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Riflessioni

Decadenza

Premessa: l’avvenuta decadenza di Berlusconi da parlamentare è un evento storico che verrà ricordato per sempre, ma è soprattutto una cosa BELLISSIMA di cui essere felici.
Detto questo, resto perplesso riguardo le speranze di un Paese che senza questa sentenza avrebbe continuato a regalargli diciamo il 30% delle preferenze. Perchè non stiamo celebrando la bella cosa per cui in Italia nessuno è intoccabile se infrange la legge, ma invece l’aver impedito a gente che non si fa problemi a votare un corrotto e corruttore che va con le minorenni, di poterlo fare.
Che è giusto eh, ma non è una vittoria.
Del Paese intendo.
Perchè quella gente lì è ancora in giro e continuerà a votare. E il problema dell’Italia sta in quello, oltre che nella persona che riesce a carpire quei voti e approfittarsene come ha fatto Berlusconi per vent’anni.
E’ come se oggi avessimo fatto una liposuzione.
Ora siamo più belli e magri, ma non abbiamo risolto il problema e se continueremo a mangiare merda ci troveremo presto nella stessa condizione.
Da lì il mio diciamo scarso entusiasmo in riferimento alla notizia che, in ogni caso, restituisce un Italia politica migliore di quella di questa mattina, con un comprovato criminale in meno tra i banchi delle Camere.
Chiarito, spero, il mio punto di vista sulla questione mi prendo un’ultima riga per omaggiare la lungimiranza di Alessandra Mussolini.

Prendere le distanze

Conosco un tale.
Si chiama Davide e siamo entrati in contatto tramite un forum di giochi di ruolo che entrambi si frequentava diverso tempo addietro. Non perché ora noi si abbia di meglio da fare, ma solo perché i forum sono morti prematuramente circa cinque anni fa. Questo tizio, sul forum, si firmava MANOWAR e nella signature aveva rimandi nostalgici al ventennio.
E’ lampante sia una persona con cui non ho e non voglio avere nulla a che fare.
Sta di fatto che per circostanze ancora poco chiare io e questo tale non solo siamo in contatto ancora adesso (ogni tanto commenta pure qui sopra firmandosi Mnwr nel tentativo di dissimulare), ma ultimamente capita ci si trovi d’accordo su diversi aspetti della vita. Pubblica i miei pezzi sui social senza fini denigratori, condivide la mia fiducia/speranza in Renzi (lo dico per alimentare quel fenomeno riguardante Renzi e i voti della gente di destra) e, cosa davvero incredibile, ultimamente siamo anche stati d’accordo su un disco.
La cosa, per motivi che spero risultino ovvi, mi mette fortemente a disagio.
Quindi adesso scrivo un pezzo parlando di un disco che in questi ultimi giorni sto a dir poco consumando, nella speranza di ricevere badilate di insulti e farmi tornare a dormire sereno.
Sigla!

