Vai al contenuto

Riflessioni

Una volta qui erano tutti pezzi d’opinione

A Ladispoli hanno deciso non sia più il caso di far esibire Emis Killa a Capodanno (ref.).
Onestamente dopo questa frase fatico anche ad andare avanti a scrivere perchè basta rileggerla due volte per rendersi conto di quanto si stia effettivamente discutendo del niente più assoluto. Siccome però è molto probabile io adesso parta con un pistolotto infinito tra il filosofico e lo psichedelico, mi sa che ogni tanto la riprenderò per riportare l’implausibile lettore al fatto che stiamo comunque discutendo di Ladispoli che non fa esibire Emis Killa.
Ad ogni modo.
E’ successo che dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin il dibattito relativo al femminicidio e alla violenza sulle donne è tornato, come capita ogni volta, d’attualità. Come capita ogni volta, abbiamo assistito ad ogni genere di volteggio attorno all’argomento nel tentativo di “fare qualcosa in contesto” ed entrare nel dibattito nazionale. Su questa cosa non voglio scrivere altro perchè mi fa troppo disgusto e sono ancora troppo incazzato, perdonatemi.
Torniamo quindi a Ladispoli che “non vuole essere da meno, anche lei il suo vagone da attaccare in fondo al treno” (cit.) e così il sindaco decide che il concerto di Emis Killa previsto per capodanno non si farà. Il rapper, ci spiegano, rischia di veicolare un messaggio sbagliato. Qualcuno in sostanza potrebbe non capire che quella di EK sia una rappresentazione cruda della realtà e non un invito alla violenza di genere. Cliccate sul link che ho messo, vi prego. Anzi, ve lo rimetto qui. Il comunicato dice davvero così.
Un tentativo incredibile di equilibrismo tra il fare qualcosa (a caso) intorno al tema della violenza di genere, tenersi comunque buono l’artista (perchè non è colpa sua eh, è il pubblico che non capisce) e giustificare il fatto che i testi di Emis Killa fossero lì esattamente uguali anche quando l’avevano fatto suonare l’anno precedente. 
Io qui mi devo fermare a respirare, che se no attacco a bestemmiare.

Parliamo di Emis Killa.
Ho appena cancellato un paragrafo infinito in cui riprendevo “esternazioni discutibili” del tipo, perchè di fatto non ha senso stare qui a discutere il personaggio. La cosa su cui però dovremmo ragionare, tutti, è che questo episodio di Ladispoli gli permetterà di continuare la sua crociata verso il “politically correct che non ti fa più dire niente”. Un argomento particolarmente caro all’artista e a tanti suoi colleghi nel genere, stando ai quali esisterebbe una sorta di PC Army che non permette loro di esprimersi liberamente. Un esercito che, immagino, abbia il giorno di riposo ogni volta che Emis Killa dice: “Quelli del politicamente corretto devono succhiarmi il cazzo” su un palco e di fronte a centinaia o migliaia di persone. Perchè è quello il punto. Una fetta nutritissima di rapper sostiene che esista un limite a quello che si può dire nelle canzoni, ma simultaneamente bercia orgoglioso di battersene il cazzo.
E allora che limite è?
Soprattutto: come siamo arrivati a farci convincere che non aderire a quelli che dovrebbero essere diktat del politically correct sia qualcosa di speciale e/o anticonformista? La maggior parte dei rapper si vanta di farlo e stando alle classifiche i loro dischi sono l’unica musica ascoltata nel Paese. Potete dirmi che siano gli artisti ad influenzare le masse, ma io ho sempre pensato che siano le masse ad influenzare gli artisti, soprattutto quelli che hanno la spasmodica necessità di flexare i propri numeri. Non ho il minimo dubbio che Emis Killa creda davvero in quel che dice, ma sono anche sicuro che se le sue idee politiche e sociali togliessero incassi più di quanti ne portano, inizierebbe a tenersele per sè.

“Se il politically correct non esiste, perchè non lo fanno suonare a Ladispoli? EH?”
Il politically correct esiste, ma non ha niente a che fare con una scelta opportunistica ed evidentemente sporadica fatta dal sindaco di Ladispoli.
Il politically correct, se proprio vogliamo chiamarlo così, è un insieme di valori che si sta facendo strada nella nostra società e sta rivoluzionando alcuni aspetti del nostro vivere. Non mi interessa neanche star qui a dire se in modo positivo o negativo, quella è opinione soggettiva, ma di sicuro non è oggi un pensiero dominante o tantomeno una legge inderogabile.

Un’ultima cosa.
Qualche settimana fa Marky Ramone avrebbe dovuto suonare al CSA Baraonda, ma non è salito sul palco perchè era esposta la bandiera palestinese. I ragazzi del CSA si sono rifiutati di toglierla e gli hanno detto che poteva benissimo non suonare.
In questo articolo è inserito un video in cui spiegano al pubblico quello che è successo e, secondo me, hanno fatto molto bene a dirgli di tornarsene a casa.
Io, però, la schiena dritta di Marky Ramone la rispetto. Combatte per delle idee di merda, ma si fa carico delle conseguenze che questa linea gli porta.
La cosa che fa ridere, di tutta la questione Emis Killa, sono le stories in cui fa la vittima. Se davvero sei convinto di lottare contro un pensiero unico e di ribellarti ad un sistema, devi tenere la testa alta.
Altrimenti sei solo uno che grida slogan di comodo per fare il bulletto davanti ai fan.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

I Nofx a 100 euro

Qualche giorno fa i Nofx hanno annunciato quello che dovrebbe essere il loro ultimo tour europeo di sempre.
La prima volta che ho visto suonare i Nofx è stato al Teste Vuote Ossa Rotte del 1998, in quello che la mia memoria ricorda come il parcheggio del Forum di Assago (ai tempi Filaforum). Ancora oggi si parla di quel festival come di un evento “generazionale” per la scena punk-rock, c’erano i Rancid come co-headliner e poi Primus, Buzzcocks, H20 (mi folgorarono), Punkreas e vai te a ricordare chi altri. A me però interessava solo vedere finalmente i Nofx, perché da circa un paio d’anni erano diventati, senza esagerare, la mia religione. Sto provando a cercare online conferma di quanto costò il biglietto, ma non trovo info quindi mi affido alla memoria e dico 48.000 lire.
Per dare qualche riferimento, nei dodici mesi precedenti gli Offspring dentro al Filaforum erano costati 35.000 lire, i Green Day al Palalido 32.000 lire, mentre i Foo Fighters freschi di The Colour and the Shape volevano 20.000 lire per un live al Propaganda (locale decisamente più piccolo). Nel 1998 avevo 17 anni, vivevo coi miei e la somma delle mancette con cui campavo era 50.000 lire al mese.

Dopo quella prima volta credo sinceramente di non aver perso una loro data italiana in quindici anni. Che fosse un loro concerto o un festival, che fosse Milano, Bologna o Brescia, credo davvero di esserci sempre stato nonostante abbia smesso di ascoltare e comprare i loro dischi con Pump Up the Valuum, nel 2000. Non so dire quando sia stata la prima volta in cui ho passato la mano, ma posso dire che non fu una questione di prezzo. Semplicemente, se prima almeno dal vivo trovavo ancora la band di cui ero stato innamorato, con l’andare del tempo (e delle dipendenze di Mike, ma questa e un’opinione mia) vedergli azzeccare un concerto era diventato improbabile, al punto da provare disagio nello stare a guardarli. Senza esagerare, avevo l’impressione si stesse(ro) umiliando, fin quasi a farmi pena. Non nego che la decisione possa anche aver avuto a che fare con la faccenda del calcione al fan, ma forse la usai più che altro come pretesto.
Dico tutto questo perché, probabilmente, se fossero andati avanti avrei continuato anche io a dire: “Mah, magari la prossima volta…” e saltare i loro concerti fino al giorno in cui una prossima volta non ci sarebbe più stata. L’annuncio di un ultimo tour europeo, invece, mi permette di chiudere il cerchio, di fare un ultimo giro di giostra con un pezzo importante della mia vita. Non importa cosa suoneranno o come suoneranno. Per me era, è, importante esserci.
I biglietti sono stati messi in vendita alle 17:00 di oggi pomeriggio (NdM: 15/11/2023). Ero in riunione, ma continuavo a guardare l’orologio perché pur pensando che razionalmente due date dei Nofx al Carroponte non sarebbero mai andate sold out, ero terrorizzato all’idea di non riuscire a prendere i biglietti.
Così, alle 17:30 circa, quando sono finalmente riuscito a sganciarmi e tornare al PC, ho aperto il sito delle prevendite e comprato il biglietto.
Ho visto il prezzo, per un momento ho pensato: “No, così no. Così dovete andarvene affanculo!”, ma poi ho anche pensato che questo mondo in cui i concerti sono beni di lusso sarebbe rimasto tale e quale anche se avessi rinunciato, solo la mia vita sarebbe stata un pochino peggio. E allora, con un altro vaffanculo, ho cliccato acquista.

