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Due giorni dopo

Non è che mi sia passata.
C’è un qualcosa, nelle partite della nazionale, che mi coinvolge ad un livello emotivo superiore. E’ sempre stato così, devo dire, ma negli ultimi dieci anni credo la cosa si sia ulteriormente inspessita a causa del doversi relazionare con un sacco di persone straniere, tutte ovviamente provenienti da Paesi che contano. Quelli civili, puliti, onesti, dove la gente è educata e i politici non sono corrotti. Non sono brutte persone, anzi, molti sono anche amici, però non possono fare a meno di farti sentire “sfortunato” quando ti parlano. C’è chi sa farlo meglio, in maniera più sottile, e chi invece per cultura riesce meno a velare il messaggio, ma in generale è una cosa abbastanza trasversale.
Io non sono mai stato nazionalista in senso stretto, però ho questa sorta di reazione protettiva nei confronti dell’Italia quando a parlarne sono gli stranieri. E’ un po’ come quando qualcuno di esterno alla compagnia dei miei amici si permette qualche commento poco carino su uno di loro. Di solito sono morose e mogli, non per forza di cose altrui. Io lo posso dire che ho degli amici imbecilli (<3) perchè me li sorbisco da trent’anni e li conosco bene. Altri non ne hanno il titolo.
Ecco, per l’Italia vale il medesimo discorso. La prendo sul personale.
Ora, lo so benissimo che cercare rivalsa nel calcio è quanto di più puerile, immaturo e illogico ci possa essere, però è qualcosa che mi viene dal cuore e che non riesco proprio a soffocare.
Italia vs. Germania è chiaramente l’apice di questo mio fervore, per ovvie ragioni insite per il 5% nel mio percorso di vita e per il 95% nella natura e nell’indole del popolo tedesco.

Non essendo interista, nella sconfitta non trovo particolare giovamento richiamando alla memoria i fasti del passato. Ho visto in giro gente che a poco dalla conclusione della partita pubblicava sui social la semifinale del 2006. Trovo la cosa piuttosto triste. Abbiamo perso. Gira il cazzo, tantissimo, ma è un risultato che ci portiamo a casa e che non si può discutere. Oltretutto crea un precedente.
I valori in campo, sabato sera, erano spropositatamente sbilanciati in favore dei nostri avversari. Se è stata la partita che è stata, se non abbiamo perso nei 90′ regolamentari, credo si debba ai meriti dei nostri ragazzi (su cui torno dopo), ma anche alla paura dei tedeschi. Paura legittima perchè, in fin dei conti, per loro incontrare l’Italia è sempre significato tornare a casa. Ecco quindi che, mio malgrado, tocca anche inquadrare in quest’ottica le dichiarazioni che hanno rilasciato a fine partita. Hanno parlato con l’euforia di chi fino a quell’ultimo rigore ha avuto paura di perdere ancora una volta. Poi certo, la loro simpatia riesce sempre a venir fuori prepotente, ma se li sentite arroganti non è per sicumera, ma per sollievo.
Il che non mi esime dal leggere certe dichiarazioni e pensare il più classico dei “Le vostre madri…”, ma quello è tutt’altro discorso.
Sta di fatto che ora che hanno vinto questa paura non ci sarà più, la prossima volta, e se i valori restano quelli attuali per noi credo possa solo essere peggio. Certo, prima o poi sarebbe dovuto succedere, ma siamo stati a tanto così perchè ancora una volta fosse poi.
Sono stati, ad onor del vero, perchè il merito è di questi qui.

Verrebbe facile mettersi a fare il giochino di dire “senza google, quanti ne riconosci?”. Potrebbe dare soddisfazioni persino dopo un mese di sovraesposizione mediatica, cosa che lascia facilmente intendere come fosse la situazione prima che il circo dell’europeo iniziasse.
L’armata Brancaleone.
Un gruppo costruito su una difesa fortissima, come da tradizione, con a supporto però la più bassa densità di talento mai vista in una nazionale italiana. Una squadra capace di azzerare ogni aspettativa e velleità anche solo leggendone la rosa. Questa analisi non è stata stravolta dai risultati ottenuti. Aver giocato bene, aver battuto la Spagna ed essersela giocata fino ai rigori coi campioni del Mondo non rende l’italia una squadra di talento. Quello che Conte è stato in grado di fare è cementare un gruppo e far diventare la sua idea di calcio una visione condivisa, una missione per cui dare tutto, dando ad ognuno degli scarsotti in rosa l’illusione di potersi redimere dalla propria condizione di “giocatore modesto” ed innalzarsi a “campione”. Credo Pellé sia l’esempio più eclatante, in tal senso.
Graziano Pellè ha trent’anni e non ha mai giocato nel calcio che conta. Mai. Nemmeno i suoi parenti più stretti possono pensare sia un fenomeno incompreso, un talento restato in ombra per via del destino cinico e baro. Eppure in questo europeo ha giocato in maniera superlativa. Io non vedevo un centravanti così dal vecchio millennio. Non si limitava a mettere giù la palla e difenderla, ma la giocava sempre. Sempre. Sponde, spizzate, per una volta c’era un centravanti capace non solo di accasciarsi reclamando una punizione atta a far salire la squadra (quello che per gli esperti è il metodo Gilardino, di cui Balotelli oggi è il più grande profeta in patria), ma di creare gioco con un tocco, anticipando il difensore e creando spazi. Un europeo da incorniciare, fino al rigore.
Anche se io per primo lo prenderei a frustate per quel rigore, è impossibile non vedere nel suo gesto di sfida a Neuer il tentativo, quantomai goffo, di dissimulare la paura vera che provava in quel momento, con nei piedi la palla di un 3-1 che sapeva di passaggio del turno. Non è un caso se, in partita, l’unico che si è preso la responsabilità di tirare un rigore pesantissimo è stato Bonucci.
Oggi sono tutti bravi a sfottere, l’ironia del web sempre più moderna piaga d’Egitto, ma non c’è davvero nulla da ridere.
Abbiamo perso con la Germania e a me, due giorni dopo, girano ancora i coglioni.

