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Viaggi

Più per dovere

E’ stata una settimana di merda.
Decisamente.
Forse per questo non ho trovato molti stimoli per dedicarmi al mio diario online, tuttavia il buon Max ieri mi ha fatto notare che un aggiornamento era necessario e quindi eccomi qui.
Resta che non so cosa scrivere.
Ho un gran sonno in verità, se potessi andrei a dormire in questo istante.
Questo non è di grande interesse, tuttavia.
Domani pomeriggio devo andare a Cassano a sentire il preventivo che mi han fatto per i mobili della sala. La tipa al telefono è stata sospettosamente sul vago, evitando accuratamente la questione monetaria e spingendo invece sulla volontà di “farmi vedere i disegni”.
Non so perchè, ma ho una certa riluttanza ad approcciarmi a dei disegni adesso come adesso, preferirei di gran lunga sapere quanto devo sborsare e chiuderla lì.
Sempre che la cifra non sia spropositata, perchè altrimenti credo dovrò ricominciare tutto da capo, ovvero dalla ricerca di qualcuno che faccia i mobili di cui ho bisogno.
In casa al momento c’è ancora l’odore della cena di Mercoledì, quando colto da un flash di irrazionale delirio culinario, ho pensato di sfumare uno dei due filetti di merluzzo con del Braulio.
Diciamo che non è stato un esperimento felice.
Sta sera invece credo mi farò un paio di uova col sugo, visto che la bistecca alle erbe provenzali me la sono giocata ieri.
Sana dieta mediterranea.
Non sono abituato a sforzarmi per scrivere su questo sito e questo credo sia lampante, indi forse è il caso che la pianti qui.
Spero di riacquisire voglia e stimoli nel prossimo futuro.
Chiudo con la scoperta del giorno: a Cuba un mojito costa meno di due euro.

Mi dedico delle attenzioni, ogni tanto.

Oggi mi sono dato al risanamento del mio ego ferito come solitamente fanno le donne.
Shopping e pianificazione del prossimo futuro.
Avevo bisogno di sentirmi ancora attraente?
No. Avevo bisogno di un giubbetto primaverile. Sabato son passato di fronte a Treesse (quello delle origini, quello in viale Monza) e son rimasto folgorato da un giubbettino di cotone corto e nero che più tamarro non si può.
Oggi sono uscito dal lavoro alle 18.46 e son volato ad acquistarlo.
Mi son preso pure una cintura. Dopo averne spaccate due in meno di una settimana e aver constatato di aver necessità di stringere la terza rimasta di almeno 8 centimetri (il frigo costantemente vuoto paga) era una scelta forzata.
Entrambi gli oggettini che ora militano nel mio guardaroba sono targati Atticus.
Atticus è il meglio, per quel che mi riguarda.
E poi “l’uccello morto”, per dirla come la direbbe il Theo, ha un non so che di metaforico oggigiorno.
Riguardo la pianificazione del mio futuro non ho fatto granchè, in realtà.
Ho solo deciso che andrò a Cuba a Luglio.
Definitivamente.
Ancora da chiarire sono invece la composizione della squadra, l’esatto periodo e l’itinerario, ma queste son cose che contano meno.
L’importante era decidere di partire e io ho deciso.
Vediamo quanti consensi riuscirò a tirar su.
Intanto, come primo step, ho chiesto a Lale se mi recupera in quel di Boston una guida Frommer dell’isola. Mi sono innamorato delle guide Frommer a New York, solo che non è possibile trovarle in Italia, nè acquistarle on-line dall’Europa e quindi l’ultima speranza è la fanciulla di Busto.
Io credo in lei.
Direi che posso pure andarmene a letto.
Anzi no, devo fare i compiti. Oggi ho iniziato il corso di inglese e Susan ci ha detto di scrivere qualche frase tutti i giorni. Una sorta di diario volto ad allenare la mente a pensare e scrivere nella lingua di albione.
Non è un’idea così orribile, dopo tutto.
Credo parlerò del mio nuovo giubbetto.