Il prezzo del biglietto per vedere i Nofx al Carroponte il 12 Maggio 2024 è 79 euro, a cui vanno aggiunti 11,85 euro di diritti di prevendita e 8,07 di spese di gestione, per un totale di 98,92 euro. È una cifra folle, irragionevole, su cui però può valere la pena fare qualche riflessione.
La prima, ideologica, è certamente la più ingombrante e quindi conviene tirarsela via fin da subito. I Nofx sono stati i paladini del DIY negli anni in cui il punk-rock ha avuto facile accesso alle classifiche e alle major. Ho sempre avuto la sensazione siano stati bravissimi a rivendere come scelta ideologica l’aver perso un treno su cui non avrebbero esitato a salire con Leave it Alone, così come siano stati molto scaltri (Mike in primis) nel monetizzare una moda pur restandone formalmente fuori, ma al netto di ogni congettura nessuno, in tempi non sospetti, si sarebbe sognato di rinfacciare loro It’s my job to keep punk-rock elite come sarebbe ultra lecito fare oggi. La questione è molto semplice: se l’obbiettivo é davvero chiudere in bellezza, i Nofx avrebbero potuto e dovuto farlo a prezzi che permettessero a tutti di partecipare alla festa. Perché è l’ideale che hanno sempre spinto e perché hanno le spalle abbastanza larghe da poterlo applicare.
Ci sta quindi non lasciar loro passare questa scelta, capisco in pieno chi non ci stia e chi si senta tradito. Non sentissi così forte il bisogno di esserci per me, più che per loro, sarei anche io di quel partito.
Sul piano prettamente economico peró, credo che: “100 euro per i Nofx è una follia” sia una reazione di pancia più che un’analisi, quindi adesso provo a fare qualche conto della serva.
Un po’ come ad inizio post, parto con un parallelismo con altre band dello stesso giro e con una “storicità” analoga. I Blink a Bologna un mese fa uscirono con i biglietti alla stessa cifra, facendo sold-out in pochi minuti, idem i Green Day per il loro show a sorpresa ai Magazzini Generali di qualche giorno fa. Due concerti “evento”, anche se per ragioni diverse, accomunabili quindi a questo final tour. Se invece prendiamo il concerto standard dei Green Day previsto per il prossimo Giugno agli I-Days, il prezzo scende a 70 euro, prevendita e commissioni varie comprese (da qui in poi solo prezzi finiti, per comodità).
Sempre facendo un giro su ticket-one (che continuo a sperare fallisca), ecco altri prezzi di concerti che trovo paragonabili in termini di portata/dimensione dell’artista e che non hanno, che io sappia, il carico dell’essere un evento particolare:
– Meshuggah: 50 e passa euro
– Bruce Dickinson: 50 e passa euro
– I Prevail: 50 e passa euro
– Judas Priest: 80 e passa euro
– Rammstein: 100 e passa euro
– Powerwolf: quasi 60 euro
– Fear Factory: quasi 50 euro
– Sum 41 + Avril Lavigne: 60 e passa euro
– Deep Purple: 60 e passa euro
– The 1975: 50 e passa euro
Non so, forse non tutti gli esempi sono calzanti, ma vedendo la lista mi sento di ipotizzare che il prezzo per un concerto dei Nofx al Carroponte nel 2024 non sarebbe mai potuto essere inferiore ai 50/60 euro, a meno di uscire con un biglietto “fuori mercato”, cosa che i Nofx non credo abbiano mai fatto in 25 anni.
So benissimo che 60 euro non sono 100, non sono scemo, però credo che la discriminante non sia in questo scarto. Posso certamente sbagliare, ma secondo me il nodo della questione sta nel fatto che oggi vedere un concerto di media portata è di fatto una spesa poco accessibile, sempre. L’industria ha deciso di abdicare all’idea di portare tutti ai concerti, forse perché non praticabile (scendere sotto quelle cifre potrebbe essere insostenibile, nei fatti. Non lo so. Certo, il 20% in più per i costi di gestione e la prevendita, su un biglietto da 80 euro, non riesce proprio a sembrarmi legittimo.), e passare a spremere come limoni quelli che possono permettersi di andarci. Chi è entrato nell’ottica del fatto che sia normale spendere 60 euro per un concerto può cacciarne 80/100 quella volta in cui si presenta l’evento straordinario. Con la giusta strategia poi, la straordinarietà potrà diventare sempre più frequente, fino a rimpiazzare la normalità, dando spazio ad una nuova straordinarietà ancora più cara. Trovo veramente molto naive pensare che band in giro da quarant’anni, che fanno tour intercontinentali e campano di questo, possano o debbano disallinearsi da questo meccanismo sulla base del fatto che suonano punk-rock. I Nofx non sono mai stati i Fugazi, ma forse dovremmo anche considerare che se il modello etico dei Fugazi fosse appartenuto a tante altre band, avremmo di loro una visione meno eroica. Sarà il mio arido cuore di anziano sulla via per la più classica delle morti da democristiano, ma l’obbiezione “il punk a 100 euro è una vergogna” parlando dei Nofx, dei Green Day o dei Blink 182 mi sembra vagamente populista.

Non lo so, sono le 2:17 di notte, sto da 5 ore su questa pagina e mi sembra tutto solo un gigantesco tentativo di autoassolvermi per essere in qualche modo venuto meno ad una serie principi. Una cosa che non mi capita per esempio al mattino quando mi alzo, mi vesto e butto parecchie energie nel tentativo di arricchire la multinazionale per cui lavoro. E sí, probabilmente è benaltrismo, ma forse se trovo più indigesto spendere 100 euro per vedere un concerto è perchè ho perso completamente il senso delle proporzioni. Solo io, ovviamente, non sentitevi tirati in mezzo. 

Ah, giusto per chiudere, qualcuno ipotizza possa non essere davvero l’ultimo concerto dei Nofx, che sia tutta una strategia di marketing più o meno premeditata per alzare più soldi col tour e ripresentarsi magari tra qualche anno dicendo: “Avevamo scherzato”.
Possibile.
Ciò che mi sento sinceramente di dare per impossibile, però, è che questo non sia destinato a rimanere in ogni caso il mio ultimo concerto dei Nofx.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

Ti mansplaino Barbie

Al di là del titolo clickbait wannabe, direi di partire da una doverosa premessa: sono un maschio bianco etero cis, quindi se ritieni che questo mi escluda dalla possibilità di trattare nel merito un film come Barbie, fermati serenamente qui. Davvero. Non mi interessa che tu legga quanto segue e, se potessi, te lo impedirei io stesso.

Ieri sera sono andato a vedere il film di Barbie mosso da un certo hype. Ero convinto infatti che l’unico motivo per poter uscire in sala con un film sulla Barbie nel 2023 fosse averci messo dentro qualcosa di interessante e/o controverso, quindi ho deciso scientemente di ignorare qualsiasi fonte ne parlasse prima di averlo visto e tenermi così la sorpresa per la visione. La cura che di solito si mette nell’evitare spoiler, io l’ho messa nell’evitare le opinioni, che sono effettivamente l’unico spoiler possibile, nel caso specifico.
La prima reazione a caldo post visione è stata che non ci fosse in realtà molto da dire, perchè l’ho trovato davvero urlatissimo nella metafora e di solito quel genere di mancanza di sfumature non si presta poi molto all’analisi. Poi però ho scambiato i primi commenti con due o tre amici e mi sono reso conto che quella che per me era davvero l’unica possibilità di intendere il film, fosse in realtà tutt’altro che univoca e che quel che ci ho visto io, forse, ce l’avevo visto solo io.
Allora la situazione cambia e scriverci su può avere un senso, anche se mentre lo faccio mi sembra di indossare la tutina di Capitan Ovvio.

