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TV

You break my heart into a thousand pieces and you say it’s because I deserve better?

Dicono che internet sia un posto giovane, ma in realtà non lo é più di quanto lo sia Gessate. Come nella “vita vera” alla fine tendi a circondarti di tuoi simili, al più sgrammato di alcuni dei paletti dettati dalla quotidianità, finendo a leggere e frequentare posti da quarantenne conscio che i giovani veri, grazie a Dio, stiano da altre parti a mangiare le pastiglie della lavastoviglie.
Con questo bias gigante sulla schiena ti trovi, anno domini 2018, a constatare che cose come la morte della cantante dei Cranberries o il ventennale di Dawson’s Creek abbiano una rilevanza reale nel tuo intorno digitale e per qualche secondo il tuo subconscio ti sinsiga con pensieri tipo: “Hai visto? Avevamo ragione noi! Il mondo lo ha capito!”. E tu, ovviamente, lì per lì ci credi.
#Einvece il mondo non ha capito proprio un bel niente, siamo solo noi (cit.) che proviamo a darci man forte gli uni con gli altri nel tentativo di dimostrare qualcosa di non richiesto e non necessario, esattamente come fosse il 1998.
Come in tutte le cose, il punto non è mai avere ragione, ma solo quanto si tenga al fatto che altri lo riconoscano. Nel mio caso, in media, tantissimo.

Le operazioni nostalgia sono da sempre una roba che fa presa, sul sottoscritto. Di solito quando iniziano è perché hai scollinato i migliori anni, ma per quel che mi riguarda posso tranquillamente dire di essere stato nostalgico da sempre. E di non essere il solo. Due esempi.
1) Una delle band che ho amato di più al liceo aveva nel demo un pezzo intitolato “13“. Gente di neanche vent’anni che rimpiangeva i bei tempi in cui ne aveva 13. Giuro. Pezzo incredibile, tra l’altro.
2) In compagnia da me tra i sedici e i diciotto anni il pezzo singalong che metteva sistematicamente tutti d’accordo era “Gli Anni”, del sommo poeta col nome di una moto.
La nostalgia è un vortice e ci siamo dentro tutti, grandi e piccini, ognuno coi propri riferimenti. Scrivere di anniversari su un blog è solo un altro tentativo di dar sfogo a questa necessità. Per qualcuno magari è una moda, per me forse la roba più naturale da fare quando apro la pagina di wordpress e decido di scriverci dentro.
Quindi adesso butto giù un pezzo su Dawson’s Creek.

Accento Svedese ha classificato gli anni ’90 come il periodo che va dalla cerimonia di apertura delle olimpiadi del ’92 fino al tragicamente noto undici settembre 2001 (ref.). Ovviamente ha ragione lui, ma nella mia testa più che di un decennio vero e proprio si parla del periodo a cavallo del Millennium Bug, da qualche anno prima a qualche anno dopo. Per la precisione, gli anni in cui è andato in onda Dawson’s Creek.
Coincidenze?
Beh, sì. Però è un fatto, gli anni prima e gli anni dopo non riesco ad associarli alla stessa epoca. DC ha scandito lo scorrere dei miei anni novanta senza necessariamente raccontarli, semplicemente coincidendoci.
Leggendo in giro dell’anniversario ho pensato di riguardarmi il pilota come puro atto celebrativo. Ora sono al quarto settimo episodio e non ho minimamente intenzione di smetterla. C’è qualcosa di difficilmente spiegabile in DC, parte la sigla (che nella prima stagione non è I don’t want to wait) e SBAM, sono a casa. Senza un senso, tra l’altro. Non ci può essere empatia per finti ragazzini che parlano di vela e Spielberg, per un contesto in cui il figo che arriva in città rapisce il cuore delle giovani suonando un cazzo di violino sul molo al chiarore della luna. È una roba ai limiti del fantasy. È come pretendere di avere Il Signore degli Anelli come proprio romanzo di formazione generazionale. Io non ricordo come fosse Beverly Hills 90210, ero davvero troppo piccolo per trovarci qualcosa più che i primi scossoni ormonali innescati da Kelly Taylor e la sua ciuffa improponibile, però dubito avesse dialoghi come quelli di DC. Nel terzo episodio Dawson dice a Jen una roba tipo “Rendiamo magica un’ora” per invitarla a beccarsi dopo scuola. La soglia del ridicolo superata in Fosbury.

Ci sono tantissime robe che da ragazzo ti appassionano, ma che riprese in mano da adulti si mostrano appunto ridicole. Ad alcune ripensi con imbarazzo, tipo lo ska, altre le rimuovi. Ognuno poi ha quei due o tre scheletri che preferisce lasciare sepolti nella memoria e che ha paura di andare a ripescare per evitare di farci i conti. Io, per dire, ho avuto questo rapporto con Jack Frusciante è uscito dal gruppo, salvo poi prendere il coraggio a due mani e constatare fosse una paranoia inutile.
Questo discorso non vale per DC.
Ho il ricordo nitido del fatto che lo guardassimo per riderne anche allora. Nessuno prendeva sul serio le storie di Capeside, ma non ne perdevamo mezza. Facevamo addirittura sporadici gruppi di ascolto ed era una roba così distante da ognuno di noi da essere paradossalmente iper inclusiva, diventando iconica.
Ho in testa questo speciale sui No Doubt andato in onda su TMC2 in cui Gwen Stefani diceva avessero proposto alla band di suonare in un episodio di Beverly Hills 90210 e loro avessero detto no, per ragioni che parafrasate avevano a che fare col concetto di sputtanarsi. Grossomodo dieci anni dopo un concerto dei No Doubt finisce al centro di uno degli episodi di Dawson’s Creek. Possiamo certamente dire che a quel punto per Gwen e soci sputtanarsi non fosse più un problema, ma in fondo credo c’entri di più il fatto che DC avesse anche per loro un peso specifico diverso e quindi avesse senso esserci, anche solo per fare dei distinguo.

La domanda ora è: cosa resta oggi di Dawson’s Creek?
Basta guardare i primi quaranta minuti per restare nuovamente folgorati e capire come lo show abbia ribaltato in toto il linguaggio con cui la TV si prefiggeva di parlare ai giovani. I concetti erano gli stessi di sempre, ma esposti in modo completamente nuovo. Qualche tempo fa mi sono ascoltato la puntata dedicata ai Teen Drama di Pilota, un podcast sulle serie TV fatto da gente che ne capisce certamente più di me. Non ricordo i contenuti nello specifico, ma ho chiaro in mente di aver pensato stessero affrontando l’argomento senza rendere i dovuti meriti, credo solo perché DC non ha mai avuto la fama di Beverly Hills né l’hipsterismo ante litteram di OC (potrei risentire per essere più preciso, ma ho un problema serio con i podcast e dopo pochi minuti la sensazione di origliare discussioni altrui mi diventa intollerabile).
Parlando di me invece, superata l’eccitazione del rivedere le camicie di Pacey, i personaggi con le t-shirt oversize e la bellezza abbacinante di Katie Holmes, restano le vicende di un gruppo di persone a cui sono rimasto legato come mi è successo per pochissime altre serie TV, anche qualitativamente molto superiori.
Le storie di Capeside, come quelle di Scrubs e recentemente di Weeds, mi hanno lasciato un piccolo buco nel cuore.
Poi c’è la colonna sonora, perfetta sempre nel suo essere completamente anonima. Tonnellate di rock radiofonico senza identità che però cementano la storia nel suo tempo. Ciò nonostante, ci sono almeno due momenti musicali di Dawson’s Creek impressi nella mia testa, “That I would be good” di Alanis Morrisette e “Baba O’Riley“degli Who. Una bella botta di pelle d’oca anche solo a ricercarle su youtube.

Chiudo il pezzo rimarcando il proposito di proseguire il mio rewatch quindi, in attesa dei momenti migliori, che poi son tutti legati al personaggio di Joshua Jackson: dalla storia con Andie (stagione 2) all’ascesa (stagione 3) e caduta (stagione 4) del suo rapporto con Joey.
Il titolo del pezzo è preso da un dialogo tra Pacey e Joey, quando lui decide di lasciarla appena prima del ballo dell’ultimo anno.
Un irripetibile manifesto emo.

PS: non ho resistito e ho fatto una ricerca sul blog. A tema Dawson’s Creek ci sono un paio di pezzi datati 2005 e 2006.
Non li rileggo manco se mi ammazzate.

Il punto (ennesimo) su Game of Thrones

Premessa: viene da se che leggere un articolo a tema Game of Thrones senza essere in pari col materiale uscito espone a dei rischi. Pare superfluo dirlo. Quello che non è superfluo, a quanto pare, è precisare che tutto ciò che riguarda possibili leak della sceneggiatura di ciò che ancora deve uscire NON è tema di discussione. Non qui sopra. Quelli sono solo SPOILER inutili che potete trovare ovunque in rete, ormai, ma che io non voglio sapere. Grazie.

Alla fine della settima stagione è tempo di rifare il punto in merito allo show che tanto sta appassionando me e larga parte delle persone che conosco. Con questi sette episodi siamo ormai davvero in dirittura d’arrivo, la storia di tutti i personaggi sta convergendo al tanto atteso gran finale e per gli show runner HBO non è stato più possibile nascondere le carte: ora sappiamo come intendono chiuderla.
Non dico a livello di trama, dove ovviamente c’è ancora più di qualche interrogativo rimasto aperto, ma a livello di approccio. Questi sette episodi ci dicono chiaramente che David Benioff e D.B. Weiss vogliono tirare tutti i fili, chiudere tutte le linee narrative che hanno aperto, con metodo e dedizione. Nessuno, credo e spero, si aspettava da loro un possibile approccio stile Lost. Lasciando da parte per un momento le opinioni personali su quel tipo di scelta narrativa, mi pare abbastanza ovvio che una risoluzione di quel tipo fosse proprio incompatibile con l’opera in questione.
Che tuttavia ci fosse così tanta attenzione a non lasciare davvero niente in sospeso non era per nulla ovvio e questa, ideologicamente, è una scelta di cui essere felici. Attenzione, io parlo dell’approccio, che è ben diverso da come questo poi viene messo in atto. Su quello, ovviamente, si può discutere.
Parliamo di Zio Benjen.*

La chiusura della storia del ranger di casa Stark credo sia senza mezzi termini il punto più basso mai raggiunto dallo show in termini di scrittura.
All’interno di un episodio già sufficientemente ricco di nonsense, la catena di eventi innescata per chiudere la storia dello zio è il picco dell’assurdo e lascia per forza di cose l’impressione di aver assistito ad una scena che aveva come unico scopo il mettere la spunta su una lista di cose da fare, più che la reale necessità di dare un epilogo al personaggio. Una cosa tipo: “Dai, e con questa anche Zio Benji ce lo siamo tolti dai coglioni”.
Possiamo ipotizzare diverse motivazioni alla base di una così brutta scelta. La prima è certamente la mancanza di tempo. La settima è a conti fatti la prima stagione di GoT in cui il numero di eventi eccede di gran lunga il tempo a disposizione. Questo si traduce in gran ritmo, ma anche in grossi sacrifici narrativi di cui Benjen è chiaro esempio. In altri casi, come quello di Nymeria, ci è andata meglio.
Ritenendo da sempre il detto “do or do not, there is no try” una cagata, continuo sulla linea di chi apprezza il tentativo degli sceneggiatori di chiudere tutto senza dimenticanze, anche quando il risultato non è soddisfacente.

