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#UltimoConcerto

C’è stato #UltimoConcerto.
Tantissimi artisti e live club italiani si sono messi insieme per organizzare un evento volto a sensibilizzare tutti verso la crisi del settore della musica dal vivo, di fatto fermo da un anno.
L’idea è stata di promuovere un concerto che non c’è stato, sostituito da un silenzio il cui scopo era far prendere coscienza che la situazione è grave e non è sostenibile.
Qui il messaggio.

Sul messaggio non c’è da discutere.
Per il momento sorvolerei anche sul fatto che della questione principale si sia parlato si e no 10 minuti, per poi finire alla classica attribuzione di patentini da parte di questa o quell’autorità competente nel campo del saper vivere. Patentini che non mi interessava avere quando ci si poteva scopare, immaginiamoci ora. Dico per il momento perchè sono livoroso e potrei tornarci su dopo, anche se vorrei provare a stare sul pezzo dell’iniziativa e del tiro che le hanno dato.
Il settore musica dal vivo è fermo da un anno e a farne le spese sono soprattutto le realtà più piccole: artisti che campano di canzoni senza esserci diventati ricchi, maestranze, locali.
Un settore che per la maggior parte dell’opinione pubblica non esiste, un settore che la politica sta deliberatamente ignorando e che, nel bene e nel male, può contare del supporto di una piccola parte di popolazione che con #UltimoConcerto era stata chiamata a contribuire. Alcuni, dopo averlo fatto, hanno ritenuto l’iniziativa mal riuscita/formulata.
Le questioni a questo punto sono due.
1) Davvero chi ha deciso di partecipare a questa iniziativa aveva bisogno di realizzare che da un anno i concerti sono fermi? Non stiamo parlando di Sanremo, il cui pubblico è composto anche da tantissime persone che con la musica entrano in contatto giusto una settimana l’anno perchè se la ritrovano su Rai1. Quello sì che può essere un pubblico inconsapevole, da sensibilizzare, non quello che si è connesso ‘sta sera per supportare il Bloom di Mezzago o i Gazebo Penguins. Per questo sono tra le persone che reputano l’iniziativa fuori fuoco, ma posso tranquillamente sbagliarmi, il che ci porta diretti al punto
2) Giusto o sbagliato che sia il punto di vista di chi ha partecipato e si è preso male, siamo sicuri sia stata una bella mossa tirarsi contro una parte della già esigua porzione di popolazione a cui fregava qualcosa del discorso iniziale?
Magari questa operazione farà il botto e darà la sveglia a chi di dovere, risolvendo il problema (non ci credo manco un po’, ma sarei felicissimo di sbagliarmi), ma ipotizziamo non sia così. Immaginiamo sia necessario continuare a parlare del problema, tenere viva la questione e fare sempre più rumore.
Alla prossima convocazione ci sarà più o meno gente? 

Giorni fa quando ho iniziato a sentir parlare di questa cosa dell’ultimo concerto ho provato ad informarmi su twitter.
La prima domanda è stata: “Ok, come posso supportare? Posso pagare un biglietto?” e questo perchè mi è sembrato naturale pensare che per fare qualcosa che desse una mano, una buona idea fosse anche contribuire economicamente.
Forse è anche per quello che mi è venuta la bestemmite a leggere tutti i pistolotti rivolti a chi si lamentava perchè “Eh, pensavi di vederti il tuo bel concertino gratuito e invece suchi perchè la musica si paga e qui c’è gente che non sta lavorando etc…”. Per carità, è ovvio che interessata ci fosse anche gente del genere, ma mi pare un po’ paraculo scegliere di fare questa cosa gratuitamente per poi rigirare il fatto che fosse gratuita come argomentazione trasversale contro chiunque si stesse lamentando.
A sto punto fallo comunque a pagamento, cazzo.
Ognuno degli iscritti versa il contributo al locale/gruppo che vuole supportare via paypal. Offerta libera, così non ti perdi il volume delle persone che hanno partecipato solo perchè era gratis.
Alla fine fai la stessa identica cosa, ma dici anche: “Ehi, se vuoi il rimborso chiedilo, ma se vuoi dare una mano e hai capito il senso di tutto questo, lasciaci i soldi”. Non lo so, almeno sarebbe servito a qualcosa oltre il far scannare tra loro persone che, magari in modi diversi, hanno fatto sì che servisse una pandemia per far chiudere i locali di musica dal vivo e non l’assenza di mercato.
Fare qualcosa di concreto, di utile.
Felson l’ha spiegato molto meglio di me in questo tweet.

Bon, questo è.
L’altro giorno leggevo una bella intervista di Kappa che tra i problemi lamentava anche la mancata coesione all’interno di quel mondo in crisi, che ha portato come sempre accade ad una riduzione del potere di farsi ascoltare. Lo stesso Kappa, neanche due settimane dopo, è tra quelli che da dentro #UltimoConcerto ha risposto in maniera più violenta alle lamentele di chi, in ogni caso, invece di guardarsi la Juve o attaccarsi a Netflix aveva pensato di supportare un’iniziativa pro settore musica.
E allora boh, capisco che quando le cose buttano male saltino i nervi, capisco che alla fine se tutti ti ignorano e devi sfogare la frustrazione, finisci ad accanirti con chi ti stava dando retta, ma non nel modo in cui avresti voluto.
Capisco tutto e tutti.
Però, per me, così non se ne esce.
Non dico migliori, intendo proprio in piedi e respiranti.

NBA All-Star Game 2021

Alla fine anche quest’anno l’NBA organizzerà l’All-Star game ed è una cosa che io personalmente avevo dato per scontato non avrebbero fatto. Un po’ perchè lo spirito dell’ASG è quello di una festa, che perde tantissimo se non ha spettatori, ma soprattutto perchè fermare l’NBA per una settimana mentre ci sono una montagna di partite da recuperare mi sembra davvero una mossa incomprensibile.
Oggi però ho visto il link delle votazioni e quindi mi sono fiondato ad esercitare le mie pick, come ogni anno.

