Hiatus
“For over a decade, Blink-182 has toured, recorded and done non-stop promotion all while trying to balance relationships with family and friends.
To that end, the band has decided to go on an indefinite hiatus to spend some time enjoying the fruits of their labors with their loved ones. While there is no set plan for the band to begin working together again, no one knows what tomorrow may bring.”
Con queste poche righe i Blink 182 hanno deciso di mettere fine alla loro avventura musicale. Il gruppo si è sciolto.
Sono a terra.
Per quanto mi riguarda i Blink sono stati uno dei capisaldi musicali della mia gioventù, la colonna sonora degli anni di fine liceo. Tutti i ricordi che ho di quel periodo sono legati ad alcune loro canzoni in maniera indissolubile. “Dude Ranch” comprato a Monaco di Baviera durante la gita di quinta; “Josie” sparata a manetta dalle piccole casse della mia Y10 viola la sera del 30 Aprile dello stesso anno mentre tornavo a casa felice; la cassettina di “The Mark, Tom and Travis Show” registratami dalla sorella della Fra; il concerto di Milano con Miss Rimpianto e il volo dalla ringhiera del primo anello del Forum; i testi di “Waggy”, “Dammit”, “What’s My Age Again” che, come molti altri che non sto a citare, sembrava parlassero di me; le mille volte in cui stavo male e mi isolavo ascoltando i loro pezzi col walkman e le altre mille in cui stavo da bene e li cantavo mentre lo stereo li gridava all’intero quartiere. Non conta nulla che l’ultimo disco mi avesse drasticamente deluso, impregnato com’era del concetto “ora siamo maturi”. I Blink per me erano e sono il riflesso del mio essere giovane e immaturo e quindi accettare che loro fossero cresciuti era implicitamente accettare che anche io avrei dovuto farlo, che il tempo passa per tutti e che, prima o poi, bisogna capire che è giunto il momento di diventare grandi. Odio solo pensarla, questa cosa. Si chiama sindrome di Peter Pan? Può darsi, sta di fatto che qualunque sia il suo nome, io ne sono affetto in maniera importante. Ho quasi 24 anni e mi sento in diritto di essere ancora nell’età dell’idiozia.
Non è così.
Ci sono il lavoro, l’università, le responsabilità e tutte quelle questioni che ti impediscono di goderti l’esistenza. Senza nemmeno accorgertene ti ritrovi a fare una vita che non sopporti in virtù di un futuro che più incerto non può essere. La fine dei blink è solo un altro segno, indelebile, del fatto che la mia gioventù è finita. Ora è solo tempo di farsene una ragione.
Attaccato il MUVO alla presa USB, non mi resta che infilarmi nel letto e riascoltarmi i loro pezzi in successione, sperando che la tristezza profonda che mi opprime se ne vada.
Don’t bide your time
‘Cause it is almost over
I know you’re down
And I’ll see you around
And I know it hurts
But you’re just getting older
And I know you’ll win
You’ll do it once again
La notte porta consiglio
Eccomi qui.
L’appuntamento è quello ormai consueto della sera/notte perchè questo blog assume via via sempre di più le fattezze di un interlocutore notturno. La sera segna la fine della giornata e, probabilmente per questo motivo, è il momento in cui riesco a riflettere con maggiore lucidità. Scrivere queste righe di solito è l’attività cervellotica più complessa della mia giornata. Non tanto per la forma, che non nego di provare a curare, quanto perchè per scriverle come vorrei non posso sottrarmi ad un duro e serrato confronto con me stesso. Credo di avere una mente contorta. Spesso capita di domandarmi il perchè penso una cosa, ma a questa domanda sovente seguono risposte vaghe ed incerte. Molto spesso mi pongo delle obbiezioni e suscito in me dubbi su questioni che all’inizio della riflessione davo per assodate. Per dirla in una frase: non mi capisco. Forse è anche per questo che ho apprezzato così tanto questa attività nata per caso in un giorno lavorativo come tanti. Perchè mi obbliga a dare importanza a ciò che penso e a comprenderlo realmente. Mi obbliga ad essere riflessivo. Mi obbliga a violentare la mia natura.