La seconda cosa che questa stagione ci dice è che la conclusione sarà con ogni probabilità vicina alle aspettative dello spettatore. Non in termini di qualità o soddisfazione, ma proprio in termini di trama. Molti usano il termine “prevedibile” per definire la questione, ma per me la cosa è un po’ più complessa di così. Prima di infervorarmi quindi metto un’immagine che riassume il concetto.

Game of Thrones nasce da una saga di romanzi fantasy e fin qui ci siamo.
In questo tipo di opere è fondamentale un’unico aspetto: la coerenza. Una volta completa, l’opera deve poter filare via liscia e ogni evento deve essere conseguenza plausibile e sensata dell’evento precedente. Nessuno parte a guardare il Signore degli Anelli pensando che Frodo alla fine non riesca a distruggere l’anello, il punto è capire come possa farcela e, soprattutto, non avere mai la percezione dell’esito scontato mentre si guarda/legge. In questo le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, sia in versione cartacea che televisiva, hanno saputo portare il senso di sospensione a livelli mai visti, inculcando nella testa dello spettatore la percezione per cui tutto sarebbe potuto succedere, ma è da sempre un bluff. Ben costruito, magistrale in certi punti, ma pur sempre un bluff.
Che l’epilogo avrebbe riguardato Jon e Dany non è mai stato in discussione. Jon è RISORTO, manco la morte può fermarlo. Se ancora pensiamo che non sia scontato il suo arrivo in fondo è perchè siamo stati distratti per anni. La grandezza di quest’opera è stata portarci dove siamo ora, ovvero dove sapevamo saremmo finiti, senza che che ne accorgessimo. Mentre noi prestavamo attenzione ai vari specchietti che ci venivano messi di fronte episodio dopo episodio, loro avanzavano, lenti, ma inesorabili, verso la conclusione.
Ora che ci siamo però, che le strade convergono, è normale che sia più difficile perdere di vista l’arrivo e, di conseguenza, non pensare al fatto che fosse chiaro fin da subito.
Un buon finale non è quindi quello che sorprende, ma quello coerente con quanto visto. Dopo sette anni siamo così dentro la vicenda, abbiamo così tante informazioni, da poter unire da soli i tasselli mancanti seguendo la logica. E’ come un puzzle, meno pezzi mancano alla fine più è facile inserirli. Non dico che sorprendere lo spettatore a questo punto sia impossibile, dico che farlo senza venir meno alla linearità della storia è difficile. Preferisco un epilogo prevedibile, ma sensato, ad uno imprevedibile che però non abbia reali basi in quanto costruito.
Dany sarebbe potuta naufragare con la flotta e non approdare mai a Westeros. Sarebbe stato sorprendente, certo, ma davvero la sorpresa è tutto ciò che abbiamo da chiedere?
Questo è quello che ha fregato Martin nei libri. Non ha accettato che il suo pubblico avesse dedotto la svolta narrativa più importante (Aegon Targaryen) e ha provato a barare, venendo meno alla coerenza fino a lì costruita. Nella serie, almeno da questo punto di vista, sono stati più bravi.
Che Jon e Dany fossero destinati ad essere gli eroi vittoriosi della storia non implica certo che finissero a letto insieme, ovviamente. Moltissimi hanno trovato scontato questo dettaglio che ai fini della storia non dovrebbe essere troppo rilevante** e che quindi sarebbe potuto tranquillamente essere evitato. Questa credo sia questione essenzialmente di gusto: c’è chi aspettava questa love story da sempre e chi sperava di non vederla mai, ci sta tutto. Io non ci vado matto, ma non stride per nulla nè con la storia, nè con la caratterizzazione dei due personaggi. A Roma credo direbbero “stacce”.

A conti fatti quindi questa non è stata certo la miglior stagione di GoT, il picco credo rimarrà la stagione scorsa, però al netto di evidenti problemi di rapporto tra numero di eventi e minuti a disposizione io sono soddisfatto.
Chiudo quindi con alcune note sparse più legate alla sostanza, a ciò che mi è piaciuto e agli interrogativi che mi sono rimasti.
Partiamo da Jaime.

L’unica cosa che ho sempre rimpianto dei libri, in termini di trasposizione on screen, è la caratterizzazione di Jaime.
Il grosso vantaggio della versione cartacea però è la narrazione a POV, che permette di farti vedere il personaggio per lungo tempo solo attraverso gli occhi di chi lo circonda, quindi per come appare, e solo poi attraverso i suoi, ovvero per ciò che è. Questo facilita molto il processo di “redenzione” perchè le ragioni che lo muovono emergono solo in seguito e portano il lettore a cambiare prospettiva. Nella serie, per ovvi motivi, questa operazione non è possibile e quindi il tutto ne esce drasticamente smorzato. Se ci aggiungiamo momenti di buio in cui gli sceneggiatori non sapevano letteralmente cosa fargli fare (ricordate “Jaime e Bronn vanno a Dorne”? Io purtroppo sì.), il timore che finisse sacrificato in toto era più che tangibile ed invece questa stagione ne determina per la prima volta il peso, mostrando Jaime per l’uomo che è e consegnandolo quindi agli spettatori come l’unico Lannister con una reale evoluzione.
La scena di lui che se ne va con la neve che arriva a King’s Landing per me in assoluto tra le migliori scene di sempre.
Una cosa che mi ha deluso, perchè ci riponevo discrete aspettative, è il rientro di Gendry che, salvo smentite future, al momento finisce nel tritacarne delle pedine sacrificate all’altare del “facciamo succedere le cose”. Fin dai tempi in cui ero semplice lettore, io sono stato #TeamBaratheon. Mi piaceva King Robert e sono tutt’ora convinto che morte di Renly sia stata la più grande porcheria della saga, in termini proprio di scrittura. Speravo quindi che il ritorno di Gendry riportasse in alto la mia casata del cuore e, devo dire, alla fine del quinto episodio ero fomentato come un bambino. Peccato la cosa si sia risolta in niente, mi auguro solo non riprendano in mano il personaggio giusto per la battaglia finale.
#MakeBaratheonGreatAgain.
Per chiudere, la morte di Viserion ed il suo arruolamento tra le fila dell’esercito degli zombie per me segna il punto chiave della divergenza tra libri e show televisivo. Se mai l’opera letteraria avrà una conclusione (cosa per nulla scontata), non credo conterrà questa svolta.
La teoria vuole che i Targaryen siano tre: Jon, Dany e Tyrion. Il drago con tre teste, ecc. Martin credo si sia tenuto il terzo in esclusiva per i libri, rendendo quindi “inutile” uno dei tre draghi. La mia speculazione vuole che il ritardo mostruoso nella messa in onda dell’ottava stagione (si parla di 2019***) sia in accordo con lo “scrittore” (virgolettato perchè uno scrittore di norma scrive): gli si da il tempo di uscire con un nuovo libro prima della conclusione della serie TV. Il libro introdurrà queste differenze in modo da tenere vivo l’interesse per la saga letteraria anche dopo la conclusione dello show, che altrimenti credo ne limerebbe non poco le aspettative ed i conseguenti profitti.
E’ un’ipotesi sensata, ma avendo a che fare con Martin può tranquillamente succedere che l’ottava stagione venga posticipata e lui non esca comunque in tempo col libro. Ormai non credo di avere più parole per esprimere il mio disprezzo nei suoi confronti, quindi la cosa mi tocca il giusto.
La serie TV avrà un finale, presto o tardi.
Io sono a posto così.


* Ho iniziato un processo di self training per iniziare ad usare ZIO BENJEN come nuova imprecazione/intercalare.
** La possibilità nasca un erede dall’unione tra Dany e Jon non la considero proprio perchè a mio avviso minerebbe la coerenza della storia. No dai, Zio Benjen, non scherziamo.
*** ZIO BENJEN!

13 cose su 13

13 é una serie Netflix il cui titolo originale, evidentemente intraducibile, é “13 reasons why”. Parla di una ragazza del liceo che si ammazza, ma prima di farlo lascia alcune audiocassette con le ragioni per cui l’ha fatto. Ognuna di queste ragioni è riconducibile ad uno dei suoi compagni di scuola, che lo scoprirà solo dopo il fattaccio proprio ascoltando queste cassette, secondo un piano escogitato dalla morta. Non la sto banalizzando o rendendo più scema di quel che è, la sinossi è esattamente questa, ma un plot assurdo non implica necessariamente il prodotto che ne esce faccia cagare.

Volendone parlare, quale modo migliore se non stilare una lista di 13 commenti?
Probabilmente molti, tutti più originali, ma tant’è, quindi ecco la mia lista.