Dargen D’Amico è un giusto.
Partiamo da un presupposto: io di rap capisco pochissimo. In realtà capisco poco di musica in generale, ma a differenza degli altri generi di cui di solito parlo/scrivo il rap non lo ascolto proprio. Cosa che mi rende non solo incompetente, ma proprio ignorante in materia. Ho in casa un paio di dischi degli Articolo 31 che fossero auto non pagherebbero più il bollo e ogni tanto mi prendo bene per qualche singolo che mi passa per il wall dei vari social. Ci sono personaggi appartenenti al mondo del rap che mi fanno simpatia e altri che invece mi danno in culo, ma senza una reale motivazione artistica. A pelle. A parte Fibra, che la radio mi costringe ad ascoltare spessissimo e che reputo scarso oltre ogni modo in termini di rime e di quel che io reputo si intenda quando si parla di “flow”.
A Dargen D’Amico ci sono arrivato grazie al pezzo qui sopra, che per il sottoscritto è a mani basse canzone dell’anno. Quando l’ho sentita la prima volta ho pensato fosse la classica “coglionata ignorante che però ti prende bene” e così ci ho riso su pensando l’avrei dimenticata appena fosse finita l’estate. Invece con l’andare del tempo l’ho ascoltata diverse volte e, pur conscio resti essenzialmente una coglionata ignorante, ci ho trovato molto di buono. Intendo veramente buono. Mi piace un sacco la base, ad esempio, sia come melodia che come ritmica. Mi tira in mezzo ogni volta. E poi mi piace il testo, perchè reputo molto interessanti diverse delle rime che ci sono dentro. E’ una canzone sulle tette, non sto cercando di trovarci un qualche sottotesto improbabile per sentirmi meno scemo all’idea che mi piaccia, e una canzone sulle tette potremmo scriverla tutti. Solo che, sbaglierò, nella maggior parte dei casi ne uscirebbero robe tremendamente più volgari, banali e sciatte di “Bocciofili”. Sì, è possibile.
Sta di fatto che sulla base di questo pezzo e di svariate centinaia di battute spese da BASTONATE per smantellare “Vivere aiuta a non morire” mi sono interessato al fenomeno e, pur nell’era di youtube/spotify/torrent/whatever, ho pensato che il modo migliore per documentarsi fosse andare a vedere un live di Dargen D’Amico. Senza conoscere i pezzi, senza basi. Ha suonato in un locale molto figo di Brugherio tempo fa, io ho presenziato ed è stato tutto un susseguirsi di: “Figata! Genio! Quanto stile! Ecc…!” [NdM: Sì, a Brugherio esiste un locale figo che potrebbe chiamarsi LOSTOWN, ma anche no, e che fosse esistito quando ero ragazzo probabilmente avrei frequentato rovinandomi l’esistenza a venire e venendo su molto diverso da come sono ora.]. La prima cosa che ho notato nello show di Dargen D’Amico è che il suo set, a me, prende bene. Saranno le basi, saranno le melodie, sarà la cassa dritta che non ho mai fatto mistero di amare, però se mi metti ad un concerto di JD io mi ci diverto a bomba. Oltretutto sul palco stava con due dei Fratelli Calafuria, che con le chitarre hanno dato un bel risvolto alla faccenda ed elevato di molto lo stile del tutto, lasciando il palco nella seconda parte del live causa, cito, “rifiuto di prestarsi a suonare certi pezzi”. Non so se sia vero, ma mi piace pensare di sì.
A concerto finito io avevo già diversi pezzi preferiti.
Questo e quest’altro su tutti, ma anche “Lorenzo de’ Medici”, di cui pare impossibile trovare una versione streaming da linkare. Il che può essere indicativo, ma anche no.
Abbagliato dall’esperienza live, il terzo step della mia personale folgorazione per l’artista Dargen D’Amico è stato l’acquisto del suo disco, punto che ci riporta a bomba all’incipit della storia. Sono ormai settimane che ascolto a ripetizione “Vivere aiuta a non morire” e mi piace ogni volta. Lo sento in macchina, dove ogni tanto è anche bello mettere nel lettore qualcosa che sia registrato, mixato e prodotto in modo da valorizzare l’impiantino che ai tempi avevo istallato. E’ un disco lunghetto, sono 17 tracce, e non tutte mi prendono bene allo stesso modo. Non ce n’è mezza, però, che devo forzatamente skippare e questo prima dell’acquisto per me era impensabile. Qui si potrebbe aprire una parentesi sul mio essere disposto ad acquistare un disco con la forte possibilità di trovarne insopportabile una parte più o meno estesa. Continuo a vedere nel prodotto una genialità notevole, come a volte mi capita di fare con prodotti analoghi di discipline diverse. Penso a True Blood, per dare un riferimento. Dargen D’Amico usa le parole in maniera interessante, divertente, tutto sommato nuova per quanto mi riguarda e alterna momenti introspettivi a momenti caciaroni come nella vita facciamo più o meno tutti costantemente.
Può piacere, come non piacere.
A me piace, e spero questo basti a ridefinire certe distanze.

