giocheremo un po’ e, una volta messi a letto, guarderò con la Polly Better Call Saul.
Domani però si svolta, c’è il big event: si va a fare l’anti-influenzale.
Evviva.

Diario dall’isolamento 2: day 21

Decomprimere.
Io credo che la roba di cui inizio a soffrire maggiormente sia l’incapacità di decomprimere, di avere un momento e uno spazio in cui poter aprire le valvole di sfogo. Qualcuno lo fa andando a correre, qualcuno alzando pesi. Mia moglie impasta.
Io questa roba l’ho sempre trovata nella musica.
Di solito in macchina, con lo stereo oltre i livelli che si addicono al guidare con prudenza e le persone sulle auto vicine alla mia, ferme in coda come me, a guardarmi chiedendosi perchè non sia rinchiuso in un centro specializzato per malati di mente.
L’occasione migliore però erano i concerti, quando si spengono le luci e sei da solo in mezzo a persone a cui di te non frega un cazzo e di cui a te non interessa un cazzo, che siano tuoi amici o perfetti sconosciuti. Tutti gli occhi sul palco, la musica copre tutto, avvolgendoti e proteggendoti, e allora canti i pezzi, li urli, senza che ti interessi come vengono fuori. Conta solo farlo più forte possibile e se non sai le parole va bene lo stesso. Da ragazzino l’energia da buttare fuori era anche fisica, si pogava e si saltava, oggi è più che altro mentale, ma l’esigenza di base è la stessa.
Occhi chiusi, dito alzato e fuori tutto.
Lo stress, le ansie, le paure, ma anche le gioie, tutte le emozioni che nella vita sei costretto in qualche modo a gestire e misurare per non uscire dai binari in cui ci hanno insegnato sia necessario veicolare la quotidianità.
Per quell’oretta scarsa ci si ripulisce da tutto, una sorta di lavanda gastrica emozionale, e all’accensione delle luci si è pronti a tornare con rinnovata o ritrovata pace alla propria vita che, bella o brutta che sia, certamente ha qualche motivo per andarci stretta.

Il primo concerto a cui sono andato è stato nel 1997.
Da allora non c’è stato anno in cui non abbia visto almeno una volta qualcuno suonare e anche se negli ultimi anni capitava meno che agli inizi, era comunque qualcosa che facevo spesso. Non mi sono fermato neanche quando gli amici hanno iniziato a non accompagnarmici più, quando andare a un concerto voleva dire farsi ore di macchina da solo per finire il martedì sera a Bologna e rientrare ad orari senza senso con la sveglia comunque puntata per la mattina di lavoro successiva.
A fermarmi è stato questo orribile 2020, il mio primo anno concert-free.
C’è qualcosa che è peggio del non vedere la fine del tunnel, però, peggio anche del prendere atto che per me (e quelli come me) la luce arriverà in ogni caso davvero alla fine, ultimi tra gli ultimi.
Questa cosa è doversi subire continue paternali su quanto ridicola sia questa rinuncia, su quanto i problemi siano altri, su come si possa tranquillamente fare a meno di cose così frivole e superficiali in un contesto di crisi globale e doverlo fare simultaneamente ingoiando le decine di bestemmie che siamo sì abituati a tenerci nello stomaco, ma senza più la facoltà di vomitarle altrove per evitare di intossicarci.
Quel viaggio in auto in cui un disco ti toglie di dosso le rotture di cazzo del lavoro e ti permette di affrontare i capricci dei figli una volta rientrato a casa con la pazienza che si meritano, quel concerto in cui puoi letteralmente urlare i vaffanculo accumulati e tornare a parlare con amici e parenti senza immaginarti come sarebbe dar loro una testata sul naso mentre li ascolti dare fiato alla bocca.
“Puoi andare a correre per sfogarti” is the new “Mangino brioches”.

Diario dall’isolamento 2: day 20

Stavo scrivedo una roba, ma non c’è nient’altro da dire, oggi.

Da sempre la prima immagine che ho in testa di Maradona.
Quel tiro, quel gol e quell’esultanza.
Poi quel che è successo pochi giorni dopo e infine quel che si è scoperto troppi anni dopo.
Probabilmente ricordarlo così è sbagliatissimo, ma per me è una sintesi perfetta.