Verso il voto 2.0

Ieri ho scritto un post infinito sulle prossime elezioni.
Ho clikkato su “pubblica” ed in quel momento il database di aruba è andato giù, cancellando per sempre le mie riflessioni.
E’ stato un brutto momento.
Oggi, non so perchè, mi sento di provare a riscrivere qualche riga sull’argomento. Di solito non riscrivo mai testi che per qualche ragione vanno perduti prima di finire on-line, tuttavia per questa volta voglio fare un’eccezione.
Il succo del discorso era ed è la mia ormai arcinota incapacità di trovare qualcuno in grado di rappresentarmi alle prossime politiche. Questo è strano in un paese in cui nasce un partito ogni trentaquattro millisecondi, ma forse è perchè io sono talmente in minoranza da non poter avere nessuno che voglia rappresentarmi all’infuori di me stesso.
Se dovrò quindi scegliere tra tante opzioni più o meno distanti da ciò che cogito ergo da ciò che sum, ritengo di dover selezionare non solo la meno lontana, ma anche quella tra le vicine che più abbia possibilità di portare avanti quelle idee per cui ho deciso di schierarmi. Questo si traduce nel votare ualcuno che abbia la possibilità concreta di governare. Oltre a questo, c’è da considerare che da quando ho diritto di voto, la maggior parte delle volte ho mio malgrado usato la croce per far perdere qualcuno, piuttosto che per far vincere qualcun altro.
Sono l’emblema del voto contro.
A sto giro però mi sono stancato e ho deciso che il mio voto o sarà per qualcuno, oppure non sarà del tutto ed annullerò la scheda.
Per questo sto cercando di seguire il più possibile questa campagna elettorale, nella speranza di trovare almeno un motivo per votare il centrosinistra e giustificare il mio ennesimo voto contro come fosse un voto pro.
Ieri Veltroni ha provato a darmi questa motivazione ed io avevo quasi abboccato.
Ovviamente sto parlando della questione De Mita.
La mossa di non candidare il buon Ciriaco per via del fatto che è 45 (qua-ran-ta-cin-que) anni che sta in parlamento all’inizio mi ha quasi fatto gridare al miracolo.
Spazio al nuovo che avanza.
Poi però ho riflettuto un attimo. De Mita è un democristiano. Cosa cazzo ci fa un democristiano nel PD con tutti i partiti di centro che ci sono? Questo avrebbe dovuto far riflettere Veltroni, non l’età. Walter avrebbe dovuto dire: “Caro Ciriaco, è vero che come diceva sempre il nonno di Manq voi democristiani non morirete mai, tuttavia vi sarei grato se vi schiodaste dalle poltrone cui vi siete abbullonati e vi sciacquaste fuori dai coglioni, vecchi e giovani, perchè con la sinistra, per quanto moderata, voi non c’entrate niente.”. Invece a Veltroni De Mita faceva comunqe comodo, non tanto da non rischiare di perderlo per realizzare un’abilissima mossa mediatica, ma abbastanza da proporgli di restare nel PD con incarichi “che per essere svolti non richiedono la presenza in parlamento”. Per il leader del centrosinistra l’ideale sarebbe stato tenerselo, e con lui i suoi voti, dicendo in giro che però per la vecchia politica non c’era più posto.
All’atto pratico quindi la mossa è positiva, ma non tanto da essere motivo di voto.
E ci sarebbe da dire anche riguardo alla questione Radicali, tuttavia ora non ne ho più voglia.
In sostanza quindi continuo a restare alla finestra e ad attendere un segnale che valga i due tratti della matita copiativa che ho a disposizione.
Oggi ho perfino valutato l’idea di votare Di Pietro sulla base del fatto che nell’ultima legislatura si è comportato bene.
E poi sta col PD e quindi sarebbe un voto contro Berlusconi.
Credo questo basti a chiarire il livello di delirio che ho raggiunto.
Bene, direi che è tempo di chiudere. Per farlo sparo giusto un paio di bombe nella più classica e Moschiana tradizione:
1- Domenica sera si è deciso di andare a cuba 10 giorni a fine Giugno. Martedì Castro lascia il potere. Coincidenze?
2- Si avvicina un wend dal sapore retrò: Venerdì sera cena coi compagni del liceo, Sabato pomeriggio in sala col gruppo del liceo, Sabato sera Bloom di Mezzago a sentire i Canadians e Domenica trasferta a Chivasso per torneo.
Sta sera son preso bene e ho deciso che mi piace molto questa mia foto (by Max).
Non so quale delle due cose sia più sconcertante.