Il film ci presenta un mondo in cui il potere dominante è nelle mani delle Barbie e Ken è solo un accessorio. In questa sottilissima e velatissima metafora, quindi, Barbieland è il patriarcato e Ken sono le donne. Ken non ha un ruolo sociale oltre lo stare intorno a Barbie, ma ha anche come unica aspirazione quella di essere amato/considerato. Il Ken di Gosling prende coscienza della propria condizione e si ribella. Quindi Ryan Gosling interpreta il femminismo.
Bene, vediamo allora cosa succede a Ken nel corso del film. Parte con la migliore intenzione di rivendicare una propria identità, poi vira ad un bersaglio più grande cercando di rovesciare gli squilibri di potere invece di annullarli e finisce col perdersi malamente. Non solo. Si perde perchè le Barbie sono troppo furbe e compatte, tanto da riuscire a convincere Ken che il problema non sono più loro, ma gli altri Ken. Così la rivoluzione di Ken fallisce in uno scontro fratricida e Barbieland torna come prima, con la differenza che le Barbie hanno capito di dover concedere qualcosina ai Ken per tenerli al loro posto. Cito a memoria:

Barbie: “Ora sono di nuovo Presidente!”
Ken: “E noi potremo far parte della corte Suprema!”
Barbie: “Beh no, quello mi sembra eccessivo…”
Ken: “Potremo almeno fare i giudici?
Barbie: “…”
Ken: “Potremo almeno indossare la toga?”
Barbie: “Quello sì.”
Ken: “EVVAI!”

Alla fine Ryan Gosling è felice perchè ha perso la guerra, ma può indossare la maglietta con lo slogan “I am Kenough” che poteva tranquillamente essere “Pensati libero“.
Questa è l’ossatura principale del film, che è poi stata appesantita di una quantità eccessiva di ulteriori orpelli ridondanti e pesantissimi, a partire dal siluro finale sparato in faccia allo spettatore come una sorta di cura Ludovico, ma che comunque prova a sottolineare un concetto già scritto a caratteri cubitali in rosso.
L’unico spunto carino, forse, è quello del CDA Mattel composto da soli uomini come creatore dell’universo Barbieland, a ribadire (ancora) come il sintomo più grave del patriarcato sia l’incapacità di vedere un modo paritetico, non tanto l’avere sempre e solo l’uomo al vertice della piramide. 
Di massima comunque rimane un filmetto divertente, in cui ho più volte riso (probabilmente per i motivi sbagliati), ma che si lascia apprezzare al massimo per uno spiccato cinismo di cui, onestamente, io non sentivo tutto questo bisogno. 
Adesso però vado a recuperare un po’ di articoli in giro, perchè voglio provare a capire cosa ci sia di tanto chiacchierato/chiacchierabile dietro alla faccenda.

Ah, dimenticavo! Nel film c’è anche Allan, che non è nè Ken nè Barbie.
Non importa se il potere ce l’avrà Barbie o Ken, la costante sarà comunque che di Allan non fregherà mai un cazzo a nessuno. 


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

I Soprano nel 2023

Avere un blog da quasi vent’anni ti dà uno storico abbastanza rilevante da non allarmarti eccessivamente per i periodi in cui non hai niente che valga la pena scrivere. Prima però stavo provando ad argomentare un concetto abbastanza semplice su twitter X (Elon Musk sei un clown) e mi sono presto reso conto che avrebbe necessitato due, tre o magari più tweet, così ho avuto questa illuminazione: “Ehi, ma un posto per elaborare un concetto oltre i 280 caratteri io ce l’ho!”.
Elaboriamo, quindi.

Ho iniziato a guardare I Soprano, la serie HBO uscita a cavallo del nuovo millennio e che un po’ ovunque è considerata uno dei punti più alti raggiunti dalla serialità in TV. Ci avevo già provato un paio di volte in passato, sempre abbondantemente dopo la sua conclusione, ma non ero mai andato oltre il primo episodio. La spiegazione che mi sono dato, prima di riprovarci per la terza volta, è che in quelle circostanze avessi anche molte altre serie a contendersi il mio tempo, cose che stavo già seguendo con una certa “fame” e che finivano sempre più in alto tra le priorità, così da non permettermi di prendere il ritmo con un prodotto nuovo che, come spesso accade, necessita di tempo per ingranare.
Oggi la situazione è diversa perchè non sto più guardando serie TV. Ogni tanto approccio qualcosa di nuovo, mi capita anche di trovare cose interessanti, ma nulla che mi appassioni o che richieda un certo investimento di tempo. Di conseguenza, ho pensato fosse il momento perfetto per riprovare ad approcciare questo cult dedicandogli il tempo che merita, ma cercando di non finire nelle fauci del binge watching, divorando i primi 10 episodi in pochi giorni per poi avere tutto a nausea e mollare di nuovo.
Ho cominciato ad inizio giugno e sono in pratica alla fine della seconda stagione.
Pur essendo evidentemente un prodotto di vent’anni fa, con tutti i limiti del caso, è impossibile non notarne le qualità e, soprattutto, la rilevanza per quanto è arrivato dopo, quindi questa volta credo di riuscire a portare a termine il recupero.

Quello su cui volevo ragionare peró prende solo spunto da I Soprano.
Essendo un prodotto uscito ben prima del processo di sensibilizzazione ed inclusività che ha investito l’industria culturale americana, ne I Soprano si trovano tonnellate di elementi semplicemente improponibili per uno show odierno. E’ tutto, evidentemente, not politically correct (per usare una terminologia che odio, ma trasversale), solo che non è fatto con lo scopo di esserlo. So che sembra banale, ma non lo è per niente. Oggi la scelta di essere o meno aderenti ad una certa linea editoriale di inclusività e correttezza è presa su base commerciale e di ritorno economico (99.3% dei casi) oppure su base politico/ideologica (0.3%). In entrambe le direzioni.
Ne I Soprano la scelta, invece, è unicamente narrativa.
Rappresentare un certo tipo di spaccato sociale madido di razzismo, sessismo e omofobia è impossibile senza mostrare razzismo, sessismo e omofobia, che vengono peró utilizzati solo come elementi atti a conferire veridicità e autenticità alla storia e ai protagonisti. Non c’è nessuna implicazione morale dietro alla rappresentazione, nessun messaggio scritto a pennarello rosso per lo spettatore.
Era un modo migliore di fare televisione? Forse. Il punto è che fermarsi al “bei tempi in cui c’era libertà di espressione, ora non si può più dire nulla” è un modo molto pigro e, secondo me, superficiale di leggere la situazione.
Perché l’altro lato della medaglia è che guardare i Soprano oggi ti butta in faccia un sacco di materiale che, proprio perché stride con i canoni attuali, balza all’occhio, mentre prima sarebbe risultato indifferente. E non certo perché sia cambiata la mia posizione in relazione a certi argomenti. Ovviamente la cosa non mi indigna, né mi porta a pensare che la serie non vada guardata, però mi fa riflettere sul fatto che evidentemente i nuovi registri per l’intrattenimento abbiano portato ad un risultato, perché la sensibilità è cambiata e me ne sono facilmente reso conto anche io, che comunque non sono mai stato refrattario a certe battaglie.
Da un lato quindi mi mancano prodotti che non debbano a tutti i costi raccontare una realtà forzatamente inclusiva, anche quando non se ne sente la necessità narrativa e, anzi, spesso finiscono per essere fin troppo “puliti” per risultare verosimili. Dall’altro però ho avuto modo di realizzare come questa deriva abbia effettivamente portato a più sensibilità ed è certamente una cosa buona.

Quindi?
Boh, non so neanche io cosa pensare. La mia speranza è che la sensibilità, una volta creata, metta radici e non necessiti più di dover essere alimentata forzatamente. Che si possa tornare a raccontare la società nei sui pregi e nei suoi difetti, senza la pretesa di dover insegnare qualcosa a chi guarda o, peggio, con la paura del cattivo esempio. Perché alla fine è un po’ quello: se pensiamo la TV o il Cinema abbiano il dovere di essere inclusivi e polite per dare il buon esempio, non stiamo forse dando ragione a chi negli anni ha cercato di non farceli guardare per paura che ce ne dessero uno sbagliato?
È un dibattito molto più sfaccettato di quanto siamo quotidianamente portati a pensare, credo, e molto meno polarizzante di quanto non lo siano Pio&Amedeo o Biancaneve senza i nani.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

Addio, Silvio Berlusconi

Sono nato nel 1981, quindi l’Italia di Silvio Berlusconi me la sono vissuta tutta, col suo periodo di maggior rilevanza politica che è grossomodo coinciso con il mio periodo di maggior fervore giovanile.
Siccome mi imbarazzano molto le cose che scrivo (a ragione, direte voi) non mi metto a fare una verifica, ma dal 2005 ad oggi credo di aver speso parecchie parole qui sopra parlando di Berlusconi. Probabilmente con tante diverse sfumature di odio e disprezzo.
Non mi pento di nulla e non rinnego niente.
Nel giorno della sua morte però, mi prendo qualche altra riga per due concetti che vorrei lasciare qui sopra a chiudere il discorso.