Per questa lunga serie di motivi scrivere qui sopra è solitamente la cosa più impegnativa della giornata. Oggi, tuttavia, non sarà così. Oggi, finite queste righe, dovrò/vorrò mandare una mail alla Paola in risposta a ciò che mi ha scritto lei oggi. Non so cosa mi spinga a volerlo fare. Se me lo chiedessi in questo momento le risposte sarebbero del tipo “perchè è tua amica”, “perchè ti fa piacere che si confidi con te” et similia. Non mi credo. Non penso che queste affermazioni siano false, ben inteso, ma non credo siano le reali cause del mio impeto a risponderle. Sono le motivazioni standard che il mio cervello mi da quando abbozzo un ragionamento sulla questione, sperando che io le ritenga esaustive e porti la mente altrove. Una sorta di riflesso incondizionato. Accettarle come vere sarebbe indubbiamente più comodo e questo io lo so benissimo.
Ecco il piano.
Prima di mettermi a rispondere all’e-mail scrivo sul blog, stupro per bene la mia razionalità, arrivo alla radice dei miei pensieri e poi, solo a quel punto, metterò nero su bianco la risposta che forse attende.
“Adoro i piani ben riusciti!”, per dirla alla Hannibal Smith.
Il processo ha dato i frutti sperati. Tutto è ancora avvolto da una coltre piuttosto fitta di nebbia, ma sto lavorando perchè svanisca lasciando a ciò che ho scovato in me, la nitidezza di quando l’ho pensato. Non scriverò qui la conclusione cui sono arrivato. Non è il luogo adatto e non credo che Paola possa apprezzare un’eventuale scelta di questo tipo. Voglio però scrivere ciò che mi aspetto succeda.
Mi aspetto che le cose cambino. Che i nostri discorsi cambino.
Se lei farà lo stesso sforzo che ho fatto io per comprendere cosa volevo dirle, non ho dubbi che le aspettative saranno confermate. I cambiamenti non per forza saranno in positivo, sebbene io lo speri vivamente, tuttavia sarà un bene l’averli apportati.
Nota: rileggendo il tutto mi sono accorto che il mio sproloquio odierno possa far pensare ad una qualche sorta di tresca amorosa. Nulla è più lontano dalla realtà, ma viste le “telenovelas brasiliane” quotidianamente in scena nella mia compagnia è bene precisarlo.
Grazie Bazzu!
Ho iniziato a seguire le strisce di Megatokyo. Ottime.
True lies
Le relazioni tra teenagers dei telefilm americani non sono frutto dell’invenzione. Esistono.
Apprenderlo è uno shock cui difficilmente ci si abitua. Io, personalmente, non ne sono in grado ed ogni volta che qualcuno dei miei amici me lo riporta alla mente non posso esimermi dal fermarmi a rifletterci sopra. Anche alle 3.00. Le mie “storie”, che siano queste intese come rapporti di amicizia o di affetto, tendenzialmente sono banalmente lineari. Ho i miei alti e bassi, certo, ma non so come mai non riesco ad infilarmi in storie complicate. Eppure di esempi da emulare in compagnia ce ne sarebbero a iosa. Tizio sta con Caia, ma in realtà ne vuole da Sempronia; Mimì si prende bene per Cocò che lo illude nonostante la sua relazione con Cacamucazzo; Gianni è innamorato di Pinotta, che contraccambia, ma ciò nonostante quando stanno assieme non fanno che litigare. Reali o immaginarie che siano, queste sono situazioni che mi vengono settimanalmente all’orecchio e, quale che sia veritiera delle due ipotesi, c’è gente che ci sta male.
Questo mi dispiace.
Io, dal canto mio, mi tengo stretto la mia banalissima, linearissima e bellissima storia con Bri, sperando che resti tale più a lungo possibile. Oltre a questo, mi fa piacere che le persone che mi stanno intorno si rivolgano a me se hanno bisogno di parlare. Spesso provo anche a dar loro il consiglio facile tipico dell’esterno alla vicenda. Ad essere totalmente schietto, le vicende intricate dei miei amici mi appassionano e, una volta saputo l’incipit, non posso fare a meno di seguirle con morbosa curiosità. Ammetto persino di lasciarmi andare a dei pronostici, di tanto in tanto.
Non so se esiste il maschile di “pettegola”, ipotizzandone uno e volendolo usare per definirmi, direi “pettegola in grado di guidare”.