Io non so fare il cubo di Rubik, ma c’è chi si è fatto il cubo di Ruby – Dargen D’Amico – Il cubo (Fondamentalmente).

Perdere la verginità al Lucca Comics

Avrebbe un senso.
Prendi i grandi festival musicali, le rassegne di cinema, i congressi scientifici. Persino la cazzo di giornata mondiale della gioventù. Sono situazioni fatte apposta per scopare. Nessuno ammette che ci partecipa per quello, ma solo per non doversi giustificare in caso di fallimento nell’impresa. Il fine ultimo è e sarà sempre trovarsi in un ambiente in cui, paradossalmente, da peculiari si diventa terribilmente standard. Tutti simili, tutti con gli stessi interessi. L’appiattimento rompe le barriere, avvicina le persone e abbassa le resistenze. La paura del diverso non può esistere in una situazione in cui si è tutti diversi allo stesso modo.
Andare a Lucca Comics per scopare avrebbe davvero un sacco di senso.
Io invece mi ci sono spaccato i coglioni.
La ressa ovunque, gli stand strapieni, pochissime cose belle da vedere e anche quelle poche messe in condizione di non poter essere viste. La puzza di sudore. I cosplayer, la gente in fila per un autografo, la gente in fila per mangiare dei noodles che neanche se mi pagassero, la gente in fila per i cessi chimici o per fare una foto. La gente in fila per vedere altri giocare ad un videogame. E’ una fiera di nerd per nerd e quindi non è un cazzo divertente. Per quanto la televisione e il cinema si dannino l’anima nel diffondere questa nuova immagine del geek come paradigma di figaggine contemporanea, la realtà è ancora quella di quindici anni fa: il disagio.
Ho resistito una giornata, comprando un paio di libri che avrei preso senza problemi altrove. Avrei voluto comprare un set di dadi per D&D, ma non è stato possibile.
Il giorno seguente siamo andati a San Miniato, terra di vino e tartufi, a mangiare e bere. Abbiamo scoperto una terra bellissima che non conoscevamo e prodotti deliziosi che siamo ansiosi di riprovare. Abbiamo camminato, fatto foto e ascoltato interessantissime lezioni sul vino, il tartufo e i cantucci. Poi siamo stati a Pisa a vedere Campo dei Miracoli, siamo rimasti a bocca aperta e abbiamo scattato altre fotografie.
Alla fine, in autostrada tornando verso casa, ci siamo chiesti come cazzo ci fosse venuto in mente di andare a Lucca.

Cose di cui ho pieni i coglioni

L’idea era di stilare una lista piuttosto lunga di robe per giustificare un post in cui mi lamento essenzialmente della merda di vita a cui ti costringe il precariato. E non per un discorso di soldi, diritti sociali, prospettive, certezze e tutte quelle altre robe di cui si sente e si legge di continuo.
Cioè, non solo per quello o quantomeno non principalmente.
La rottura di cazzo è trovarti, ciclicamente, a dover ricominciare da capo.
Anche se ti confermano, anche se ti rinnovano, è solo l’inizio di una nuova telenovela.
Che sì è stimolante, adrenalinico e potenzialmente fighissimo, non fosse che solitamente lo definisce tale chi non vive la questione se non per scelta sua. E allora grazie al cazzo. Anche io, in quelle condizioni, sarei facilmente della stessa opinione.
E parlo chiaramente al condizionale perchè non ne ho mezza idea di come ragionerei fuori dal precariato, non essendoci mai stato.
Ad ogni modo avrei voluto scrivere una lunga lista per camuffare questo sfogo all’interno di mille e più cose fastidiose, ma di getto l’unico altro punto che mi è venuto in mente oltre alla questione di cui sopra sono le donne che guidano i SUV.
Che comunque mi stanno molto meno in culo della mia attuale situazione lavorativa.
Cosa che dovrebbe dare una misura al tutto.