Berlino

Lo so, non ho aggiornato il Disco del Mese.
A voler essere precisi anche le liste di concerti e link sono immutate, addirittura da Novembre.
Questo perchè tutto ciò che questo blog è ed è stato per tre anni presto finirà.
Non è però il momento di dilungarmi a riguardo, indi passerò al resoconto del viaggio a Berlino.
Berlino è una città assurda.
Ci ho messo un po’ per adeguarmici, necessitavo di metabolizzarla. Il motivo principale è che non è una città come io intendo il termine. Il suo essere così ricca di storia ed al contempo quasi completamente priva di segni tangibili di quella stessa storia la rende unica tra le città che ho avuto modo di visitare.
Unica.
Non migliore, nè peggiore.
Il mio carico di aspettative era molto alto, va detto, e questo forse ha contribuito all’insorgere iniziale di una cocente delusione. In un primo momento tutto mi è sembrato finto, irreale, costruito nell’ottica di enfatizzare cose che non hanno certo bisogno di essere enfatizzate, con l’opposto risultato che porta così a sminuirle e farle apparire come “souvenir per turisti”. Checkpoint Charlie con il suo fintissimo accampamento americano, i ragazzotti in divisa militare sovietica e statunitense dell’epoca ed il baracchino che per qualche euro rilascia al turista un finto visto per l’attraversamento mi è parsa più una ricostruzione adatta a Gardaland che non a quello che è stato il fulcro della guerra fredda. Stessa cosa vale per il muro, quasi totalmente eliminato e cancellato dalla città se non per qualche frammento riposizionato da tutt’altra parte rispetto a dove fu smantellato e quindi più simile ad una qualche scultura di arte moderna che non ad una scheggia del confine che fu tra comunismo e capitalismo.
In alcune zone della città però in ricordo della barriera è stato segnato il terreno con una striscia di mattoni. Una di queste zone è Postdamer Platz e vedere il segno di quel limite che fu invalicabile al centro di quella che è la zona più trafficata e popolata di Berlino mi ha colpito non poco.
Anche dalla visita al Jüdisches Museum non ho tratto particolare appagamento. Direi esattamente cosa ho pensato nel vederlo, ma non voglio prestare il fianco a stupide ed insulse accuse di antisemitismo.
Mi limito a dire che chi come me ha potuto visitare Auschwitz non ha bisogno di essere chiuso in una stanza buia o di calpestare delle facce di metallo per percepire l’angoscia di ciò che è stato l’olocausto.
E aggiungo che chi invece ad Auschwitz non c’è stato, beh, è bene che ci vada invece di andare a perder tempo in un posto finto, pacchiano ed autocelebrativo (nell’accezione più squisitamente vittimista del termine) qual’è il Jüdisches Museum.
Ok, alla fine ho detto ciò che non volevo dire.
Pazienza.
Potrei anche spendere due righe riguardo l’architettura ultramoderna che riempie la capitale tedesca, edifici a volte molto belli (grazie alla Bri e alla sua guida architettonica credo di averli visti tutti. Tutti.), ma a mio avviso incapaci di coesistere e conferire un’identità alla città, favorendo ulteriormente le sensazioni di freddo e di distacco già rafforzate dal clima e dal fatto che quasi ovunque le strade siano deserte, dando l’impressione di essere in qualche remota parte della periferia anche se ci si trova a cento metri dalla Porta di Brandeburgo.
Insomma, ci sono un sacco di motivi per cui Berlino all’inizio mi è andata di traverso.
Le mie impressioni sono radicalmente cambiate dopo aver passato una notte intera a vagare per la città cercando senza risultato un locale dove andare a ballare la techno. Sono cambiate dopo aver fatto quaranta minuti di coda per entrare in un club gay da cui ci hanno escluso perchè etero. Sono cambiate dopo aver conosciuto in quella circostanza dei ragazzi simpaticissimi (uno dei quali è il genio che quando ho detto di essere di Milano mi ha risposto: “Ah, Plastìc!”), gente che ha provato a resistere alla discriminazione che stavamo subendo pur non essendone toccata in prima persona.
Le cose sono cambiate sulle metropolitane notturne, nelle stazioni in cui alle cinque di mattina ancora c’era chi di andare a dormire non aveva voglia.
Le cose sono cambiate quando ho provato a smettere di visitare Berlino ed ho tentato di viverla.
In quelle circostanze la città ha saputo conquistarmi.
Ho fatto delle foto durante questo viaggio. Non ne sono particolarmente soddisfatto perchè ho tentato di giocare un po’ con la mia macchina e a mio avviso lei ha avuto la meglio sulle mie velleità di fotografo.
Chi le ha viste dice che non sono poi così male.
Eccetto me, intendo.
Ah, dimenticavo, il memoriale dell’olocausto è la cosa più bella che ho visto in 5 giorni.