UNO:
Io lo so che noi millennials tifosi dell’AC MILAN dobbiamo tantissime vittorie meravigliose a Silvio Berlusconi.
Però:
– Celebrarlo per il Milan è, letteralmente, dire: “Ha fatto anche cose buone”
– Il calcio dei ricchi che, spero, fa tanto schifo a tutti lo ha creato lui.
Quindi oggi, secondo me, non dovremmo dire niente. Abbiamo goduto di Van Basten, Sheva e Kakà come tutti i privilegiati che dalle briciole degli interessi personali di SB hanno raccattato il proprio benessere.
Teniamoci stretti i ricordi, ringraziamo la sorte, e finiamola lì.

DUE:
In Game of Thrones, quando muore il Night King, immediatamente tutti gli zombie da lui creati cadono a terra e smettono di essere un problema.
Con la morte del cattivo il male finisce di colpo, come con un colpo di spugna, e la storia cambia. Per quello i buoni festeggiano, per quello lo spettatore esulta. La morte cancella i problemi insieme a colui che li ha creati.
Nella realta, purtroppo, non siamo così fortunati. 

C’è poco da festeggiare.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

Quella cosa dell’ad di Tommy spiegata bene

Succede che sto scrollando il feed di Facebook e mi appare questo ad di Tommy Hilfiger che, come credo nell’intenzione di chi l’ha pensato, mi fa bestemmiare.
Così apro wordpress e inizio a mettere insieme i pensieri al fine di argomentare la mia bestemmia, solo che ad una certa penso: “E se, invece, la buttassi in vacca?”. Mi capita spessissimo di pensarlo, ma direi che da qualche anno a questa parte 9 volte su 10 desisto, inseguendo il miraggio del mio quieto vivere. ‘Sta volta no.
Questa volta chiudo wordpress, apro i social e me ne esco con questa cosa qui:

Detesto essere quello che spiega le barzellette, anche quando non fanno ridere, ma tocca provarci: credo sia evidente il patriarcato sia ancora esattamente dov’era quando Tommy nelle pubblicitá ci metteva Gigi Hadid. Non sono peró neanche qui a darmi il tono di quello che “era un esperimento sociale”, “era solo una provocazione” o, peggio, “mi avete frainteso”.
Sono davvero convinto che la scelta di modellǝ distanti dai canoni comuni di bellezza (e, precisiamolo, non é tanto/solo questione di taglia) sia una stupidata e adesso elencheró le mie ragioni per punti.

1) Mi dá profondamente fastidio l’ipocrisia di base. Non dei brand peró, delle persone. Di quelli che se Volkswagen pubblicizza ormai solo modelli ibridi o elettrici é greenwashing, mentre Tommy fuckin’ Hilfiger che piazza una ragazza selezionata appositamente per non risultare bella a nessuno (perché se non é trasversale, la campagna non funziona) sia da applaudire. O cavalcare certe lotte per ritorno commerciale é sbagliato sempre, o non é sbagliato mai. Solo i Sith vivono di assoluti, ma Yoda diceva: “do or do not, there is no try” quindi mollatemi, che anche in questo caso mi pare si stiano usando due pesi e due misure sulla base del tifo.
Dei brand che si appropriano di valori non necessariamente loro per vendere avevo parlato qui tempo fa, quindi non sto a ripetermi e vado avanti.
2) Smantellare i canoni di bellezza é una chimera del cazzo. Mi sembra assurdo doverlo stare a dire, ma in una societá in cui siamo costantemente esposti a dei modelli, chi sceglie questi modelli ci plasma sulla base del costruire in noi delle aspirazioni a cui omologarci, possibilmente acquistando ció che serve. Nel momento in cui ci andiamo tutti meravigliosamente bene cosí come siamo, finisce che non ci serve piú niente e, da dove la sto guardando io (AD 2023) non siamo destinati, come specie, all’assenza di necessitá.
Appurato questo, io credo che il problema non sia mai nel tipo di modello a cui ci chiedono di tendere, ma nella nostra capacitá di accettare il nostro esserne distanti, ma qui andiamo a dove bestemmio piú forte, ovvero il punto
3) L’EDUCAZIONE NON LA FA LA PUBBLICITA’. Non é e non sará mai il suo ruolo e, anzi, sarebbe dannosissimo delegarle quella funzione. Ci servono gli strumenti per comprendere il ruolo della pubblicitá e per costruirci la self confidence necessaria a guardare un poster con Cristiano Ronaldo o Jennifer Lawrence senza sentirci dei falliti. E lo strumento non é convincersi che su quel poster potremmo/dovremmo starci anche noi. Perché?
4) Perché ci saranno sempre ambiti in cui ognuno di noi funziona meglio o peggio. Stare in mutande su un cartellone ha un’unica valenza ed é estetica. Non c’é merito nell’avere quella dote come non c’é merito nell’essere alti due metri o avere una mente piú brillante della media. Sono fortune, che volendo richiedono anche un certo impegno/sacrificio per non essere vanificate, ma che di fatto apriranno alcune porte con piú facilitá. Di nuovo, lo scopo dovrebbe essere avere porte per tutti ed essere capaci di scegliere le proprie, non pretendere di passare tutti dalle stesse.
5) Dovremmo anche smetterla di raccontarci che la bellezza abbia qualcosa a che vedere con il patriarcato. Il patriarcato ha a che vedere solo col potere.
Questa cosa la spiega benissimo il porno, che é (anche giustamente) accusato di essere uno dei fattori che contribuiscono a radicare un certo tipo di mentalitá negli uomini. Nel porno ci sono categorie di ogni tipo, per fantasie di ogni tipo. Il porno é maschilista perché fallocentrico e costruito attorno al piacere maschile, quando lo si accusa perché “alimenta fantasie verso standard di bellezza stereotipati” si manca clamorosamente il bersaglio. Anche fosse, peró…
6) Dovremmo assolutamente smetterla di criminalizzare la fantasia o, peggio, costruire una societá che per evitare delusioni ci forzi a sognare in piccolo. Vaffanculo. La fantasia é un paradiso che esiste davvero, a comando, per compensare qui ed ora un’esistenza non sempre all’altezza di essere l’unica che avremo a disposizione. 

Per questi motivi, quando vedo quel tipo di ad, mi monta il nervoso. Sono tutti punti ampiamente dibattibili e non condivisibili, ci mancherebbe. Senza togliere che l’uscita con cui ho provato a esplicitare il dissenso possa essere considerata “infelice”. La cosa che, come sempre, mi fa un po’ sbarellare é la reazione social a questo tipo di uscite.
Su FB, dove di massima conosco le persone che vedono quel che scrivo, c’é un po’ piú di propensione al dubbio e meno tendenza al giudizio tranchant. In tanti avranno letto quel post pensando “che cazzata”, ma se qualcuno pensa che io sia un coglione non lo pensa (solo) per via di questo post cosí come non sará un post a fargli cambiare idea domani. Conoscendomi, qualcuno di quelli che ha pensato fosse una cazzata si é premurato di dirmelo, anche solo per incasellarla nell’idea che ha di me.
Su twitter la cosa é ovviamente diversa, ma io sono un cretino e penso che non lo sia.
Penso che chi mi segue un po’ mi conosca e che quindi non mi giudichi ogni volta da zero, ad ogni tweet, sfanculandomi alla prima uscita “non conforme all’atteso”, eppure so benissimo che non é cosí che funziona da quelle parti. Mi ostino a cercare in quel posto interazioni/relazioni che non sono nella natura del contesto (salvo eccezioni che peró rientrano nel tipo di persone simili al profilo che ho descritto per FB).
E quindi finisco sempre nello stesso loop, a ragionare di come si possa avere aspettative cosí alte nei confronti di chi ci sta intorno, responsabile di dover dire sempre e solo cose condivisibili.
Boh, io non ce la faccio.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