E come ogni anno, facciamo anche una piccola spiega.
Partiamo da OVEST.
Sulle due guardie ho sentimenti piuttosto contrastanti. Doncic è fortissimo, davvero un giocatore pazzesco, ma in questo inizio di stagione sto vedendo cose di lui che non mi piacciono tanto. La prima è lo stato di forma con cui si è presentato ai blocchi di partenza, che tutt’ora mi pare rivedibile, la seconda è il record dei Mavs al momento (8-10 al momento in cui scrivo), abbastanza sotto le mie aspettative, e la terza, che è quella che pesa di più, è che si sta un po’ “barbizzando” nello stile di gioco e nella scelta dei tiri e questa non è una cosa che mi fa impazzire. E’ fortissimo e giovanissimo, speriamo evolva in un tipo di giocatore diverso. Discorso Morant invece meno “tecnico” e più di cuore: Memphis ha saltato metà delle partite causa COVID e della metà che ha giocato, lui è stato fuori praticamente sempre per infortunio. Ja Morant è però il mio giocatore preferito dell’NBA attuale, per tantissimi motivi, quindi lo voto come augurio perchè possa rientrare e spaccare tutto.
Andiamo alle ali. Mi è costato una fatica boia mettere in squadra Leonard, perchè mi sta davvero tanto sulle palle, tuttavia quest’anno sta mettendo insieme una qualità ed una quantità che sono impossibili da ignorare solo per antipatia e quindi un posto in squadra glielo si dà. Con lui metto sfodero le torri gemelle: Nikola Jokic e Rudy Gobert. Il primo, vabbeh, sta giocando una stagione surreale e sarebbe scandaloso prendesse meno del 100% dei voti. Il secondo invece lo porto dopo un ballottaggio con Ayton, voto simpatia, ma effettivamente un po’ regalato, e Wood, che a numeri meriterebbe in carrozza, ma è pur sempre Wood. Tra i due, la media perfetta è Gobert, che è un giocatore che non stona tra gli All-Star, sta comunque giocando un’ottima stagione e tutto sommato dopo la questione COVID dello scorso anno è stato massacrato pure troppo.
Passiamo a EST.
E’ vero, Washington sta facendo schifo oltre ogni ragionevole giustificazione e quindi un po’ mi secca mettere Beal in quintetto, ma lui sta giocando ad un livello che non è davvero possibile ignorare senza sentirsi almeno un po’ in colpa. Nella prima stesura era fuori, ma in questa finale ce l’ho rimesso ed è giusto così. Insieme a lui metto Brown perchè ha fatto un salto di qualità pazzesco e per quanto Boston sembri sempre un po’ troppo poco concreta come contender, anche alla luce dei risultati scorsi, forse sarà proprio lui a cambiare rotta ai Celtics 2021.
Reparto lunghi. Come sta giocando Sabonis? Cioè, seriamente, che stagione sta facendo Domantas Sabonis? Pazzesco, come è pazzesco anche questo inizio di stagione per Julione Randle, capace di portare una franchigia completamente senza senso ad un record quasi decente. Posto garantito ad entrambi quindi, con buona pace di KD che avrebbe tutto il diritto di rientrare nella selezione, ma sta nella squadra più odiosa della storia del gioco e deve scontarle tutte, ivi compreso il non vincere un cazzo. Gufare i Nets unica vera ragion d’essere di questa stagione NBA. Ultimo posto in quintetto quindi per Embiid, sia perchè sta giocando anche lui con una continuità notevole, sia perchè Phila è forse, tra le contender a est, quella che ha fatto vedere le cose migliori fino a qui e se lo ha fatto è soprattutto merito suo.
Quindi ecco, questi sono i miei quintetti e quest’anno non c’è stato troppo da pensarci su.
Adesso cerco di capire quando e se si gioca sta pagliacciata.

Ho dato via un disco di Kevin Devine

Giorni fa mi sono messo a “ripulire” la mia collezione di dischi, un po’ per questioni di spazio, un po’ perchè tra i diversi CD che ho sul mobile ce n’erano alcuni che non avevano motivo di esserci. Certa roba vecchissima ereditata da mia moglie, ma che lei in primis non sa dire cosa ci facesse sullo scaffale e altra roba che mi è arrivata nei pochi anni in cui ho recensito dischi. 
Di quest’ultima categoria fa parte anche un disco piuttosto carino di Kevin Devine, che però ho comunque deciso di dare via.
Il motivo è che ho un problema etico con Kevin Devine e adesso provo a spiegarvelo.

KD è stato per tantissimo tempo legato ai Brand New, giravano insieme, erano amici. Soprattutto con Jesse. Wikipedia dice anche che al cantautore ha giovato questo legame, per costruire la propria fanbase e la propria carriera. 
Riporto integralmente (fonte): “Devine was able to gather a strong fan base as a result of his exposure through touring with Brand New (who were also formerly signed to Triple Crown Records). First appearing as their opening act on their 2004 spring tour, Devine made a small splash among their fan base; however, opening for them again in April 2006 and joining their 2007 Spring tour with Manchester Orchestra greatly increased his fan base and affected his career. Devine also toured solo with Jesse Lacey of Brand New.
Nulla di male eh, anzi. 
Sono le cose belle del far parte di una scena: supportarsi, tirarsi fuori, fare gruppo.
Nel novembre 2017 però sono venute fuori le accuse a Jesse da parte di alcune fan, accuse di cui ho parlato qui ai tempi e su cui non voglio tornare. I Brand New avrebbero dovuto suonare a Londra poco dopo, con Kevin Devine come sempre al seguito.
Fu lui primo a comunicare, tramite Facebook, di non voler più prendere parte a quel tour. 