I am a nightmare

La vita, a quanto pare, è quella cosa che succede tra il release di un pezzo nuovo dei Brand New ed il successivo.
Dall’ultima volta sono successe un po’ di robe, in effetti: ho cambiato casa, ho allargato la famiglia, ho imparato a tagliare il prato, mio figlio ha imparato a camminare, son pure stato promosso al lavoro. Sembra giri bene, per quanto faccia sempre paura dirlo.
Oggi ho ascoltato “I am a nightmare”.
Mi ci son volute le consuete dodici ore per metabolizzare l’idea di cliccare play ed accettare la possibilità di rimanere deluso, ma alla fine ce l’ho fatta. Ed è andata bene. Il nuovo singolo dei Brand New è la cosa che meno ci si potrebbe aspettare dai Brand New, è una canzone che prende bene. Tipo i pezzi di “Your favorite weapon”.
Quindi boh, forse anche a Jesse gira bene ultimamente. Da quel che ho letto in giro sembrerebbe di sì.
Ieri su BASTONATE usciva un articolo che, tra le varie cose, dice che un musicista che sta male produce tendenzialmente musica migliore. Io non sono del tutto allineato, a me piace un botto di roba scritta da gente che tutto sommato si diverte e non ha problemi nel darlo a vedere (anzi, la merda di solito arriva quando se ne va il divertimento), ma se dovessi pensare ad un esempio per corroborare la tesi del pezzo, i Brand New sarebbero la prima immagine a venirmi in mente.
Nel loro caso, anche io temevo che senza malessere sarebbe mancato l’ingrediente principale.
Invece no.
Poi magari il testo di questo nuovo singolo è la roba più disperata di sempre, io mica sono andato a leggerlo. Mi bastano quelle chitarre lì, quel riffettino lì e quel “I am a nightmare and you are a miracle” per prenderlo come un pezzo pieno di sole cose belle. Che poi è il motivo per cui se un quadro astratto mi piace non son così interessato a sapere il messaggio di chi l’ha dipinto. Vedo i colori, le forme e se stanno bene insieme io lo guardo volentieri. Poi magari per l’artista rappresenta la madre morta male, ma quello è a tutti gli effetti un problema suo.
Ha senso?
Per me ne ha.
Si continua a vivere quindi, tra un pezzo dei Brand New ad un altro, e forse è quasi bello che sia così piuttosto che avere un disco da dover affrontare tutto insieme, fatto di emozioni ed immagini diverse che ti arrivano in faccia simultaneamente. Non lo so. E’ probabile abbia scritto una cazzata.
George R.R. Martin, tanto per tornare ad un argomento ormai inflazionato su questo blog, da anni fa uscire qua e là capitoli dei suoi libri (l’ultimo proprio ieri, per chiudere il cerchio. Niente link, non qui sopra. Mai più.) e nel suo caso l’operazione mi manda ai matti. Ma proprio che gli auguro ogni male, mi son pure fatto bannare dalla sua community scrivendogli che il prossimo libro l’avrei pagato un euro alla volta in dieci anni (true story).
Forse il problema è mio e nella scarsa coerenza con cui approccio operazioni simili sulla base di chi le mette in atto, o forse son cose molto diverse che ho accomunato a cazzo io in chiusura di post. Non ho una risposta e temo il pezzo se ne stia andando dove non deve.
Ricapitolo, quindi.
E’ uscito un nuovo pezzo dei Brand New.
E’ bello.
Niente da aggiungere.

Negli occhi di chi guarda

Questa mattina ho visto un’immagine pubblicata da uno degli account social del Bayern.

Ho riso.
L’ho proprio trovata ben pensata, divertente e al tempo stesso giustamente carica dal punto di vista agonistico.
Così ho deciso di condividerla con gli amici con cui di solito parlo di sport e, soprattutto, con i gobbi.
Il primo che mi risponde, ovviamente, se l’é presa. Conosco tanta gente che vive il calcio con questo attaccamento morboso per cui toccagli tutto, ma non la Juve. Ce ne sono probabilmente di tutte le squadre, ma tra le mie conoscenze sono soprattutto gobbi. Quindi lui se l’é presa perché, credo, sotto sotto sa che sta sera sono sfavoriti (eufemismo). Posso capire. Mi dice: “E se l’avessero fatto al Milan?” e io rispondo che tutto sommato difficilmente ci sono avversari che possono sfottere il Milan più di me, ma conoscendo il livello di attaccamento continuo a comprendere la reazione. Poi però mi dice: “E poi Aushwitz potevano risparmiarsela…” e io li sbrocco e gli do del cretino (in simpatia eh).
Come cazzo si fa a pensare ad Auschwitz per una roba del genere?
Passano alcune ore e lo stesso amico mi manda la pagina di Tuttosport che si lamenta adducendo la stessa associazione.
Io gli rispondo che non avevo necessità mi dimostrasse di non essere l’unico cretino al mondo, ma via via che passa il tempo sento sempre più persone, anche non juventine, uscirsene con questa cosa e allora mi inizia a montare il nervoso vero. Reale.
Partiamo da un presupposto direi inconfutabile: chi si sarebbe mai sognato di pensare ad una simile associazione di idee se la squadra in questione non fosse stata tedesca? Nessuno.
Questo perché non c’è nessun appiglio logico, nessun sottotesto, niente che possa giustificare l’associazione mentale coi campi di sterminio se non il fatto che il Bayern è una squadra tedesca. È solo un triste cliché che arriva drammaticamente fuori tempo massimo.
È assolutamente possibile che il padre di chi ha pensato l’immagine non fosse nato ai tempi del nazismo. Non lui eh, suo padre. Sono passati quasi cent’anni, santodio. Non dico certamente che si debba dimenticare, ma magari se un ragazzo tedesco parla di treni nel 2016 e noi pensiamo ad Auschwitz, ecco, MAGARI il problema siamo noi e i nostri stereotipi del cazzo.
Che poi chi si é scandalizzato oggi sarà pronto domani ad incazzarsi perché all’estero qualcuno lo associa a Berlusconi o alla Mafia (separatamente, gli stereotipi non sono così dettagliati).
Ed è giusto.
Io ho passato anni ad incazzarmi coi tedeschi per la storia della mafia tirata fuori senza motivo ogni due per tre. E quelli di loro a cui tenevo spiegare la cosa, una volta capito quanto potesse essere offensivo mi dicevano: “È come se tu mi dessi del nazista solo perché son tedesco”.
Ci arrivavano persino loro!*
E mi pare assurdo star qui a prendere le loro difese, ma ecco, se c’è qualcuno che dovrebbe scusarsi oggi è chi ha offeso il Bayern con un’associazione mentale assurda.
Non certo il contrario.