Chi perde, spiega

E quindi eccoci qui.
Durante la semifinale di andata sono stato coinvolto in un meeting aziendale, quindi l’ho vissuta un po’ come Fantozzi quando, nei primi dieci minuti di partita, arrivavano via whatsapp notizie incredibili di doppio vantaggio nerazzurro e infortunio di Bennacer. Solo che, purtroppo, era tutto vero. 
Ieri è stato pure peggio, perchè mi è toccato seguirla. Ho dovuto sedermi davanti alla tv per constatare al minuto 3 di avere più voglia io di chi stava in campo. E non è questione di crederci, perchè non c’era nessuna ragione per crederci. E’ più quell’orgoglio misto disperazione che dovrebbe portare a giocare una partita come quella di ieri con il sangue agli occhi. Una di quelle partite in cui la frustrazione ad una certa affiora e così, quando finisce in rissa, da casa devi soffocare l’istinto becero che ti porta a sperare di menare un avversario che non sei riuscito a battere.
Se ieri fosse finita in rissa invece, onestamente, le sberle avrei voluto che i nostri le prendessero, più che darle.
Siamo scesi in campo con l’atteggiamento di chi punta prima di tutto a limitare i danni, a non prendere imbarcate, con l’unico obbiettivo di poter andare in conferenza stampa alla fine e sproloquiare di testa alta. Solo che non esiste limitare i danni in un derby semifinale di Champions League. Esiste vincere o perdere. Sarebbe potuta finire 0-0 come 3-0 e oggi i discorsi da fare sarebbero stati gli stessi, perchè l’inter ci è stata superiore in tutto e torniamo a casa senza nemmeno la possibilità di rimuginare sulla sfiga o l’arbitraggio. Solo con l’immagine del giro palla finale e i loro olè di merda nelle orecchie. 
Una bruttissima pagina di Milan con cui dovremo convivere.

L’idea adesso è provare a capire come ci siamo arrivati, mentre ci lecchiamo ferite su cui, simultaneamente, stiamo gettando del sale.
Ho passato un anno a sentire minchiate relative ad uno scudetto “fortunato” o “regalato” relativamente ad una stagione dove, senza dietrologia o complottismi, il Milan ha chiuso con meno punti di quanti avrebbe dovuto avere a differenza di chi inseguiva. Il Milan ha vinto MERITATAMENTE lo scudetto.
Diverso sarebbe sostenere che il Milan 21-22 avesse la rosa più forte della serie A. Non è così. Avevamo una rosa compatta, ma cortissima, che uscendo da tutte le competizioni praticamente subito ha potuto focalizzarsi sul campionato e tenere botta in una stagione dove le avversarie, ognuna a suo modo, avevano lasciato spazio e punti per strada. Cosa che quest’anno il Napoli invece non ha fatto. Ad ogni modo, ci siamo ritrovati a maggio con la rosa compatta e vincente e un pezzo importante, ma non così fondamentale come piace raccontare, in uscita. 
Non ero nella stanza dei bottoni, ma secondo me il ragionamento societario è stato questo: “Lo scudetto non cambia la priorità, che è continuare a giocare la CL arrivando nei primi 4. Quel che si può fare, concretamente, è aggiungerci un cammino più lungo in coppa continuando a lavorare programmaticamente sul futuro.”
In quest’ottica, il tanto vituperato mercato estivo io tendo quasi a salvarlo. Perchè per quell’obbiettivo, ragionevolmente, allungare la panchina con dei rincalzi e investire su un giovane di prospettiva per il ruolo più scoperto negli 11 titolari (quello di Kessie/Krunic) era un’idea valida. Ovviamente qualcosa di diverso andava fatto, non sono qui a nascondermi. Oltre a tante giovani scommesse qualche giocatore sicuramente pronto andava inserito, se l’obbiettivo era portare a casa qualche partita di campionato in più con le seconde linee senza accendere ceri alla madonna, ma di massima hanno preso un vice Giroud (Origi), hanno rimpolpato il centrocampo con Adli, Pobega e Vranckx e puntellato in difesa con Thiaw e Dest in aggiunta al rientro a regime di Kjaer. E poi sono andati all-in per l’unico che sarebbe dovuto diventare titolare: Charles De Ketelaere.
Cosa è successo, allora?
Non è facile dirlo, però quello che è arrivato a me che le guardavo dal divano è che nessuno di questi nomi si sia rivelato in grado di giocare a pallone in Serie A, restituendoci a questo punto una rosa ancora più corta di quella dell’anno prima, costretta ad affrontare tutti gli impegni di una stagione lunghissima e con la grande variabile del Mondiale in mezzo. E’ successo che per il secondo anno di fila il tuo portiere si è fatto male senza che tu avessi provveduto ad un rimpiazzo presentabile (sfiga) e che due dei tuoi giocatori chiave, dopo essere stati spremuti da te, si sono anche dovuti sparare un cammino mondiale impegnativissimo conclusosi con la botta psicologica della finale persa. A fine Dicembre tutto questo era evidente e sotto gli occhi di tutti ed è qui che c’è stato il vero, gigantesco errore: non fare nulla. Per tutto Gennaio, col mercato aperto e la squadra che prendeva 3 gol nei primi 20′ contro letteralmente chiunque, la società non ha mosso un dito per tentare di aggiustare una situazione che, se anche figlia di decisioni giustificabili e ponderate, di fatto urlava per la necessità di interventi.
Lì è andato tutto, come si suol dire, affanculo.
Corti, stanchi e (si vocifera) non più compatti come l’anno precedente: quella che anche sulla carta sarebbe stata una salita è diventata una parete da arrampicata. Col senno del Poi sembra facile dirlo, ma se una tra il Tottenham in crisi ed il Napoli sbruffone avesse fatto il favore di eliminarci, oggi saremmo probabilmente messi meglio in campionato e parleremmo di questa stagione con toni decisamente diversi. Non è andata così, ma non è detto sia necessariamente un male.

Quindi, adesso, che si fa?
Questo terzo paragrafo ci porta obbligatoriamente ad interrogarci sul futuro e, secondo me, il vero nodo da chiarire è quello relativo all’allenatore. Io vorrò sempre bene a Stefano Pioli e resto convinto che nessun coach al mondo, nessuno, con questo Milan avrebbe fatto meglio di quel che Pioli ha fatto tra il 2020 e il 2022. Fino a prima di questo derby tremendo la mia posizione quindi era che, senza i dovuti investimenti sulla rosa, nessun allenatore sarebbe potuto arrivare a portare un valore aggiunto. Oggi la penso diversamente. La mia sensazione è che un cambio in panchina sia necessario perchè qualcosa, nello spogliatoio, si è rotto e di solito queste rotture non si possono aggiustare. Chi arriva ha il compito di (ri)portarci a vincere con Cremonese e Spezia e cementare la nostra presenza di diritto tra le prime quattro teste di serie del campionato italiano. La stessa condizione del 2022, ma senza la forza di essere Campioni e senza la stabilità di un gruppo vincente.
Evitando di entrare nei meandri dei discorsi economici e di bilancio che mi danno il voltastomaco e di cui parlano ormai tutti i tifosi, la scelta di cambiare allenatore porta con se un bivio:
1) Prendere un allenatore “più forte” e alzare l’asticella delle ambizioni.
2) Prendere un allenatore “scommessa” e, implicitamente, ridimensionarci.
Contro intuitivamente partiamo dall’opzione 2. Forse è il mio essere tifoso a farmela sembrare meno percorribile di quanto sia in realtà, ma non ci credo. Certo, permetterebbe di continuare senza stravolgere la rosa o investire massivamente e oggi, con il quarto posto a fortissimo rischio, sono variabili non di poco conto. Un nuovo allenatore con aspettative modeste potrebbe magari recuperare qualcuno dei cento ragazzini smarriti di Milanello e, col supporto della dirigenza, traghettarci ad una stagione 24/25 più profondi e competitivi di oggi. Il rischio di fallimento però è davvero altissimo e non credo il Milan abbia un altro anno bonus per riprovarci. 
L’opzione 1 è certamente suggestiva, ma porta con sé una certa mole di implicazioni poco probabili. Un allenatore di grido chiama investimenti, per lui e per la rosa. Potendo fare il fantamercato dei sogni ci sono tanti ruoli in cui il Milan ha bisogno di innesti, troppi per credere si possa davvero fare senza smantellare l’ossatura attuale, che vuol dire vendere qualche pezzo dei pochi che hanno un mercato. Uno su tutti: Leao. Io non sono per forza di cose contrario a cedere il portoghese, ora che il rinnovo ci porta a poter fissare noi la cifra, ma non ho garanzia alcuna questo produca automaticamente l’irrobustimento della rosa auspicato. Tocca avere fiducia in chi tira i fili, ma il passato recentissimo un po’ di scetticismo addosso me lo ha buttato.
Tocca navigare a vista in un futuro con più nebbia di quanto fosse legittimo aspettarsi 12 mesi fa.