Ognuno sulla questione ha la propria visione. Quello che Jesse ha fatto non lo so, quello che si dice abbia fatto è terribile. A differenza di altri non ci sono state ripercussioni concrete e io tendo ad essere garantista, ma è ampiamente difficile ipotizzare che una storia del genere emerga senza fondamenta reali.
Quando è uscita, tantissimi all’interno della scena hanno iniziato a parlare di Jesse e della sua condotta, come fosse un gigantesco non detto di cui tutti erano a conoscenza da tempo e di cui nessuno aveva mai trovato la forza di parlare.
Lo sapevano tutti quindi, tranne chi ha passato con Jesse tantissimo tempo in tour e in studio, definendolo in più riprese “un amico”.
Questa cosa a me fa un po’ schifo.
Quando uscirono le accuse verso Kevin Spacey, Netflix cancellò immediatamente House of Cards ed uscirono tantissime accuse di comportamenti tossici dell’attore sul set dello show. Per me, che sono persona eccessivamente netta, delle due, l’una: le accuse sono vere e Netlfix ha sempre saputo chi avesse in casa, ma non ha mai voluto mettere mano al problema fino a che è stato inevitabile, oppure le accuse sono false e Netflix ha preso decisioni unicamente sulla base del moto popolare, negando qualsiasi supporto al proprio attore per non avere contraccolpi di immagine ulteriori.
In entrambi i casi è un comportamento orribile, ma Netflix è un azienda e Spacey un dipendente, posso capire le cose vadano in quel modo in un rapporto di lavoro.
Non in una scena, non tra amici.
Se non hai i coglioni per rivendicare un’amicizia quando è dura, sei un uomo da poco e mi fai un po’ schifo.
Quindi il tuo disco lo do volentieri via, senza rimpianti.

La mia testa funziona così.
Per quanto rivendichi ogni cosa che ho scritto fin qui, sarei ipocrita a tenere altre considerazioni fuori dalla fotografia. 
Con ogni probabilità, c’è da tener presente che la brutta fine dei Brand New io l’ho vissuta malissimo e forse un bersaglio su cui convogliare il mio livore mi serve più che altro per gestire la perdita. Scegliere Kevin Devine per lo scopo è più semplice che scegliere Jesse, perchè alla fine della fiera le canzoni dei Brand New per me sono ancora oggi una cosa indiscutibile, mentre di quelle di KD posso fare a meno. Razionalmente è uno stronzo, quindi funziona bene anche inconsciamente come valvola di sfogo, e pazienza se togliendo lui dall’orribile equazione che dà come risultato la morte dei Brand New, il risultato non cambierebbe, basta non pensarci troppo.
Mille anni fa ero preso bene per il secondo disco dei Lostprophets, poi come il resto del mondo ho scoperto che Ian Watkins è un uomo di merda che deve marcire in galera (dove effettivamente è stato rinchiuso, nota non marginale).
Da allora non ho più avuto la forza di mettere il disco e quando passo in rassegna i CD per ripescare qualcosa che non ascolto da anni, il loro lo salto sempre di proposito. Anche se mi andrebbe, magari, mi forzo a lasciarlo stare.
Il disco però è ancora sul mobile, non l’ho dato via.
Come dicevo, la mia testa funziona così.
Male, probabilmente.

Di Whatsapp, Facebook, annunci pubblicitari e altre ovvietà

Se c’è una roba a cui sono radicalmente contrario sono le armi giocattolo.
Non starò qui a tirare pipponi sul perchè, non credo sia difficile da intuire anche per chi non la pensa come me, prendiamolo come punto di partenza per un discorso diverso.
In casa mia armi giocattolo non ne entrano, i bambini non ne hanno mai chieste, non è qualcosa di cui si parla o che può capitare di cercare su Google o Amazon perchè, ovviamente, non regaliamo neanche agli altri cose a cui siamo contrari.
Durante le feste, in una delle chat Whatsapp che condivido con amici, uno di loro ha girato la foto in cui imbraccia una sorta di mega cannonazzo regalato al figlio.
Qualcuno gli ha risposto pensando fosse una pistola ad acqua, lui ha precisato che no, era una pistola e basta.
Io non sono intervenuto, perchè l’argomento come detto non mi interessa. Non ho commentato, non ho scritto nulla in merito e dopo qualche messaggio si è passati a parlare d’altro, come normale.
Da allora, su Facebook, sono tempestato da annunci come questo:

La prima volta mi è balzato all’occhio proprio perchè qualcosa di davvero molto lontano da me e così ho iniziato a farci caso. Da allora me lo ritrovo ormai in Facebook su base quotidiana e credo sia lo stesso cannone della foto, o comunque una roba molto simile.
Allora mi è sorta una domanda: è una coincidenza che Facebook abbia iniziato a promuovere a me quel tipo di prodotto, una roba che non trovo neanche tra i consigli sul mio profilo Amazon, proprio dopo quella discussione avuta su Whatsapp?
E’ una roba un pochino paranoica, cospirazionista, così ho pensato che probabilmente ci fosse una spiegazione dietro un po’ più semplice e ho chiesto a twitter.

Qui tocca fare un piccolo inciso.
Il 90% delle risposte che mi sono arrivate era una rielaborazione del concetto: “beh ma ovvio zio”. Siccome chi mi risponde è gente che mi segue da un po’, l’essere trattato come un coglione probabilmente dice più di me di quanto dica di chi mi ha risposto, oltretutto visto che hanno risposto in diversi.

La prima ondata di interazioni arrivatami sottolineava che Whatsapp e Facebook fossero parte dello stesso gruppo/azienda. Questa cosa (che incredibilmente sapevo anche io che vivo a Gessate) per alcuni è sufficiente a giustificare che una conversazione privata tra amici venga letta da un algoritmo, profilata ed utilizzata per scopi commerciali e di marketing.
Una parte del mio lavoro è legata all’utilizzo di dati utente e quindi ho dovuto  (e devo tutt’ora) occuparmi di GDPR. In azienda abbiamo un consulente, ovviamente, perchè non ho le competenze per capire le cose da me, ma mi rifaccio a quello che mi è stato spiegato e se c’è una cosa chiara è che i DATI PERSONALI non possono essere utilizzati o condivisi* senza richiesta di consenso, che deve essere chiaro, esplicito e preciso (tipo una richiesta specifica per ogni utilizzo). Non mi interessa entrare in quel dettaglio, il dubbio però è che il contenuto delle conversazioni non è quello che io associo al concetto di “dati personali”. I dati sono quelli anagrafici, di posizione, eventuali foto profilo ecc…, ma quello che scrivo nelle mie conversazioni private deve essere e restare privato.
O almeno credo.
Chiarito il fatto che non sia formalmente sufficiente che due aziende appartengano allo stesso gruppo perchè si scambino i miei dati come pare a loro, sono iniziate ad arrivare le mie risposte preferite:
“Sarà probabilmente scritto nella policy che nessuno legge”.
Oh, è vero, sono il primo a non averla letta eh.
Però se faccio una domanda a cui non è evidentemente obbligatorio rispondere, o hai letto la policy e mi dici “E’ scritto lì” e allora stai fornendo elementi utili alla discussione, oppure CHE CAZZO SERVE?
Posso ipotizzare da me che ci sia scritto nella policy che lo fanno, se lo fanno.
Lì ho un filo sbroccato.