*questo è un inside joke che esplicito per evitare fraintendimenti con chi legge, visto il livello della discussione.

Ve l’ho già (P)detto!

Sta sera ho aperto la posta e ci ho trovato questa email:

Cioè, sul serio?
Ancora?
Siamo nel 2016, l’Italia è il più arretrato tra gli stati considerati civili e quella che dovrebbe essere la forza progressista del Paese sta ancora lì a cercare legittimazione per fare qualcosa di sinistra?
SIAMO FAVOREVOLI!
“Eccola la mia dichiarazione, la prenda e se la schiaffi su per il culo!” per dirla alla Jimmy Dix.
Se poi qualcuno tra gli elettori non fosse della stessa idea, beh, che voti qualche altro partito, se mai prima o poi in Italia si tornerá a votare.
Avete rotto i coglioni, che sono quelle appendici simbolo di coraggio e determinazione di cui siete evidentemente privi.
E mi gira il cazzo perché di questa cosa abbiamo già parlato.
Ve l’avevo già detto.
Questo nuovo sondare la base mi fa pensare (temere, più che altro) che davvero le scimmie urlatrici che compongono il M5S vi abbiano tolto le castagne dal fuoco con quella cagata del dietrofront sul canguro (sorvolo sul fatto che si parli di canguri e supercanguri quando sul piatto ci sono i diritti e la vita di molte persone, ma solo perché sono un signore.).
È davvero ora di smetterla.
Fate questa legge, in fretta e senza parlare, possibilmente.
A discriminare destra e sinistra nel mondo globalizzato in cui viviamo sono rimasti pochi punti, lo spazio di manovra è esiguo. Almeno dove è possibile, fate qualcosa di sinistra, (P)Diomadonna.

Check

Sono le 18:28 di Lunedì 29 Febbraio e, se non pubblico questo post, sarà il primo mese in undici anni in cui non metto online neanche un articolo.
Non una tragedia, si può pensare, e invece è qualcosa che ci va abbastanza vicino perché nel momento in cui non sentirò più la pressione a pubblicare almeno un post al mese, questo spazio inizierà a sgretolarsi per finire abbandonato e desolante da qualche parte nel web. Tipo Serialmente, ma senza essere mai stato utile a nessuno.
Non una tragedia, di nuovo, ma a me dispiacerebbe abbastanza e quindi devo pubblicare un articolo entro le prossime 5 ore e mezza.
Non è che in questo Febbraio non sia successo nulla eh. Mio figlio sta in piedi da solo e ha imparato l’arte del finger pointing, ma non è che puoi scriverci sopra un post. Una volta scrivevo della mia vita, ma siamo nel duemilasedici e, insomma, scrivere della propria vita ormai è una roba da vecchi. Soprattutto se si è vecchi.
Valutiamo quindi le alternative:
– Musica. Non ho ascoltato dischi.
– Cinema. Ho visto dei film. Alcuni belli, tipo Creed, alcuni molto belli, tipo La Grande Scommessa, e alcuni abbastanza deludenti, tipo Hatefull Eight. Ieri c’è stata pure la notte degli oscar. Hanno derubato Stallone di una statuetta sacrosanta e nessuno ha detto nulla, tutti impegnati a celebrare Dicaprio. No guarda, di cinema meglio non parlare.
– Attualità. A differenza del PD non credo ci sia più niente da discutere e valutare in termini di diritti paritari e unioni civili.
– Sport. Non è che abbia mai davvero scritto di sport. Il Milan ha vinto il derby 3 a 0, ma forse era Gennaio. Boh. In ogni caso sarebbe come festeggiare per aver trovato 10 euro in terra dopo essere stati derubati di tutti i propri averi.
– Libri. Ho letto Il Cartello e sto rileggendo Il Potere del Cane. Fatelo pure voi. Non ne scrivo così potete iniziare subito, senza perdere tempo.
– Scienza. In inghilterra hanno approvato l’utilizzo di tecniche di genome editing su embrioni umani. Posso mai parlarne in questo post? No. Magari nei prossimi giorni, che così sistemo anche Marzo.
– Altro. Non mi viene in mente altro.
Sono le 19,06 e il counter dice 361 parole. Potrebbe pure bastare così no?
Massí dai.
Chiudo con una riflessione: che brutto mondo è quello in cui io continuo non curante a sprecare spazio virtuale con un blog e chi invece avrebbe tutti i titoli e le capacità per farlo stacca?
Eggiá.

MTV Generation

Disclaimer: il titolo di questo post va pronunciato come foste Fred Durst.

