Il doveroso saluto a Steps, neoacquisto della comunità blogger e prossima aggiunta alla lista dei miei link, e l’impegno per ora messo nel tentativo di realizzare un Tattoo per la Bri (alternativo a quello da lei deciso) non potranno distrarmi dal vero e preannunciato scopo di questa paginetta.
So straight ahead and let’s talk about music!
Stare al passo di tutti i CD che sono usciti o che ho deciso di procurarmi seppur vecchiotti in questo periodo è impresa titanica.
Troppa carne al fuoco, troppo poco tempo a disposizione, troppo spesso prodotti non convincenti al primo ascolto e quando si hanno tanti dischi da ascoltare, il primo ascolto è decisivo: se il prodotto non convince dal principio è facilissimo accantonarlo per dar spazio ad altra roba.
Spesso mi capita che a distanza di tempo quegli album accantonati con eccessiva fretta mi ritornino per le mani in momenti di stanca o di piattume sonoro, ma nessuno può dire se sarà così anche questa volta.
Vedremo.
Bando alle ciance e via di approccio metodico/analitico.
Potrei addirittura fare un elenco puntato.
No, sarebbe eccessivo, vado per paragrafi.
Spero di riuscire ad essere breve.
Biffy Clyro – Puzzle
Sto letteralmente consumando questo CD e più lo sento più mi convinco che sia uno dei migliori capitatimi per le mani nel 2007, se non il migliore in assoluto. Se dovessi descriverlo direi che suona come il figlio nato dallo stupro dei Jimmy Eat World da parte dei Maximo Park. Per i fruitori della musica indie di questi anni ( che poi di indie ha giusto il nome) probabilmente non sarà nulla di che, ma a me che questo indie proprio non lo sopporto piace a dismisura.
Darkest Hour – Deliver us
Il percorso dei Darkest Hour è giunto al capolinea. La lunga e tortuosa strada che porta dall’hardcore al metal è stata percorsa fino in fondo. Ci sono voluti quattro dischi per passare dal suono di “So Sedated, So Secure” a quello di quest’ultimo lavoro, quattro dischi in cui il demone del trash/death metal ha saputo ritagliarsi sempre più spazio a colpi di riff e doppio pedale rullante, fino a prendere definitivamente il controllo della situazione. “Deliver Us” è il CD più tamarro che si possa reperire in casa mia, almeno da quando ho eliminato “City of Evil” degli Avenged Sevenfold. Io lo odio, il metal, eppure questo disco mi piace e non so che cazzo farci. Questo continuo susseguirsi di assoli mi sta rubando l’anima insieme ai dannati cori melodici che i Darkest Hour hanno deciso di introdurre nel loro sound. Già mi vedo con i capelli lunghi, il chiodo e la maglietta dei metallica. Che schifo.
Silverstein – Arrivals and departures
Qui essere breve è facile. Questo disco è identico al precedente. Drammaticamente identico. Ora, se loro non hanno nulla di nuovo da dire, perchè dovrei io?
MxPx – Secret weapon
Disco sorpresa. Per quanto mi riguarda gli MxPx sono “Life in General” e “Slowly going the way of the buffalos”, tutto ciò che è venuto dopo o prima non l’ho mai considerato più di tanto. Devo ammettere però che quando tempo fa uscì “Panic” dentro di me pensai: “Ok, gli MxPx non sono più loro ormai da tempo, però in quanto a melodie cagano in testa all’80% dei gruppi pop-punk dei giorni nostri raccogliendo un centesimo del consenso”. Questa cosa la penso tutt’ora, anche perchè “Hear that sound” da sola metteva e mette tutt’ora in riga l’intera produzione pseudopunk del nuovo millennio, tuttavia quello che non avrei mai immaginato è che i tre anzianotti potessero tornare a suonare qualcosa che, almeno a me, ricordi così tanto ciò che gli MxPx sono stati nei gloriosi ’90. Questo non vuol dire che “Secret weapon” sia un CD “100% old style”, ma almeno può sembrare suonato dalla stessa band che ho amato da giovane. Può non essere molto, ma a me basta ed avanza per promuovere questo disco a pieni voti.
Mae – Singularity
Sarò sincero, l’ho spento alla quinta traccia. Insulso. Magari questo sarà uno dei casi in cui potrò smentirmi in futuro, ma per farlo dovrei rimettermi nell’ottica di ascoltare questo disco e non credo sia una cosa facile per il momento.
The Used – Lies for the liars
I The Used appartengono alla stessa famiglia dei Silverstein, famiglia con un male congenito che sta facendo avvizzire l’albero genealogico in maniera drammaticamente veloce. A differenza dei cugini però, loro provano a non lasciarsi morire e curano il loro suono con un po’ tutto ciò che di trendy c’è al momento. Non so quanto questo possa essere stato un tentativo disperato ed irrazionale oppure una furba e studiata mossa a tavolino, sta di fatto che l’accozzaglia di suoni che ne è uscita a me piace. Certo, se ripenso al “Self Titled” da loro licenziato ormai troppi anni fa, la voglia è di spezzare il nuovo disco a metà, tuttavia inserito nel contesto attuale del genere è a mio avviso più che dignitoso. In alcune tracce però sembrano i Fallout Boy e questo non posso proprio perdonarglielo. L’ago della bilancia sarà la prova live. Li aspetto al varco.
Fightstar – One day son, this will all be yours
Ok, l’ho ascoltato alle 3 di notte. Avevo sonno. Mi sono addormentato a metà. Questi sono buoni motivi per dargli un’altra possibilità, ma non ripongo nella cosa molta fiducia. Purtoppo la diagnosi è la stessa dei Silverstein: disco fotocopia, idee finite ed una preoccupante tendenza al cliche.
Vanilla Sky – Changes
Spreco di banda dell’aDSL. E pirla io che l’ho scaricato per sentire le tracce cantate da Mark Hoppus. Dio mio, quanto ancora soffro per la fine dei Blink.
Strung Out – Blackhawks over Los Angeles
Disco mezza sorpresa. Dopo “Exile in Oblivion” pensavo non sarei più riuscito ad ascoltare un CD degli Strung Out dall’inizio alla fine e questo nuovo lavoro mi ha smentito. Troppo poco per salvarlo però, quando sull’altro piatto della bilancia ci si mettono “Twisted by design” e “Subhurban teenage wasteland blues”.
Direi che come recensione può bastare. Alla fine la valutazione complessiva delle release del 2007 fino ad ora non è negativa, durante l’estate ho sicuramente avuto roba da sentire a sufficienza.
Il fatto che con tutti questi dischi io mi sia gettato anima e corpo per tutto Agosto su “Rode hard and put away wet” dei Diesel Boy (2001) suscita in me non poche domande.
A tutte queste domande c’è un’unica risposta.
“Me and Kate”.