In ogni caso, anche solo per rispondere stizzito a chi mi scriveva sta cosa (vi amo tutti, non abbiatene a male <3) sono andato a leggermela io quella cazzo di policy e recita quanto segue:

Quindi NO, se Whatsapp e Facebook scansionano le mie discussioni private per profilarmi a livello commerciale, lo stanno facendo senza dirlo apertamente.

Ma lo stanno davvero facendo?
Probabilmente no. E’ vero che la potenza di questi colossi è tale da poter piegare spesso le regole (o ignorarle proprio), ma è anche vero che su questo tema specifico probabilmente avrebbero più da perdere che da guadagnare facendo una cosa così apertamente contraria alle normative. Inoltre credo che ci siano persone ben più sgamate di me (eufemismo), in ambito informatico oltretutto, che uno “scandalo” di questo tipo probabilmente l’avrebbero già portato a galla, magari facendoci sopra dei bei soldi.
Mentre sbroccavo su questo post e rispondevo su twitter come fossi su un forum nel 2003, fortunatamente qualcuno ha capito cosa andassi cercando e mi ha fornito una spiegazione plausibile, che per la legge tanto cara ad Occam probabilmente è anche quella più vicina alla verità:

Bingo!
Il mio profilo utente, quello sì cannibalizzato apertamente da qualsiasi azienda per i peggio scopi commerciali, probabilmente clusterizza (sì, lo so, ma avete capito) con altri in cui quel tipo di ricerca è comune. Aggiungiamoci il fatto che, appunto, fossimo sotto Natale e quindi che moltissimi padri della mia età cercassero quel tipo di regalo su Amazon ed ecco spiegata la “coincidenza” anche da un punto di vista di timing.
Il motivo per cui Amazon non mi mostra quei suggerimenti quando sto sul loro sito è probabilmente dovuto al fatto che loro hanno dati molto più centrati da usare e possono essere più vicini alle mie reali esigenze. As simple as that.
Certo, la prova provata che sia così non ce l’ho, ma mi sembra una spiegazione migliore di quella che vede multinazionali giganti agire contro la legge, impunite.
Ad essere onesto, in questo momento sono più colpito da quante persone invece diano per scontato di essere al centro di quel tipo di trattamento e lo ritengano addirittura scontato.
A cominciare da me eh, prima di fermarmi a pensare e chiedere aiuto a chi ne sa di più.

*Nota: ero convinto, quello sì, che Facebook e Whatsapp potessero condividere tra loro dati personali senza violare GDPR. E’ anche scritto nella loro policy, se ho letto bene, ma in realtà non è del tutto vero. Quest’altra info utile arriva invece da Ale-Bu e Felson. Thx!

The Great Dismal

Ieri ho pubblicato la classifica dei dischi del 2020 e, come ovvio accadesse, dopo undici mesi e tre quarti a non trovare niente di rilevante in quello che ascoltavo, oggi mi è saltato fuori questo disco qui su FB.
Mentre scrivo sono immerso nel primo ascolto e mi sembra un disco superlativo, quindi ho deciso di farci sopra un minipost perchè, oltretutto, aggiungendo questo disco alla mia Top 5 porto in equilibrio simbolico i dischi con le chitarre e quelli senza, che è una roba importante.
Un disco shoegaze sul mio blog, 2020 at its finest.

Niente di speciale

La retorica dell’essere speciali ha rotto il cazzo.
Non vuol dire niente, a pensarci. Ognuno di noi è speciale a suo modo e per qualcuno, cosa che rende l’essere speciali tremendamente normale. Se poi parliamo di dischi, il discorso diventa se possibile ancor meno rilevante. Cosa dovrebbe poter rendere un disco “speciale” in senso assoluto?
Niente, appunto.
Adesso vi racconto un disco che hanno scritto dei ragazzi di Perugia che si fan chiamare Elephant Brain. L’ultima traccia, che dà il titolo a tutto il lavoro, chiude così:

