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Riflessioni

Nonostante tutto, oggi indosso una maglietta rossa.

Sto trascurando il blog.
Lo so.
La causa di questa latitanza, paradossalmente, è il blog stesso, ma questa non può e non vuole essere una giustificazione.
Per questo oggi mi ero già messo nell’ottica di scrivere due righe.
Dopo un’attenta analisi mi ero convinto della necessità, anche solo personale, di dare maggiore risalto alla questione Birmana e quindi avrei scritto volentieri di quello. Sarebbe stato un post abbastanza banale, ricco di domande tipo: “Come mai se non c’è di mezzo il petrolio o comunque una qualche possibilità di lucro, diventa così di scarso interesse esportare la democrazia?”, tutta roba che, per quanto vera e saccrosanta, è decisamente poco stimolante da scrivere, leggere ed eventualmente commentare.
Mi fa male sapere che nel mondo ci siano situazioni così tragiche, mi fa stare ancora peggio sapere che nessuno è intenzionato ad alzare un dito a riguardo e addirittura rabbrividisco all’idea che nonostante il continuare incessante dei morti in loco, la notizia slitterà pian piano dalla prima, alla terza, alla quinta, ad un trafiletto in ultima pagina.
Come pensavo, ho scritto una serie di ovvietà ed il fatto che siano tali non mi fa certo stare meglio, visto che nulla sembra in procinto di cambiare.
Meglio parlare d’altro e ad aiutarmi nella scelta di un nuovo argomento è intervenuta questa mattina “La Repubblica”.
Oggi il quotidiano riportava un’inchiesta di Curzio Maltese sui costi del Vaticano per i cittadini italiani. A differenza della questione Birmana, questo problema secondo me è un po’ meno scontato da affrontare, per diversi motivi:
1 – E’ una questione più vicina a chi mi legge e quindi probabilmente più interessante (altra triste ovvietà).
2 – E’ un problema di cui non si parla molto in giro.
3 – E’ qualcosa su cui forse è possibile intervenire.
Riporto l’articolo per intero, così da non attuare anche involontarie interpretazioni erronee.
Buona lettura.

L’otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro

I conti della Chiesa
ecco quanto ci costa

“Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati”. Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l’arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall’arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel “ventennio Ruini”, segretario dall’86 e presidente dal ’91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all’interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI.
Le ragioni dell’ascesa di Ruini sono legate all’intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un’altra chiave per leggerne la parabola si chiama “otto per mille”. Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all’anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.

Dall’otto per mille, la voce più nota, parte l’inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il “prezzo della casta” è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all’anno. “Una mezza finanziaria” per “far mangiare il ceto politico”. “L’equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all’anno”.

Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all’ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.

Per la par condicio bisognerebbe adottare al “costo della Chiesa” la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.

Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione (“Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire”, nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per “aiuti di Stato”. L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime “non di mercato” dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno, più qualche decina di milioni.

La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il “costo della democrazia”, magari con migliori risultati.

Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell’otto per mille sull’Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all’epoca “di sinistra” come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce “otto per mille” ma grazie al 35 per cento che indica “Chiesa cattolica” fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.

Ma pur considerando il meccanismo “facilitante” dell’otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio “ritorno sociale”. Una mezza finanziaria, d’accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l’impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma “quanto” veri?

Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull’otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all’estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all’autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come “esigenze di culto”, “spese di catechesi”, attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l’altro paradosso: se al “voto” dell’otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.

Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul “come” le gerarchie vaticane usano il danaro dell’otto per mille “per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa”. Una delle testimonianze migliori è il pamphlet “Chiesa padrona” di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo “L’altra faccia dell’otto per mille”, Beretta osserva: “Chi gestisce i danari dell’otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici”. Continua: “Quale vescovo per esempio – sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale – alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?”. “E infatti – conclude l’autore – i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere…”.