Gravity

NOTA: l’articolo sottostante come sempre potrebbe contenere SPOILER. Per una volta, tuttavia, non esiste rivelazione in grado di impattare sulla resa del film stesso. Manco se copiaincollassi qui sotto l’intero script. Io, comunque, allerto.

Gravity è un film con dei personaggi osceni e questo è un fatto. Voglio dire, sono due e non so quale sia scritto peggio. Clooney interpreta un veterano dello spazio che approccia le disavventure (eufemismo) in corso con la carica emotiva di un cyborg, rendendosi a dir poco implausibile. La Bullock, che comunque tira fuori un’interpretazione inaspettata, veste i panni di una scienziata che per carico di sfiga farebbe passare Pollyanna per Gastone. Come se servisse caricare di drammaticità un personaggio che si trova in orbita e con la merda alle orecchie. Sotto questo aspetto, non vedevo un prodotto fatto peggio da tempo immemore.
La cosa figa è che di tutto questo non me n’è fregato un cazzo di niente.
Sono uscito dalla sala Energia dell’Arcadia di Melzo e l’unica cosa che sono riuscito a dire di Gravity è stata: “MADONNA.DI.DIO.”.
Reiteratamente.
C’è troppa potenza visiva in un film come questo per stare a parlare di inezie come il plot o la caratterizzazione dei protagonisti. Qui si sta definendo il concetto alla base del cinema: la forza sta nell’impatto delle immagini su chi le guarda. Un po’ quel che fa “The tree of life”, ma senza dare l’impressione di stare guardando uno screen saver (cit.). Cuaròn, che per me prima di un’ora fa era un perfetto sconosciuto, genera lunghissimi piani sequenza che non possono che lasciare estasiati. Quando non succede nulla si sta a bocca aperta ammaliati dalla bellezza del paesaggio illustrato, che ha oltretutto l’enorme valore aggiunto di essere completamente reale e quindi cento volte più affascinante delle isole volanti dell’Avatar di Cameron. Quando invece scoppiano i casini, trasportano lo spettatore dentro gli avvenimenti, costruendo una tensione così reale da dare l’impressione che l’ossigeno, oltre che nelle tute degli astronauti, si stia esaurendo anche in sala. Io ho visto tutto in 3D, cosa che tendenzialmente non sopporto, ma se esiste un prodotto per cui valga la pena inforcare gli occhialini, questo è proprio Gravity.
E’ un film che parla dell’uomo (e della donna) in balia degli elementi. Tutti gli elementi, mica che il messaggio non arrivi. E parla anche dell’uomo (e della donna) in balia di se stessi. Riducendo la trama all’osso, tutto già visto e già sentito in almeno centomila occasioni. Se uno ci si approccia aspettandosi qualcosa di rivoluzionario sul piano concettuale, rischia di restare deluso.
Io avevo grandissime aspettative e, in sincerità, non le ho trovate disattese.
Per me film dell’anno.
E ha anche una colonna sonora strepitosa.
“Eh, ma i suoni nello spazio non…”
Mavaffanculo.