Non pensare male
Se tu
Se io
Se noi
Non siamo niente di speciale

Ne parlo perchè non sarà certo un disco speciale, ma è un disco bello. Uno di quei dischi che mi mette la voglia di aprire il blog e buttarmi a sproloquiare opinioni non richieste con l’unica scusa di risentirmelo una volta in più. Come ce ne fosse bisogno.
Dovendo scegliere da dove partire per raccontare queste nove tracce, inizierei dai dettagli più o meno nascosti dentro ognuna, quelle piccole cosine che in questo lavoro sono tutte al posto giusto. Alcune le becchi al volo al primo ascolto, altre magari le noti dopo un po’. Alcune a me sono scoppiate in testa dopo tantissimi ascolti, all’improvviso, magari mentre avevo il pezzo in sottofondo e lo stavo ascoltando distrattamente, un po’ come quando becchi i typo di quel che scrivi non ad una rilettura attenta, ma a cazzo due giorni dopo mentre scrolli la pagina.
Prendi le chitarre di Weekend per esempio. Che belle sono le chitarre di Weekend?
C’è un lavoro minuzioso e certosino dentro questo disco, costruito di dettagli che messi in fila fanno la differenza, sia a livello compositivo, che di produzione e suoni che per una volta son davvero cuciti sulle canzoni con una precisione chirurgica (nota polemica, che se no non sono io: leggo che l’ha prodotto Jacopo Gigliotti, ma mettere sti suoni nell’ultimo disco dei FASK no??).
Anche la parte ritmica mi fa abbastanza volare, perchè ancora una volta non fa nulla di speciale, ma trova sempre il modo più azzeccato per rifinire ogni traccia. Prendi la batteria di Soffocare, per esempio. Che bella è la batteria di Soffocare? Anzi, che bella è Soffocare in toto, con quella sua strizzatina d’occhio ai Touché Amoré che non credo possa essere involontaria neanche se vengono qui a giurarmelo di persona.
Ecco, un’altra cosa bella di questo disco è che coi riferimenti pesca in roba meno immediatamente associabile al genere che spinge. E’ facile infatti associarlo proprio ai sopracitati Fast Animals and Slow Kids, come macroarea: alt-rock in italiano con un buon tiro e di derivazione più punk che indie, volendo ipersemplificare. A differenza dei primi però, gli EB sporcano tutti i posti giusti con tonnellate di sfumature emoeggianti, sia di stampo più mid-west come gli arpeggini di Scappare Sempre e Restiamo quando ve ne andate, sia di tradizione più nostrana come i cori grassi e caciaroni che ci sono sempre in Restiamo quando ve ne andate o in L’unica cosa che conta davvero per me
Che bella è L’unica cosa che conta davvero per me?
Alla fine del disco, Niente di Speciale sfuma in un ticchettio di chitarra che è lo stesso con cui si apre Quando finirà, dando quel senso di ciclicità che, personalmente, mi soddisfa sempre parecchio e che poi altro non è che una scusa per ricominciare da capo e sentire tutto una volta in più. Come se ce ne fosse bisogno.

Niente di Speciale degli Elephant Brain sta su Spotify da qualche tempo e anche su bandcamp. Io l’ho comprato proprio su bandcamp, dove ci sono dei bellissimi bundle per voi nostalgici del vinile. Io che invece sono fissato coi CD la maglietta me la sono presa a parte. Ho comprato tutto esattamente il giorno prima del bandcamp friday, come un boomer qualsiasi.
Lo metto in streaming qui sotto, così almeno vi fate un’idea visto che di quel che ho scritto io probabilmente non si capisce nulla.

Cobra Kai

Era tanto tempo che non divoravo una serie TV.
Le ultime serie che ho approcciato le ho mollate quasi tutte per strada e se ripenso alle ultime sessioni di binge watching vero l’unica cosa che mi viene in mente è il rewatch di Scrubs*. Non esistono più serie interessanti? Non credo, ma sono diventato tremendamente pigro e soffro un po’ l’effetto buffet di fronte ai cataloghi sconfinati di Netflix e compagnia. Tantissime portate, la curiosità di vederle tutte, ma al contempo il terrore di iniziare una cosa che non mi piace e quindi sprecare tempo prezioso che posso invece dedicare ad attività molto più sensate tipo il refresh compulsivo del mio feed Twitter.
Ne usciremo tutti migliori, dicevano.
Ad ogni modo la scorsa settimana è uscita su Netflix Cobra Kai, la serie che racconta le avventure di Johnny Lawrence dopo Karate Kid e ho deciso di guardarla con Paola. Ne avevo sentito parlare bene già ai tempi in cui uscì su youtube, ma non avevo mai approfondito perchè convinto prima o poi di poterla vedere, solo che a distanza di anni ancora non l’avevo fatto. Un side effect noioso che le piattaforme di streaming legale hanno avuto su di me è la totale mancanza di sbattimento nel voler vedere roba pirata. La pazienza di trovare i link, la qualità che spesso fa schifo, le pubblicità ed i rischi per la sicurezza informatica: tutte menate che i servizi a pagamento ti risparmiano, viziandoti. Per questo ormai o una roba esce in uno dei siti che pago (al momento Amazon Prime Video, Netflix e Disney+) oppure per me non esiste. Sono un anziano e gli anziani, oltre a divagare continuamente mentre scrivono il loro blog, sono pigri.
Tornando sul punto, sto giro se dio vuole per rimanerci, due giorni fa io e la Polly abbiamo approcciato questa nuova serie finendoci dentro con tutte le scarpe e guardando due stagioni in grossomodo un giorno e mezzo. Il motivo è semplice: è una serie stupenda.
Ok, la prima stagione è stupenda, la seconda piuttosto sotto tono, ma ha comunque i suoi momenti ed un buon finale e quindi nel complesso promuovo anche quella.
Quel che fa Cobra Kai è essenzialmente prendere l’idea alla base di una gag pensata dagli sceneggiatori di How I Met Your Mother (ref.) e farci sopra una serie vera e propria in cui si prova a guardare il mondo con gli occhi del cattivo, per scoprire che WHAT A SURPRISE la realtà è un po’ più complessa di quel che poteva apparire e quindi che è sempre utile provare ad analizzare tutti i punti di vista di una storia prima di parlare di buoni e cattivi, visto che la storia la scrivono i vincitori. Lo so, uno legge una cosa del genere e pensa che lo step successivo a Cobra Kai sia “Mussolini ha fatto anche cose buone”, ma non è lì che voglio andare a parare. La cosa interessante nel vedere le cose da più prospettive è che si può trovare conferma dell’impressione iniziale e corroborarla con uno spessore nuovo. E il Johnny Lawrence di Cobra Kai non è tanto diverso da quello del film, non diventa magicamente “un buono”, però è un po’ meno bidimensionale e fa affiorare le ragioni alla base dei suoi comportamenti sbagliati permettendo di empatizzare e quindi aprendo la porta ad una certa autocritica sociale: se empatizzi con gli stronzi e ne comprendi le ragioni, sei un po’ stronzo anche tu. Come è stronzo Daniel LaRusso che però, a differenza dello spettatore, è radicato nella sua convinzione di stare dalla parte del bene per via di tutti quei pistolotti zen di Miyagi, vede il mondo unicamente dalla sua prospettiva e non realizza quanto sia bullo e prevaricatore pure lui, invaso di una autoassoluzione che trova pari solo in Adinolfi e nei Talebani. La serie si gioca tutta lì: non vuole rivalutare nessuno, sposta solo il confine tra buoni e cattivi (anzi, diciamo che praticamente lo toglie) e infila tutti sullo stesso piano, cosa che fanno notare grossomodo tutti i personaggi di contorno, a turno. Perchè non è una serie particolarmente sottile eh, non pensiate ci voglia chissà quale bilancino per misurarne i contenuti. E’ scritta in indelebile a punta grossa, ma è scritta bene.
Il motivo per cui però vale davvero la pena guardare Cobra Kai è che è davvero uno spasso. Durante la prima stagione, soprattutto, io ho riso tantissimo (e pure mia moglie). E poi, finalmente, non è un prodotto hipster che prende l’estetica anni ’80 e la ricicla unicamente per moda e senza alcun tipo di necessità reale (penso a 13 o Stranger Things, per esempio). Qui gli anni ’80 hanno un peso specifico serio e, come Johnny Lawrence, vengono ripescati e presentati nella prospettiva giusta, che spesso li espone ad un giudizio severo, ma altre volte spinge a riflettere su quanta ipocrisia ci sia in chi li vuole denigare a priori. La chiave di lettura infatti è anche quella: il messaggio machista del cinema e della TV anni ’80 è evidentemente uscito sconfitto dal giudizio del tempo, viva dio, ma non per questo oggi lo si deve guardare come ad un male assoluto e degenere capace di produrre solo disadattati e persone prive di capacità relazionali. Anzi, forse la risposta a quel tipo di cultura ha spostato il piano eccessivamente oltre, creando nuove problematiche e fragilità a cui quel tipo di approccio, diciamo alpha, potrebbe fare del bene. Insomma, l’importante è trovare un equilibrio e usare la testa, invece di tapparsi occhi e orecchie gridando “è sbagliato e basta”.
Io almeno l’ho letta così.
Per chiudere, se devo dare un riferimento di cosa sia Cobra Kai, per me la similitudine migliore è “L’ispettore Coliandro del karate”, perchè per quanto le serie siano diverse tra loro, hanno il medesimo scopo e due protagonisti scritti con la carta carbone.
– Buone queste banane fritte.
– Sono platani.
– Ah, qui le chiamiamo BANANE.
Se non è una battuta di Coliandro questa allora non avete mai visto Coliandro. E non è l’unica.