A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di “Chiesa padrona”, rifiutato in blocco dall’editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al “dirigismo” e all’uso “ideologico” dell’otto per mille non è affatto nell’universo dei credenti. Non mancano naturalmente i “vescovi in pensione”, da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: “I vescovi non parlano più, aspettano l’input dai vertici… Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato”. Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte “il dirigismo”, “il centralismo” e “lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa”. Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: “Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono”.

La Chiesa di vent’anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall’egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall’universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di “scoprire” l’antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l’impegno di don Italo Calabrò contro la ‘ndrangheta.
Dopo vent’anni di “cura Ruini” la Chiesa all’apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l’agenda dei media e influisce sull’intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent’anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.

Il clero è vittima dell’illusoria equazione mediatica “visibilità uguale consenso”, come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d’inverarsi la terribile profezia lanciata trent’anni fa da un teologo progressista: “La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo”. Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.

(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

Per punti

– In una settimana ho trasferito su wordpress tutti i post del 2005 e i relativi commenti. All’inizio è stato facile, ma poi mi sono scontrato con lo scoglio dell’aumento di visitatori e di commenti lasciati su queste pagine. Sono tanti, soprattutto per un blog come il mio che non è altro che una pagina personale. Questo mi riempie di orgoglio e di soddisfazione, anche se triplica i miei sforzi. Spero che il fenomeno continui così a lungo o che addirittura possa espandersi. Amo i commenti. Credo anche di aver arginato il problema dello spam su wordpress utilizzando un facile ed indolore plug-in.
– Spinto dalla diatriba mediatica degli ultimi tempi e dalle parole di Manowar, ho acquistato il libro “La Casta”. Ora spero di riuscire a leggerlo.
– Sono ufficialmente iniziati i lavori della mia casina.
– Ho visto il film dei Simpson e ho riso tutto il tempo. Chi me ne parlava come fosse nulla di che secondo me si sbaglia, ha delle chicche mostruose. E poi “Spider Pork, Spider Pork, il soffitto tu mi spork…” è un motivetto indelebile.
– Ho messo il piumoncino nel letto. Libidine.
– I ragazzi di Milano organizzano delle belle cose. Sabato sera in piazza Leonardo ci saranno state tremila persone perfettamente sconosciute unite solo dalla voglia di fare un po’ di casino assieme. Bellissima esperienza, alla faccia di chi dice che i giovani non sanno divertirsi.
– Avendo voglia di andare a ballare, Venerdì sera mi sono fatto mettere in lista al Plastic. Intanto sta sera alla festa di Marco (che ringrazio) ho fatto scorpacciata di dance anni ’90. Commozione.
– Martedì si laurea la Bri e Sabato, se il tempo tiene, si festeggia. L’idea è una maxi grigliata al Bosco in Città. Nessuno è invitato perchè l’imperativo è IMBUCARSI. Gli imbucati rendono belle le feste, mica gli invitati. Chiunque voglia prendere parte all’evento può quindi presentarsi in loco con cibo e bevande atte alla sua propria alimentazione, per una giornata di sole, birra e carne rossa. Per ovvie ragioni la festa è metereopatica, indi tutto dipende dal tempo che fa.
Portare delle griglie aiuta la buona riuscita del progetto.
– Temo di non sopportare l’idea che spostino il mio laboratorio a Quartoggiaro.
– Vado in bagno. Oggi ho decisamente esagerato col mangiare.