Forza Milan.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

Il film di D&D

È uscito Dungeons & Dragons – L’onore dei ladri e ieri l’ho visto al cinema.
Per me la miglior trasposizione possibile di una sessione di D&D che giocherei con gli amici, quindi adesso facciamo che metto qui il trailer e chiudo la parte spoiler-free, poi sotto al video ne parlo in dettaglio.
Andate a vederlo al cinema, vi prego, perché voglio ne escano almeno altri dieci.

Se fai un trailer in stile honest trailer è già abbastanza chiaro il livello di strizzatina d’occhio a cui aspiri, quindi da un lato mi compri subito, ma dall’altro mi si attivano tutti i sistemi d’allarme possibili. Mi piace mi si faccia l’occhiolino, ma dipende sempre da chi me lo stia facendo e quanto riesca a non rendersi ridicolo nel farlo.
Secondo me, quindi, un buon modo per iniziare a parlare di questo film é valutare il livello di fan service che ci hanno messo dentro.
Quanto ce n’è?
Tanto.
Dá in qualche modo fastidio?
No.
Certo, dipende dal tipo di approccio che si ha con il materiale di partenza.
Dungeons & Dragons è un gioco vecchio e reso popolare da una generazione di nerd che non hanno minimamente a che fare con l’accezione attuale del termine. Non vorrei fare una digressione troppo ampia, ma il termine nerd ha un percorso uguale ed inverso a quello del termine emo. Entrambi hanno stravolto il loro significato nel processo di sdoganamento verso l’uso comune, solo che “Nerd” è passato dall’essere un insulto destinato ad una cerchia di persone con evidenti problemi di relazione al mondo esterno, ad una sorta di etichetta spesso auto-assegnata che in qualche modo certifichi la figaggine e l’alternativismo di chi se la sente addosso. Ad “Emo” è successo l’esatto opposto.
C’erano quindi due rischi da scongiurare facendo questo film. Il primo era di fare qualcosa che usasse D&D solamente come marchio per portare in sala i rimastoni come me, ma che puntasse in realtà a chi pensa di essere un nerd perché ha visto Stranger Things. Un film in cui due o tre “sottili citazioni” (che non chiamerò easter egg per evitare di indisporre il Governo) vengono annacquate in una poltiglia hypster e anonimissima, priva della reale intenzione di trasporre lo spirito del gioco e volta solo a monetizzare cavalcando una moda che tiene fino a che resta superficiale.
Il secondo era quello di puntare forte sul target originale, prendendosi drammaticamente sul serio e cercando di trasporre tutti i must dei veri fanatici del gioco. Fare una sorta di Bohemian Rhapsody, per dare un riferimento. Occhio che questo non vuol dire per forza fare un film cupo, drammatico o traboccante di epica per metallari puzzolenti. Nessuno produrrebbe un film così, oggi. Quel che invece si fa di continuo è scrivere storie seriosissime, con personaggi (super)eroici, e farcirle di spalle comiche e gag da barzelletta del cucciolone che sembrano incollate a forza nel contesto. Ecco, il film di D&D non fa questo errore.
L’Onore dei Ladri sceglie un tono e lo tiene per tutto il tempo, con una coerenza rara. Il tono è quello del cazzeggio e, santo Dio, è il tono che ogni sessione di D&D divertente dovrebbe avere. Hanno trasposto il gioco nella sua giocositá e lo hanno fatto tramite gag che ogni giocatore di D&D ha vissuto con gli amici, ma che sono sempre abbastanza ricercate da non risultare stucchevoli perché trite e ormai abusate. Per fare degli esempi: non c’è il nano che litiga con l’elfo, c’è parlare coi morti; il personaggio del barbaro non è stupido, è diretto e quindi a volte fuori luogo. Cose così.
Se poi parliamo delle scelte che legano più fortemente il film al gioco e alla sua community, per me sono stati perfino raffinati. Le classi dei personaggi sono ben rappresentate, stereotipate il giusto da farle arrivare anche a chi non mastica, ma senza eccedere nel caricaturale; la magia, elemento difficilissimo da bilanciare in scrittura, trova il giusto spazio e riesce anche a trasferire quel senso di “uso creativo degli incantesimi” tipico di chi gioca a D&D; con il personaggio dello stregone sono anche riusciti a farmi percepire la crescita di potere che in gioco si ottiene al passare dei livelli.
E poi i mostri.
Tanti e usati spesso anche solo per dare colore al mondo. Alcune creature come il mimic o il cubo gelatinoso sono evidente fan service ai giocatori di vecchia data, altre come la belva distorcente provano a dare quel tocco di ricercatezza che ogni giocatore vorrebbe dal proprio master (la frase “Hai un cazzo di manuale da centinaia di mostri, possibile si debbano incontrare sempre i soliti quattro???” l’abbiamo pensata tutti almeno una volta). Pure il drago viene proposto in maniera perfetta perché è simultaneamente demitizzato, ma senza ledere al suo essere comunque una delle creature più temibili del mazzo.
L’orsogufo invece mi piace pensare l’abbiano messo proprio per me. Mostro preferito di sempre.
Niente, più ci ripenso per scriverne e più mi convinco abbiano fatto esattamente il film che volevo e speravo facessero. Sui canali social del gioco lo stanno presentando alludendo ad un D&D Cinematic Universe e, non so che dire, io ci spero fortissimo.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

Sanremo 2023

Ormai venire qui e commentare le canzoni in gara al Festival di Sanremo è diventata una piccola tradizione, quindi eccoci.
Io la kermesse non la seguo in TV perchè, come detto nelle puntate precedenti, è uno spettacolo che non mi interessa e non mi piace. Tendo a recuperare le clip significative i giorni successivi, giusto per stare sul pezzo con le polemiche. Quest’anno ad esempio ho scoperto che c’è ancora gente che non riesce a codificare Salmo che va ospite con delle rime contro Sanremo e pensa davvero quello sia un gesto coraggioso/rivoluzionario, o Blanco che smatta sul palco. Ovviamente tutte cose per cui, anche quest’anno, si è tirato in ballo il punk, ormai ospite fisso della manifestazione.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi.
Io, però, sono qui per parlare delle canzoni e quindi adesso mi ascolto la playlist di spotify (perchè su Tidal non ce n’è una con tutte e 28 le tracce, o se c’è non l’ho trovata), commentando pezzo per pezzo.
Per chi non avesse familiarità con il mio modo di approcciare la questione, per me Sanremo è La Canzone di Sanremo™ (da qui CdS™), archetipo che non ha senso di esistere mai, ma che in quel contesto trova la sua collocazione naturale. Potrei provare a spiegarvi in cosa consiste, ma sarebbe più noioso delle canzoni stesse, cosa davvero indicativa, quindi mi limito a puntare il dito quando lo riconosco in scaletta.
Vediamo come va.

Due vite – Marco Mengoni
Non so che opinione abbiate di Marco Mengoni, ma secondo me di ben collocati come lui dentro il contesto Sanremo ce ne sono pochi. Qui arriva con una classicissima e ultra didascalica CdS™, ma funziona tutto perfettamente. Non ho ancora sentito nessun altro pezzo, ma ho seri dubbi altri abbiano fatto meglio. Vai Marco, a me sei simpatico, vincila tu e siamo tutti felici.

IL BENE NEL MALE – Madame
L’attacco sembra da CdS™, ma è tutto finto. Un po’ come il certificato vaccinale della tizia che canta. Il pezzo non è brutto, purtroppo, ma tra la vicenda del Green Pass e il capslock di merda nel titolo mi vedo ideologicamente costretto a pensarne tutto il male possibile.

Splash – Colapesce & Dimartino
Io a questi musica leggerissima non l’ho ancora perdonata, ma forse il mio problema vero è più con chi ne ha parlato come di un capolavoro. Questa è pure più noiosa. “Mi tuffo nell’immensità del bluuuu… Splash.”. Ma andate affanculo.