1) In questo pezzo ci saranno degli SPOILER, tutti ben indicati. Questa, a ben pensarci, è una cosa piuttosto assurda perchè la storia è nota dal primo minuto. La serie però è scritta in modo furbo, cercando di portare lo spettatore a chiedersi, passo dopo passo, chi avrà fatto cosa. Dovendo prendere una rincorsa infinita di 13 episodi e volendo dare al tutto un effetto climax per cui in ogni cassetta c’è un misfatto peggiore del precedente, il risultato è che per i primi 4/5 episodi la cosa stenta davvero ad ingranare. Superato il pilota, infatti, ci si trova di fronte ad una prima parte di stagione in cui sai che la tipa s’è uccisa, ma i problemi che ti presenta ti risultano troppo difficili da prendere sul serio e questo contrasto è davvero tosto da ignorare. Sembra un Pretty Little Liars, ma senza la vena demenziale e quindi senza un senso. Poi però l’intreccio si fa via via più pesante e l’attenzione aumenta, anche e soprattutto perchè vuoi sapere il ruolo nella storia di Clay.

2) Clay è il co-protagonista della vicenda, ovvero il tizio che si sta sentendo le cassette e attraverso cui riviviamo le vicende di Hannah. Il fatto che stia sentendo i nastri implica che sia una delle 13 ragioni e, per come viene presentato nel corso degli episodi, non è facile immaginare come mai possa esserlo. Da lì la curiosità che spinge a proseguire, episodio dopo episodio. In questo aspetto la serie ha, credo, il suo più grande difetto strutturale, perchè dopo undici dei tredici episodi… arriva uno SPOILER… è evidente che Clay nella lista semplicemente non ci dovrebbe stare. Siamo di fronte ad una delle più grandi prese per il culo ai danni dello spettatore dai tempi degli orsi polari di Lost e, come in Lost, funziona benissimo perchè quando il velo cade e capisci che sei stato preso in giro, ormai sei talmente dentro la vicenda da passarci sopra. Il trucco paga, quindi, ma sempre un trucco resta.

3) 13 è uno show che si propone, principalmente, di sensibilizzare i teenagers verso tematiche serie come il bullismo, la violenza sessuale ed il suicidio. Un altro sbaglio che fa, a mio avviso, è quello di tratteggiare in maniera troppo fine e discontinua il confine tra giustizia e vendetta. Io non ho problemi quando una serie o un film parlano di vendetta, anzi, ci sguazzo in quel tipo di narrativa. La vendetta però non può avere spazio in un contesto pedagogico/formativo. Se la serie vuole lanciare un messaggio e sensibilizzare, allora è alla giustizia che deve tendere. In 13 invece c’è un po’ troppa sindrome da Selvaggia Lucarelli, quel meccanismo che ti parla alla pancia e crea fomento, rabbia e voglia di “veder pagare i colpevoli”. Siamo nella società americana, i ragazzini hanno accesso alle armi e questo viene mostrato anche nello show. Se il bullismo diventa qualcosa di cui vendicarsi, il rischio è di chiudere un buco ed aprire una voragine.

4) In termini di sensibilizzazione però 13 fa una cosa molto bene: mostra. La scena del suicidio di Hannah è cruda, diretta, sconvolgente. Nel finale di stagione la sofferenza viene davvero fuori tutta, senza filtri, e questo è quel che serve se si vuole generare una reazione nello spettatore. Sono finiti i tempi delle moraline spicce da 7th Heaven, o dei drammi acqua e sapone. L’obbiettivo non è suggerirti idee distanti di malessere ipotetico, ma è darti una sberla e farti aprire gli occhi. Il mondo che viene raccontato è esattamente quello che circonda anche te.

5) Ultimamente Netflix punta molto sull’effetto vintage. Parlandone con un amico abbiamo convenuto come questo sia un barbatrucco per garantirsi l’audience anche da parte di chi teenager non lo è da tempo, ma che invece costituisce la grande maggioranza dell’utenza del canale: i trentenni. Tutta la storia delle cassette, intese come formato, non ha una reale utilità narrativa se non dare al prodotto l’ormai fortunatissima patina anni ottanta, che su di me ancora funziona, ma che, a lungo andare, temo finirà per andarmi in noia. Il lato positivo però è che…

6)… la colonna sonora è una mina, indubbiamente tra le cose migliori della serie. Se del revival estetico faccio fatica a capire il senso e anzi in certe situazioni addirittura mi disturba, non potrò mai, MAI, lamentarmi di serie che usano Elliott Smith al posto di Ed Sheeran.

7) A differenza di Brian Yorkey, l’ideatore della serie, inizio a pensare siano troppi 13 motivi per parlare di 13. Quindi, come Brian… SPOILER… ne uso uno due volte. La colonna sonora è molto molto ben curata e pensata. Nonostante Selena Gomez.

8) Al di fuori della storia principale, è stato fatto un certo lavoro sulla costruzione dei personaggi collaterali. Non sempre buono, ovviamente. I compagni di Hannah ballano infatti spesso sul confine tra cliché e macchietta (la ragazza con due papà che si scopre lesbica è probabilmente il punto più basso in tal senso). Il meglio viene fuori, a mio avviso, nella descrizione delle famiglie. Da quella di Clay, ai genitori della defunta, fino anche a situazioni più collaterali come la famiglia di Alex. Lo stereotipo è spesso dietro l’angolo, ma tutto sommato non disturba troppo e fa il paio col fatto che in diversi casi anche la morale che lo show lancia tende ad essere tagliata con la scure. Il mio avere bisogno di sfumature però non è target per lo show, che come detto punta a sensibilizzare e in tal senso, volendo parlare a gente di un’età per cui tutto è bianco o nero, colora tutto di bianco o nero. Credo sia una scelta giusta e che alla fine abbia pagato.

9) Il cast di ragazzini funziona piuttosto bene. Fa sempre un po’ specie notare come il livello di interpretazione medio sia alto in prodotti come questo, anche quando coinvolgono ragazzi molto giovani. Per essere una storia di drammi adolescenziali, direi che il rischio più grande è sempre quello dell’overacting, l’esagerazione, e qui, a memoria, non succede mai. Sono bravi, misurati e credibili in tutte le situazioni. Questo, ovviamente, aiuta molto.

10) Momento pippone, lo dico prima così eventualmente si può saltare il paragrafo. Ad un certo punto, nell’ultimo episodio, si susseguono le deposizioni dei ragazzi di fronte alle parti legali che seguono il caso. Una di queste coinvolge Kat, unica vera amica di Hannah che lascia la città ad inizio stagione e che non ha un reale ruolo nella vicenda. Proprio perchè non coinvolta direttamente nel plot, le viene affidata dagli sceneggiatori una delle dichiarazioni più a fuoco ed interessanti. L’analisi riguarda il sistema scolastico americano, ma per una volta la chiave di lettura non è legata alle diversità economiche, quindi a fattori esterni che entrano nella scuola e ne condizionano la vita, ma alla stratificazione sociale che si crea dentro la scuola in relazione allo sport. La cultura sportiva americana, che parte dai licei e che spesso viene largamente indicata come esempio positivo (non a torto, va detto), qui viene mostrata attraverso il suo lato più crudo e duro. La scuola che come primo obbiettivo ha la formazione di future star dello sport, che ne determinano il prestigio e a cui tutto diventa dovuto. Formazione sportiva, ma non dello sportivo in quanto uomo. Non è un tema nuovo, ma credo sia affrontato particolarmente bene.

11) Il finale resta aperto. Lo scopo non è mostrare una risoluzione “giuridica” delle vicende, la risoluzione cercata è solo nella vita dei protagonisti, tra chi supera la tragedia e chi ci rimane invischiato dentro. Le cicatrici restano su tutti e tutti hanno, alla fine, dovuto venire a patti non tanto con quanto avevano fatto, ma con la persona che hanno realizzato di essere. L’ho trovata una gran bella soluzione, che spero resti tale a fronte del fatto che…

12) La serie è stata confermata per una seconda stagione. Evito appositamente di cercare in rete come sarà strutturata e di cosa parlerà, proprio perchè resto convinto che le vicende del Liberty High abbiano già avuto degna conclusione. Non so quanto possa essere fattibile un nuovo “caso” da svelare attraverso un susseguirsi di ragioni/indizi. La prima stagione si lascia aperta quella porta… SPOILERONE… con Alex, ma salvo assurdi salti mortali in fase di scrittura, dubito ci sia davvero qualcosa di più che abbia senso raccontare in merito. Lo show potrebbe quindi continuare a mostrarci le storie di Clay e compagnia, diventando con ogni probabilità un’altra cosa completamente sconnessa dalla stagione precedente e dal suo stesso titolo. Come se Dexter fosse morto alla fine della prima stagione e si fosse andati avanti con protagonista la polizia di Miami, ma senza il serial killer, reale tratto distintivo che oltretutto presta il nome al prodotto. Non che sia vietato eh, però ho davvero tanti dubbi.

13) Giudizio finale: a conti fatti per me è un sì. Non ho l’età per farne la mia serie preferita, ovviamente, e non credo nemmeno sia così buona come se ne legge o sente in giro, però dal momento in cui ingrana porta a casa il risultato con soddisfazione, sia questo intrattenere un adulto o far ragionare un ragazzino. C’è da turarsi un po’ il naso qua e la, quando il teen drama viene fuori più prepotente e porta l’anima thriller in secondo piano, ma sono cose che si superano.
Poi oh, io non ho nulla contro i teen drama, Dawson’s creek resta una delle mie serie della vita, però ecco, l’ho vista che avevo 17 anni. Non 36.

Ce l’ho fatta, ho scritto 13 commenti su 13*.
Ora spero di riuscire a scrivere anche qualcosa che non tratti di serie TV.
Prima o poi.

* in realtà no, mentre scrivo questa chiusa ne ho messi insieme solo 10 e mi son già giocato la ripetizione. Ma credo molto in me.

Weeds

Ieri sera ho finito di vedere Weeds.
Per chi non la conoscesse, Weeds è una black comedy andata in onda su Showtime e che si è chiusa nel 2008. Racconta le vicende di una famiglia della middle-class americana che finisce a campare spacciando erba. Su Netflix si trovano tutte e 8 le stagioni, 102 episodi in totale da poco più di 20′ l’uno. Io li ho recuperati tutti senza sforzo in un paio di mesi e me ne sono innamorato.
Sigla.