Attenzione: post a sfondo politico

Nel giorno in cui blogger celebra il suo compleanno, ho installato wordpress sul mio host. L’idea di costruirmi un blog in php tutto da solo si è infatti rivelata inattuabile, indi ho optato per il tentativo di forgiarne uno utilizzando qualcosa di già esistente, ma che comunque mi permetta di avere un mio DB in cui racchiudere tutti i post. Il fatto che questo sia avvenuto nel giorno in cui blogger, che tanto mi ha dato in questi anni, compie gli anni è del tutto casuale e, come tutte le coincidenze, non manca di affascinarmi.
Non è però di questo che voglio scrivere.
Da diversi giorni medito di stendere qualche riga riguardo il paese in cui vivo. Domenica sera avevo anche scritto un interminabile post, ma poi ho deciso di eliminarlo perchè giunto in fondo risultavo in disaccordo con me stesso. Problema annoso, quello di essere del mio stesso parere.
Una parte di quello che avevo scritto però la condivido ed è da lì che voglio ripartire oggi.
Il mio paese mi fa abbastanza schifo.
E’ oggettivamente vero che sarei potuto nascere in tanti altri posti in cui le mie condizioni sarebbero potute essere molto peggiori ed è matematicamente corretto pensare che la probabilità che questo potesse avvenire era immensamente più alta che non quella di nascere in un posto migliore. In fin dei conti la mia famiglia non se l’è mai cavata male: entrambi i miei genitori lavoravano, i miei nonni non sono mai stati un peso, abbiamo una casa nostra e ,addirittura, un monolocale mio, io ho potuto studiare e scegliere di peggiorare la mia condizione economica e sociale senza che mi venisse imposto dall’alto, insomma tutto questo per l’80% (sparo, ma non credo di andarci molto lontano) della popolazione mondiale sarebbe un gran lusso ed io non manco di riconoscerlo.
Sono però stufo di autocensurare il disprezzo che covo nei confronti della mia nazione solo in virtù del fatto che sarebbe potuta andarmi peggio.
Oggi, quindi, mi lamento.
Ci sono tantissime cose che potrei dire riguardo a quanto poco il bel paese tenga fede al suo soprannome, ma tutte in fin dei conti riportano allo scenario politico e quindi credo di poter riassumere pagine e pagine di lamentele semplicemente andando al nucleo della questione.
Questo week-end, tra l’altro, mi è stato anche fornito un bel pretesto per tirare fuori l’argomento e, non fosse per l’outing iniziale, questo post potrebbe benissimo passare per una reazione a quanto accaduto: il V-day.
Ho smesso di stimare Grillo anni fa, quando sputava sulle televisioni e prendeva soldi da Striscia la Notizia. Oltre a questa incongruenza di fondo da cui è scaturito il mio disappunto e su cui ammetto di non essermi mai voluto informare realmente, ho deciso di dare al “comico” genovese più credito dopo un discorso tenuto con Lale, Ivan e Theo al ritorno dall’avventura in rafting. Il loro punto di vista sul personaggio non era quello di chi idolatra, ma anzi più simile ad un pensiero del tipo: “capisco che ciò che fa lo fa per i suoi interessi, ma almeno ogni tanto fa qualcosa di buono e quando questo accade, viste le condizioni in cui versiamo, c’è da essere contenti”.
Effettiavamente il discorso ha una sua logica.