Diario dall’isolamento 2: day 19

Questa mattina AleBu mi ha girato l’annuncio per una posizione di lavoro molto particolare. Me l’ha introdotta così:

sei pronto a dirmi grazie?
che ti cambio la vita?
basta con sta storia della farmaceutica
è ora di lavorare con le tue vere passioni

Convincente, come approccio.
Così ho aperto il link che mi ha girato e, sorpresa delle sorprese, non stava scherzando. Mi si è infatti aperta la pagina LinkedIn di una posizione come Brand Manager per Wizards of the Coast, ovvero l’azienda che commercializza D&D.
Ora, diciamocelo, io non sono propriamente un brand manager (neanche impropriamente), sono entrato nel magico mondo del marketing dalla porta di servizio e me ne occupo in un mercato molto specifico e legato alla mia reale formazione, che è scientifica. E’ però vero che negli ultimi sette anni mi sono occupato di marketing e branding per la filiale italiana di una multinazionale americana, gestendo tutti gli aspetti della comunicazione digitale dell’azienda sul territorio italiano e cercando di far arrivare il messaggio e i valori che caratterizzano la mia azienda e sui quali si poggiano i prodotti che vendiamo. Nient’altro che branding, quindi.
Di norma quando leggo di posizioni aperte nel mio settore e relative al marketing, penso sempre di non essere preparato a sufficienza. Credo di essere bravino in quel che faccio, ma ho imparato sul campo dinamiche di marketing dentro la mia azienda e potrebbero non essere lo standard in altri contesti. Questo, in assenza di preparazione teorica, per me è sempre un bel freno a credere di poter fare bene anche altrove.
Recentemente però ho avuto una bella esperienza di selezione per una posizione molto stimolante, a cui alla fine ho rinunciato perchè in questo momento di profonda instabilità familiare poter lavorare in un’azienda in cui so muovermi, che mi stima e che mi garantisce il supporto e la flessibilità di cui ho attualmente bisogno è vitale, ma ciò nonostante è stata una bella iniezione di fiducia nelle mie capacità.
Un po’ perchè sto bene dove sono, un po’ per la mia insicurezza infatti non applico quasi mai a posizioni che trovo online, ma mi capita di accettare colloqui quando vengo contattato perchè trovo sia sempre interessante valutare il proprio mercato, avendo la fortuna di poterlo fare, ma non sono uno che si propone.
Perchè sono partito per ‘sto pistolotto?
Ah sì, perchè senza questa recente mini pera di self-confidence probabilmente vedendo quella posizione non avrei mai pensato di poter essere un candidato papabile e invece per una volta ho pensato “Perchè no? Potrei essere la persona giusta!” e così ho applicato sul serio.

Essere la persona giusta però non implica affatto essere la persona che stanno cercando e, nel mio caso, sono ragionevolmente sicuro di essere molto lontano dal profilo che si aspettano di selezionare, così ho deciso di scrivere una cover letter che fosse meno convenzionale, ma che magari potesse differenziarsi dalle altre portandoli a valutare la possibilità di approfondire il mio profilo non unicamente in base alle competenze.
Siccome non sono Montemagno e questa non è (ancora?) una success story su quanto sia smart nel vendermi, magari pescata col lanternino da una casistica fatta quasi esclusivamente di approcci analoghi falliti malamente, non è per nulla detto che questa mia strategia paghi, nè che quel che ho scritto sia il modo migliore di portare a termine quella stessa strategia, però questo è quel che ho scritto nella mia presentazione:

Dear Hasbro and Wizards of the Coast

I know I’m probably the last person you would imagine applying for this position, but when I saw it on LinkedIn I couldn’t resist to give it a try.
I’m a 39 years old biotechnologist that works in marketing since seven years, for a big corporation involved in life science. In the Italian branch of the company I take care of digital marketing&branding, working with a team to position our products on the market and communicate our values to scientists. So, I’m kind of used to talk with nerds, and I’m a nerd too.
These are the two strongest competences I could offer to you in addition to my 25 years dedication to Dungeons and Dragons.
I love my current job, but this opportunity is something I would have felt guilty not applying for.
Thanks for your attention and eventual consideration.