La prima cosa da dire parlando di Weeds è che a guardarlo si ride. Tanto.
Certo, magari non sempre e non ogni volta con lo stesso gusto, ma quando vuole questo show arriva a picchi difficilmente raggiungibili, anche guardando ad altre comedy ben più note e comunemente ritenute divertenti.
Si ride per i personaggi e per le situazioni, che sembrano sempre completamente sopra le righe, ma che poi a ben guardare non lo sono affatto, o meglio, non quanto può sembrare in prima analisi. Quello che riesce meglio a questa serie infatti è presentare tutti i controsensi, le assurdità e le problematiche, spesso drammatiche, della società americana, ma senza fare pistolotti noiosissimi o avventurarsi in metafore assurde. Non c’è una morale, un messaggio. E’ come se Jenji Kohan, l’autrice dello show, fotografasse gli Stati Uniti e ce li mostrasse usando di volta in volta filtri di instagram diversi. Anche quando possono far sembrare le immagini artificiose ed irreali, queste restano sempre e solo foto e una foto non esprime giudizi, li lascia a chi la guarda. Droga, criminalità, corruzione, perbenismo di facciata, crudeltà, consumismo sfrenato, disuguaglianze sociali, speculazioni finanziarie, truffe assicurative, assenza di previdenza sociale, fanatismo religioso e un mucchio di altri elementi che sto probabilmente dimenticando dipingono le avventure della famiglia Botwin, che si limita a sguazzarci dentro di volta in volta trovando sempre un modo “creativo” per uscirne male o finire dalla padella alla brace.
La seconda cosa che mi ha fatto amare Weeds è la cura per la colonna sonora, almeno per quanto riguarda le prime 4/5 stagioni. A partire dalla sigla, che nella seconda e nell’ottava stagione è stata reinterpretata da un tot di artisti (qui ci sono tutte le versioni, OCCHIO AGLI SPOILER), ma anche e soprattutto le scelte musicali durante gli episodi: sempre azzeccate, capaci di dare al tutto una profondità molto più ampia, non solo nei momenti di tensione o nelle parti più emozionanti, ma anche quando c’è da ridere. Mentre guardavo lo show, più di una volta mi sono trovato a pensare: “wow, che scelta figa!” e non è una cosa che mi accade tanto spesso.
E poi ci sono gli attori e le tonnellate di comparse illustri, tutti bravissimi, su cui sono stati costruiti tantissimi personaggi indimenticabili che hanno reso archi narrativi meno riusciti comunque degni di essere visti. Questa è una grossa qualità, dare anima anche a personaggi che restano sullo schermo un paio di episodi, una roba del tutto non comune.
Ciliegina finale, c’è dentro davvero un sacco di figa.
Il mio consiglio è quindi di guardare questa serie, che a 12 ore dalla conclusione già mi manca tantissimo. Ha dei difetti, soprattutto nelle due ultime stagioni, ma ha davvero tanti pregi e se le si presta un minimo di attenzione sa mostrare molto più di quel che appare in superficie.

Le foto di Diletta Leotta

E quindi c’è stato un leak* delle foto private di Diletta Leotta.
Cosa potrà mai esserci di intelligente da dire su questa cosa? Nulla, però ci sono sicuramente un sacco di cose stupide che si possono dire in merito e quindi utilizzerò questo post per fare un po’ il punto delle peggiori che ho letto e per aggiungerne qualche altra. Prima però un po’ di sana…

Sono una brutta persona vero? Ma su questo torno dopo.
Partiamo dal principio. Pare superfluo sottolinearlo, ma in questa storia Diletta Leotta è una vittima e non ha alcuna colpa. Senza se e senza ma. E’ così. Se pensi che in qualsiasi modo possa essersela andata a cercare, sei probabilmente uno di quelli che blatera di circostanze che possono legittimare uno stupro o di immigrati ospiti a spese nostre in hotel a 5 stelle**. Il web è pieno di siti, vai pure fuori dal mio. Grazie.
Posto tutto questo, ci sono tre livelli di analisi che mi piacerebbe affrontare.
Il primo è la presunta analogia con le vicende drammatiche della ragazza morta suicida pochi giorni fa. Posto siano entrambe vittime, i casi a mio avviso sono molto diversi. Chi ha divulgato il video della ragazza campana voleva farle del male, rovinarle la vita. Le conseguenze di quell’azione erano abbastanza pronosticabili, a parte, voglio sperare, il tragico epilogo: non tanto il diventare virale tra perfetti sconosciuti, ma il non poter più uscire di casa nel proprio paesino. Io dubito fortemente che alla base del leak di ieri ci sia lo stesso tipo di movente e, su due piedi, immagino che anche le ripercussioni delle due violazioni sulle vittime avranno entità molto diverse. Nessuno può negare o sminuire quanto grave possa essere l’impatto di quel che è successo sulla diretta interessata, ma sono abbastanza certo che sulla società circostante la differenza sarà marcata e questo, credo e mi auguro, porterà ad un esito molto diverso per le due vicende. Come dire: la Leotta deve gestire l’umiliazione che prova, ma non dovrà gestire lo sdegno della società. Fa tutta la differenza del mondo.
Torniamo al movente del tipo che ha divulgato le foto. Mi fa comodo partire da lì per dire la mia sul comunicato con cui l’ufficio stampa della giornalista ha commentato la vicenda. Tolta la parte in cui si fa sacrosanto riferimento a casi analoghi dalle conseguenze decisamente più drammatiche, come dicevo sopra, per me in questo comunicato ci sono un grosso sbaglio ed un’occasione sprecata. Lo sbaglio è rifugiarsi dietro al “foto di alcuni anni fa” e agli “evidenti fotomontaggi”, parole che suonano come giustificazioni non necessarie, non richieste e che non fanno altro che innestarsi in quel terribile sottotesto per cui la vittima un po’ è anche colpevole. Posso credere che la Leotta si senta responsabile in questo momento, è una reazione piuttosto standard in chi subisce violenza, ma chi la assiste dovrebbe lavorare in questa direzione molto meglio di come ha in realtà fatto. L’occasione sprecata invece si lega a quel che avrei fatto io (#FrocioColCuloDegliAltri). Il movente più logico per quanto successo è il ricatto: son cose che nello showbiz italiano capitano e quindi io, dovendo pescare a caso da un mazzo di incognite, mi butto su questa. Se ti ricattano per non divulgare tue foto rubate e le foto vanno online, l’unica è dire “Mi hanno ricattata, ma ho risposto che potevano andare affanculo e quindi hanno messo tutto online. Amen. Adesso spero li arrestino.” E’, credo, l’unico modo per dare un messaggio e provare a fermare il meccanismo. Non sentirsi ricattabili per cose di questo tipo sarebbe un bel passo avanti.
L’ultima analisi riguarda la paternale che ha iniziato a sgorgare libera e felice online. Eliminando TUTTI gli uomini che hanno commentato con “Vergognatevi” sulla base del fatto che almeno 2/3 di loro si è vista ovviamente le foto e quindi parla a vanvera (la statistica fa riferimento a dati ISTAT per cui, stando alle dichiarazioni, l’italiano non va a puttane e non tradisce la moglie, ma anzi è pronto a condannare questi gesti), restano comunque troppi messaggi di sdegno rivolti ai guardoni del web (parafrasando).
Io ho visto le foto.
E’ ovvio, di nuovo, che se non esistessero brutte persone come me non esisterebbero questi casi. Probabilmente non esisterebbero nemmeno le foto in questione perchè nessuno vorrebbe vederle. Nel senso, lo spirito che muove me ed il legittimo destinatario di un primo piano delle tette della Leotta è il medesimo, io sono solo imbucato alla festa. Ok, ok, sto barando. Il problema non è che io abbia voglia di vedere le tette della Leotta, ma il fatto che io non sia in diritto di farlo se non su precisa richiesta della stessa (Diletta, se leggi, basta un commento qui sotto nel caso). Verissimo.
Ma sapete cosa? Io non ho neanche un problema etico in merito. Non ho un dilemma morale, non sono divorato dal dubbio se guardare o meno le foto (che ormai mi arrivano sul telefono immediatamente da amici e conoscenti, senza manco dover andare a cercarle in siti pieni di pop-up irritanti). Io le guardo SEMPRE, ogni volta, e se ne uscissero altre guarderei pure quelle. Non dovete spiegarmi perchè sbaglio, capisco bene il punto, ma non riesco razionalmente a sentirmi responsabile di nulla in queste circostanze. La mia morale mi vieta di rubare queste foto personalmente e di pagare chiunque lo faccia alimentando un eventuale mercato criminale. Oltre quello, il mio ruolo nel meccanismo diventa al mio occhio trascurabile e quindi non me ne curo. Come non mi mi toglie il sonno essere un microfattore nella disuguaglianza economica e sociale che c’è nel mondo o nel peggioramento della salute del nostro pianeta: è ovvio che ci siano anche responsabilità mie, ma in che misura?
La mia sensazione in questi casi è che a voler far passare tutti per colpevoli, si finisca col dire che colpevole non è nessuno. Facciamoli, dei distinguo.
Bon, direi che questo è quanto.
Un commento alle foto? A mio avviso, nulla di esaltante. Si vedono delle tette, buttate lì in bella mostra e senza la minima carica erotica. Diciamo che tolta l’euforia della curiosità, che in questi casi pesa il 90% del totale, resta davvero poco di cui parlare. Sul video invece avrei una teoria…

* mentre pensavo al titolo del pezzo mi sono venute in mente tipo cento variazioni sul tema “pussy leaking”, giusto per dire che quando l’argomento è questo mantenere toni alti e dissimulare bassi istinti è dura. Per me, quantomeno.