Spero che i detti popolari a volte si sbaglino

Sono stato tre giorni a Napoli.
Ci sono andato per la discussione di dottorato di Elena e con questa scusa ho avuto anche modo di fare il turista.
E’ stata una piacevolissima esperienza.
Per quanto non tutto ciò che si dice sul capoluogo campano sia totalmente campato in aria, devo riconoscere che molte delle mie paure e dei miei pregiudizi si sono rivelati infondati. Mi vergogno ad ammetterlo, ma per la prima volta prima di partire per un viaggio ho fatto un bel censimento delle cose da portare e non portare, decidendo così di lasciare a casa bancomat, carta di credito, patente, codice fiscale, cellulare nuovo, macchina fotografica e lettore mp3.
La paura era ovviamente quella di venire alleggerito dei sopracitati oggetti.
Fortunatamente Napoli non si è rivelata così spaventosa come me la immaginavo ed ha concesso a me, Paola e Veronica di girare per i suoi vicoli come perfetti turisti scattando foto (fortunatamente la Vero la macchina l’ha portata) senza che ci venisse torto un capello.
Anche il rapporto con la popolazione locale è risultato meritevole di lode, non solo per ciò che riguarda i fantastici amici di Elena e la sua premurosissima mamma, ma anche e sopratutto per gli sconosciuti. Gente calda e ospitale, tanto diversa dal popolo del nord da risultare “strana”, ma mai in senso negativo. A tal proposito è scattata un’interessantissima analisi sociale volta a sviscerare le profonde diversità culturali che caratterizzano milanesi e napoletani, dibattito che ha interessato un po’ tutti i presenti alla cena di Venerdì fino all’arrivo delle pizze.
Quando la prima fetta di margherita ha fatto ingresso nella mia bocca è diventato impossibile parlare d’altro.
Come dicevo però, è bene ricordare che non tutto ciò che di Napoli si racconta è frutto di fantasie, razzismo e pregiudizio.
Il traffico è effettivamente quanto di più selvaggio e maleducato possa esistere ed il problema dei rifiuti è drammaticamente reale.
Oltretutto il primo approccio con Napoli da noi avuto è stato con i tassisti, che si sono rifiutati di portarci via dall’aereoporto solo perchè abbiamo fatto presente loro che la cifra richiesta non era esattamente quella che ci era stata preannunciata dalla nostra collega.
Quello è stato un momento piuttosto buffo, visto che abbiamo parlato solo con un tassista ed improvvisamente anche tutti gli altri si sono rivelati ostili ed intenzionati ad abbandonarci lì. Addirittura è arrivato un tizio di corsa mentre provavo a fermarne un altro dopo essermi allontanato di qualche decina di metri. Gridava roba tipo: “Non caricarli!” e una volta sopraggiunto mi ha chiarito che dovevo smetterla di chiedere perchè nessuno ci avrebbe portato.
Diciamo che come primo impatto non era stato proprio positivo.
Ci sarebbe molto altro da dire di questo viaggio, ma non credo sia importante farlo.
Mi preme di più spendere un’ultima riflessione sulle persone che mi hanno accompagnato.
Splendide.
Trovarsi bene con i propri colleghi è un bene enorme in tutti i lavori. Purtoppo nel mio caso il fatto che tutti siano precari rende questa situazione terminale e di conseguenza triste.
Un po’ come quando si pensa all’inevitabile incombenza della morte.
Fortunatamente sono attimi passati i quali si torna a gioire della bellezza del presente.
Si dice “vedi Napoli e poi muori”, io spero solo che il poi duri molto.
E che morte, in tedesco, non si dica Heidelberg.