Ieri su twitter è partito un fenomeno di revisionismo storico a tema MTV, il canale musicale che ha fatto da sfondo ai pomeriggi di moltissimi ex-ragazzi che oggi navigano nell’intorno dei 35 anni. Alla base di questa ondata di ricordi c’è la notizia vera o presunta dell’imminente ribrendizzazione (che bella parola, soprattutto scritta così, scevra di qualsiasi riferimento anglofono) di quello che oggi è il canale in chiaro di MTV, ovvero MTV8.
Premesse d’obbligo:
– Non ho idea se la notizia sia, appunto, vera o presunta.
– Non ho idea se MTV8 sia davvero un canale esistente oggi sul digitale terrestre, nè se questo sia davvero il discendente di MTV.
– In generale se ci fosse un decimo del fact checking sbandierato per sta vicenda in una qualsiasi delle situazioni della vita che richiederebbero davvero un fact checking, si starebbe tutti meglio.

Il punto è che al grido di #AddioMTV molti di noi si sono sentiti in diritto ti ripescare a piene mani dalla memoria per tirare fuori aneddoti e ricordi appartenuti ad un tempo in cui si stava tutti meglio. E quando ce la lasciamo scappare un’occasione per scivolare nella dolce malinconia dei giorni che furono? Io personalmente mai. Credo di aver iniziato con questa attitudine che ero ancora minorenne. Una vita proiettata costantemente indietro, che ha come faro il nume tutelare del “quando eravamo giovani”: Max Pezzali.
Così via libera a citazioni, immagini e ripescaggi improbabili. Certo, ogni cinque twit in argomento toccava leggere l’immancabile intervento di quello che “Eh, MTV è morta da dieci anni e ve ne accorgete solo ora” che ci sta nella misura in cui il mondo è evidentemente sovrappopolato, ma tutto sommato seguendo l’hashtag di cui sopra saltavano fuori robine di un certo spessore.

E quindi eccomi qui, col pensiero che forse due parole su MTV sarebbe anche carino scriverle.
Io MTV l’ho guardata tanto, davvero tanto, dai primi anni novanta fino ad un punto imprecisato in mezzo agli anni zero. Scrivo sforzandomi di non usare google per ricordare come andò, ma se la memoria non mi inganna è possibile la guardassi prima che nascesse ufficialmente come MTV Italia, cosa a quanto pare successa nel 1997 (sì, ok, ho usato google alla prima frase dopo aver detto che non l’avrei fatto. That’s me.).
Negli anni novanta tenere sotto controllo i canali musicali era di vitale importanza, perchè delineavano la linea netta ed incontrovertibile che separa il bene dal male. Tutto ciò che passava su MTV era commerciale e la roba commerciale andava disprezzata. Un manifesto chiaro, preciso ed inappuntabile.
Ai tempi della dicotomia MTV / TMC2 era al più lecito seguire la seconda, almeno per quanto riguarda la mia etica personale, ma ancora una volta unicamente sulla spinta dell’antagonismo radicale verso i VJs, TRL e compagnia. Che poi, se MTV Italia è nata nel 1997 e TMC2 è morta tipo nel 2000 (sto giro non googolo, ricordo di aver seguito l’ultimo giorno di trasmissioni su TMC2 con un forte dispiacere e di averne parlato alla mia morosa di allora che, giustamente, pensava fossi scemo a dare tutto sto peso alla cosa.), la battle of the brands (mi escono così) è stata molto più breve di quel che ricordassi.
Dicevamo, MTV come parametro di riferimento per dare una faccia al nemico. D’altra parte, lo dicevano pure i NOFX nel booklet di Heavy Petting Zoo: “No Thanks to: MTV” e siccome il nemico dei miei idoli era il mio nemico, discussione chiusa.
Col tempo però mi sono ammorbidito un tot nei confronti del canale musicale per antonomasia e ho iniziato a trovarci del buono. Tipo:

Ecco, lei era buona.
Mi ricordo ancora quando una sera partì un programma in diretta da Roma e condotto da Mao, non saprei dire il titolo, e Valeria, da sempre bionda, si presentò in studio mora, spiegandomi nel dettaglio il concetto di amore.
E’ un peccato che tra noi le cose non abbiano funzionato e lei si sia ostinata ad ignorare la mia esistenza negli anni in cui ero single (non proprio 2 su 34 eh, carina, avresti avuto margine cazzo…). C’est la vie.
Tornando ai lati positivi di MTV, il primo ed inarrivabile è l’avermi permesso di vedere Scrubs. Non so se vi ricordate la campagna mediatica con cui MTV aveva spinto il lancio della serie. Ne parlavano sempre, a tutte le ore ed in ogni contesto. Clip a sorpresa ogni 15′. Un martello. Quell’anno facevo già l’università e uscivo tutte le sere. Andavo con gli amici nel parcheggio di fronte a casa eh, non proprio nella movida milanese, ma ero fuori sempre. Tranne il giovedì, perchè c’era Scrubs. Le prime due stagioni di Scrubs sono la cosa migliore mai uscita da un televisore. Poi è diventato “solo” una roba oltremodo divertente, ma le prime due stagioni CAPOLAVORO, col caps lock.
Se lo chiedete a me MTV ha sempre dato soddisfazione soprattutto quando non trasmetteva musica.

Non solo però. Ad un certo punto, ad anni zero ormai inoltrati, la sera mi guardavo Brand: New e Sgrang! (si chiamava così il programma wannabe musica pesa? EDIT: No. Accentosvedese mi ricorda che il programma “peso” di MTV era Superrock. Sgrang! Stava su TMC2.). Ore di sciroppamento di musica alternativa comunque fastidiosa per beccare una tantum un video capace di svoltarti l’esistenza. Tipo. Ma anche. Va riconosciuto che quantomeno quello di Coppola fosse un bel programma. L’unico che ricordi, a conti fatti.

