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Riflessioni

Un flame sulla reunion dei Mineral

C’è questa cosa che i Mineral tornano a suonare assieme.
Siccome in questi giorni BASTONATE fa la settimana grindcore, io penso che parlare della cosa sia un buon modo per infilarmci in mezzo a buffo e così scrivo giù due righe riassumibili con “La reunion dei Mineral è la cosa migliore che ci possa capitare in questo 2014”. Invio il pezzo a chi di dovere e il risultato è una lieve divergenza di opinioni.
Ci sta.
Su twitter però il verbo del potevano risparmiarselo si spande a macchia d’olio e siccome come dice AleBU a me internet fa male, inizio una sorta di crociata sul tema rispondendo più o meno a chiunque si discosti anche marginalmente dall’entusiasmo cieco. Non mi basta. Ero partito con l’idea di scriverci un post sopra e così ci scrivo un post sopra, sul mio blog, che ormai è praticamente l’ultima opzione che mi do quando decido di scrivere qualcosa.
Vi racconto una storia.
Anni fa si sono riuniti i Get Up Kids. Hanno suonato in giro per qualche mese, poi hanno inciso un disco di rara bruttezza e hanno chiuso il giro sciogliendosi di nuovo. In quella parentesi è capitato passassero da Bologna e così anche uno come me che dal vivo non li aveva mai visti ha potuto colmare la lacuna e spararsi un concerto che sicuramente nel 2000 sarebbe stato meglio, ma che mi ha lasciato in ogni caso senza voce e con un sorriso idiota stampato in faccia.
Oggi, quando penso ai Get Up Kids, per prima cosa mi viene in mente il disco della madonna che è Something to write home about e poi penso al concerto. Tristezza per il disco orrendo post reunion? Non pervenuta. L’unico punto negativo di tutta la faccenda è che dal vivo non avevan fatto “Forgive and forget”, per il resto la bilancia quasi si ribalta lato pro.
Per darvi un’idea.
Quindi ok, sarei potuto nascere in Texas e magari oggi non avrei da colmare il vuoto di non aver mai visto una band come i Mineral dal vivo. Forse oggi vivrei armato, farei il mandriano e non sentirei la FOTTA per questa reunion, ma anche senza entrare nel merito di quanto sarebbe effettivamente una figata questa cosa, io non capisco cosa cazzo possa esserci di negativo dall’avere una band figa in più da andare a sentire. Cristo santo, quando da ste parti esce mezzo disco che prova male a copiarli, i Mineral, non si contano le persone che sbroffano e gridano al miracolo. Però l’idea che quelli veri possano anche per sbaglio fare un disco nuovo getta il panico tra i presenti. Anche facesse schifo, non è che lo sovrainciderebbero sulla copia di TPOF che tutti dovreste avere a casa.
Ci sono tonnellate di band che non hanno mai smesso e che si trascinano disco brutto dopo disco brutto forti di un esordio che, in molti casi, non vale la metà di quello di cui stiamo parlando. I Mineral il loro bel disco inutile l’hanno già fatto. Dopo di quello hanno deciso di sollevarci dalla pena di una lunga carriera di paragoni infelici. Minchia GRAZIE. Anche solo per questo io un’altra chance gliela do volentieri.
Il problema vero è la paura e la paura ci castra.
Altra storia, vado a capo.
La ragazza più figa del tuo liceo ti incontra quindici anni dopo e muore dalla voglia di farti un pompino.
Puoi accettare.
Oppure puoi dirle che no, preferisci ripensare a quando era più giovane e senza quelle piccole rughe. Ammazzandoti di seghe.
Ecco, per me non c’è gara, pur conscio che scoparla a 18 anni sarebbe stato probabilmente meglio.