Bilancio di una giornata qualunque, ma a suo modo diversa

Vado a letto piuttosto contento.
La giornata lavorativa mi ha dato soddisfazione. Non tanto dal fatto che mi sono aperto il pollice della mano sinistra con un bisturi atto al taglio dei gel d’etidio (NdM: Etidio Bromuro – Intercalante del DNA – Cancerogeno), quanto perchè dopo diverso tempo mi sono ritrovato con un bel risultato per le mani. Era un po’ che non provavo la bella sensazione della vittoria lavorativa. Oltretutto il mio capo mi ha accennato a quello che sarà il mio futuro dal punto di vista prettamente tecnico. Ne sono usciti microarrays, live imaging & time laps, colture primarie neuronali e mitomice. Tutte tecniche che imparerei molto volentieri, roba stuzzicante.
Vedremo.
Intanto si avvicina il concorso di dottorato ed è forse il caso di iniziare a preoccuparsene.
Sono contento anche perchè i lavori nella mia casina sono praticamente finiti. Bagno rifatto, piastrelle posate, piccole modifiche apportate, pareti imbiancate. Oggi ci sono entrato e mi sono realmente emozionato.
Amo quell’appartamento.
Anche in quest’ambito però non è che tutto vada proprio come dovrebbe. Non mi sono ancora stati consegnati nè i mobili del bagno, nè quelli della cucina. Ora, se per i secondi mi è stato detto di un problema a livello di produzione indipendente dalla volontà di chi me li ha venduti e, soprattutto, mi è stato promesso un regalo per sorvolare sul disguido, per la mancata consegna delle mie antine da bagno verde acido non mi sono state fornite giustificazioni di sorta. Le aspetto solo da inizio settembre.
Mi girano discretamente le palle.
Comunque sia, ora non resta che acquistare interruttori, citofono, termostato programmabile e lampadari.
Poi c’è da fare il grande passo.
E dopo ancora, ci sarà da comprare tutto il resto.
Meglio pensare ad altro.
A capodanno sarò a Berlino.
Ho prenotato l’aereo per me e la Bri, sarà il suo regalo di laurea.
Quest’anno ho passato meno giorni in Italia di quanti ne ha trascorsi Missa al lavoro, il che la dice abbastanza lunga.
Ora devo trovare una sistemazione ove dormire a prezzi modici. Ogni aiuto è ben accetto, ma nessun mio conoscente pare essere in grado di consigliarmi.
Ancora una volta mi affido al web e al mio blog.
Prima di chiudere voglio alleggerirmi la coscienza: adoro “Superman” di [Dj] Francesco Facchinetti.