La fascia pomeridiana è sempre stata il peggio, anche una volta conclusa la mia parentesi di antagonismo a priori. Total Request Live. I danni che ha prodotto TRL sono incalcolabili. Erano gli anni del boom dei Blink 182 e Giorgia Surina, che sta alla musica quanto io sto a lei, li accostava a qualunque cosa avesse delle chitarre e/o velleità simpa. “Una cosa alla Blink” passava da elogio a dura critica ogni santo giorno in cui ella volesse spingersi al commento tecnico/tattico su uno dei pezzi passati nel programma. I riferimenti musicali di Giorgia Surina credo si componessero unicamente di U2 e dei tre singoli di Enema of the State. Fine. In coppia con Maccarini e poi con Cattelan riuscì nel non difficile compito di criminalizzare la parola EMO, regalandoci fenomeni come i LOST. Se la morte delle tv musicali implica non dover più assistere a cose tipo questa, è davvero avvenuta troppo tardi. Maccarini l’ho incontrato al Milano Whisky Festival un paio di mesi fa. Chi si sconvolge leggendo che i nati nel ’98 quest’anno diventano maggiorenni (cit.) dovrebbe incontrare per caso Maccarini nel 2016 e dare un senso reale al proprio sconvolgimento.

Una volta sono stato ad un programma di MTV, Supersonic o forse solo Sonic, conduceva Silvestrin. Enri lo usava palesemente per tirar dentro a suonare gruppi che piacevano a lui. La sera in cui ho presenziato io c’erano in cartello gli Undeclinable e Max Gazzè. Ricordo che avevo scritto in redazione chiedendo di poter partecipare per vedere i primi e mi invitarono. Forse perché l’unico (non è vero dai, c’era un altro tipo li per loro e mi aveva tirato un pippone sul dramma della cancellazione della prima data italiana dei New Found Glory.). Andai con Ciccio, che per l’occasione si era preso un paio di adidas che a detta sua avevano solo lui e un qualche personaggio di spicco dell’alternative mondiale. Silvestrin aveva la maglietta dei The Get Up Kids. Io ero probabilmente vestito come al solito. Fu bello, tutto sommato, ed è un peccato non ci siano tracce di quella puntata su youtube. La cosa mi suggerisce che forse non fu mai trasmessa. Ci starebbe.

In qualunque modo la si metta, MTV è stata un pezzo importante della formazione della mia generazione. Non so se fosse il caso di ingigantire una notizia o inventarsi un ipotetica ribrendizzazione (volevo riscriverlo, scusate) per parlarne. Certo è che una paginetta a tema su questo blog ci sta e, senza questa circostanza, probabilmente non sarebbe mai uscita. E forse per una volta sarebbe un peccato perché pur non avendo riletto ho l’idea mi sia uscita benino.

NBA All-Star Game 2016

Come ogni anni, ecco la mia selezione per la partita delle stelle:

Ed ecco anche la consueta imprescindibile spiega, sto giro cercando di essere breve e conciso.

OVEST: partiamo subito con la selezione più complessa. Kobe non credo di averlo mai votato, a memoria, per quel meccanismo che mi porta ad avere in culo tutti i campioni oltremodo superiori agli altri. Sto giro però si merita l’ultimo walzer, come lo meritò MJ nella stagione ai Wizard. Quell’All Star Game tra l’altro, se la memoria non mi inganna, Kobe decise di vincerlo con un quarto periodo di puro furore agonistico proprio per togliere a MJ il gran finale. Come se la cosa potesse in qualche modo ridimensionare il mito. Io i campioni un po’ li schifo, ma Kobe non è che si applichi per risultare simpatico. Il sito NBA decide che Bryant è ala piccola e quindi lo infilo nel reparto lunghi. A fargli compagnia c’è Danilone, che invece voto sempre e comunque col cuore in mano. Di suo lui mi ricambia con un inizio di stagione che per me legittima la scelta molto più che altre volte e quindi a posto così. Nel pitturato ci metto DMC perchè è il mio centro preferito in NBA oggi (parlando di quelli che giocano a basket, ovviamente, perchè in assoluto Javale rimane inarrivabile).
Ora le guardie. Se voti per l’All Star Game e non voti Curry penso ti mandino l’FBI a casa e vorrei evitare. Poi tra quelli inconcepibilmente fuori scala è anche il meno odioso di tutti, quindi bene così. Gli metto di fianco Lillard perchè l’hanno messo a predicare nel deserto, ma resta un giocatore sublime.

EST: anche LeBron è uno di quelli che ho sempre odiato, ma lo scorso anno mi è scattato qualcosa nei suoi confronti. La post season che ha fatto mentre i Cavs si sgretolavano intorno a lui me lo ha messo in altra luce. Resta l’Ibra della pallacanestro, ma gli voglio bene e quindi lo porto. Ovviamente sperando che faccia a Kobe quel che Kobe ha fatto a MJ. Per me fa l’ala grande, perchè a fare l’ala piccola ci metto George, che è un altro giocatorino che scusalo. Rientra da una sosta brutta che però pare davvero alle spalle e si merita le luci della ribalta. Il centro ad est è Drummond perchè 18 – 16.7.
Nel reparto piccoli doveroso dare spazio ad uno dei miei affezionatissimi hornets, che nonostante io reputi una squadra inconcepibile, stanno mettendo lì un record senza senso (siamo SECONDI ad est con il 0.619 in questo momento). Voto Walker perchè è quello che preferisco in formazione dopo Jefferson, che però non posso portare per via dei 18 – 16.7 di cui sopra. Ad affiancarlo ci metto Wall perchè ancora non mi va giù come ha finito la stagione scorsa, con la sfiga della mano rotta in una post season incredibile. Poi oh, è fortissimo.

Questo è quanto.