Best regards.

Giuseppe Mancuso, PhD

Non credo mi chiameranno, onestamente, e anche nel caso succedesse non credo pagherebbero quanto serve per farmi cambiare, ma devo ammettere che se dovesse mai succedere sarei davvero tentato.

Diario dall’isolamento 2: day 18

Hanno iniziato a circolare foto e video sessualmente espliciti di una starlette della televisione nostrana, non metto il nome così in qualche modo non mi faccio promotore di ricerche correlate, e come spesso accade in questi casi mi sono arrivate in una delle chat whatsapp che ho con gli amici.
Non uso Telegram, non sono iscritto a quei gruppi rivoltanti di cui si legge in giro, ho le classiche chat con gli amici di infanzia in cui ogni tanto fa capolino qualche pornazzo, solitamente quando si tratta di leak di materiale che riguarda appunto personalità famose o pubbliche.
Cambia qualcosa tra i video privati della maestra di Torino e i video privati di Jennifer Lawrence o di una soubrette italiana? No.
Se si tratta di materiale privato che viene in qualche modo rubato o circolato contro la volontà della diretta proprietaria è uno schifo sempre e non andrebbe alimentato mai, tuttavia devo dire che se mai nella vita mi verrebbe in mente di vedere cosa combina una perfetta sconosciuta nel suo intimo e, anzi, mi darebbe fastidio ricevere quella roba sul telefono, nel caso una una personalità pubblica c’è quell’aspetto di curiosità morbosa che fa la differenza.
Ne avevo parlato nel caso di Diletta Leotta.
Ora invece provo a fare un discorso diverso che non ha a che fare con i casi citati, a quanto ne so. Fino a qui si è parlato di materiale privato divulgato contro la volontà della vittima, immaginiamo però che quel materiale non sia “privato”, ma commerciale.
Immaginiamo il furto di materiale che ragazz* destinano a portali dove la gente paga per ricevere foto o video espliciti. Immaginiamolo come un servizio che magari completa la proposta di un* escort o anche più semplicemente come attività on demand destinata a clienti esclusivamente virtuali, ma che pur sempre clienti restano.
Ecco, in questo caso parliamo di persone che vendono contenuti di questo tipo in un contesto in cui il porno è gratis ed accessibile, quindi che circuiscono persone evidentemente limitate nelle capacità di intendere e di volere. Bene, in questo caso pur restando a tutti gli effetti un furto, io mi sento di non condannare il gesto e di innalzare questi hacker a moderni Robin Hood che puntano a redistribuire una ricchezza che ingiustamente viene accumulata da vecchi uomini bianchi di mezza età che solo per il fatto di essere ricchi si possono permettere di assistere a spettacoli che dovrebbero essere invece di dominio pubblico. Discriminare l’accesso a quel materiale su base economica è classista e vergognoso ed è qualcosa che va combattuto.

Questo post potrebbe non essere del tutto serio e non rispecchiare il punto di vista di chi scrive.
Potrebbe.

Diario dall’isolamento 2: day 17

Ho chiuso una combo su cui cristavo da mesi a Tony Hawk Pro Skater 1+2.
Inizio a credere di poter portare a casa tutti i trofei del gioco, anche se i due che mi mancano sono uno difficilissimo da fare (per uno con le mie skill) e l’altro noiosissimo.
Probabilmente ci proverò durissimo, ma altrettanto probabilmente mi toccherà fallire.
Bon, nient’altro da segnalare.
Come facessi a scrivere tutti i giorni a Marzo è davvero una roba inspiegabile.

Diario dall’isolamento 2: day 16

Sono le due di notte, siamo stati su zoom tra amici fino ad ora.
Quattro chiacchiere, un diversivo.
A parte quello, nulla da segnalare.
Retrodato il post e vado a letto, che ho sonno.
Ah, Charlotte ha firmato Gordon Hayward alla fine. Contratto senza senso a un giocatore fisicamente mai ristabilito da un infortunio tremendo, ma ragazzo a cui si vuole bene quindi speriamo smentisca tutti.
Metto un video senza guardarlo.