** oggi sono in pallissima con le gag.

Cose successe in HBO

George R.R. Martin è legato ad una sedia, sudato e stanco. Di fronte a lui, David Benioff e D.B. Weiss lo osservano. L’espressione soddisfatta e compiaciuta sui loro volti lascia presto il posto ad un ghigno. Può sembrare scherno, ma in realtà è solamente sadismo, represso per anni e finalmente lasciato libero di affiorare.
E’ a quel punto che i due iniziano a strappare pagine e pagine dai romanzi dello scrittore che, inerme, è suo malgrado costretto ad assistere a tutta la scena.
“La vedi questa storyline George? ECCO, NON CE NE FREGA UN CAZZO.”
“Vi prego, vi scongiuro lasciate quella part…”
“Quale, QUESTA? – risponde Weiss mentre di scatto sbottona i pantaloni ed inizia a pisciare sulle pagine di uno dei volumi – No, caro. Tutta questa MERDA noi la togliamo. Per noi non è mai esistita!!!”
“Ma… non potete farlo…”
“Oh, certo che possiamo. POSSIAMO ECCOME!”
E’ Benioff ora ad accanirsi sui tomi con una violenza ed una soddisfazione senza eguali, in preda ad una vera e propria estasi.
“Centinaia di pagine… in questi anni ci hai costretti a leggere miliardi di parole INUTILI! Personaggi, storie, colpi di scena DI CUI A NESSUNO PUO’ FREGARE UN CAZZO! Volevamo ribellarci, ma non potevamo. Abbiamo chiesto indipendenza, autonomia, ma l’unica risposta che arrivava erano altre pagine sotto cui soffocare. CI HAI ROTTO I COGLIONI!”
“Non volevo… scusatemi… non è colpa mia. Purtroppo non so più dove andare a parare. Vorrei piantarla lì, ma il mio editore mi sta addosso e anche HBO continuava a chiedere…”
“ZITTO! DEVI STARE ZITTO! – riprende Weiss tirando “A Dance with Dragons” nel camino – Hai venduto i diritti per la TV per fare ancora più soldi, per ampliare il numero di persone TRUFFATE da te e dal tuo editore. Hai promesso una saga che non sai concludere, un finale che non hai nemmeno idea di come tirare insieme. E NOI COSTRETTI A DARTI UNA MANO! Ancora mi sveglio sudato nel cuore della notte, con nelle orecchie le urla di persone che chiedono perchè le costringo a sciropparsi le storie di Daenerys a Meereen…”
“Dio, cosa abbiamo fatto…” bisbiglia Benioff piangendo, con il volto tra le mani.
“Ma adesso basta, caro George. – riprende Weiss – Basta. Vaffanculo Aegon Targaryen, vaffanculo Quentyn Martell…”
“‘FANCULO TUTTI I CAZZO DI MARTELL!!! – Grida Benioff gettando benzina su un espositore Mondadori.
“Già, fanculo a tutti loro! E Fanculo a te George. Non saremo più tuoi complici in questo!”
Martin è sconvolto.
“Voi non sapete quello che state facendo. Siete degli stupidi. Col materiale che vi ho dato avremmo potuto mangiare tutti per anni. Ci potevate fare almeno otto spin-off…”
“Ammazziamolo.”
“No, David. Non merita questa grazia. Noi ora chiuderemo quest’opera e lo faremo il meglio possibile. Con le nostre idee. Abbiamo ancora due stagioni da scrivere. Diamo alla gente quello che merita. Diamo loro un finale. Mettiamo fine alla tirannia di questo grassone di merda…”
“TANTO IO POI SCRIVERO’ UN FINALE DIVERSO PER I MIEI LIBRI E FOTTERO’ DI NUOVO TUTTI! COME HO SEMPRE FATTO! NON POTETE SCONFIGGERMI. IO SONO GEORGE R.R. MARTIN!”
“Può essere. Forse però, se faremo bene il nostro lavoro, qualcuno potremo salvarlo. Per pochi che siano, avremo fatto del bene.”
Weiss e Benioff escono dalla stanza.
Si abbracciano, commossi.
Da dentro giungono ancora grida ferali: “… NON SONO LA VOSTRA PUTTANA…”, ma loro ora hanno raggiunto la pace.
Insieme, costruiranno un mondo migliore.

Niente, ieri ho visto la premiere della sesta stagione di Game of Thrones e ora ho questa immagine bellissima in testa che non riesco proprio a far andare via.

MTV Generation

Disclaimer: il titolo di questo post va pronunciato come foste Fred Durst.

Ieri su twitter è partito un fenomeno di revisionismo storico a tema MTV, il canale musicale che ha fatto da sfondo ai pomeriggi di moltissimi ex-ragazzi che oggi navigano nell’intorno dei 35 anni. Alla base di questa ondata di ricordi c’è la notizia vera o presunta dell’imminente ribrendizzazione (che bella parola, soprattutto scritta così, scevra di qualsiasi riferimento anglofono) di quello che oggi è il canale in chiaro di MTV, ovvero MTV8.
Premesse d’obbligo:
– Non ho idea se la notizia sia, appunto, vera o presunta.
– Non ho idea se MTV8 sia davvero un canale esistente oggi sul digitale terrestre, nè se questo sia davvero il discendente di MTV.
– In generale se ci fosse un decimo del fact checking sbandierato per sta vicenda in una qualsiasi delle situazioni della vita che richiederebbero davvero un fact checking, si starebbe tutti meglio.

Il punto è che al grido di #AddioMTV molti di noi si sono sentiti in diritto ti ripescare a piene mani dalla memoria per tirare fuori aneddoti e ricordi appartenuti ad un tempo in cui si stava tutti meglio. E quando ce la lasciamo scappare un’occasione per scivolare nella dolce malinconia dei giorni che furono? Io personalmente mai. Credo di aver iniziato con questa attitudine che ero ancora minorenne. Una vita proiettata costantemente indietro, che ha come faro il nume tutelare del “quando eravamo giovani”: Max Pezzali.
Così via libera a citazioni, immagini e ripescaggi improbabili. Certo, ogni cinque twit in argomento toccava leggere l’immancabile intervento di quello che “Eh, MTV è morta da dieci anni e ve ne accorgete solo ora” che ci sta nella misura in cui il mondo è evidentemente sovrappopolato, ma tutto sommato seguendo l’hashtag di cui sopra saltavano fuori robine di un certo spessore.

E quindi eccomi qui, col pensiero che forse due parole su MTV sarebbe anche carino scriverle.
Io MTV l’ho guardata tanto, davvero tanto, dai primi anni novanta fino ad un punto imprecisato in mezzo agli anni zero. Scrivo sforzandomi di non usare google per ricordare come andò, ma se la memoria non mi inganna è possibile la guardassi prima che nascesse ufficialmente come MTV Italia, cosa a quanto pare successa nel 1997 (sì, ok, ho usato google alla prima frase dopo aver detto che non l’avrei fatto. That’s me.).
Negli anni novanta tenere sotto controllo i canali musicali era di vitale importanza, perchè delineavano la linea netta ed incontrovertibile che separa il bene dal male. Tutto ciò che passava su MTV era commerciale e la roba commerciale andava disprezzata. Un manifesto chiaro, preciso ed inappuntabile.
Ai tempi della dicotomia MTV / TMC2 era al più lecito seguire la seconda, almeno per quanto riguarda la mia etica personale, ma ancora una volta unicamente sulla spinta dell’antagonismo radicale verso i VJs, TRL e compagnia. Che poi, se MTV Italia è nata nel 1997 e TMC2 è morta tipo nel 2000 (sto giro non googolo, ricordo di aver seguito l’ultimo giorno di trasmissioni su TMC2 con un forte dispiacere e di averne parlato alla mia morosa di allora che, giustamente, pensava fossi scemo a dare tutto sto peso alla cosa.), la battle of the brands (mi escono così) è stata molto più breve di quel che ricordassi.
Dicevamo, MTV come parametro di riferimento per dare una faccia al nemico. D’altra parte, lo dicevano pure i NOFX nel booklet di Heavy Petting Zoo: “No Thanks to: MTV” e siccome il nemico dei miei idoli era il mio nemico, discussione chiusa.
Col tempo però mi sono ammorbidito un tot nei confronti del canale musicale per antonomasia e ho iniziato a trovarci del buono. Tipo:

Ecco, lei era buona.
Mi ricordo ancora quando una sera partì un programma in diretta da Roma e condotto da Mao, non saprei dire il titolo, e Valeria, da sempre bionda, si presentò in studio mora, spiegandomi nel dettaglio il concetto di amore.
E’ un peccato che tra noi le cose non abbiano funzionato e lei si sia ostinata ad ignorare la mia esistenza negli anni in cui ero single (non proprio 2 su 34 eh, carina, avresti avuto margine cazzo…). C’est la vie.
Tornando ai lati positivi di MTV, il primo ed inarrivabile è l’avermi permesso di vedere Scrubs. Non so se vi ricordate la campagna mediatica con cui MTV aveva spinto il lancio della serie. Ne parlavano sempre, a tutte le ore ed in ogni contesto. Clip a sorpresa ogni 15′. Un martello. Quell’anno facevo già l’università e uscivo tutte le sere. Andavo con gli amici nel parcheggio di fronte a casa eh, non proprio nella movida milanese, ma ero fuori sempre. Tranne il giovedì, perchè c’era Scrubs. Le prime due stagioni di Scrubs sono la cosa migliore mai uscita da un televisore. Poi è diventato “solo” una roba oltremodo divertente, ma le prime due stagioni CAPOLAVORO, col caps lock.
Se lo chiedete a me MTV ha sempre dato soddisfazione soprattutto quando non trasmetteva musica.

Non solo però. Ad un certo punto, ad anni zero ormai inoltrati, la sera mi guardavo Brand: New e Sgrang! (si chiamava così il programma wannabe musica pesa? EDIT: No. Accentosvedese mi ricorda che il programma “peso” di MTV era Superrock. Sgrang! Stava su TMC2.). Ore di sciroppamento di musica alternativa comunque fastidiosa per beccare una tantum un video capace di svoltarti l’esistenza. Tipo. Ma anche. Va riconosciuto che quantomeno quello di Coppola fosse un bel programma. L’unico che ricordi, a conti fatti.

La fascia pomeridiana è sempre stata il peggio, anche una volta conclusa la mia parentesi di antagonismo a priori. Total Request Live. I danni che ha prodotto TRL sono incalcolabili. Erano gli anni del boom dei Blink 182 e Giorgia Surina, che sta alla musica quanto io sto a lei, li accostava a qualunque cosa avesse delle chitarre e/o velleità simpa. “Una cosa alla Blink” passava da elogio a dura critica ogni santo giorno in cui ella volesse spingersi al commento tecnico/tattico su uno dei pezzi passati nel programma. I riferimenti musicali di Giorgia Surina credo si componessero unicamente di U2 e dei tre singoli di Enema of the State. Fine. In coppia con Maccarini e poi con Cattelan riuscì nel non difficile compito di criminalizzare la parola EMO, regalandoci fenomeni come i LOST. Se la morte delle tv musicali implica non dover più assistere a cose tipo questa, è davvero avvenuta troppo tardi. Maccarini l’ho incontrato al Milano Whisky Festival un paio di mesi fa. Chi si sconvolge leggendo che i nati nel ’98 quest’anno diventano maggiorenni (cit.) dovrebbe incontrare per caso Maccarini nel 2016 e dare un senso reale al proprio sconvolgimento.