Due – Elodie
Direi pezzo di Elodie piuttosto standard, ma senza il ritornello killer di “tribale” o anche solo di “Bagno a mezzanotte”. Non credo di arrivare a ricordarmela, ma apprezzo l’approccio a cazzo duro tipo: “Sono più grossa di sto carrozzone, quindi non mi piego alla CdS™ e vado dritta col mio sound”. Certo, con un pezzo buono sarebbe stato meglio.

CENERE – Lazza
Questo per qualche strano motivo viene portato avanti come fosse un genio, credo c’entri col fatto che ha fatto il conservatorio. Boh. Classico capslock da giovane, ma sotto sotto è una banalissima CdS™, solo quell’attimo più pretenziosa. Di fatto ha avuto meno palle di Elodie. Anche sto giro, una motivazione concreta allo status che si porta dietro la troviamo la prossima volta.

Furore – Paola & Chiara
Non ce n’era davvero bisogno, dai. Poi io la sto ascoltando senza il video, credo anche quello pesi.

SUPEREROI – Mr.Rain
Ed eccola la CdS™ in capslock del trapper/rapper/Fedez di quest’anno. Il coro coi bambini? Camminerò? Madonna che monnezza.

Duemilaminuti – Mara Sattei
Altra CdS™. Anzi, devo dire la più CdS™ tra le CdS™ fino ad ora e quindi, come giusto, una lagna senza confine che sembra durare davvero “duemila minuti anzi duemila ore”.

TANGO – Tananai
Io a questo voglio bene perchè mi sta simpatico e in certi passaggi mi sembra davvero di sentire Roby Burro, non so se siano i testi o come canta. Credo un mix delle due. Qui però si presenta con una CdS™ inutilissima e, fidatevi, mi spiace davvero doverlo riconoscere. Ma poi perchè anche tu con sto capslock? Dai. Sei meglio di così, Tananai.

Alba – Ultimo
Spotify mi mette la pubblicità prima di iniziare, dandomi tempo per precisare quanta sfiga mi trasmetta Ultimo da quando l’ho visto fare i live con la maglietta con scritto Ultimo sopra. Ecco il pezzo. Altra cosa che trasuda sfiga di Ultimo è che ha appracciato la CdS™ anche fuori dal contesto sanremese. Cioè lui davvero pensa che le lagne che attaccano col pianofortino moscio e poi crescono in un groviglio di urlati raccapriccianti siano un format dignitoso. Poi oh, riempie gli stadi eh, quindi chi sono io per dire che la sua roba è concime per piante a cui non vuoi neanche troppo bene?

MARE DI GUAI – Ariete
Inizio a pensare che il capslock sia una sorta di codice implicito per segnalare allo spettatore del Festival che non ha il minimo interesse per la musica, ma che lo segue unicamente come evento televisivo/culturale, quali siano gli artisti “giovani”. Va beh, andiamo sul pezzo. CdS™ anche per Ariete, che evidentemente pensa davvero che essere giovani faccia schifo e quindi si presenta con una canzone che ha almeno 65 anni.

L’ADDIO – Coma_Cose
I Coma_Cose hanno fatto anche cose buone. Non in questo caso.

Vivo – Levante
Lei è insopportabile, ma il pezzo non mi dispiace. O forse è che ho il cazzo pieno delle lagne arrivate fino ad ora e questa la apprezzo anche solo per la voglia di metterci un po’ di ritmo. Il ritornello è irricevibile sotto ogni punto di vista, roba da programmazione di Radio Italia alle tre di notte del mercoledì.

parole dette male – Giorgia
Grandissima con solo le minuscole, dammi una gioia anche col pezzo dai! No? No. CdS™, lo scrivo solo a fine statistico. Milioni di canzoni orribili che parlano di canzoni belle, per una volta mi piacerebbe una canzone bella che parla di canzoni orribili.

MADE IN ITALY – Rosa Chemical e Bdope
Porcheria indifendibile. Cristo. Ma come cazzo fa certa roba ad esistere? Cioè qualcuno ha sentito ‘sto pezzo e ha pensato: “funziona”. Impazzisco.

Cause Perse – Sethu e Jiz
Questi non ho idea di chi siano, quindi mi aspetto la qualsiasi mentre attendo finisca quella merda di MADE IN ITALY. Eccoci. Not my cup of tea (eufemismo), ma penso sia roba che può starci nel 2023, cioè immagino che nel suo essere uguale a sessantamila altri pezzi sotto ogni possibile punto di vista possa funzionare per chi quei sessantamila pezzi se li ascolta volentieri.

MOSTRO – gIANMARIA
Qui siamo al level up per il capslock, con al minuscola iniziale. Forse se tutto lo sforzo usato per cercare nuovi mirabolanti modi per scrivere il nome dei cantanti o i titoli delle canzoni venisse usato per scrivere i pezzi ascolteremmo roba più interessante. Poi ok, lui secondo me è pure bravino ed il pezzo certamente non tra i peggiori fino a qui, ma è davvero un merito molto poco meritevole.

Polvere – Olly
Una sorta di Nintendocore in versione Sanremo. Capisco il senso di averla in scaletta e non è che dia necessariamente fastidio, ma non credo ne sentiremo più parlare. Anche perchè è un pezzo che dovrebbe puntare sul ritornello e invece il ritornello, se possibile, depotenzia.

Lettera 22 – Cugini di campagna
Sappiamo tutti che l’unico commento da fare, a prescindere dal pezzo, sarebbe “a parità di vestiti, sono meglio dei Maneskin”. Io non ho davvero mai avuto contatti con la musica dei Cugini di Campagna, quindi non so se sta roba sia standard per loro o meno. E’ una CdS™ collocabile a cavallo tra i ’90 e i ’00, quindi puzza di vecchio tantissimo, ma magari per loro è futurismo.

Quando ti manca il fiato – Gianluca Grignani
Mi spiace dire male di un pezzo del genere, onestamente. Quindi su Grignani dirò solo che il suo commento al caso Blanco è il migliore di tutti. Ah, calma, in chiusura il pezzo, musicalmente, è figo. Che questo si noti solo quando lui smette di cantare però credo non deponga troppissimo a suo favore.

UN BEL VIAGGIO – Articolo 31
Mi vergogno un po’ a dirlo, ma io sugli Articolo 31 avevo delle aspettative. Lo so, lo scemo sono io. CdS™ brutta in culo, con anche il titolo in capslock per non farci mancare nulla del peggio. Gli scretch incollati a caso ciliegina sulla merda.

Se poi domani – LDA
Non ho tredici anni, non credo di poterne parlare. Però spero di avere la forza di comprare la droga ai miei figli se dovessi scoprirli dentro a roba del genere.

Stupido – Will
Leggi sopra.

Terzo cuore – Leo Gassmann
Non so se questa persona abbia effettivamente una carriera da musicista fuori da questa settimana, ma in questa settimana per me può tranquillamente starci. Il ritornello mi pare un mezzo ripoff dei Pinguini Tattici Nucleari e visto che i PTN non sono esattamente Beatles, forse c’è un problema a monte.

Non mi va – Colla zio
Questi sono amici della figlia di una mia collega. Spiace più che altro per lei.

Egoista – Shari
Ma il pezzo di Madame non l’avevo già sentito? Si scherza dai. A me il cantato femminile biascicato fa cagare, ma quando inizia a svolazzare con la voce su quei vorrei finali si rimpiange tantissimo il momento biascicato.

Lasciami – Modà
Occrishto ma non ce li eravamo tolti dal cazzo questi? Ma ridatemi le Vibrazioni piuttosto. Che poi vaffanculo la melodia non sarebbe neanche così orrenda, è solo sbagliatissimo tutto il resto, cantante in primis.

Sali (Canto dell’anima) – Anna Oxa
E andiamo! Urla belluine come non ci fosse un domani e senza la minima giustificazione. Non mi sarei potuto aspettare nulla di meglio dalla Oxa e direi che è un modo degnissimo di chiudere sta playlist, con la sofferenza estrema. Sua e mia.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!