Diario dall’isolamento 2: day 15

Fuori c’è il sole, mi spara in faccia fortissimo e fatico a lavorare. Potrei spostare il PC, ma mi pesa il culo, che poi è lo stesso motivo per cui non tiro le tende.
E’ un momento abbastanza breve, quello in cui il sole trova spazio tra i tetti di fronte e mi si stampa sulla faccia, quindi l’idea è tenere duro. Lo faccio ogni volta che c’è il sole, da Marzo. Forse non proprio ogni singola volta, diciamo tutte le volte in cui non ero costretto a lavorare in situazioni improvvisate in qualche angolo remoto della casa a causa di questo o quel problema.
Venerdì pomeriggio, i bambini sono all’asilo e in casa si lavora bene. Benissimo, da quando è arrivata la nuova cameretta e abbiamo una scrivania in più. Io lavoro in sala, Paola dai bimbi, così durante le millemila call che ci toccano su base quotidiana io posso andarmene in giro per la sala camminando come un Tarcisio qualsiasi e lei può tenere quel tono di voce NYHC che le viene naturale al telefono.
Oggi per me giornata di numeri, quindi giornata con musica in cuffia grossomodo da questa mattina. Ho iniziato sentendomi tutti i dischi dei Good Riddance, definitivamente incoronati miglior band per fare analisi di budget e fatturati, mentre nel pomeriggio sono passato a ripescare un po’ di dischi italiani che non sentivo da un po’. Roba tipo i Gazebo Penguins o i Riviera. Bei dischi, insomma. Magari una volta faccio una playlist di pezzi italiani.
Con buona pace di Crisanti, di cui non linko le dichiarazioni manco a morire perchè dovrebbero finire nell’oblio, Paola mi ha raccontato che in azienda da lei si parla molto dello stato d’avanzamento lavori dei diversi vaccini, come ovvio, e i dati sono molto incoraggianti in tutti i casi, anche e soprattutto in termini di sicurezza. Non so perchè lo scrivo, tanto ognuno dice il cazzo che vuole e qualora qualcuno leggesse qui sarebbe legittimatissimo nel pensare che abbia scritto cazzate. Amen.
Mi mangio un pangocciole e torno ai numeri, vah.
Tra un paio d’ore inizia il weekend, una roba che nei meandri della mia memoria risulta avere un qualche senso lontano che adesso non saprei proprio spiegare, e sto pensando che magari domani griglio del pesce.
Via così dai, che anche sto giorno di lockdown ce lo siamo tolti dai coglioni.

Diario dall’isolamento 2: day 14

A me piacerebbe si riuscisse a salvare il Natale.
Ve la dico così, via il dente e via il dolore, almeno potete inveire senza leggervi tutto quel che segue, che tanto è una posizione indifendibile.
Mi piacerebbe salvare il Natale perché vedo i miei solo su whatsapp da un mese e li vedo ogni giorno più depressi e sconfortati, abbattuti dal peso di giornate tutte uguali e troppo lunghe e vuote per essere sopportabili a tempo indeterminato.
Mi piacerebbe salvarlo per i miei figli a cui manca una parte sostanziale dei loro affetti, da tanto tempo, e ogni sera sono più insofferenti di fronte a quel telefono che cerchiamo di vendergli come soluzione accettabile a tempo indeterminato.
Mi piacerebbe salvarlo per me, perché amo il Natale in famiglia, il pranzo di dieci ore, lo scambio dei regali e non poterlo fare è un’ulteriore spiraglio di luce che viene murato.
Poi ci sono i negozzi, l’economia e tutto quel che ci va appresso, ma di cui egoisticamente non mi interessa poi troppo. Al momento ognuno è legittimamente concentrato sui cazzi propri, credo.
Ad ogni modo io credo che salvare il Natale sia possibile, se si fa lockdown prima. Dieci giorni di reclusione e poi Natale in sicurezza. Chi può lavorare da casa lo fa, chi non può lo paga l’INPS e buone feste a tutti.
Provare a dare alle persone uno spiraglio, una boccata d’ossigeno. Magari però è infattibile, magari “mancano le coperture”, che è sempre buona come motivazione. Sempre verde, come gli abeti.
Non lo so.
Quello che so è che tante, troppe persone si stanno accanendo contro il Natale per potersi accanire contro il prossimo. Una misantropia dilagante per cui gli altri (conoscenti esclusi [a parole, ma sotto sotto pure loro]) sono il problema, la causa di tutte le nostre sfighe. La seconda ondata è arrivata a Ottobre, due mesi dopo Agosto, ma per tutti è colpa delle vacanze e degli stronzi che le hanno fatte fottendosene (non come noi che siamo stati attentissimi).
Forse non riusciremo a salvare il Natale, ma dovremmo provare a salvare noi stessi da quello che stiamo diventando.