Una volta sono stato ad un programma di MTV, Supersonic o forse solo Sonic, conduceva Silvestrin. Enri lo usava palesemente per tirar dentro a suonare gruppi che piacevano a lui. La sera in cui ho presenziato io c’erano in cartello gli Undeclinable e Max Gazzè. Ricordo che avevo scritto in redazione chiedendo di poter partecipare per vedere i primi e mi invitarono. Forse perché l’unico (non è vero dai, c’era un altro tipo li per loro e mi aveva tirato un pippone sul dramma della cancellazione della prima data italiana dei New Found Glory.). Andai con Ciccio, che per l’occasione si era preso un paio di adidas che a detta sua avevano solo lui e un qualche personaggio di spicco dell’alternative mondiale. Silvestrin aveva la maglietta dei The Get Up Kids. Io ero probabilmente vestito come al solito. Fu bello, tutto sommato, ed è un peccato non ci siano tracce di quella puntata su youtube. La cosa mi suggerisce che forse non fu mai trasmessa. Ci starebbe.

In qualunque modo la si metta, MTV è stata un pezzo importante della formazione della mia generazione. Non so se fosse il caso di ingigantire una notizia o inventarsi un ipotetica ribrendizzazione (volevo riscriverlo, scusate) per parlarne. Certo è che una paginetta a tema su questo blog ci sta e, senza questa circostanza, probabilmente non sarebbe mai uscita. E forse per una volta sarebbe un peccato perché pur non avendo riletto ho l’idea mi sia uscita benino.

Mr. Robot

Quale altro blog vi propone l’analisi di una serie TV dieci giorni dopo la sua conclusione?
Ecco, infatti.
In termini di “internet time” un articolo scritto con dieci giorni di ritardo è come uscisse un’era geologica dopo. Nessuno è più in grado di mantenere vivo il proprio interesse così a lungo, come soffrissimo di una variante autoinflitta di ADD che ci porta a consumare vagonate di informazioni immediate per poi cancellare la cache del cervello* da tutto quel che abbiamo acquisito e presentarla vergine al next big thing.
Per forza di cose quindi mi ritrovo a scrivere riflessioni che potreste aver già letto in altri articoli a tema, ma in fin dei conti, visto il prodotto di cui si parla, questa circostanza rende il mio pezzo terribilmente “meta”.
Mr.Robot é la serie più bella che può capitarvi di vedere in questo 2015, ma in fin dei conti é anche la roba più derivativa e meno originale che si possa immaginare.

Qui è dove di solito vi metto in guardia dagli SPOILER che potrebbero seguire, ma essendo passati dieci giorni ed essendo voi arrivati fino a qui nella lettura, desumo non abbiate nulla da temere: o siete sul pezzo e quindi immuni alle sorprese, o non sapete di che si parla e di conseguenza anche la più cruciale rivelazione, letta nella completa ignoranza e fuori contesto, dovrebbe lasciarvi indifferenti e con ogni probabilità non fissarsi nella vostra memoria a sufficienza da guastare un’eventuale visione futura.
[SPOILER] Questa cosa potrebbe non essere vera. [/SPOILER]
Dicevamo, Mr.Robot. Il riferimento più ovvio che viene in mente già dal primo episodio è senza dubbio il “Project Mayhem” di Fight Club: la spinta anarchica ad una riorganizzazione del mondo basata sulla cancellazione del debito e di conseguenza della società come la intendiamo noi. In un’epoca in cui il denaro è perlopiù virtuale, un’ipotetica legione di hacker adeguatamente preparata e motivata potrebbe gettare un colpo di spugna sulla realtà. Non proprio lo script più innovativo ogni tempo, direi, ma è pur sempre roba che tendenzialmente su di me ha buona presa.
Noi viviamo le vicende dalla testa di Elliot**, sociopatico anaffettivo con chiari disturbi mentali che di notte hackera i cattivi e di giorno lavora in una società che offre sicurezza informatica. In sostanza il Dexter Morgan dei computer e, per essere sicuri che non vi possa sfuggire l’analogia con il serial killer dei serial killer, Elliot colleziona cd-r su cui salva i dati dei cattivi che hackera, esattamente come Dexter collezionava i suoi vetrini.
Non vi basta? La chicca é certamente la Fsociety, ovvero Anonymous/Occupy Wall Street. Siamo al cospetto di un fumetto da cui viene tratto un film, a cui si ispira apertamente un movimento politico REALE, che viene a questo punto inserito in una fiction costituendone però non più la parte fantastica, ma il rimando alla realtà. Se avete capito cosa intendo, é un loop straordinario.
Proseguiamo con la dissezione e troviamo Tyrell, assetato di potere e sposato con una bellissima e algida donna che lo asseconda e lo supporta nel suo arrivismo estremo salvo poi scaricarlo quando si presenta all’orizzonte l’ipotesi dell’insuccesso. Come a dire: ma House of Cards non ce lo mettiamo? Come no!
Prendete tutto questo e aggiungeteci una buona dose di complotto: avete chiesto i poteri forti, la minoranza che governa il mondo, l’elite così marcatamente e schifosamente cattiva e senza scrupoli da incarnare il male assoluto? Check.
Mr.Robot é come quando da piccolo prendevi tutti i tuoi giocattoli preferiti e li mettevi insieme in una mega avventura in cui He-Man e i pirati del Lego lottavano per sconfiggere l’esercito dei peluches. Più importante, Mr.Robot é la dimostrazione (ennesima) che usare bene le idee altrui e riproporre quanto già fatto da altri può comunque portare ad un risultato di altissimo livello. Gli autori sono così convinti di questa cosa che ne fanno proprio un elemento d’orgoglio: chi guarda deve capire a cosa si sono riferiti, quali siano le ispirazioni, a costo di fermarsi ed esplicitarle. Giro una scena UGUALE a quella di un altro film? Io ci metto pure la stessa colonna sonora. E vinco tutto.
Davvero, mr.Robot vince tutto e lo fa mettendoci pure una confezione perfetta fatta di regia, fotografia e musica sempre a fuoco.
Per me davvero un gioiellino.

“So this is what a revolution looks like, people in expensive clothing running around.”

Eh, a quanto pare si.

* Ho parlato di cache del cervello in un pezzo su mr.Robot come fossi uno che sa il fatto suo, ma in realtà è una frase che mi è uscita per caso e di cui ho notato il collegamento col tema del pezzo solo a posteriori. Hashtag stimarsi.

** SPOILER: lo spettatore in effetti è una persona immaginaria che solo Eliott vede e che per il resto del mondo non esiste QUINDI lo spettatore é Mr.Robot e siccome Mr.Robot é Eliott, tu che guardi sei Eliott. Tu che guardi puoi cambiare il mondo e rivoluzionare la società. Non è una metafora sottilissima, ma onestamente é figa dai…

Game of Thrones è meglio dei libri

In questo pezzo si parla di Game of Thrones e dei libri da cui è tratto dando per scontati tutti gli avvenimenti pubblicati/trasmessi fino ad ora. Prima di dare dettagli della trama scriverò in ogni caso SPOILER, ma se siete in pari andate tranquilli.