Rosicare: v. tr. [lat. *rōsĭcare, der. di rōdĕre (part. pass. rōsus) «rodere»]

Se hai un blog come il mio da dieci anni, è evidente che quello che scrivi lo scrivi essenzialmente per te stesso.
Nei ritagli di tempo investi ore per buttare giù impressioni non richieste su ciò che ti circonda e sai già che quel che ne uscirà sarà letto ad andar bene dalle solite dieci persone. Con ogni probabilità, oltretutto, gente a cui volendo quelle cose le puoi dire di persona quando le incontri. Tutti i week end, tipo.
Con questo non voglio dire che non mi interessi essere letto, anzi, ci provo ogni volta a diffondere quel che scrivo il più possibile, ma pur fallendo sistematicamente me la vivo benissimo perchè non è quello lo scopo ultimo.
Di solito.

Ieri ho buttato online un pezzo sulla questione della carne rossa cancerogena. Quel post è nato con un obbiettivo diametralmente diverso, ovvero quello di provare a mettere a disposizione delle informazioni non facilmente reperibili rispetto ad un argomento molto dibattuto su giornali e social.
Mi ci sono sbattuto, per scriverlo: ho raccolto le informazioni, ho riportato le fonti, ho cercato di essere chiaro nell’esposizione e il più completo possibile. Di solito scrivo i pezzi di getto e li pubblico senza post-produzione (a volte rileggo solo dopo essere andato online, per dire), ma questa volta mi son preso più tempo. Ho provato a fare le cose per bene. Leggendo molto di quanto uscito in ambito sui media ho anche la netta impressione di averci messo più impegno io di chi viene pagato per farlo.
Risultato?
Una quindicina di like su FB, qualche commento dalle solite persone. Un mio amico che fa il professore e ha aperto un blog molto carino che parla di fisica ha condiviso il link sul suo wall (grazie, btw). That’s it.
La cosa, per una volta, è frustrante. A differenza di quando scrivo di un disco, di un film, dei cazzi miei o di tutte le altre amenità che si possono trovare qui sopra io non sentivo il bisogno di scrivere quel post. Pensavo solo potesse essere utile. E invece un cazzo.
Che poi magari è successo che chi ha letto il post ha pensato non fosse una roba da condividere. Ci sta eh. Posso aver scritto cose non chiare, o sbagliate o semplicemente non condivisibili. E allora forse mi tira il culo per non aver ricevuto nemmeno uno straccio di riscontro negativo. Manco un insulto.
Credo quindi che la maggior parte delle persone a cui è capitato sotto gli occhi il link del mio pezzo l’abbia semplicemente ignorato e sia passata oltre. Molte sono persone che hanno discusso animatamente dell’argomento, condiviso vignette, battute, pagine complottiste e notizie false, ma che hanno ritenuto non valesse la pena leggere o condividere ciò che avevo da dire. La cosa, sto giro, mi dispiace.
Mi rendo conto che se andassi avanti a scrivere finirei probabilmente per dire robe brutte, biasimare chi mi circonda e passare per quello che si sente migliore degli altri e vive incompreso.
Non che sarebbe un dramma eh.
Dicono che l’albero che cade non faccia rumore se intorno non c’è nessuno ad ascoltare.

“Certo che se ti lagni sempre così è ovvio che nessuno ti legge.”
Hai ragione anche tu.

Credevo fossero i Maya e invece era un prosciutto

E’ notizia di ieri che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization) ha reso pubblico un documento sulle possibili correlazioni tra le carni rosse, processate e non, e l’insorgenza del cancro.
La comunicazione ufficiale è disponibile qui.
Ovviamente (?) tra giornali e social la notizia è stata recepita e diffusa con la solita pacata volontà di analizzare e comprendere e così il risultato è stato, ovviamente (!), il panico mediatico.
Di primo acchito, la mia reazione è stata stata quella espressa alla perfezione da questo twitt che ho letto:

A mente fredda tuttavia ho pensato, probabilmente sbagliando, di poter dire qualcosa di un filo più significativo e dettagliato in merito e quindi ho deciso di riprendere in mano la questione sul blog.
Partiamo dalla base. Lo studio è uscito sulla rivista The Lancet Oncology (Impact Factor 24,69, terza testata per importanza in ambito oncologico) e registrandosi online è possibile scaricare il pdf gratuitamente. Io l’ho fatto, come immagino tutti coloro che si sono espressi in materia, giornali in primis.
Premetto che lo studio clinico di popolazioni non è proprio il mio pane quotidiano, ma quello che hanno fatto i 22 ricercatori coinvolti è analizzare la correlazione tra incidenza di diversi tipi di cancro e consumo di carne rossa / carne rossa processata in popolazioni differenti, con livelli di consumo differenti. To cut a long story short, è emerso che la carne rossa è da considerare tra gli elementi “probabilmente cancerogenici per l’uomo” (Gruppo 2A) mentre la carne processata tra gli elementi “cancerogenici” (Grupppo 1). Ok.
Se vi interessa sapere su che base le sostanze vengano associate alle diverse categorie ora provo a spiegarlo. Essendo una roba noiosa, la metto in corsivo così chi non vuole sapere può saltarla (come se qualcuno fosse arrivato a leggere fino qui, vabbeh). Chi invece volesse una spiegazione davvero dettagliata, può leggerla direttamente alla fonte.