Pensieri utili a distogliere altri pensieri.
Sono qui di fronte al PC. Seduto.
Musica in sottofondo e fame. Molta molta fame. Di solito per quest’ora ho già mangiato e non averne ancora avuto la possibilità mi sta logorando. Per di più il parto del risotto da parte del cuoco di casa è già in travaglio aperto e l’odore di soffritto sta riempiendo la casa e le mie narici. La situazione sta diventando via via insostenibile.
Provo a pensare ad altro. Niente. Non è come quando vorresti distogliere l’attenzione da una cosa, che subito ti si imprime a fuoco nella mente. Il proverbio recita “La lingua batte dove il dente duole” ed è tanto vero quanto cinico nel suo messaggio. Niente spazio per l’ottimismo. La lingua batterà sul molare infiammato comunque, a prescindere ta tutto. E’ il destino immutabile che governa un po’ tutto ciò che ci circonda. Pensandoci, chi ha scritto i proverbi non ha fatto altro che descrivere la realtà per com’è. Pensandoci bene, è tutt’altro che facile fare un’analisi del genere. Tutto appare, in un modo o nell’altro, per come vogliamo vederlo. Solo a volte la nostra volontà coincide con la reale immagine di ciò che stiamo analizzando. In quel caso credo si possa parlare di fortuna.
“Sei cinico”.
Questo è quello che di solito viene detto a chi ha una percezione non distorta della realtà. Spesso questo è recepito come fosse un insulto, dev’essere una questione culturale. Credo sia colpa della TV che ogni giorno prova a convincermi che, alla fine, andrà tutto bene. In realtà, tutto andrà semplicemente come deve andare. Questo vuol dire bene per alcuni e male per altri. Purtroppo i primi non sempre sono i buoni. La cosa ancora più aberrante è che i secondi non sempre sono i cattivi. Non voglio soffermarmi sul perchè la Tv cerchi costantemente di illudermi. Magari lo fa perchè chi ci lavora non è cinico e vede realmente la realtà in quel modo. Magari perchè pensare che “andrà tutto bene” può evitare che una persona che fatica ad arrivare alla fine del mese manifesti le sue perplessità, magari assieme a tutte le altre persone come lei. Non lo so. Io una mia idea ce l’ho ma può benissimo essere che sia solo una mia figurazione della realtà. In fin dei conti io non sono cinico, non quanto vorrei.
Come adesso c’è la TV, una volta c’erano altre cose e in futuro ce ne saranno altre ancora. Credo che l’uomo non si arrenderà mai al cinismo e vorrà sempre qualcuno che gli dica “andrà tutto bene”. La bambagia dell’ottimismo, è innegabile, a volte aiuta. Siamo tutti uguali da questo punto di vista. Tutti tranne gli inventori dei proverbi. Loro forse erano alieni.
E’ pronto il risotto.
Vado a mangiare.
Adoro l’odore del caffè di prima mattina. Profuma di vittoria…
Capita, a volte, che il lavoro possa dare soddisfazione.
Non succede spessissimo e questo forse è un bene. Solo così se ne gode appieno quando capita.
Tra ieri e oggi, è capitato.
Riunione con i laboratori. Tavolata in mogano che ospita Dottori, Avvocati e personalità di spicco.
Il mio posto è su una sediola azzurra, di quelle col bracciolo/scrittoio tipiche dell’aula congressi o dell’aula catechismo. Considerazione iniziale nei miei confronti pari a quella del cestino dell’immondizia, col cesto in leggero vantaggio per via dei bicchierini da caffè che i presenti devono far sparire. Inizia così la discussione su temi di varia natura e di interesse nullo per la mia persona. Dentro di me penso che potevo evitare di uscire di corsa da casa per arrivare in orario ad una riunione per la quale sono stato avvisato solo due ore prima.
Metaforicamente le riunioni possono essere ben rappresentate da una spiaggia su cui i partecipanti giocano a schiaccia sette palleggiandosi i problemi l’uno con l’altro. Per vincere puoi scegliere se schivare i colpi o prendere la palla al volo ed eliminare chi te l’ha tirata.
Vuoi per la vena polemica che mi pervade in questi giorni, dovuta a tutt’altra situazione, vuoi per dare un senso alla mia presenza li, ho scelto la seconda tattica.