Stare bene

Sono in metro senza molto da fare e in queste situazioni internet diventa un pozzo senza fondo. Il cappello di un mago da cui è facile estrarre una serie di fazzoletti colorati legati l’uno all’altro. Ognuno tuo. E così tiri e tiri con la curiosità di vedere cosa uscirà dopo, conscio che una fine non c’è.
A volte emergono cose che non ricordavi connesse ad altre che non avevi notato, che avevi rimosso o che ti eri sforzato di non vedere. Per come sono fatto io, sprofondare nella malinconia è un attimo, a quel punto.
Ma oggi no.
Oggi fuori c’è il sole e così esco dalla metro con un disco nelle orecchie e un sorriso sulla faccia.
Perché a costo di dare torto al comandamento unico di Max Pezzali, ieri non è per forza di cose meglio di oggi o di domani. L’ultima volta che ho pensato una roba del genere non è stato molto tempo fa e non sono passate 24 ore prima che la vita venisse a mettere alla prova le mie certezze. Pesantemente. Ed è difficile scrivere qualcosa che possa sembrare ottimista per uno che, da sempre e ancora oggi, ha paura del futuro. Intorno vedi cose che, effertivamente, ti spaventano. La pressione sale, ti chiedi se e come ce la farai e non hai una risposta. Non puoi averla e non devi cercarla. Non è affatto detto che tutto debba andare bene.
Oggi però non vedo perché dovrebbe andare male e questa, per me, è una vittoria.

Alla fine questo resta a tutti gli effetti il mio diario ed è bello tornare per una volta ad usarlo come tale. Niente domande per favore, non mettetemi nella condizione di non rispondere.

I vent’anni di un disco fondamentale

Esattamente venti anni fa usciva questo disco.