In ritardo, su Breaking Bad

A una settimana dalla chiusura dello show, mi pare giusto e doveroso scrivere qualcosa su questa serie TV che, come spesso accade al sottoscritto, mi sono ritrovato a recuperare in fretta e furia dopo un abbandono decisamente troppo prematuro. Capitò la stessa cosa con Lost e Fringe, per dire, quindi ormai si potrebbe concludere che il mio bocciare una serie agli esordi sia sinonimo della sua qualità.
Perchè sì, Breaking Bad è veramente un grandissimo show.
Partiamo però dal principio. Io avevo mollato la serie all’episodio 4 della prima stagione essenzialmente per due motivi: 1) la serie mi prendeva veramente molto male. Tutta la parte sul cancro, il dramma di Walt e della sua famiglia, mi risultava poco digeribile per un qualcosa da cui cerco, essenzialmente, intrattenimento 2) avevo trovato alcune scelte di regia e sceneggiatura eccessive, quasi caricaturali, e questa cosa non mi permetteva di godermi lo spettacolo. A differenza di altri casi citati in precedenza, oggi non mi sento di rinnegare queste valutazioni iniziali. Se il primo problema però si riaggiusta quasi subito e l’eccesso di dramma iniziale serva effettivamente a definire dei personaggi credibili per poi procedere nella narrazione dando per assodato o quasi quel concetto, il secondo aspetto negativo invece si trascina a lungo. Fino alla terza stagione, direi. Scene come quella delle visioni di Jesse in preda alla droga e personaggi come quello di Tuco sono cose che, per il mio palato, vanno oltre e sconfinano nel NO. Per questo, non fosse stato per una regia ed una fotografia sublimi e un plot veramente solido, avrei potuto mollare di nuovo anche in questo secondo tentativo di recupero. Fino alla terza stagione la serie mi è piaciucchiata senza eccessi e se ho continuato nella visione è solo per auto imposizione. Volevo avere un quadro completo di qualcosa che a tutti, davvero tutti, piaceva così tanto.
Con la terza stagione però i difetti scompaiono, almeno ai miei occhi, e la trama diventa un vortice da cui è impossibile staccarsi. La regia resta eccellente, ispirata e a tratti clamorosa. La fotografia rimane sublime. I personaggi, già egregiamente delineati, acquisiscono uno spessore enorme e diventano, in sostanza, il punto davvero forte dello show. Mai nessuna serie, a parer mio, ha avuto protagonisti così complessi, sfaccettati e ben caratterizzati. E con protagonisti non intendo solo Jesse e Walt, ma proprio tutti i personaggi ricorrenti nelle cinque stagioni. Skyler, Marie, Hank, Gus, Mike, Saul ma pure gente di contorno come Ted, Jane, gli amici di Jesse e i vari ingranaggi nel meccanismo criminale di Heisenberg risultano assolutamente credibili e mai monodimensionali. La cura per i personaggi vista in Breaking Bad credo sia unica e attualmente inarrivabile per qualsiasi altro show.