Diario dall’isolamento 2: day 13

In questi giorni potreste aver sentito parlare della maestra di Torino licenziata perché ha iniziato a circolare del materiale privato che la poveretta aveva inviato al tipo pezzo di merda con cui usciva.
La storia racchiude in sè davvero molti livelli di disagio, dal tipo pezzo di merda che pensa sia divertente condividere foto/video privati ricevuti dalla sua ragazza, alle persone ai pezzi di merda che hanno ricircolato lo stesso materiale, fino alla donna alla merda che ha usato quel materiale per far pressione sulla dirigente scolastica dell’asilo affinché la maestra venisse sollevata dall’incarico. Non insulto la dirigente scolastica perché in questo film dell’orrore è l’unica a cui potrei riconoscere delle attenuanti, ma di certo non la ricorderò come esempio di etica e spina dorsale.
La storia, che sarebbe potuta finire malissimo come capitato in passato, invece è finita solo male, con la vittima che ha perso il lavoro. Ci sono punizioni per i carnefici, ma non mi sento di dire che questa sia una vittoria.
Non ho tanta voglia di mettermi qui ad analizzare la storia, credo si sia capito come la penso (per i distratti: tutti scopano, anche le maestre), mi interessa invece soffermarmi su un aspetto collaterale.
Pare che la dirigente scolastica abbia licenziato la maestra per via della minaccia ricevuta da una mamma di “ritirare la figlia dall’asilo”. Ecco, io penso che se capitasse domani nell’asilo dei miei figli e io ne venissi a conoscenza, minaccerei di ritirarli entrambi in caso di licenziamento. Farei casino. Ci metterei la faccia e proverei a mettermi di traverso, per quanto possibile.
Questo probabilmente si tradurrebbe nel venire additato in paese per quello che si scopa la maestra. “E’ per quello che la difende!”. Voci che potrebbero causarmi più di un problema.
Eppure in una situazione come questa, il peso del mio antagonismo sarebbe rilevante e tangibile. Magari altri si schiererebbero con me. Magari alla fine ci conteremmo e i bigotti di merda si troverebbero in minoranza e costretti ad accettare una maestra con una vita privata oppure a levarsi dal cazzo senza che qualcuno possa rimpiangerli. Però, ripeto, questa cosa avrebbe un costo.
Non lo so, oggi sono in questo mood per cui mi pare che siamo tutti pronti a boicottare Amazon e a non usare le cannucce di plastica, perchè “se lo facessimo tutti ecc ecc”, ma poi quando davvero si potrebbe fare qualcosa di concreto che sposti gli equilibri, allora “non vale la pena perchè tanto è una causa persa”.
Ho paura la verità sia che tutti siamo capaci di fare attivismo che non ci costa un cazzo, o che addirittura ci porta “consenso” nell’intorno digitale che ci siamo creati apposta per pensare di avere sempre ragione.
Quindi boh, in questa storia orribile per me il vuoto gigante, oltre a tutto quello che si è detto e scritto, è nel fatto che nessuno dei genitori di quell’asilo abbia alzato la voce per prendere le parti di quella povera ragazza. Poi oh, magari qualcuno l’ha fatto e non è servito, ma ne dubito. 

Anche oggi nulla da segnalare sul fronte orientale.
La bolla che ci separa dal COVID si fa sempre più aderente e mostra qualche crepa, ma al momento proviamo a resistere.