* Sì, ho riguardato Scrubs e mi è piaciuto di nuovo perchè sono una persona orribile che non riesce a cambiare prospettiva sul mondo come dovrebbero fare tutte le persone cool e veramente di sinistra. My bad.

Burzum

Non so bene perchè, ma ad una certa Burzum è diventato un fenomeno pop, credo in maniera piuttosto analoga a quanto è successo al logo dei Black Flag, anche se nel caso di Burzum non mi risultano ruoli attivi da parte di Fergie.
Burzum, che di nome fa Varg Vikernes, è stato uno dei musicisti cardine del movimento black metal scandinavo, oltre ad uno con come minimo qualche problema di testa e di sicuro qualche problema con la giustizia. Non mi ha mai interessato più di tanto approfondire il personaggio, la sua storia, e tracciare limiti più definiti tra le cose che ha fatto, quelle che si dice abbia fatto e quelle che lui sostiene di aver fatto. Potrebbero tranquillamente essere tre insiemi privi di intersezioni, per quanto ne so. In fin dei conti parliamo di uno che fa musica che ho speso larga parte della mia vita a disprezzare ed osteggiare.
Perchè ne parlo, allora?
Facile, perchè oggi il tizio se n’è uscito con questo tweet:

In pratica Burzum se ne sta a fare quello che immagino faccia di solito, ovvero dissertare di supremazia, elitarismo e cultura della razza, solo che si trova al cospetto di tanti, a suo giudizio troppi, nazisti della domenica che non hanno capito nulla della questione. Capitelo: parliamo di un misantropo sociopatico che sta bene a suo agio unicamente nei boschi che si trova costantemente assediato da situazionisti impuri che pensano di essere dalla sua parte quando è evidente non solo che non ci dovrebbero stare, ma che lui non ce li vuole.
E’ normale inizi a mettere i puntini sulle svastiche.
Prima facendo notare come l’italiano tipo, che Burzum ha identificato in Aranzulla probabilmente dopo un crosscheck tra numero di follower e info su wikipedia*, non abbia connotati prettamente europei, poi gettando il cuore oltre l’ostacolo e tirando in mezzo addirittura Salvini, trovandolo effettivamente poco credibile nella sua veste sovranista.
I risvolti poetici di tutta questa faccenda mi sembrano evidenti, ma si può ridere ancora di più andando a leggere tutti i vari tweet collegati alla vicenda, tra cui il mio preferito in assoluto è probabilmente questo:

So che non sarebbe il caso di ridere di gente del genere, ma io resto convinto che quello di Burzum sia un grandissimo messaggio: “smettetela di fare i suprematisti, inferiori di merda.”
Per qualcuno questa roba non dovrebbe stare su twitter e forse ha anche ragione, però da persona adulta a me fa sempre piacere quando i nazisti lo sono apertamente e dichiaratamente, tipo sti due idioti. Mi fanno molta più paura (e trovo molto più pericolosi) quelli che non lo danno a vedere.
Un saggio diceva che non dovremmo permettere ai nazisti di togliersi l’uniforme e fingere di non esserlo.
Onestamente non mi sento di dargli torto.

* gag.

Marco Crepaldi

Avevo deciso di lasciar passare la questione Marco Crepaldi senza metterci becco perché online “litigo” già abbastanza di mio sul tema della parità di genere, ma poi ho scoperto che lui è uno dei ragazzi di Dunkest e quindi ho deciso di approfondire.
Per iniziare quindi sono andato a vedermi il suo video:

A questo video sono seguiti, come forse ipotizzabile, una catena di eventi: critiche da un lato e campagne di supporto dall’altro che presto, se non subito, sono diventate insulti e benzina nello scenario della guerra tra sessi di cui ancora tantissima gente sente il bisogno.
Ora quindi mi prendo uno spazio per dire la mia.