Per attribuire quale livello di “pericolosità” abbia un certo elemento vengono tenuti in considerazione tre aspetti: gli studi di popolazione su casi clinici umani, lo studio in modelli animali e quelle che vengono definite evidenze meccanicistiche. Il risultato dell’analisi del primo aspetto è stato riportato in questi termini: “… a majority of the Working Group concluded that there is sufficient evidence in human beings for the carcinogenicity of the consumption of processed meat. Chance, bias, and confounding could not be ruled out with the same degree of confidence for the data on red meat consumption, since no clear association was seen in several of the high quality studies and residual confounding from other diet and lifestyle risk is difficult to exclude.”.
Per la parte relativa ai dati da modelli animali, la conclusione è la seguente: “There is inadequate evidence in experimental animals for the carcinogenicity of consumption of red meat and of processed meat.”
I dati meccanicistici costituiscono come detto la terza risorsa per la valutazione finale e sono composti di quelle ricerche fatte in laboratorio in cui si parte da certi elementi o certe risposte biologiche, ne si evidenzia la connessione con la patogenesi e di conseguenza il livello di rischio. Ubersemplificando: l’oncogenesi può essere indotta da una certa risposta cellulare ad uno stress -> questo stress è dimostrato in vitro essere causato anche da certe concentrazioni di una sostanza X -> questa sostanza X è presente nella carne in concentrazioni paragonabili a quelle risultate dannose => la carne può indurre oncogenesi. Per questo tipo di analisi, il responso è: “The mechanistic evidence for carcinogenicity was assessed as strong for red meat and moderate for processed meat.”
In generale però, leggendo il testo dell’articolo, si nota come siano comunissime parole come moderate, mild, slight, modest, ecc. questo non per sminuire la portata della ricerca, ma proprio perchè si tratta di piccole variazioni che, tuttavia, essendo statisticamente significative devono essere prese in considerazione.

Quello che è importante capire di tutta questa faccenda, prima ancora di preoccuparci delle conseguenze, è che si tratta di correlazioni statistiche. Come sempre, quando si parla di studi clinici.
L’incidenza del cancro al colon retto è inferiore a 43 individui su 100K, uomini e donne (ref.). La ricerca ci dice che una percentuale significativa di questi casi correla con il consumo di carne rossa, rendendolo quindi un fattore di rischio. Quanti sono però gli individui che mangiano abitualmente un quantitativo di carne superiore alla soglia emersa come limite nello studio? Il cuore della vicenda sta proprio lì: una piccolissima percentuale di chi mangia carne svilippa il cancro e, contemporaneamente, non tutti coloro che sviluppano la patologia lo fanno in relazione a questo fattore di rischio.
Questo studio è quindi una bufala? Affatto. Io non sto svalutando o discutendo quanto emerso dalla ricerca. Se avete questa impressione è perché sto svalutando e discutendo la percezione che avete avuto della ricerca, trasferitavi da chi vi ha riportato la notizia. Questo perché, con ogni probabilità, ve l’hanno riportata male. Io ho solo esplicitato i concetti presenti nell’articolo.
Fino a qui spero mi stiate seguendo, quindi una volta chiarito il punto statistico resta da esaminare la seconda, grossa, variabile da considerare: il dosaggio.
Qualunque effetto biologico sul nostro organismo dipende dal trattamento, certamente, ma vincolato ad un dosaggio e ad un tempo di esposizione. La traduzione é che non basta consumare carne per essere a rischio, ma bisogna consumarne un certo quantitativo per un certo periodo. Ora, nel 2015 davvero c’era ancora qualcuno ignaro del fatto che consumare grandi quantitativi di carne rossa ripetutamente fosse poco salutare? Io non credo. Questo studio non fa che confermare il concetto, anzi, se vogliamo il cancro è solo una delle problematiche che una dieta troppo ricca di carne rossa può comportare.
Ok, ho detto alto consumo e capisco sia un po’ labile come definizione, ma la verità è che per i diversi casi e le diverse conseguenze, i termini possono davvero cambiare moltissimo. Nella ricerca, ad esempio, i danni al DNA imputabili ai NOC contenuti nella carne (poi torno su sta cosa, tranquilli) sono stati associati a consumi che vanno “dai 300g ai 420g al giorno”. Non proprio uno scherzo insomma. In generale però i dati si riferiscono a consumi di 100g al giorno di carne rossa e 50g al giorno di carne rossa processata. Questo è il dosaggio associato all’incremento dell’incidenza (intorno al 18% per entrambi i prodotti). In numeri, per tornare alla statistica di cui sopra, vuol dire 118 carnivori col cancro ogni 100 vegani col cancro. Non sono un drago della statistica, ma credo di non aver scritto stupidate.
Ci siete ancora? Dubito, ma a sto punto insisto e apro a qualche considerazione personale.
Nella ricerca viene chiarito come ovviamente non sia la carne il problema, ma sostanze e metaboliti in essa contenuti, derivanti dal metodo di cottura o, nel caso degli insaccati, di conservazione. La carne bollita è meno nociva di quella alla brace e con ogni probabilità un salame e un prosciutto affumicato avranno caratteristiche molto diverse. Lo studio è stato fatto sui grandi numeri e difficilmente può quindi considerare il dettaglio del tipo di prodotto o della cottura. Sollevare la questione però è utile perché può aprire ad approfondimenti. Riconoscere che certi processi possano rendere la carne più nociva che altri è importante per la produzione industriale, ad esempio, o per la messa in commercio di nuovi prodotti. Ecco perché si fanno questo tipo di ricerche.
Chi pare non averlo capito è il Codacons, che nella persona di Carlo Rienzi oggi se n’è uscito con una richiesta completamente assurda nelle basi e tremendamente dannosa negli sviluppi, ovvero il blocco della commercializzazione di carne rossa e carne rossa processata.
Sulla questione è intervenuta anche il ministro Lorenzin che, tutto sommato, pur parlando un po’ a casaccio di regole di produzione restrittive e altamente controllate per i prodotti italiani, si limita a ribadire l’ovvio, ovvero che una dieta varia ed equilibrata è l’unica vera regola da seguire. Oggi avevo letto un articolo su Repubblica in cui le veniva attribuita la dichiarazione “Consumare carne fresca” e sul momento avevo pensato che la Lorenzin non avesse mezza idea di cosa stesse parlando. Poi ascoltando la dichiarazione linkata qui sopra ho realizzato che, con ogni probabilità, fosse il giornalista di Repubblica ad aver riportato frasi a casaccio e fuori contesto. Non ne ho la prova, potrebbe trattarsi di un altro intervento, ma diciamo che di Repubblica non mi fido più da un po’.
Cosa resta da dire?
Non molto, grazie al cielo.
Fun fact: nell’articolo che riporta lo studio si trovano frasi come “Red meat contains high biological value proteins and important micronutrients such as B vitamins, iron (both free iron and haem iron), and zinc.” ad indicare, non fosse chiaro, che non stiamo parlando di veleno.
Ok, non è un fun fact, ma a me ha fatto sorridere.