Tuttavia io sono un inguaribile romantico e mi piacerebbe che chi dice di muoversi nell’interesse della comunità lo faccesse realmente con quell’obbiettivo e non è certo questo il caso. Oltretutto non riesco mai ad apprezzare chi si schiera dietro a facili populismi nel tentativo di raccogliere consenso. Io, Manq, posso dire cose ovvie e scontate “sicuro” di raccogliere consensi perchè sono privo di potere mediatico o risalto sociale. Per questo posso affermare: “i politici italiani danno il voltastomaco” senza dovermi preoccupare troppo. Se invece volessi pormi alle masse e raccogliere fiducia come una sorta di leader, a quella frase dovrei far seguire un progetto in grado di cambiare le cose. Solo così a mio avviso meriterei di essere ascoltato. Grillo questo non l’ha mai fatto e perfino in quest’ultima trovata, che potrebbe indurre a pensare il contrario, mancano idee reali e concrete. Quello che penso del V-Day infatti è quanto ha scritto in merito Daniele Luttazzi sul suo blog, con una sola aggiunta: non aderirei a priori ad una manifestazione che si chiama “vaffanculo-day” perchè, sebbene non sia contrario all’utilizzo delle volgarità, a mio parere un nome del genere priva immediatamente di credibilità qualunque progetto.
Ciò che nonostante tutto colpisce di questa faccenda è l’esigenza della gente di dare retta a qualcuno che non sia parte della classe politica di oggi. Questo secondo me è un segnale da non sottovalutare.
Analiziamo la situazione. Io ho ventisei anni e credo di potermi definire “di sinistra” nella concezione più tradizionale del termine. Non vivo nell’anacronismo che caratterizza i “comunisti” del nostro paese, ma non sono nemmeno moderato al punto di poter avere qualcosa da spartire con Rutelli (o Mastella, o Follini, o… oh mio Dio!). Sono idealista e per quanto so che quello che ritengo giusto sia inattuabile, non smetto di crederci, perchè a renderlo utopico è la società in cui vivo ed in cuor mio penso ancora che la società si possa cambiare. Sono laico e convinto che anche lo Stato debba esserlo, senza tuttavia sentire la necessità di fare guerra a chi è religioso se non attacca lui per primo (d’altra parte “porgi l’altra guancia” è il loro motto, non il mio). Amo la libertà conscio del male che questa, se parziale, possa fare all’uomo che capisce di non averne pieno accesso.
Non penso che in Italia siano molti a pensarla come me, eppure credo che qualcuno ci sia. Per tanti o pochi che siamo il quesito è semplice: chi ci rappresenta?
Già faticavo ad individuare nel panorama politico del mio paese una realtà in cui potermi identificare alle ultime elezioni, ma sono sempre andato convinto che almeno far perdere Berlusconi potesse essere un’ottima ragione per votare dall’altra parte. Con la nascita del Partito Democratico però, l’altra parte diventa insostenibile. Un conto è votare DS conscio che dovranno governare alleandosi con entità di dubbio gusto quali Margherita, Udeur e sti cazzi. Un conto è votare per un conglomerato di cui Udeur, Margherita e sti cazzi fanno parte integrante. Sarebbe come votare per loro.
E’ votare per loro.
Io per loro non voterò mai.
E allora cosa faccio? Credo nell’andare a votare e non sarò mai quello che diserta dall’esercitare il suo diritto/dovere. Non accetto nemmeno l’idea che il mio voto venga dato a qualcuno “d’ufficio” e quindi non potrei mai votare scheda bianca.
Attualmente credo annullerei la scheda, ma spero di non dover prendere questa decisione.
Spero che qualcuno prenda coscienza del fatto che la gente è stufa di non contare nulla e si getti al seguito del demagogo di turno, capace di raccogliere le forze in piazza, instaurare una sana e duratura dittatura ed imporsi sulle genti.
Ci vorrebbe uno come il Duce, magari con amici migliori.
Quantomeno potei lamentarmene dalla mattina alla sera conscio di non averlo mandato io al potere e quindi senza sentirmi responsabile.
Forse no, non potrei lamentarmene dalla mattina alla sera senza subire spiacevoli conseguenze.
Effettivamente serve qualcuno diverso dal Duce.
E diverso da Grillo.
E diverso da Bossi, da Veltroni o dal Silvio.
Serve uno diverso da tutti.
Forse è meglio che inizi a cercare un modo creativo per annullare la scheda.