E’ tempo di bilanci

Le vacanze sono finite.
Scrivere qualcosa loro riguardo prima di riprendere il lavoro mi sembra doveroso, cercando di fare un’analisi il più possibile oggettiva.
Inizierò col dire cosa non mi è piaciuto della mia trasferta iberica. In primis è durata troppo a lungo. Questa per me è stata la prima vacanza inserita in un contesto lavorativo stabile e spero vivamente che gli anni a venire la situazione permanga questa, tuttavia diciotto giorni di viaggio sono troppi se si parte il giorno dopo aver smesso di lavorare e si rientra il giorno prima di riprendere le ostilità. Per quanto possa essere bella, la vacanza itinerante è tutto fuorchè rilassante e si corre il rischio di rientrare più stanchi di quando si è partiti. Questo, ovviamente, non va bene. L’ideale sarebbe stato rientrare dopo 11 o 12 giorni al massimo perchè mi sarei goduto di più il viaggio e avrei avuto modo di riposare al rientro. Come per ogni cosa però l’esperienza insegna e d’ora in poi farò quanto possibile per utilizzare i miei 15 giorni di “ferie” in maniera più intelligente, spezzandoli magari in due tronconi. La seconda cosa che non mi è piaciuta della vacanza è stata l’Andalusia, una totale delusione. Forse è stato anche perchè, come già detto, ci sono arrivato stanco e svogliato. Forse in quelle condizioni non avrei apprezzato nulla anche in altri contesti, tuttavia dialogando con i miei compagni di viaggio il dubbio che molto della delusione sia effettivamente imputabile alla regione spagnola resta. Terza ed ultima cosa che non rientra nei canoni del mio gradimento è l’approccio alla vacanza che abbiamo utilizzato. Partire senza un minimo di idea su cosa fare, dove andare e come organizzarsi brucia molte possibilità, soprattutto se non si ha nel proprio DNA lo spirito dell’avventura e dell’adattamento, cercando sempre e comunque livelli di comfort non indispensabili. Questo però è più che altro un parere personale che si è rivelato non condiviso dal resto dell’entourage ed avendo io deciso di andare via con un gruppo di persone è giusto che mi sia adattato all’opinione comune. Alla fine, bilanci economici alla mano, non è neppure andata così male e quindi più che una lamentela questa vuole essere una semplice considerazione.
Detto questo posso tranquillamente affermare che la vacanza, analizzata nel suo insieme, è risultata assolutamente positiva sia per quanto visto (ovviamente Andalusia esclusa), sia per i compagni di viaggio. Dopo il rimpianto del non poter essere partito l’anno scorso per gli States, tenevo molto a farmi un viaggio con i miei amici. Sentivo come se servisse a chiudere un ciclo che per molti anni della mia vita ha caratterizzato le mie estati. Non so cosa sarà l’anno prossimo, o quelli ancora dopo, tuttavia credo sia difficile ricapiti l’occasione di viaggiare insieme per 18 giorni ed è bello essermi tolto la soddisfazione di farlo quest’anno. Con questo non voglio dire che non partirò più insieme a loro, spero ricapiti tante altre volte, ma credo che tempistiche e modalità non saranno più le stesse.
Bene, prima di concludere con l’immancabile pagellone della vacanza mi prendo ancora qualche riga per parlare di fotografia e di compilation estive. Riguardo il primo ambito devo dire di non essere molto soddisfatto della mia produzione iberica. Nel tentativo di smanettare con esposizione, messa a fuoco e quant’altro ho prodotto pochi scatti che realmente mi piacciono. Ho messo online diciotto foto, aggiunte all’archivio con la solita modalità, e di queste solo alcune penso siano venute bene. Le altre le ho inserite più che altro per completezza. Resta il grosso rammarico di aver perso un’intera giornata di scatti fatti a Toledo, unica città della Spagna ad avermi emozionato, a causa di un non ben precisato problema con l’SD.
Peccato.
Sul fronte compilation invece sono molto soddisfatto del mio ultimo prodotto. Suona bene e rispecchia appieno l’idea che avevo in testa, forse per la prima volta da che mi cimento con la produzione di selezioni musicali. Con Climax sono tre le compilation che ho creato, per la quarta ci sarà tempo e modo più avanti.
Ok, vado con il pagellone della vacanza:
Voto 10.
Allo Scudo. Perchè ci ha tenuti uniti durante la vacanza, perchè ci salutava tutti i giorni, perchè riusciva a far arrivare in orario Missa, perchè era buono e disponibile e perchè nessuno a parte me e Max ha mai provato a farlo sentire a suo agio tra noi, sempre messo in rivalità con un Explorer che non ha mai nemmeno conosciuto. Eroe.
Voto 9.
Ai gibboni. Veri o di peluches non fa differenza, sono sicuramente stati una delle cose più belle che ho visto, con la loro aria intellettuale e sprizzante la superiorità di chi sa di avere il reale dominio di Gibilterra. Aristocratici.
Voto 8.
Al Docks Club di Lisbona. L’unico locale che mi ha soddisfatto durante la trasferta, facendomi ballare per tutta la notte. Bella gente, bella musica e bel posto. Vida Loca.
Voto 7.
A Max. Oltre al fatto che dopo moltissimi anni è tornato in vacanza con noi gli va riconosciuto un impegno immenso profuso nel tentativo di apprendere il dialetto milanese. Sforzi che l’hanno portato ad una discreta padronanza della lingua. Volenteroso.
Voto 6.
Al Portogallo. Per le città ed i posti visitati avrebbe potuto ambire anche ad una posizione più alta in classifica, ma la presenza dei portoghesi e della sporcizia ne hanno compromesso la valutazione. Trascurato.
Voto 5.
Alla filosofia Zen. Sebbene io stesso sono stato promotore dell’autoregolazione sul linguaggio colorito tenuto in pubblico, gli estremisti con cui viaggiavo hanno portato un buon proposito a diventare un’asfissiante oppressione che non può che essere osteggiata. Eccessiva.
Voto 4.
Alla Spagna. La bellezza di Toledo e dintorni non basta a sopperire al brutto degli altri posti visitati. Se ci si aggiunge che su quattro paelle mangiate, tre si siano rivelate orribili e che ho bevuto la sangria solo due volte in 10 giorni, beh, si spiega la valutazione. Delusione.
Voto 3.
A S.Miguel. Si è spacciata per mesi come sponsor ufficiale della vacanza e poi, una volta sul posto, non si è mai fatta trovare. Fortunatamente Super Bock e Cruzcampo hanno preferito i fatti alle parole e ci hanno sostenuto. Latitante.
Voto 2.
A Sintra. Questo posto avrebbe sicuramente meritato un voto ancora più basso, ma mi è risultato impossibile scalzare dall’1 e dallo zero ciò che seguirà. Ciò non toglie che Sintra sia inguardabile, che le sue attrattive (tutte rigorosamente a pagamento) siano pessime e che ciò non bastasse ho rischiato di impazzire sotto i colpi del pifferaio maledetto che ci ha suonato attorno per due ore, con la bava che gli colava dall’estremità inferiore del flauto. Censurabile.
Voto 1.
A Romao. Emblema del livello della cucina portoghese e dei lati negativi del Portogallo previa menzionati. Per chiarire, dietro al tavolo cui eravamo seduti per cenare, era situato il bagno. A vista. E questo è niente in confronto alla zuppa che mi hanno servito. Disgustoso.
Voto 0.
Al Real Alcazar di Siviglia. Ogni commento è superfluo. Una merda.