Non credo sia un segreto la mia visione non sia tanto distante da quella di Marco. Un dilagante senso di avversione generalizzato verso il genere maschile esiste e sui social è abbastanza palpabile. Viene fuori ogni volta che si vira sull’argomento “parità di genere”, ma ormai è facile imbattercisi anche fuori contesto, se ammettiamo ci sia un contesto dove è lecito aspettarselo.
Uno degli ultimi tweet di questo tipo con cui ho interagito personalmente è questo:

Una generalizzazione a cazzo di cane che con bersaglio l’altro sesso (o un’etnia) farebbe quantomeno storcere il naso, ma che in questo caso dovremmo farci andar bene sulla base del fatto che “il sessismo nei confronti degli uomini non esiste“. Quando leggo cose di questo tipo, generalmente, mi incazzo, ma non per il motivo che si potrebbe pensare.
Non mi pesa il giudizio su di me, mi pesa il fatto che provando a mettere in discussione generalizzazioni di questo tipo si finisce per doversi smarcare da accuse di servilismo verso il patriarcato o di maschilismo proattivo, trattati alla stregua di chi vorrebbe la donna unicamente come oggetto sessuale o di cura domestica. Sono più che disposto ad essere attaccato per quel che penso e dico, decisamente meno per le generalizzazioni che da quel che penso e dico possono scaturire in chi ascolta e ancora meno per il semplice fatto di essere nato maschio. La vivo talmente male che quando sono in argomento ormai mi sento costretto ogni volta a mille precisazioni e distinguo, volti unicamente a tenere il punto circoscritto all’opinione specifica e non allo spettro di possibili deduzioni sbagliate che dall’opinione potrebbero scaturire. Il risultato è che chi mi legge pensa che mi stia giustificando, che stia mettendo le mani avanti stile “non sono maschilista, MA…”.
Ecco, il primo concetto che vorrei passasse da questo post è che forse quel che c’è prima del MA non conta, ma certamente conta quel che c’è dopo quindi sarebbe meglio prestare attenzione e valutare se davvero elimini il NON o semplicemente provi a spostare il discorso su un livello meno banale o assoluto.

L’integralismo a cui faccio riferimento poi ha l’aggravante di andare a singhiozzo, almeno sui social. Non posso avere un’opinione sulla questione delle donne che combattono il patriarcato non depilandosi* perché “sono uomo e non posso capire”, ma non mi è mai ancora successo di intervenire in una discussione sulla parità di genere sostenendo le parti “femministe” e venire trattato nello stesso modo. La mia opinione non è rilevante solo quando è disallineata.
Qui arriva il secondo punto che mi preme mettere in questo post. A me le persone che pensano si debba essere parte di una minoranza afflitta per comprenderne le ragioni spaventano. Dimostrano non solo assenza di empatia, ma anche un tremendo egoismo. Io sono piuttosto felice di espormi in favore di qualcuno che ha problemi che io non ho e non credo che non avere un problema equivalga a non poterlo comprendere. Certo da fuori posso necessitare di una guida o di spunti che potrei effettivamente non considerare dal mio punto di partenza, ma in quel caso vorrei me li si spiegasse invece di dirmi che non ho voce in capitolo.
L’impressione che ho, nella mia bolla social, è che le posizioni si stiano radicalizzando. Forse è una risposta al dilagare delle destre o del fronte populista, probabilmente anche io sono più netto di qualche anno fa nel rimarcare cosa sta dalla parte del giusto e cosa no, ma mi pare che la conseguenza principale di questo fenomeno sia che una mega guerra fratricida in cui spendiamo più tempo a fare la punta al cazzo di chi non è abbastanza dalla nostra parte rispetto a quello che investiamo nel fronteggiare chi sta dall’altra. Ci chiudiamo in un recinto in cui tutto ciò che non è perfettamente sovrapponibile a noi sta fuori e va osteggiato nello stesso modo e con la stessa forza. E’ una roba che non capisco e non mi piace, forse perchè la cosa del “Molti nemici, molto onore” mi ha sempre fatto cagare.

Arriviamo adesso a quello che forse mi separa da Marco. Ha senso farsi promotori di una campagna come quella che ha provato a portare avanti lui, nell’ambiente in cui ha provato a portarla avanti lui? Non lo so.
Come detto, io per primo non perdo occasione di infilarmi in quelle discussioni ogni volta che posso e provare a veicolare il messaggio, ma continuo a pensare che le proporzioni del fenomeno non siano tali da renderlo pericoloso quanto lui suggerisce. Per me si tratta più che altro di dare la sveglia a chi passa il limite, lui ne fa argomento di studio e da quel che dice siamo già andati oltre i “pochi casi isolati” e siamo saltati a piedi pari nel “Fenomeno in espansione”. Non ho strumenti per contraddirlo, però anche fosse: è davvero lecito parlare del problema oggi, in Italia? Ovviamente è sempre lecito parlarne, diciamo allora “legittimo”. Diciamo che se non posso comprendere o tollerare gli insulti che gli hanno rivolto, posso comprendere il ragionamento alla base per cui lamentarsi della misandria possa risultare “irrispettoso” in un ambiente in cui la misoginia è un problema decisamente più presente, radicato ed allarmante.
Lui dice chiaramente: “Non stiamo facendo una gara al problema più grave” ed ha ragione, però credo sia anche questione di sensibilità.
Io credo che chi in Italia è in cassa integrazione da Marzo e fatica ad arrivare a fine mese abbia un problema reale e concreto, ma forse non troverei corretto da parte sua lamentarsene al centro di un villaggio africano in cui le persone mangiano due volte a settimana. Non lo so, magari la differenza tra quel che fa lui e quel che faccio io è solo nella mia testa, può essere, ma io ancora la vedo.

Concludendo, a conti fatti questo fenomeno non è altro che una manifestazione tra le tante di quella che in sociologia è nota come Legge Juvenuts:

Una larga maggioranza dei tifosi non juventini non auspica un calcio più equo, vorrebbe solo che la sua squadra, un giorno, diventasse la Juve.