Detto dei personaggi, della regia e della fotografia, ci sono ancora due aspetti a rendere questa serie di altissimo livello. Il primo è la scelta musicale, cosa che nei tantissimi post/articoli/whatever che si trovano in giro per la rete e che tessono le lodi dello show non viene mai sottolineata a sufficienza. Breaking Bad ha una colonna sonora da paura, ma soprattutto azzecca sempre tutte le scelte. Non basta avere grandi pezzi a disposizione, bisogna saperli collocare e qui non si sbaglia un colpo. Mai. Potrei fare mille esempi, ma ne porto uno su tutti: [SPOILER] la conclusione [/SPOILER]. Per il sottoscritto siamo ai livelli del finale di Fight Club, come resa e impatto emotivo. E per il sottoscritto l’ultima scena di Fight Club è la miglior sequenza finale mai realizzata nella storia del cinema.
Il secondo aspetto di cui ancora è necessario parlare è il plot. Nel farlo potrei inserire qualche SPOILER. Breaking Bad ha una trama solida, ben concatenata, sviluppata dall’inizio alla fine con coerenza e senza buchi, facilonerie e deus ex machina. Anche sotto questo aspetto c’è stata una tale attenzione da parte degli sceneggiatori da dare al tutto una complessità notevole senza lasciare però nulla di intentato. Ogni riferimento è voluto, ogni questione spiegata, ogni linea narrativa portata a compimento con precisione. Poi le scelte possono come sempre piacere o meno, ma tutto torna e fila e questo è IMPORTANTE. Anche qui si potrebbero fare mille esempi, ma ne porto uno completamente ininfluente che però mi ha colpito molto. Gli autori infilano una discussione di minuti tra Jesse e Badger riguardo una pizzeria che sceglie di non tagliare le pizze e lo fanno per giustificare una scena, questa, completamente inutile. Questo è avere cura dei dettagli, siano questi cruciali o marginali. Inoltre, vedendo le cinque stagioni di Breaking Bad, non si ha mai l’impressione non fosse tutto stabilito dal principio. La lunghezza della serie, il numero degli episodi, lo svolgersi degli avvenimenti pare tutto andare come stabilito. Gli autori non danno mai l’impressione di voler allungare il brodo o di non sapere dove andare a parare. Tutto quel che fa parte di queste cinque stagioni è utile e ha un suo senso nella complessità dell’opera.
Ecco, per tutte queste ragioni Breaking Bad è una delle serie meglio pensate, realizzate e mandate in onda di sempre. Poi può piacere più o meno di altre, ma questo esula dal suo valore qualitativo. Io stesso le preferisco altri show, passati e presenti, ma nessuno di questi è fatto meglio. Nessuno.
Chiudo con un’ultima nota. Vedendo i vari episodi e le varie stagioni, credo Breaking Bad sia il prodotto filmico più vicino a Gran Theft Auto mai realizzato. Molte delle trame e delle avventure dei protagonisti potrebbero essere missioni di un qualsiasi episodio del gioco e molti dei personaggi della serie non sfigurerebbero nella saga videoludica della Rockstar. Per me questo è un ulteriore, enorme, valore aggiunto.
Alla fine ho scritto un post su Breaking Bad praticamente senza SPOILER (almeno mi sembra, prima di rileggere), quindi almeno in coda qualcosa la voglio dire. Per me non ci sarebbe potuto essere finale migliore. E’ vero, “Ozymandias” avrebbe potuto chiudere tutto senza che nessuno avesse da ridire e, anzi, resta uno degli episodi più belli di sempre. Più ancora del finale vero e proprio. Però, per come sono fatto io, “Felina” è stato la conclusione perfetta.