Sarebbe anche ora di smettere di bere il Giovedì sera

Non capita spesso, ma a volte riesco ad aprirmi e a lasciar uscire i miei pensieri.
Ciò che ne scaturisce è un’esplosione di schegge impazzite e multidirezionali.
Nessuno può prevedere cosa porterà ogni singola scheggia, tuttavia col senno del Poi risulta sempre un bene l’averle lasciate andare.
Dopo averle liberate, infatti, assaporo la felicità.

Toga!

Impossibile non scrivere almeno due righe sulla serata di Sabato.
Iniziamo con un giudizio secco: voto 10.
A seguire, ecco le motivazioni, rigorosamente per punti:
– Il posto. Il magnolia è veramente un gran bel locale ed in chiave estiva raggiunge il suo massimo splendore. Le argomentazioni a suo favore sono molteplici, soprattutto se analizzate nel contesto milanese. Non si paga l’ingresso, il che per una discoteca non è certo consuetudine. A questo si aggiunge il fatto che una volta entrati occorrono solo 4 euri per una birra media e grazie a questa combo il locale risulta paragonabile ad una sorta di oasi felice nel grigiume “too much expansive” della Milano da bere. Altra cosa da menzionare è la clientela. Credo sia uno dei pochi posti in cui si trova realmente un po’ di tutto e tutte le varie etnie metropolitane riescono a convivere discretamente. Poi c’è da citare la musica, mai fastidiosa e decisamente varia, capace di coinvolgere più o meno tutti. Riflettendoci non so se quest’ultima cosa sia la causa della varietà di clientela o se l’avere una clientela varia porti a dover passare un po’ di tutto.
Credo che questo dilemma fosse la versione primordiale del più recente: “E’ nato prima l’uovo o la gallina?”.
Bene, riguardo al locale credo di aver già detto tutto.
No.
Birra a 4 euro.
Andava ripetuto.
– La compagnia*. Una festa, per quanto bella, senza l’adeguata compagnia non può essere apprezzata. Per questo nel votone portato a casa dal Toga Party non poco ha pesato la fiumana di gente accorsa all’evento. C’eravamo io e la Bri, il The-O, Lale & Ivan con dei loro amici, la Simo, la Ro’, Aledoni, Robi Burro e la Meggie, Raffaele, Giacomo Burro e (credo) consorte, Peich, Odri e Bazzu. Insieme abbiamo ballato, scattato foto ridicole alle nostre toghe, bevuto qualche buona birra (solo 4 euro! Incredibile), chiacchierato e riso. Tanto. Peccato per Ciccio ed il fratello di Ale che hanno paccato vergognosamente, si sarebbero divertiti. Solo Peich in versione “Jack Sparrow” (virgolettato perchè poteva al più ricordare Malgioglio) è valso la trasferta. E poi The-O in versione nazzarena. E Ale avvolto in una bandiera dell’argentina. E…
– La toga. Amo le feste a tema. Mi divertono e mi piace esserne parte costituente. Ribaltare casa per trovare un lenzuolo ed un modo non troppo imbecille per avvolgermelo attorno è stato molto divertene. Così come sradicare una pianta dal giardino della Bri per creare una pseudo corona d’alloro. Sissì, amo i travestitismi.
Ok, le ragioni principali del successo della serata sono state snocciolate.
Per farlo credo di aver scritto uno dei post più brutti di sempre.
Tremo all’idea di rileggerlo.
Quantomeno, la foto con cui chiudo mi piace molto.
S.P.Q.R.
*Da sinistra: Ale-BU, Bri, Manq, The-O, Peich e Odri.