Milano 30

Provo a mettere in fila un po’ di pensieri in merito alla proposta portata in giunta da Marco Mazzei per l’abbassamento del limite di velocità a 30km/h in tutta l’area urbana di Milano.
Lo faccio perché, come spesso accade, il dibattito si è immediatamente avvelenato ed è diventato complesso prendere una posizione senza finire a litigare, ma anche farsi un’idea senza obbligatoriamente impantanarsi dentro una delle due fazioni. Cosa che a me fa sempre tanta tristezza.
Partiamo quindi con una premessa: essere scettici verso questa idea non vuol dire non vedere il problema che cerca di risolvere né pensare che non sia importante risolverlo.
Non per forza e non nel mio caso.
C’è una clip di Immanuel Casto al Breaking Italy podcast che spiega bene perché questa premessa sia importante*. Io sono convinto che a Milano ci siano problemi di traffico, inquinamento e sicurezza stradale e sono iper d’accordo a lavorare per risolverli, ma resto scettico sul fatto che questa sia la via migliore per arrivarci e adesso provo a spiegare perché.
Prima però metto il link a un’altra clip in cui lo stesso Mazzei spiega nel merito le argomentazioni che supportano l’idea, perché credo sia giusto partire da lì.
Guardatela e poi leggete il resto, se vi va.

Le argomentazioni principali a supporto dell’idea, oltre alla sempre irritante “lo fanno anche X e Y” che non prendo volutamente in considerazione, sono essenzialmente tre.
1) Più sicurezza.
La base di partenza dell’idea è che, stando ai dati, essere investiti da un’auto a 30km/h non sia letale, mentre a 50km/h lo è. Inoltre, il tempo di arresto a 50km/h è di 25m mentre a 30km/h è di 10 metri. Io non sono ovviamente qui a contestare questi numeri, ma a mio avviso può essere utile ragionarci sopra.
Faccio un parallelismo che non vuole essere una provocazione, ma spero aiuti a capire il mio punto. La causa del 100% delle morti per incidente aereo è l’altezza. Indiscutibile. La soluzione però non può essere “facciamo spostare gli aerei a terra”, deve essere “rendiamo il volo il più sicuro possibile in modo che il pericolo intrinseco legato all’altezza venga neutralizzato”. Abbassare il limite di velocità a 30km/h per me usa lo stesso principio logico del tenere gli aerei al suolo ed è un modo reazionario di approcciare i problemi che non mi appartiene. Io punto sempre a soluzioni che ci portino un passo avanti e non indietro, quindi nello specifico dovremmo puntare a muoverci più velocemente ed in modo più sicuro, sfruttando la tecnologia che abbiamo a disposizione. Torniamo a quei numeri sullo spazio di frenata. I famosi 25m di cui sopra non possono essere intesi come “assoluti” perché dipendono certamente dall’efficienza dell’impianto frenante, ma soprattutto dai tempi di reazione di chi guida. Tempi che con la tecnologia corrente per la frenata assistita possono ridursi. Più importante però é che quegli stessi tempi si allungano se chi è al volante non sta prestando la dovuta attenzione, indipendentemente dalla velocità a cui sta guidando. Quindi il problema principale, per me, non è fare andare questa gente più piano, ma farla guidare con la dovuta attenzione e spingerla a dotarsi di tecnologia di sicurezza che subentri in caso di errore.
Vedo ovviamente arrivare l’obbiezione: “La gente non smetterà mai di stare al telefono mentre guida”, ma se questo è il presupposto potrei rispondere con i dati che certificano la propensione degli italiani ad infrangere i limiti di velocità e finiremmo in un cul de sac.
Quindi, riassumendo, non dico che questa idea non vada nella direzione di una maggiore sicurezza. È vero e, in questi termini, se applicata perfettamente porterebbe benefici. Non sono propenso a giustificare i mezzi per via del fine, peró, e io discuto unicamente quello.
2) Meno inquinamento.
Qui non ho molto da dire per controbattere, perché non ho dati concreti in mano. L’altra sera la mia formazione scientifica mi ha portato a fare un po’ di test con la mia auto (un 1.6 diesel di sei anni fa), perché tramite computerino di bordo posso monitorare i consumi.
Percorrendo lo stesso tratto di strada in condizioni di velocità costante (quindi non in fase di accelerazione né decelerazione) e stesso numero di giri motore (circa 1200), per mantenere i 30km/h devo viaggiare in terza marcia, mentre i 50km/h li ho mantenuti in quarta. In queste condizioni la mia auto consuma di più tenendo i 30km/h (non tanto di più), credo per via del fatto che i motori moderni non sono pensati per essere efficienti a quei regimi di utilizzo. Al netto di questo, credo il reale abbattimento sia legato alla riduzione delle accelerate che, causa traffico, portano costantemente a passare da zero a 50km/h. Dovendo andare da 0 a 30km/h queste accelerate sono meno veementi e riducono le emissioni, ma questo ci porta diretti al punto
3) Il traffico.
L’obbiezione più ovvia, che poi cosí ovvia forse non è, rimane: “Se riduco la velocità, ma mantengo inalterate le distanze da coprire, il tempo deve aumentare. Se aumenta il tempo, aumenta l’occupazione delle strade per singolo veicolo e, di conseguenza, il traffico”.
A questa cosa ho visto rispondere in modi diversi, che cito per completezza di argomentazione.
– “Nel traffico si viaggia a 12km/h di media, non a 50, quindi non cambia nulla.”. Non può essere vero, perché la velocità media dipende dagli estremi. Se abbassi gli estremi, si abbassa anche lei. Quindi è una non risposta, oltre ad essere un’argomentazione boomerang che porterebbe a ribattere: “Allora non c’è alcun problema di sicurezza, visto che a 12km/h ci si arresta in meno di 10m e non si è letali”.
– “Il tempo di percorrenza non cambia abbassando la velocità perché è determinato in misura maggiore dalle soste ai semafori che non dalla velocità di spostamento.”. In pratica, andando più veloce passi solo più tempo fermo al semaforo, ma ci metti uguale ad arrivare. Questa è un’argomentazione già più sensata, che però dovrebbe tener conto di un fattore. La proposta di Milano 30 prevede un cambiamento nelle tempistiche dei semafori volta a favorire un maggiore scorrimento ed un minor fenomeno di “stop&go”, reale causa di traffico e smog. Benissimo. Se coi limiti attuali, dove sicuramente la velocità dovrebbe portare ad uno scorrimento maggiore, questo non avviene forse si dovrebbe puntare il dito proprio verso una gestione poco corretta dei semafori che impediscono al traffico di defluire come potrebbe. In altre parole: la gestione perfetta dei flussi che si pensa di implementare per Milano 30 avrebbe molto più effetto ed efficacia sul traffico (e forse anche sullo smog) se adottata per Milano 50. A meno di ragioni per cui questa cosa si possa fare con il limite a 30km/h e non si possa fare con il limite a 50km/h, ma non ho sentito nessuno dire questa cosa né fare una domanda in questa direzione.

Questi i dubbi nel merito, razionali, a cui si somma un preconcetto costruito in anni di vita a Milano. Sbaglierò, ma se ci fosse davvero la voglia di cambiare, alla messa in vigore della norma (anzi, diciamo 3 mesi dopo per evitare effetto sorpresa) dovrebbe partire un’operazione costante di vigilanza e sanzionai. Non perché io sia particolarmente favorevole al metodo coercitivo, ma perché se applichi una politica intransigente per forza di cose “educhi” i cittadini a rispettare il vincolo. Se invece sanzioni ogni tanto, magari all’occorrenza di bilancio, il messaggio che passi ai cittadini è che quella norma non esiste, che infrangerla è un rischio ponderabile e che le multe sono essenzialmente questione di sfiga. Se così sarà anche questa volta, credo davvero Milano 30 non possa portare alcun beneficio alla città. 
Ultima nota.
Da dati non recentissimi che ho trovato online facendo un minimo di ricerca, quindi senza perderci il sonno, il 50% del traffico cittadino di Milano è di transito da o verso fuori, quindi di persone che non possono valutare spostamenti ad impatto zero come andare in bici o a piedi. Chi si muove dentro la città già usa i mezzi 4 volte su 10 perché a Milano, checché se ne dica, il trasporto pubblico funziona bene. Tra i restanti, il numero di persone che si sposta in auto è grossomodo equivalente a quello di chi va a piedi o in bicicletta. A mio avviso questo vuol dire che chi usa l’auto oggi non lo fa per mancanza di alternative, ma per scelta e sono davvero molto scettico questa scelta possa cambiare in virtù di una sbandierata maggiore sicurezza per pedoni e biciclette.

* già che ci siete guardatela tutta quell’intervista perché merita molto.


Ehi, vuoi ricevere i post di questo blog direttamente via mail e senza dover venire qui a leggerli?
Iscriviti alla newsletter!