Ho appena finito di vedere il season finale della quinta stagione di Game of Thrones. Da un po’ volevo mettermi lì a dire due parole su questo quinto capitolo dello show, ma mi ero imposto di aspettare la conclusione per poterne parlare in modo completo.
Per una volta, il mio potrebbe essere un punto di vista piuttosto atipico e, voglio spingermi tantissimo, addirittura interessante. Statistica vuole che il pubblico di questa opera si divida in due macro tronconi:
1) chi ha letto i libri. Nerd della prima ora o ultimi arrivati, la differenza è nulla quando si tratta snocciolare tutti i fantastiliardi di motivi per cui “sono meglio i libri”, eufemismo che apre quasi subito all’elenco dei supposti danni fatti in fase di sceneggiatura dal team di HBO.
2) chi guarda solo la serie e la apprezza in quanto tale. Gente a posto che, suo malgrado, si trova a dover odiare la categoria 1 in quanto saccente, foriera di SPOILER e, soprattutto, cagacazzo.
Io mi colloco in mezzo tra i due gruppi. Sono un lettore da ben prima nascesse lo show televisivo e sono stato per anni un fan hardcore del Martin delle Cronache, ma posso dire senza alcun dubbio che la serie, ormai, per quanto mi riguarda è tra le due l’opera che merita maggiore attenzione, l’unica che mi prema seguire assiduamente e di cui ormai mi interessi davvero conoscere la conclusione.
Segue quindi l’opinione non comune di un lettore per cui “è meglio la serie TV”.
tuun-tun-turutun-tun-turutuuun (turutuntun-turutuntun)
Manq, non è che dici così perché ti sei rotto il cazzo di aspettare che Martin pubblichi i suoi dannatissimi libri?
No. È innegabile che se i libri fossero usciti tutti in un lasso di tempo ragionevole e la saga letteraria fosse già conclusa forse ne avrei una percezione differente, ma così non è. Cosa offrono quindi i libri in più, rispetto alla serie? Certamente un livello spaventosamente maggiore di dettaglio: più personaggi, più trame, più avvenimenti. Vero, ma è davvero possibile apprezzare queste cose quando in 10 anni esce un solo libro? Certamente è pieno il web di gente che conosce l’opera a memoria e che ogni tot mesi la rilegge da capo per stare sul pezzo e avere tutto l’affresco sempre chiaro in mente. Io però un lavoro già ce l’ho e quindi uso le vicende di Westeros per intrattenermi. Ho letto i libri quando sono usciti e, onestamente, di tutto il materiale non tradotto on screen ricordo davvero poco. Potrei addirittura faticare a seguirne gli sviluppi cartacei futuri, perdendo moltissimo del coinvolgimento semplicemente perché non so più a che punto stiamo le cose.
Non bastasse, è opinione largamente condivisa che Martin con la sua scrittura sia in fase calante. Non entrerò nel merito delle speculazioni sul perché di questa involuzione letteraria, fatto sta che gli ultimi due volumi (5 nella versione italiana, perché noi non vogliamo i matrimoni gay, ma evidentemente amiamo prenderlo in culo) succedono solo cose di cui non frega niente a nessuno, colpi di scena telefonati e bluff evidenti a cui, onestamente, nessun lettore dovrebbe più abboccare.
Da tutto questo la serie ha tratto enorme giovamento, perché ha potuto tagliare il marcio e l’inutile e tenere solo il buono (reale o potenziale).
Quindi la serie è meglio perché è un riassunto?
No. Escludendo la prima stagione, dove il materiale letterario è stato trasposto egregiamente senza necessità di tagli o reimpasti, fino alla copertura dei primi tre volumi lo show ha molto sofferto in confronto ai romanzi ed il motivo era proprio il tentativo degli sceneggiatori di riassumere tutto senza tralasciare nulla. La ragione per cui la serie oggi è meglio dei libri è che ha finalmente deciso di smettere di riassumere facendo delle scelte e prendendosi delle licenze. Tagliando e riscrivendo. In alcuni casi i risultati sono stati egregi (Sansa a Grande Inverno), in altri discutibili (Dorne), ma questa nuova attitudine ha certamente migliorato un prodotto ormai da troppo tempo vittima della sindrome “dove cazzo vado a parare?” di cui Martin è preda.
Ma George R.R. Martin sa da sempre come finiran…
Ma smettila. Martin aveva certamente un’idea, ma l’ha stravolta e cambiata Dio solo sa quante volte negli anni. È evidente leggendo i suoi libri e se non è sfuggito a me che li ho letti una volta sola, non può certo esserselo perso chi li studia come fossero sacre scritture. Un esempio che provi questa mia ultima frase utilizzando uno SPOILER gigante da “A Dance with Dragons”?
Aegon Targaryen. La storia del bambino che era morto ed invece morto non è, figlio di Raeghar, erede al trono legittimo e bla bla bla? Tutta roba uscita dal nulla, è più che evidente. FINE SPOILER.
Dicevo che ormai Martin è perso nella sua stessa trama e più si muove per uscirne, più tende a fare cazzate. La serie ha quindi avuto la grossa occasione per fare il salto e staccarsi del tutto, buttando nuova linfa creativa nell’opera. E ci ha provato in questa stagione, anche con ottimi risultati. Una semplificazione mai frettolosa, un lavoro egregio di selezione delle vicende da narrare e qualche passo nei territori inesplorati dell’inedito. Tutto davvero molto bello, almeno fino a questo finale di stagione.
Non ti è piaciuto?
No, e il motivo è proprio il ritorno a seguire pedissequamente i libri, anche nelle scelte che per tanti motivi non funzionano. Faccio qualche esempio (intendo SPOILER). La scena del quasi affogamento di Tyrion, nella serie, è stata resa benissimo perché privata di quella connotazione “cliffanger” che invece gli si voleva conferire nel libro. Nessuno, a quel punto e in quel modo, può credere che il nano sia annegato eppure Martin ci prova a far spaventare il lettore, incrementando quell’effetto di “al lupo al lupo” che ormai chi ha letto i libri ha abbondantemente in noia. Questo tipo di accortezza per me gli showrunner avrebbero dovuto dedicarla anche alla fine di Stannis, che invece torna ad essere gestita come farebbe George, con un bluff a cui difficilmente si può abboccare. Stannis è vivo e lotta insieme a noi, per quanto mi riguarda. FINE SPOILER.
Questo apre forzatamente ad un’analisi della questione “morti”, che nella mia personale scala di valori conta moltissimo nell’attribuzione della preferenza alla serie piuttosto che ai romanzi. Martin mi ha conquistato ammazzando i protagonisti come mosche. La trovavo una scelta coraggiosa, ma soprattutto un buon espediente per mantenere viva la suspance: nessuno è intoccabile e tutto può succedere. A conti fatti, invece, un’analisi lucida dimostra che Martin ha avuto un briciolo di palle solo in due circostanze, mentre in moltissime altre ha semplicemente barato. Ancora qualche SPOILER (ma cazzo, mettetevi in pari). Prendiamo la lista delle morti illustri di cui frega qualcosa al lettore e che non generano semplicemente esultanza (hey Joffrey, guess who?). Catelyn? Risorta. Brienne? Falso allarme. Davos? Falso allarme. Due volte. Il mastino? Falso allarme. Theon? Falso allarme. Mance Ryder? Falso allarme. Probabilmente scordo pure qualcuno. E ora, alla fine dell’ultimo libro, vuole farmi credere la morte di Stannis e Jon? Dubitarne è quantomeno legittimo. I miei due centesimi li punto su Stannis sopravvissuto e Jon riportato in vita da Melisandre, ma non divaghiamo.
La serie, al contrario, ha dimostrato di avere più fegato (leggi anche meno propensione a sbracare). Cat pare sia morta e resti tale, un tot di comprimari importanti sono stati sacrificati senza battere ciglio in nome della semplificazione, pure il mastino non sembrerebbe avere altro ruolo dal cibo per i vermi, almeno stando a quanto visto. Gli sceneggiatori non hanno ancora millantato decessi fasulli. Per questo temo che questo finale sia preoccupante, perché credo questa scelta sia destinata a cambiare. E ci può stare farlo una volta dopo 5 stagioni con il personaggio più amato dal grande pubblico, ovvero Jon, ma usare la stessa scelta anche per Stannis farebbe traboccare il vaso. FINE SPOILER.
Hanno avuto tutti i mezzi per migliorare i libri e per larga parte sembravano davvero intenzionati a mantenere la promessa, ma questo finale mi spaventa un po’. Ciò nonostante, eliminando supposizioni e congetture, la serie al momento è un prodotto largamente meglio strutturato dell’opera a cui si ispira.
Hai finito con ste cazzate?
Quasi. Chiudo con l’ultima analisi. Con la fine di questa stagione televisiva siamo arrivati ad uno snodo interessante: serie e libri sono in pari e non c’è più materiale a cui attingere. È ormai legittimo pensare che la prossima stagione uscirà prima del prossimo libro e che le trame da ora in avanti divergeranno largamente. E se Martin volesse regolare nuovamente il suo progetto in relazione a come verranno accolti i futuri sviluppi della questione Jon nello show? Assurdo? C’è chi sostiene l’abbia già fatto in passato quando tra i lettori si è diffusa la teoria sulle origini dello stesso Jon Snow…

Gli SPOILER: una chiacchierata con G. Di Giamberardino

Recentemente ho chiacchierato via twitter con Giovanni Di Giamberardino in merito al concetto di SPOILER. Giovanni, che forse alcuni conoscono anche come Reifrak, è un giovane scrittore che ha contribuito alla creazione di Serialmente e che scrive di serialità televisiva in un sacco di posti interessanti, come Rolling Stone o Bad TV. Siccome ho pensato che la discussione fosse promettente ed interessante, ho chiesto a Giovanni di rispondere in maniera un filo più articolata, diciamo uscendo dai 140 caratteri, ad alcuni quesiti a tema SPOILER e quello che segue è il risultato della sua disponibilità. Cosa di cui, ovviamente, lo ringrazio. Non è una vera e propria intervista perchè le mie domande sono in realtà opinioni travestite, proprio come la volta scorsa, però credo sia qualcosa che può valere la pena leggere.
Giorni fa avrei precisato che nel pezzo ci sono diversi SPOILER, ma dopo averne parlato con Giovanni ho capito che non è così, quindi leggete sereni. Ipotizzio che la presenza o assenza di SPOILER possa tuttavia essere uno SPOILER di per se stesso sul contenuto del pezzo e realizzo che forse avrei dovuto chiedere un chiarimento anche su questo.
Le mie non-domande sono in grassetto, per facilitare la lettura, ma soprattutto perchè il blog è mio e mi piace darmi importanza.

L’altro giorno mi sono imbattuto in un tuo twitt, in cui riportavi una notizia relativa all’uscita dal cast di uno dei protagonisti di una serie abbastanza seguita. Io ho letto quanto scrivevi e ho pensato che, se fossi tra gli spettatori della serie in questione, la cosa avrebbe potuto infastidirmi.
Nei tempi in cui viviamo credo che la questione dello SPOILER sia ormai argomento piuttosto difficile da canonizzare. Il tutto è lasciato all’etica, o sensibilità se vuoi, del singolo individuo senza nemmeno uno straccio di indicazione o linea guida, probabilmente per il fatto che la Bibbia, di SPOILER, non parla. Una volta ho detto che l’ultimo libro di R.R. Martin è orrendo e mi è stato risposto che avevo fatto uno SPOILER. Storia vera. Questo è accaduto nello stesso mondo in cui titolare un articolo per la home di un quotidiano tipo Repubblica con il nome del vincitore di Masterchef un giorno prima della messa in onda della finale del programma è del tutto normale. O quantomeno lecito. C’è confusione, insomma.
Per iniziare quindi ti chiedo se esiste un’etica dello SPOILER universale, se ci sono delle regole tipo nel bowling o se invece la cosa è più simile al Vietnam. E poi, già che ci siamo, vorrei sapere quanto sei suscettibile tu agli SPOILER, quale che sia la definizione, o soglia se vuoi, che dai al termine.