Dexter

Domenica si è conclusa l’ottava ed ultima stagione di Dexter, uno dei pochi esempi di serie che ho seguito fin da subito e non arrivandoci in clamoroso ritardo spronato dall’internet come invece mi capita nella maggior parte dei casi. Per parlarne ho deciso di rendere omaggio al miglior sito cinematografico di tutti i tempi e quindi inizierò la recensione così: SIGLA.

Razor Burn by Lagwagon on Grooveshark

C’era una volta una bellissima serie, originale, cupa, impregnata di umorismo nero e con quel pizzico di critica sociale che non guasta mai. Si intitolava Dexter ed è durata 12 episodi. In seguito al clamoroso e meritatissimo successo di questo mini capolavoro a puntate la Showtime ha deciso di creare una seconda serie a cui ha dato lo stesso titolo unicamente per gabbare i telespettatori. Ne sono nate sette stagioni che, al netto di diversi alti e bassi, hanno saputo mantenere alto l’hype del pubblico nei confronti dei protagonisti. Che, al netto di ulteriori alti e bassi, son sempre stati due: Dexter e sua sorella Debra.
Il trucco usato dagli sceneggiatori dello show per mungere la vacca ad oltranza è stato quello di dare ad ogni stagione un suo arco narrativo compiuto, autoconclusivo e completamente scollegato dal pre e dal poi. Bolle temporali assolutamente non comunicanti che illustrano l’esistenza di un assassino seriale che vive a Miami la sua vita fatta di immagini di facciata e impellente ed incessante desiderio di uccidere. Ecco, forse incessante no, ma a questo ci arriviamo dopo. Questa strategia, che come detto da la possibilità di protrarre le stagioni fino a che ci sia da guadagnarci qualcosa, non è di per se stessa necessariamente fallimentare, ma va gestita come si deve. In alcuni casi questo è stato fatto abbastanza bene (penso alla stagione 1* e alla stagione 2*), ma con l’andare del tempo gli sceneggiatori ne hanno completamente perso il controllo. Il danno, in questi termini, è stato il finale della stagione 3*, quella del Trinity Killer.
[NOTA: DA QUI IN AVANTI INSERIRO’ SPOILER DI OGNI GENERE E TIPO LIKE THERE IS NO TOMORROW.]
Con la morte di Rita infatti si sarebbe potuto dare il via ad una serialità vera, con una trama orizzontale grossa e strutturata, incentrata in sostanza sulla figura di Dexter, sulla sua inconciliabilità con la società circostante, sulla sua impossibilità a costruire legami e sul crollo dell’illusione di poter essere sia “a perfect psychopath” che “a family guy”. Quale si sarebbe deciso essere l’esito di tale percorso, lo si sarebbe potuto costruire bene e con tutta calma. Credo sia sotto gli occhi di tutti che così non è stato.
L’impressione che ho avuto, da spettatore ignaro delle questioni legate alla gestione dello show, è che non è mai stato chiaro quando si sarebbe staccata la spina. Ogni stagione, a partire dalla 4*, è stata costruita con una scena conclusiva che fino all’ultimo sarebbe potuta passare da finale a FINALE. Debra che scopre/non scopre i giustizieri e li lascia andare, Debra che scopre Dexter, Debra che uccide LaGuerta. Cambiando qualche fotogramma ad ognuno di questi episodi, si sarebbe potuta avere una conclusione ad effetto che avrebbe chiuso lo show in maniera onesta. Assodata la non volontà di costruire un finale nel corso delle stagioni, crearne uno dal nulla resta l’unica opzione e anche in questo caso non è detto debba essere per forza sbagliata. Se Debra avesse sparato a Dex in una delle tre circostanze citate, staremmo parlando di una scelta ampiamente pronosticabile, ma tutto sommato coerente. Per quanto mi riguarda, la morte di Dexter ucciso da Debra è sempre stato l’unico finale da prendere in considerazione. Essendosi però bruciati questa opzione non una, non due, ma ben tre volte, gli autori hanno deciso di stravolgere tutto e creare qualcosa di insospettabile.
Dex che uccide Debra è, a conti fatti, un finale che nessuno poteva certo aspettarsi.
Io però mi devo essere perso il momento in cui “imprevedibile” è diventato sinonimo di “figo”. Perchè è ovvio che se scrivi un bel finale che è anche imprevedibile c’è del valore aggiunto, ma il non essere pronosticabile, da solo, non conta nulla. Se avessero chiuso con uno sbarco alieno su Miami e la desertificazione della città tutta ad opera dei Venusiani sarebbe stato un finalone a sorpresa, ma da lì a dire bello credo ce ne passi. [INCISO] Questo vale per tutte le serie ad eccezione di Game of Thrones, dove un finale in cui arrivano le locuste e devastano tutto è l’unico auspicabile.[/INCISO]
Spesso si legge che la conclusione conta poco e che l’importante sia il viaggio. Anche a volerla vedere così, però, ci sarebbe da sbattere la testa contro il muro. L’ottava stagione di Dexter presenta infatti non solo gli archi narrativi più inutili e senza senso mai presentati dallo show, sviluppati spesso su personaggi che dire irrilevanti è far loro un complimento, ma anche alcune delle scene peggio girate della storia delle televisione. E per un prodotto esteticamente curato come Dexter, questo forse è stato il peggior scivolone possibile. Il messaggio che ne ho tratto, seguendo i dodici episodi finali della serie, è che quello che avrebbe portato alla conclusione non avrebbe avuto la minima importanza: si sarebbe trattato di semplici riempitivi in vista della scena finale. E allora, per non far sì che lo spettatore si fermasse a riflettere su quanto privo di senso fosse ciò che stava guardando, gli autori hanno tentato (fallendo) di sovraccaricare il tutto di storie, personaggi e situazioni utili solo a creare distrazione. Per di più, hanno deciso di farlo trascurando qual si voglia logica o coerenza. Dexter che cambia natura, Deb che ogni 45 minuti resetta il cervello e diventa una persona nuova, la polizia di Miami addirittura più stupida del solito. Quindi sì, può spiacere dirlo, ma l’ultima stagione di Dexter è una merdata fotonica senza precedenti. A pensarci bene, però, chiude una serie che anche nei momenti più alti non è mai stata nemmeno vicina al capolavoro cui si è ispirata.
Certo, un modo per rendere accettabile il season finale ci sarebbe stato: dissolvenza in nero e la scritta “DAMON LINDELOF PUPPACI LA FAVA”.