Non appena, come solitamente accade, viene tirato in ballo il lavoro di noi “impiegatucoli” a motivare i problemi dell’ospedale ho alzato la mano.
Stupore generale.
Il mio capo, che ieri mi aveva scelto come consulente per pianificare la strategia di battaglia (inutile chiarire ulteriormente come si tratti di una guerra tra reparti che non vogliono collaborare) decide di darmi la parola.
Con un breve intervento coadiuvato da prove cartacee, dimostro la perfezione del mio operato e la totale falla in quello dei laboratori.
Sempre metaforicamente parlando mi sono sentito un incrocio tra Perry Mason dopo una causa stravinta e Jo Allembak* che balla la giga sui riflettori del L.A. Coliseum.
A fine riunione c’erano dottori che mi chiedevano consigli per venire incontro al mio reparto, che mi pregavano di dar loro del tu e che, ovviamente, dicevano che la colpa era degli altri dottori.
Sebbene domani si comporteranno come se nulla fosse accaduto e continueranno a fare i comodi loro, oggi ho vinto io.
* Il mio mito cinematografico di sempre
Oggi
Finito!
Con la full immersion di ieri, in cui ho letto circa 300 pagine, sono finalmente giunto all’epilogo di “Io uccido…”. Qualche commento. Innanzi tutto devo dire che è un buon libro, sicuramente non il migliore che abbia mai letto, ma più che discreto. La storia è bella, affascinante, sufficientemente intricata, ma non per questo incomprensibile. Ci sono, a parer mio, alcune notevoli incongruenze e il ragionamento che porta uno dei due detective alla soluzione è, per usare un’espressione figurata, un po’ “tirato per i capelli”, ma questo non pesa eccessivamente sull’economia della valutazione. Per la prima volta, leggendo un libro del genere, sono arrivato alla soluzione corretta molto prima che l’autore la svelasse. Non è quella che ho indicato su queste stesse pagine tempo fa, avevo letto veramente troppo poco per poterci arrivare allora, ma molte delle congetture che avevo fatto erano corrette e ci è voluto solo qualche capitolo in più per arrivare al nome esatto tramite il metodo dell’esclusione. Poche sono le regole in un thriller, per quel che mi riguarda, ma la principale è che il colpevole deve essere un personaggio noto fin dal principio se si vuole ottenere il “colpo di scena”. Per questo l’autore deve essere bravo nel dipingerlo come insospettabile e totalmente non sovrapponibile alla figura del killer. Faletti invece ha dato, secondo me, indizi troppo marcati fin da subito e quindi arrivarci è stato piuttosto elementare. Forse dipende solo dal fatto che la mia mente è propensa a fare gli stessi passaggi logici di quella dell’autore e quindi la mia intuizione è solo dovuta ad uno stile di ragionamento fortuitamente corretto per questo libro. Come controprova mi piacerebbe leggere il suo secondo lavoro, ma anche parlare con qualcuno che abbia letto “Io uccido…” per vedere se ha avuto le mie stesse impressioni.
Oggi è San Valentino. Non ho mai espresso alcun giudizio su questa festività. Non sono di quelli che la sentono propria, ma nemmeno di quelli che la schifano perchè figlia del consumismo. Sono di quelli che la ignorano. Probabilmente se stessi con una ragazza che ci tiene presterei alla cosa maggiore attenzione, non essendo così posso godermi la comodità di dire “chissenefrega”. L’unica cosa che mi piacerebbe fare è assaggiare i nuovi cioccolatini Magnum, quelli la cui pubblicità onnipresente mi ha stregato. Vodka e arancia in TV, fragola e marc de champagne (che poi chissà cos’è) sui cartelloni che tappezzano Milano. Saranno buoni? Sicuramente sono intriganti, ma questo credo sia un merito da imputare più ai responsabili marketing che ai pasticceri.
Intanto, mentre il mondo festeggia gli innamorati, la mia compagnia continua a dare origine a tresche maliziose e intrighi allucinati degni del miglior David Lynch. A vedere ciò che accade quotidianamente “alla panca” si direbbe sia vero il detto secondo cui l’amore si presenta sotto forme sempre diverse.
Ma non era il Diavolo a farlo?
Non che ci sia differenza…
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