Qualcosa mi dice che un titolo adatto a questo post non esista

Scrivere non è un cazzo facile.
Mi spiego meglio.
Scrivere non è assolutamente facile per uno come me.
Me ne sto rendendo conto in questi giorni, alle prese con quello che vuole essere il tentativo di raccontare una storia, o forse più di una. Inizio a credere che il mio cervello non sia fatto per queste cose. Tutto nasce dal fatto che, spesso, ho dei flash generati dalla mia testa. Capita che alcuni di questi mi piacciano e, ultimamente, quando questo accade la voglia è di metterli per iscritto. Si tratta spesso di scene, frammenti di un quadro che non conosco per intero e che ciò nonostante riescono ad affascinarmi. Una volta di fronte a monitor e tastiera però, servono delle parole per poterli rappresentare. La routine è quindi iniziare a scrivere, frase dopo frase, nel tentativo di descrivere immagini che persino ai miei occhi sono tutto fuorchè chiare. Di per se questo non dovrebbe essere un problema irrisolvibile. Reputo di avere una discreta fantasia supportata da una più che discreta e fervida immaginazione, il problema è quindi un altro.
Non riesco a seguire il filo dei miei pensieri.
Ogni qualvolta inizio a stendere nero su bianco quella che potrebbe essere una storia, mi trovo presto in balia dei flutti che increspano lo specchio delle mie idee e vado alla deriva, portando il discorso su tutt’altro campo in manira spesso illogica.
Il tutto quindi assume le connotazioni tipiche dei racconti di un ubriaco, privi di inizio e di fine e caratterizzati da un susseguirsi di concetti discreti, consequenziali solo per la mente malata di chi li narra.
Se volessi esemplificare la cosa prenderei ad esempio questo stesso post: aprendo blogger ed iniziando a scrivere, l’idea era di stendere due righe sulle canzoni dell’estate. Nel mio progetto iniziale la riflessione sullo scrivere sarebbe dovuta essere unicamente una parentesi introduttiva.
Con questi presupposti viene da se che scrivere un racconto possa non risultarmi granchè semplice, tuttavia spero di riuscire almeno a finire il primo capitolo.
Il dramma sarà poi doverlo in pratica ribaltare una volta riletto.
Già, perchè un altro dei miei problemi è che quando rileggo un mio scritto sono colto dall’irrefrenabile desiderio di stravolgerlo, in preda ad un fiume di nuove idee.
Ok, è tempo di parlare di canzoni estive.
Fino a ieri il podio delle mie summer hit vedeva sul gradino più basso Tiziano Ferro e al sua canzone sulla Carrà, al secondo posto i Negramaro con “la Finestra” ed in vetta, con incalcolabile distacco sugli altri, Rihanna ed il suo pezzo circa gli ombrelli. Il premio della critica invece l’avrei assegnato a Io, Carlo e la sua “L’Ego”.
Come dicevo, ieri le cose sono cambiate.
Ieri ho visto questo video.
The Syles e J-Ax sfornano un pezzo il cui titolo la dice lunghissima: “+ stile”.
E J-Ax nel video sfoggia pure la maglietta dei Rancid.
Dopo averlo visto, gara chiusa e tutti a casa.
Questo post invece mi ha fatto tirar fuori dal casseto un pezzo vecchio, ma sempre molto estivo: Ash – Girl from Mars.
Chissà se Ciccio si ricorda di avermi passato quel disco.

Groviglio di frasi sconnesse

Ieri avevo una certa ispirazione per lo scrivere.
Arrivato a casa, ho deciso di aprire word ed iniziare a dare sfogo alla mia natura creativa nonchè alla mia neonata verve da scrittore. Non voglio illudermi: so che sarà una vocazione momentanea e del tutto priva di possibilità di sfociare in qualcosa di buono, tuttavia quel poco che ne è uscito, per quanto lontano da quella che era l’idea originale, non mi dispiace. Se mai vedrà la sua conclusione, questo scritto verrà pubblicato su questo blog in modo che qualcuno possa leggerlo e dirmi cosa ne pensa. Avendo io stravolto tutto ciò che la mia mente ha partorito almeno due volte da che ho battuto i primi caratteri con la tastiera del mio portatile, potrei ritrovarmi a ribaltare il tutto molte volte prima di ritenermi soddisfatto. Sempre che non abbandoni il progetto sul nascere. I peggiori antagonisti a questa mia avvntura sono e saranno il tempo a disposizione e la mia proverbiale pigrizia, ma chissà che “sto giro” possa permettermi di avere la meglio e concludere quanto ho progettato. Al momento non punterei su di me nemmeno 2 centesimi, ma spero di sbagliarmi.
Cambio discorso.
Oggi, per alcuni minuti, sono stato felice.
Ho ordinato tutto il necessario per la sistemazione del bagno della casa in cui andrò presto a vivere. Ho acquistato: 1 miscelatore alto per lavabo, 1 miscelatore per bidet, 1 miscelatore per doccia, 1 bidet, 1 water con scarico a terra, 1 cassetta da incasso per scarico water, 1 pulsantiera per scarico water, 1 asta per doccino con doccino a tre getti, 1 box doccia satinato con piatto in ceramica, diversi metri quadri di piastrelle grigio fumo per il pavimento, diversi metri quadri di piastrelle grigio perla per le pareti, 1 mobile nero e verde acido con specchiera satinata e un lavabo da appoggio in ceramica.
I lavori sono previsti per inizio Settembre, data in cui tutto il materiale sarà arrivato.
Bene.
In aggiunta a questa cosa, ho trovato un cucciolo meticcio di lupo che vorrei adottare. Ha due mesi e sarebbe perfetto per tenere occupato mio padre.
Se lo prendo lo chiamo Poser.
Visto come ha reagito mio padre alla proposta, non credo lo prenderò mai.
L’idea di rileggere quanto ho scritto mi avvilisce.
Non lo farò.
Stasera sono uscito con Aui ed insieme siamo andati a salutare Robi del Nightfall di Monza. Le tre medie che mi sono bevuto non mi spronano certo alla correzione di questo mio scritto.
Per una volta, a vincere sarà la prima stesura.
Vorrei leggere un po’ prima di dormire, ma crdo che alla fine guarderò un po’ di TV.
Odio la programmazione erotica attuale delle emittenti locali.