* Ovviamente ho un’opinione in merito alle donne che combattono il patriarcato non depilandosi e sono ben felice di illustrarla: facciano come vogliono, ovviamente.
Tuttavia non serve un genio per comprendere che il patriarcato può aver anche influenzato i canoni di bellezza estetica alle donne verso standard tossici, MA:
1) depilarsi non credo rientri in questi standard essendo di fatto accessibile a TUTTE senza limitazioni fisiche, metaboliche, ecc.
2) tutti quotidianamente siamo sottoposti a pressione sociale per le nostre apparenze, non solo le donne. La libertà di una donna di andare in giro coi peli sotto le ascelle è la stessa che ho io di farmi i capelli fucsia come a diciannove anni. Nessuno ce lo vieta, ma se abbiamo più di diciannove anni capiamo che per quanto formalmente insindacabile sia il nostro diritto, la società non ci permette di esercitarlo e farne una battaglia forse rientra nel focalizzarsi sulle stronzate che non sono propriamente il first world problem, col rischio concreto di far perdere di significato tutta la battaglia agli occhi di chi già era scettico di suo. Tipo: se il problema della parità di genere sono i peli delle ascelle, la parità di genere non è un problema. Lo so, è un ragionamento limitato, ma stiamo parlando di chi ha problemi nel vedere le disuguaglianze di genere, ci aspettiamo qualcosa di meglio? Forse prima sarebbe il caso di prioritizzare (altro concetto che sopra i diciannove anni dovremmo tutti essere in grado di comprendere) e portare la percezione di disuguaglianza alla popolazione nel suo complesso, usando esempi ben più significativi.
3) Il problema alla fine si riduce comunque al fatto che noi uomini, in realtà, di pressione sociale non ne facciamo manco un po’ verso i canoni estetici, perchè alla fine nessuno rinuncerà mai a una sco*ata per quattro peli (per quanto disgustosi) e questo è l’unico motivo reale per cui la situazione è ancora in discussione e non è morta immediatamente. Checchè leggiate in giro “Non ho bisogno di piacere agli uomini, mi tengo i peli” la realtà è che se coi peli avessero la certezza di non piacere più a nessuno, starebbero in coda dall’estetista per la definitiva.
Col punto 3 forse vi sto trollando.

Contromano in tangenziale

ATTENZIONE: questo è uno di quei post in cui mi parlo addosso con lo scopo ultimo di cavar fuori una direzione al mio complicato modo di essere. Lo scrivo per lettori che non esistono, ma che ipotizzo eviterebbero volentieri di finire a leggere una cosa così senza preavviso.

La barzelletta di quello che guida contromano in tangenziale la conosciamo tutti:
+ La radio: “Avvistato un pazzo contromano in tangenziale…”
+ Uomo al volante: “Uno? A me sembrano tantissimi!”
Fa ridere.
Però io ci vivo dentro.

Il mio problema è che non sono matto a sufficienza da pensare di essere l’unico nel giusto, sempre e comunque, ma contemporaneamente non riesco a capire come faccia la maggioranza delle persone con cui interagisco a non vedere il mondo come lo vedo io. La testa, programmata per ragionare con logica, mi porta a pensare sia io quello sbagliato, eppure la stessa logica spesso non mi permette di trovare l’errore. E questo porta al crash del sistema.
Una canzone che mi piace dice:

Mio nonno
Per quasi settant’anni
È stato in minoranza
E sta benissimo!

È una bella frase e Dio solo sa quanto mi piacerebbe fosse applicabile alla mia vita. Purtroppo non è così: io la vivo male.
L’ultimo ambito in cui mi sto scontrando con le persone che frequento, da amici, a colleghi, a persone con cui in qualche modo interagisco online è la situazione relativa all’infezione da coronavirus che stiamo vivendo, ma è davvero solo un altro esempio di una routine in cui mi trovo a sedermi dal lato opposto della maggioranza dei miei conoscenti e investo ore nel tentativo di discuterne.
Vista da fuori è facile: è il profilo tipico di quello che gode nell’andare contro tutti, ma la realtà dei fatti (per lo meno a livello conscio) è esattamente all’opposto. Allora perché faccio così? Non lo so.
Di solito inizio a ragionare su un argomento a partire dagli elementi che ho in mano, costruendomi un’opinione che poi uso per dibattere col prossimo. Questo mi serve per approfondire, dare spessore al mio punto di vista ed irrobustirlo, oppure cambiarlo. Non so se sia cosí per tutti, ma per me funziona.
Ci sono volte (rare, imho) in cui però sono sufficientemente convinto di quanto sostengo da volerlo spiegare a tutti. Boh, forse è un retaggio evangelico della mia educazione cattolica, cazzo ne so. Il punto è che mi ci sbatto e quando fallisco di norma mi deprimo.
Il motivo ho provato a spiegarlo fuori contesto giorni fa su twitter:

Il problema infatti è che non mi metto mai a discutere con chi so a priori non possa farcela a seguire il discorso (a mio insindacabile e del tutto soggettivo giudizio), io punto solo su cavalli che stimo, gente che penso possa capire e che, se non arriverà a sposare la mia linea, nella mia testa lo farà argomentando in modo dettagliato ed univoco, fornendomi spunti di riflessione magari nuovi a cui non avevo pensato in partenza.
Quanto ci credo? Nel 100% dei casi.
Quanto succede? Non ho fatto un conto, ma la percezione sta intorno al 10-20%.
Eppure insisto.
Ogni cazzo di volta.
E così accumulo delusioni, amarezza e senso di inopportuno.

Sono le 2:49.
Questo post ho iniziato a scriverlo dopo essermi sfogato con quella santa di mia moglie, che alla 1:00 di tutto aveva voglia, tranne che di sentirsi vomitare addosso le mie menate esistenziali, soprattutto se derivanti dall’ennesima discussione su twitter con un estraneo.
Non sono per nulla convinto, razionalmente, di non essere io lo scemo del villaggio.
Eppure non riesco a prendere in considerazione la cosa e continuo a sentirmi come il tizio che corre sicuro di sé, contromano, in tangenziale.