Ok, con questo è proprio giunto il momento di chiudere. Prossimamente penso scriverò qualcosa riguardo a tutti i dischi che ho ascoltato di recente, perchè sono tanti ed alcuni meritano di essere commentati.
Ora mi faccio un sognetto.

Il geko

La gita a Londra è stata ok al 99%.
Adesso però ho voglia di parlare solo del restante 1%.
Ho perso il mio segnalibro.
Una cartolina.
Un bel ricordo.
Non l’ho mai portato fuori di casa proprio per paura di lasciarlo in giro, ma questa volta mi sono dimenticato di sostituirlo prima di partire. Ovviamente questa è stata l’unica volta in cui mi sia capitato di perdere il segnalibro.
Per tutta la vacanza non ho mai tolto il libro dallo zaino, solo oggi mi sono dato alla lettura, per sopportare le tremende attese in aereoporto dovute alla questione terrorismo.
Questo mi porta a dire che il mio segnalibro ora si trovi su qualche pavimento del London Stansted Airport.
Non si può esprimere a parole quanto sto male per questo.
Troppo?
Boh.
Sicuramente molto.
Ho nello stomaco un mix di arrabbiatura feroce, tristezza, malinconia, frustrazione da impotenza e dispiacere.
Potessi tornerei a riprenderlo.
Vaffanculo.
Meglio che me ne vada a letto.

Enter Shikari

Meditandoci un po’ il live è stato enorme.
Musicalmente ottimi.
Tecnicamente validi.
Padronanza del palco egregia.
Matti furiosi.
HC tirato intervallato da tesissimi interludi techno.
Ho comprato una finger-light della band, merchandise ufficiale.
Ognuno di loro ne aveva una durante il concerto.
Delle circa cinquanta persone presenti al live, il 100% ne aveva almeno una all’uscita.
Sono anche degli ottimi managers.
La mia è blu e ha tre tipi di luce: intermittente veloce, intermittente lenta e fissa.
Decisamente tamarra.
Ora volo alla ricerca del CD.
Al rientro dal concerto mi sono fermato al Libra con Aledoni e abbiamo incontrato Ciccio.
Abbiamo parlato soprattutto delle nostre esperienze newyorkesi e ne è emersa una sola verità: Starbucks rules.