La posta del cuore

E’ tempo di aggiornare il blog. Troppo è passato dall’ultimo mio scritto e, se ciò è accaduto, è per via di alcune questioni che proverò a spiegare nel vano tentativo di alleggerire il peso sulla mia coscienza. Innanzi tutto gran parte della colpa va ad Emofobia. Sono infatti stato risucchiato nel vortice dei suoi commenti ed ora ogni volta che ho qualche minuto libero do la precedenza a quel “blog”. Grazie alle due ragazze che hanno generato quella “comunity” ho trovato come dare libero sfogo alla mia passione per lo scontro verbale, la polemica e le provocazioni.
Mi sto molto divertendo.
Ok, ammetto che non sia propriamente ciò che si può definire un passatempo intelligente. Direi più che è una sorta di dipendenza la mia.
Sono drogato.
Mi preme riconoscere una certa correttezza nelle due autrici e in alcuni degli assidui frequentatori di quelle pagine visto che per il momento si sono dimostrati disponibili allo scambio di vedute senza cadere nella provocazione e quindi senza lasciarsi andare ad insulti. Se questo da un lato è indubbiamente positivo, dall’altro limita parecchio il mio divertimento, privato in questo modo degli attacchi a testa bassa di chi non ha l’intelligenza per capire che alla fine è tutto un gioco e che a nessuno viene in tasca nulla da tutto questo.
Oggi però anche la mia anima sadica è stata premiata grazie all’intervento di tal Vincent, che al colmo del priprio furore causato dal mio continuo dissentire, ha risposto qunto segue:

“Manq, il TUO discorso non sta in piedi, perchè chi ti ha mai chiesto di dire a qualcuno che è immaturo? Ti ha mai chiesto nessuno di andare in giro a scrivere che odi emofobia? Non vedi che così facendo sei quello che dice di farsi i cazzi suoi e poi va in giro a sputtanare? Sei veramente un ipocrita…e poi, dai, a 26 anni con un blog nero/rosa che usi come diario? vogliamo vedere chi è immaturo o almeno “CHI E’ UN UOMO?” Prima di andare in giro ad esprimere opinioni misere e picchiarci figure ancora più misere, pensa :

 A: da dove vieni;
B: quanti anni hai
C: ti sei mai chiesto se hai ancora gli “attributi” o ti sono caduti insieme al tuo buongusto?
D: da quanto non hai un amplesso con un essere umano femmina?

Io comincerei a rispondere, se ti interessa mi dai la tua email e ti mando un modulo dal titolo:
IO E LA MIA SESSUALITA’: M o F?
e ancora:
QUAL’E’ LA MIA ETA’ MENTALE?