Mr. Robot

Quale altro blog vi propone l’analisi di una serie TV dieci giorni dopo la sua conclusione?
Ecco, infatti.
In termini di “internet time” un articolo scritto con dieci giorni di ritardo è come uscisse un’era geologica dopo. Nessuno è più in grado di mantenere vivo il proprio interesse così a lungo, come soffrissimo di una variante autoinflitta di ADD che ci porta a consumare vagonate di informazioni immediate per poi cancellare la cache del cervello* da tutto quel che abbiamo acquisito e presentarla vergine al next big thing.
Per forza di cose quindi mi ritrovo a scrivere riflessioni che potreste aver già letto in altri articoli a tema, ma in fin dei conti, visto il prodotto di cui si parla, questa circostanza rende il mio pezzo terribilmente “meta”.
Mr.Robot é la serie più bella che può capitarvi di vedere in questo 2015, ma in fin dei conti é anche la roba più derivativa e meno originale che si possa immaginare.

Qui è dove di solito vi metto in guardia dagli SPOILER che potrebbero seguire, ma essendo passati dieci giorni ed essendo voi arrivati fino a qui nella lettura, desumo non abbiate nulla da temere: o siete sul pezzo e quindi immuni alle sorprese, o non sapete di che si parla e di conseguenza anche la più cruciale rivelazione, letta nella completa ignoranza e fuori contesto, dovrebbe lasciarvi indifferenti e con ogni probabilità non fissarsi nella vostra memoria a sufficienza da guastare un’eventuale visione futura.
[SPOILER] Questa cosa potrebbe non essere vera. [/SPOILER]
Dicevamo, Mr.Robot. Il riferimento più ovvio che viene in mente già dal primo episodio è senza dubbio il “Project Mayhem” di Fight Club: la spinta anarchica ad una riorganizzazione del mondo basata sulla cancellazione del debito e di conseguenza della società come la intendiamo noi. In un’epoca in cui il denaro è perlopiù virtuale, un’ipotetica legione di hacker adeguatamente preparata e motivata potrebbe gettare un colpo di spugna sulla realtà. Non proprio lo script più innovativo ogni tempo, direi, ma è pur sempre roba che tendenzialmente su di me ha buona presa.
Noi viviamo le vicende dalla testa di Elliot**, sociopatico anaffettivo con chiari disturbi mentali che di notte hackera i cattivi e di giorno lavora in una società che offre sicurezza informatica. In sostanza il Dexter Morgan dei computer e, per essere sicuri che non vi possa sfuggire l’analogia con il serial killer dei serial killer, Elliot colleziona cd-r su cui salva i dati dei cattivi che hackera, esattamente come Dexter collezionava i suoi vetrini.
Non vi basta? La chicca é certamente la Fsociety, ovvero Anonymous/Occupy Wall Street. Siamo al cospetto di un fumetto da cui viene tratto un film, a cui si ispira apertamente un movimento politico REALE, che viene a questo punto inserito in una fiction costituendone però non più la parte fantastica, ma il rimando alla realtà. Se avete capito cosa intendo, é un loop straordinario.
Proseguiamo con la dissezione e troviamo Tyrell, assetato di potere e sposato con una bellissima e algida donna che lo asseconda e lo supporta nel suo arrivismo estremo salvo poi scaricarlo quando si presenta all’orizzonte l’ipotesi dell’insuccesso. Come a dire: ma House of Cards non ce lo mettiamo? Come no!
Prendete tutto questo e aggiungeteci una buona dose di complotto: avete chiesto i poteri forti, la minoranza che governa il mondo, l’elite così marcatamente e schifosamente cattiva e senza scrupoli da incarnare il male assoluto? Check.
Mr.Robot é come quando da piccolo prendevi tutti i tuoi giocattoli preferiti e li mettevi insieme in una mega avventura in cui He-Man e i pirati del Lego lottavano per sconfiggere l’esercito dei peluches. Più importante, Mr.Robot é la dimostrazione (ennesima) che usare bene le idee altrui e riproporre quanto già fatto da altri può comunque portare ad un risultato di altissimo livello. Gli autori sono così convinti di questa cosa che ne fanno proprio un elemento d’orgoglio: chi guarda deve capire a cosa si sono riferiti, quali siano le ispirazioni, a costo di fermarsi ed esplicitarle. Giro una scena UGUALE a quella di un altro film? Io ci metto pure la stessa colonna sonora. E vinco tutto.
Davvero, mr.Robot vince tutto e lo fa mettendoci pure una confezione perfetta fatta di regia, fotografia e musica sempre a fuoco.
Per me davvero un gioiellino.

“So this is what a revolution looks like, people in expensive clothing running around.”

Eh, a quanto pare si.

* Ho parlato di cache del cervello in un pezzo su mr.Robot come fossi uno che sa il fatto suo, ma in realtà è una frase che mi è uscita per caso e di cui ho notato il collegamento col tema del pezzo solo a posteriori. Hashtag stimarsi.

** SPOILER: lo spettatore in effetti è una persona immaginaria che solo Eliott vede e che per il resto del mondo non esiste QUINDI lo spettatore é Mr.Robot e siccome Mr.Robot é Eliott, tu che guardi sei Eliott. Tu che guardi puoi cambiare il mondo e rivoluzionare la società. Non è una metafora sottilissima, ma onestamente é figa dai…