Allora, io comincerei proprio dal significato del termine. SPOILER viene dal verbo inglese TO SPOIL che significa “guastare, rovinare”. Quindi SPOILER è letteralmente “ciò che rovina”, in questo caso ciò che rovina la visione di un film, la lettura di un libro. E cos’è che le rovina? Sapere cosa succede. Perché se so che succede poi che me lo guardo/leggo a fare?
Lo SPOILER perciò è legato principalmente alla trama ed è qualcosa che può essere detto solo da chi ha visto/letto il qualcosa in questione. E’ un’informazione che proviene direttamente dal testo, o da chi in questo caso te lo “rovina”. Questo quindi esclude dichiarazioni ufficiali e comunicati stampa.
Facciamo un esempio: se Repubblica mi scrive il finale di Harry Potter come titolo di un articolo è SPOILER, perché è un’informazione che avrebbe potuto ottenere solo dal testo. Se un anno prima un attore di una serie tv non rinnova il contratto e il canale e la casa di produzione rilasciano un comunicato assieme agli autori, beh, quello non è uno SPOILER. Diventa uno SPOILER se qualcuno venisse a raccontare gli eventi, all’interno della storia, che porteranno all’uscita di scena del personaggio.
Riassumendo, lo SPOILER parte dal testo e poi esce fuori, un movimento dall’interno all’esterno. Se un’informazione parte dall’esterno non è SPOILER, anche se sappiamo che avrà delle conseguenze sulla trama stessa, ma non sappiamo quando e in che modo. E’ come sapere prima che la stagione di una serie sarà l’ultima: sappiamo che finirà ma non sappiamo come. Informazione esterna che avrà una ricaduta interna che però non conosceremo finché non verrà rivelata dal testo stesso.
Questa è almeno la definizione comunemente accettata di SPOILER. Poi ovviamente ognuno ha la sua sensibilità. La mia migliore amica per esempio mi ha nascosto da fb perché anche solo leggere “episodio bello” o “episodio brutto” nei miei commenti la far star male. Però ecco, lo SPOILER è un’altra cosa.

Conosciamo entrambi persone strane, te lo concedo. La tua definizione mi funziona bene, così come trovo interessante riflettere sul fatto che, effettivamente, l’uscita dal cast di un protagonista non riveli poi granchè sulle trame che vedremo sullo schermo.
Ad inizio mese sono andato al cinema a vedere Fast & Furious 7. Sapere che Paul Walker fosse morto durante le riprese mi ha messo in una particolare condizione per cui ogni scena drammatica in cui era protagonista, ogni dialogo, ogni riferimento più o meno marcato alla morte colpiva forte e duro per motivi che però, di fatto, esulano dalla realizzazione delle scene stesse. Sapere della morte di Paul Walker non è ovviamente uno SPOILER, ma è un’informazione non necessaria alla visione del film che altera di fatto la percezione e la valutazione di chi guarda. Te lo puoi godere di più o te lo puoi godere di meno, non importa. La tua relazione col prodotto è alterata. Butto lì un’altra parola maiuscola che c’entra con tutto questo: META. Se vuoi la spieghi tu, che mi sembri preparato.
Andando alla domanda, la dimensione che il fenomeno Serie TV ha acquisito nel mondo genera una montagna di materiale ad esso correlato fatto di interviste, commenti, recensioni, siti specializzati, speciali in TV e via dicendo. I media tradizionali pescano da queste fonti in maniera copiosa e gli spettatori stessi discutono quotidianamente sui social di quanto sentono e leggono. Guardare una serie TV e basta, senza “dietrologia”, è diventato oggettivamente impossibile. E’ bello che chi voglia approfondire possa farlo, ma non dovrebbe essere possibile l’opzione “grazie, anche no.”?

Non è una questione di approfondimento, ma di informazione e l’informazione è libera. Quando un attore lascia il cast di una serie tv per unirsi come protagonista al pilot di un’altra serie, come è possibile tenere nascosta questa informazione? E per il bene di chi? Si apre subito una discussione più complessa: sulla bilancia cosa pesa di più, il mondo in cui viviamo o uno (degli infiniti) mondi di finzione? E’ più importante il diritto di cronaca o quello dello spettatore? Ha più diritto l’attore a comunicare la sua uscita di scena e annunciare il suo prossimo progetto o ha più diritto il fan a non volerlo sapere in modo da proteggere il mondo di fantasia che ama? O hanno più diritto gli autori a proteggere il loro processo creativo? O i produttori a salvaguardare la loro proprietà? Insomma, i diritti di chi battono i diritti di chi altro?
Altra considerazione da fare è stabilire se divulgare una determinata informazione rechi davvero un danno al pubblico: quando un personaggio è molto amato comunicarne l’uscita è anche un modo per preparare lo spettatore all’evento e attutire il colpo. Per esempio, nei giorni scorsi Nina Dobrev di The Vampire Diaries ha annunciato che al termine della sesta stagione non farà più parte della serie, nonostante ne sia di fatto la protagonista. Se questa notizia fosse stata tenuta nascosta forse il colpo inferto ai fan sarebbe stato troppo grande. D’altronde il legame che il pubblico instaura con i personaggi di una serie tv è molto più profondo e famigliare rispetto ai personaggi di un film o di un libro. Quindi i fan come avrebbero reagito meglio? Sapendolo o non sapendolo? Aggiungo una domanda più “smaliziata”: conviene di più agli autori, al canale e alla produzione comunicare la notizia per indirizzare le possibili responsabilità all’attore e nella pratica scaricare su di lui la “colpa” di questo avvenimento e proteggere l’integrità della serie?
Ci sono ovviamente casi in cui produttori, canale, autori, maestranze e attore riescono a mettersi d’accordo per costruire l’uscita di scena di un attore in modo da sconvolgere il pubblico, come successo l’anno scorso con The Good Wife. E ci hanno guadagnato tutti: per qualche settimana non si è fatto che parlare della serie. Esistono tuttavia delle controindicazioni: è stato quasi impossibile per chi non avesse seguito la serie live non venire a conoscenza di questa brusca uscita, proprio per la discussione accesa che ne è conseguita. E qualcuno a questo punto potrebbe controbattere: ma non avrebbero fatto meglio a comunicare l’addio dell’attore alla serie con anticipo e preparare tutti i fan a questa svolta invece che danneggiare quelli che, poverini, proprio quella sera non avrebbero potuto guardare la puntata e lo sarebbero venuti a sapere, volenti o nolenti?
Lo vedi, è complesso. Anche dopo essere riusciti a incasellare per bene lo SPOILER (un’informazione narrativa che parte dal racconto per essere rivelata all’esterno) e a trovarsi d’accordo sulla sua dannosità (qualità più sfuggente però, in quanto dipende dal tipo di informazione interna divulgata), resta l’ultima considerazione: per quanto uno SPOILER è uno SPOILER? Se io oggi parlo tranquillamente del finale del Sesto Senso, o del fatto che Darth Vader è il papà di Luke Skywalker, faccio davvero uno SPOILER? Se dico che Anna Karenina muore, è sempre uno SPOILER? E allora quand’è che non lo è più? Quando un’informazione narrativa smette di essere informazione ed entra a far parte della cultura collettiva? Quando smette di essere in torto quello che ti dice come finisce “I dolori del giovane Werther” e comincia a essere ignorante quello che non lo sa?

Questa cosa che sei tu a fare le domande mi destabilizza, credo anche per via del fatto che non so rispondere. Vorrei evitare di lanciarmi in voli pindarici iniziando una discussione sul diritto di cronaca che probabilmente finirebbe per sollevare ulteriori questioni legate non tanto al dovere di informare, ma più che altro al clickbait e allo sfruttamento dell’indole al voyeurismo che caratterizza la nostra specie in questo tempo. Non è il caso, direi.
Mi interessa invece di più discutere dell’ultimo punto che sollevi, la dinamica temporale. Il sito della Fox che pubblica la foto di Beth con il mid-season finale di The Walking Dead conclusosi da picosecondi per molti fu SPOILER. Scriverlo adesso qui sopra probabilmente non lo è più. L’ipotesi che tiene conto del tempo immagino presuma che le persone realmente sensibili allo SPOILER siano quelle interessate al prodotto, ovvero quelle che indipendentemente dal rischio colmeranno la loro lacuna nel più breve tempo possibile diventando così immuni. Passata una ragionevole porzione di tempo (che mi aspetto tu sia pronto a definire con precisione svizzera), chi ci teneva è al sicuro e quindi liberi tutti. La cosa mi funziona perchè, parlando personalmente, io leggo costantemente spoiler di serie/film/libri che non conosco senza pormi il problema, conscio che se mai dovessi recuperarli certamente quell’informazione non sarebbe radicata a sufficienza nella memoria da costituire un effettivo scoglio. Funziona tutto, apparentemente, eppure mi restano ancora dei dubbi.
Se ti consigliassi un giallo di Agata Christie e per presentartelo ti rivelassi l’assassino credo sarebbe uno SPOILER, anche se non si tratta propriamente di opere appena uscite. Certo, potrei darti dell’ignorante perchè non conosci quel libro, e magari avrei anche ragione, ma con ogni probabilità se tu l’avessi già letto non avresti avuto il bisogno di parlarne con me e chiedermi se ne valesse o meno la pena. Se ho battuto il record del mondo di forme e tempi verbali sbagliati, chiedo scusa. Ciò che intendo è che nella maggior parte dei casi chi si lamenta di aver subito uno SPOILER è qualcuno che si vuole avvicinare ad un prodotto da cui è incuriosito, ma che ancora non ha approcciato. A queste persone si può certamente dire che avrebbero potuto svegliarsi prima, ma a che pro? Non sarebbe meglio limitarsi a parlare delle opere senza rivelare dettagli di fatto ininfluenti? Da quando recensire un libro, un film o una serie è diventato farne il riassunto? E’ colpa delle scuole medie? La cosa che mi lascia ancor più sgomento, è che poi chi legge in molti casi è proprio il riassunto che cerca, salvo poi lamentarsi del fatto che contenga gli SPOILER.

Allora, se ti do un libro e ti dico come finisce proprio mentre te lo do, beh questo riguarda la sensibilità personale e alla fine è qualcosa che riguarda me e te e il fatto che probabilmente ti detesto (o almeno è ciò che il gesto in sé pare suggerirmi). Mi sembrava però che stessimo facendo più un discorso diciamo “istituzionale” riguardo la comunicazione per canali ufficiali, senz’altro più interessante. Cos’è uno spoiler? E quando uno spoiler non è spoiler? E quando è uno spoiler con intenzioni malevole c’è l’aggravante? Secondo me sì e la pena dovrebbe essere l’esilio.
Poi sulle recensioni apri una discussione in cui potremmo perderci, che riguarda più che altro lo “stato dell’arte” della critica di oggi, che spesso scrive senza avere niente da dire o che ancor più spesso, come dici tu, nemmeno è critica.