Namaste

Vincent”

Inutile dire che la mia mail gliel’ho data di corsa. Quest’uomo è indubbiamente un genio. La parte che più mi ha entusiasmato è quella in cui mi chiede “vogliamo vedere chi è UN UOMO?”. Avevo seriamente paura mi volesse picchiare, ma poi ho ricordato che non mi conosce e quindi mi sono tranquillizato. Adesso però vivo con il tarlo di sapere quale sia la mia età mentale, oltre che nella vergogna causata dal fatto che mi piaccia l’accostamento nero/rosa.
Spero mi mandi presto i moduli.
Comunque sia visti gli incontri che si fanno da quelle parti non mi biasimo se continuo a perderci del tempo.
Magari qualche vero uomo inizia a commentare anche il mio blog.
Speriamo.
L’altra ragione per cui ho avuto poco tempo per aggiornare è che mi sono nuovamente tuffato nelle “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di R.R. Martin. Sono giunto al 4° volume, la Regina dei Draghi, dopo aver divorato letteralmente la seconda metà del terzo. E pensare che la prima metà mi aveva molto annoiato. Comunque sia ora sono presissimo dalle vicende dei vari casati e leggo con avidità pagine e pagine nell’attesa che qualcuno dei personaggi che odio venga ammazzato per mano di qualcuno di quelli che amo. Purtoppo pare che Martin abbia il gusto macabro di far andare le cose esattamente all’opposto, visto chi mi è morto “tra le mani” a poche pagine dall’inizio del nuovo capitolo.
Non saranno libri di chissà quale spessore, ma appassionano e questo è quanto chiedo alle mie letture. Per questo forse non mi sento adatto ad aNobii.
Ora, neanche a dirlo, torno a leggere un po’ prima di dormire.
Magari mentre lo faccio butto lì un ascolto al CD dei Biffy Clyro.
Magari però, non vorrei distrarmi.

Il geko

La gita a Londra è stata ok al 99%.
Adesso però ho voglia di parlare solo del restante 1%.
Ho perso il mio segnalibro.
Una cartolina.
Un bel ricordo.
Non l’ho mai portato fuori di casa proprio per paura di lasciarlo in giro, ma questa volta mi sono dimenticato di sostituirlo prima di partire. Ovviamente questa è stata l’unica volta in cui mi sia capitato di perdere il segnalibro.
Per tutta la vacanza non ho mai tolto il libro dallo zaino, solo oggi mi sono dato alla lettura, per sopportare le tremende attese in aereoporto dovute alla questione terrorismo.
Questo mi porta a dire che il mio segnalibro ora si trovi su qualche pavimento del London Stansted Airport.
Non si può esprimere a parole quanto sto male per questo.
Troppo?
Boh.
Sicuramente molto.
Ho nello stomaco un mix di arrabbiatura feroce, tristezza, malinconia, frustrazione da impotenza e dispiacere.
Potessi tornerei a riprenderlo.
Vaffanculo.
Meglio che me ne vada a letto.

Questa non è una barzelletta

Oggi ero in laboratorio, come ogni giorno.
All’improvviso la tranquillità lavorativa è stata turbata da alcune grida, inizialmente indistinte. Ci è voluto qualche secondo per capire che si trattasse di slogan.
Incuriositi, abbiamo deciso di guardare fuori dalla finestra.
Si trattava di un gruppetto di animalisti in azione di protesta nei confronti dell’utilizzo degli animali nella ricerca scientifica.
All’inizio ci siamo un po’ allarmati, ma dopo pochi secondi siamo tutti scoppiati a ridere.
Non ce l’avevano con noi, ma con la banca sull’altro lato della strada, rea di aver finanziato la ricerca.
Incredibile.
Sarebbe come andare a cantare cori contro l’inter in via Durini, non indirizzandoli però alla sede della società, ma al barista simpatizzante nerazzurro che lavora lì di fronte.
Gli animalisti spesso sono talmente ridicoli da fare tenerezza.
Ciò non toglie che io li detesti.