PS: Questa review è volutamente Hannah McKay free.
PPS: Ora posso dirlo, io amavo il personaggio di Quinn.

La pelle d’oca spessa così

Every moment can’t remain and every life won’t stay the same.
With time comes a layer of rust and our bones will turn to dust.
Everyone will fall away and every season is built on change.
With time the paint will peel and all sense will lose it’s feel.
Every cloth will start to fray and every night will become day.
With time a mold will form and what’s cold can become warm.
Every love can’t always stay and the dead will soon decay.
With time we’ll all be gone but how you lived can live on.

Scie chimiche

Il Milan ha comprato Matri, pagandolo 12 milioni di euro.
Alessandro Matri.
DODICI MILIONI DI EURO.
Balotelli, a Gennaio, è costato 20 milioni. Tevez, appena preso dalla stessa Juve, è costato 12.
Il Milan a Ottobre tornerà ad avere Pazzini a disposizione.
Pazzini è costato 7 milioni di euro più Cassano.
Pazzini e Matri sono costati più di Balotelli.
E sono completamente ridondanti l’uno per l’altro.
A detta di chiunque, il milan ha grossi problemi in difesa e un centrocampo modesto.
Il milan ha comprato una punta.
Una prima punta che aveva già, ma non voglio ripetermi, quindi andiamo oltre.
Il Milan ha venduto Boateng in Germania, per 10 milioni di euro.
Boateng, dopo una prima annata da amore vero effettivamente indolente e irritante, era un centrocampista.
Offensivo, con velleità di trequartista, ma tutto sommato abbastanza polivalente e se vogliamo duttile.
Per sostituirlo si parla di Kakà, fino a prova contraria un ex calciatore che anche al massimo splendore copre un solo ruolo e comunque in attacco, e Honda, un semi-sconosciuto che non ha mercato e che in ogni caso gioca dalla tre quarti in avanti.
Veniamo alla difesa, che come detto è parecchio scarsa.
E’ stato inserito in rosa Silvestre.
Silvestre è stato scartato dall’Inter, dove gli giocava davanti Jesus.
Questo può voler comunque dire poco, capita di non inserirsi, però da quando è in rossonero non ha visto mai il campo.
Ora gli gioca davanti Zapata.
Zapata giocava in serie B in Spagna.
Questi sono FATTI.
E allora dopo un po’ a uno viene da pensare che se in una situazione del genere vai a comprare Matri, strapagandolo, le ragioni sono tutto fuorchè calcistiche. C’è qualcosa sotto. Per forza. Non ci possono essere altre spiegazioni. Non ha senso dare soldi alla Juve per rafforzarla e toglierle un problema dallo spogliatoio. Non ha senso accollarsi lo stipendio di Matri e dare a Marotta (NdM: Dove cazzo guarda Marotta?) i soldi per comprare Tevez. Vuol dire lavorare per la Juve, che di questo passo di scudetti ne vincerà altri trenta.
La faccenda puzza, parecchio. E puzza anche che il Milan possa permettersi anno dopo anno di muoversi male sul mercato conscio che tanto in Champions ci arriva sempre. Per meriti suoi, demeriti altrui o spinto a calci in culo dal palazzo. Chiedere a Firenze.
Alla fine a tutti fa comodo che in Champions ci vada il Milan, soprattutto alla Lega e alla Uefa.
Le partite del Milan le vendi nel mondo.
Quelle della Fiorentina le vendi molto meno.
Perchè ormai che contano sono i diritti TV e gli sponsor.
Servono le partite di cartello.
Tipo Milan-Barcellona.
Tipo eh.


* Omaggio a Federica Nargi, compagna di Alessandro Matri. Via la Satta per la Nargi, per me c’abbiam perso pure da quel punto di vista.