Ultimamente pare non si possa proprio fare a meno di celebrare gli anniversari a tema musicale. A volte con iniziative belle, altre volte con iniziative brutte, troppo spesso con iniziative inutili e pretestuose. Dal 2011, ogni tre mesi parte il treno degli omaggi al ventennale di un passaggio a caso della vita di Kurt Cobain. Settimana scorsa l’ultimo della lista, celebrato worldwide con più adesioni del Natale. A proposito, per chi dovesse sentirsi perso all’idea che l’anniversario del suicidio di Kurt Nostro possa chiudere in qualche modo il ciclo, ricordo che a Giugno fa 25 anni Bleach.
Questo sproloquio iroso per dire che nonostante l’omaggio agli anniversari musicali sia a dir poco abusato nell’intorno temporale in cui ci troviamo, io mi prendo del tempo per celebrare il disco più importante della mia vita. Non il più bello, non quello che ho ascoltato di più, ma certamente il più significativo ed imprescindibile. E’ un omaggio che sentiremo e faremo in pochi. La cosa genera un po’ di quel senso d’orgoglio e appartenenza ridicolo, ma ci sta perchè con gli Offspring mi son fatto tutto il giro: pride a tredici anni, shame a ventitre, di nuovo pride passati i trenta.
Il 1994 è stato l’anno zero della musica e ha dato i natali a tre dischi fondamentali. Del primo si sarebbe dovuto parlare a Febbraio, ma per me è quello meno rilevante, mentre il terzo, il più bello, compirà vent’anni a Luglio.
In mezzo c’è, appunto, Smash e adesso lo racconto per come lo ricordo.
Il disco parte con il tipo che spiega con che approccio affrontare l’ascolto, ma io questo l’ho scoperto quando ho sentito il CD per la prima volta, ben oltre il 1994. Mi ero copiato la cassetta di Ciccio su un nastro da 90′ e, nel farlo, avevo anteposto il Side B al Side A. Avessi capito anche solo mezza parola di inglese, ai tempi, forse me ne sarei potuto accorgere. Non fu così. Il monologo di “Time to relax” oggi lo so a memoria, a differenza di quasi tutte le altre canzoni del disco di cui, a mente fredda, non saprei ricordare poi molto del messaggio. Non so se l’intento di attaccare un disco punk-rock suggerendo di mettersi comodi e rilassarsi fosse o meno ironico, l’esegesi del testo la lascio perdere volentieri. Fa sorridere che per me, ai tempi, era impossibile pensare di ascoltare una roba così senza saltare per casa rimbalzando contro i muri, mentre oggi sdraiarmi sul divano e ascoltare un disco è l’apoteosi del relax, quali che siano il disco ed il suono che ne esce.
Il primo pezzo vero è “Nitro” ed è, tutt’oggi, uno dei più fighi dell’intera discografia degli Offspring. Bello veloce, con una buona melodia e tutti gli Stop&Goes necessari a fare genere allora. E poi ci sono “Uooo-oohhh” a pioggia, che quando sei giovane e non sai l’inglese fanno comodo per sfogare la voglia di cantare. Una bomba.
La seconda traccia è “Bad Habit” e avrò già raccontato cento volte di come mi abbia iniziato al pogo, quindi non sto a riprendere il concetto. Sparo invece altri due aneddoti. Il primo è che sempre in virtù della cassetta di cui sopra, per me “Bad Habit” s’è intitolata “Nitro” per diversi anni. Il secondo è che anche un ignorante come me sapeva che alla fine c’erano un sacco di parolacce e, da bravo ribelle in erba, me le ero imparate.
“Gotta get away” non mi piaceva tanto perchè era un pezzo lento. Oltretutto c’era il video che girava su TMC2, quindi era commerciale.
Avanti con “Genocide”, capolavoro ineguagliabile. Tutt’ora il mio pezzo preferito degli Offspring nonostante quelle fucine creative di Noodles e Dexter ne abbiano usato il riff principale per tirar fuori almeno metà della loro discografia. Il bridge (?) con quelle martellate pesantissime mi distruggeva ogni volta e, ancora oggi, se capita di sentirlo mi gasa parecchio.
Il disco corre, ed è difficile la vita per un pezzo come “Something to believe in” che, a tutti gli effetti, serve solo a separare “Genocide” dal primo singolone di Smash. La soluzione scelta è infilare una sequela ineguagliabile di “Uoooh-oooh” e, come si può immaginare, vince facile.
Siamo a “Come out and play”. Non l’avessi sentita suonare praticamente in tutti i locali “rock” in cui sono stato in questi vent’anni e da tutte le band liceali più scarse e ingiustificabili con cui sono entrato in contatto, probabilmente mi piacerebbe ancora. La prima volta in vita mia in cui ho potuto mettere mano su una batteria, istintivamente, ho provato a rifare quell’attacco, picchiando un po’ ovunque non ci fossero le pelli. Per la cronaca, fu anche una delle ultime volte.
Di “Self esteem” non ci sarebbe neanche da dire nulla. Pezzo clamoroso anche questo. Il fun fact in merito è che pensavo si chiamasse SELF EXTREME e immaginavo parlasse di essere estremi. A volte mi chiedo se sia davvero necessario espormi così, gratuitamente, al pubblico ludibrio.
La canzone successiva si intitola “It’ll Be a Long Time” e mentre scrivo il pezzo non mi viene in mente come faccia, quella seguente è “Killboy Powerhead” che invece ricordo benissimo, ma scopro solo ora essere una cover. Dopo ancora c’è “What happened to you?”. Mi piacerebbe dire che è un pezzo che mi ha sempre fatto cagare come solo lo SKA può farmi cagare, ma sappiamo tutti che sarei un bugiardo. E se anche non lo sapessimo tutti, lo saprei io, quindi non si può proprio. Pezzo più debole del disco, certo, ma non così brutto. Specie per un gruppo capace di cose come “Why don’t you get a job?”.
Il finale è tutto un crescendo. “So Alone”, “Not the one” e “Smash”. Madonna, che bomba atomica che è la traccia che da il titolo al disco.
“I’m not trendy, asshole”.
Da sola, questa frase, mette in fila tutte le brillantissime bio di twitter con cui ci troviamo a convivere tutti i giorni.
Il disco finisce lì, anche se c’è spazio per una chiusa nuovamente a carico del tipo che parla e per un motivetto simpatico sul riff di “Genocide”. Mi pare di ricordare ci sia anche una ghost track con un secondo motivetto strumentale, derivato da “Come out and play”, ma non ci scommetterei. Di solito io riprendevo l’ascolto dall’inizio immediatamente dopo la fine di Smash.
Questo è il mio personale e sentitissimo omaggio al disco più importante della mia vita e l’ho scritto abbastanza di getto e senza troppe riletture, nonostante l’idea sia di pubblicarlo tra diverse ore, allo scattare dell’8 Aprile. Non so quanti percepiscano un disco in maniera così cruciale come io faccio con Smash. Un disco capace di generare, da solo, quel cambiamento radicale che innesca il processo di crescita e formazione tipico dell’adolescenza.
Spero in tantissimi, perchè è davvero una sensazione bellissima.

PS: nello stesso giorno in cui Smash fa vent’anni, Manq ne fa 33 ed è una di quelle coincidenze assurde che rendono la vita affascinante.

How I Met GLI SPOILER

E così è finito anche “How I met your mother”.
Ho appena visto il season finale e sono triste e arrabbiato, ma soprattutto arrabbiato. Inizio ad averne un po’ piene le palle di serie che mi accompagnano anni per poi buttare il finale nel cesso, quindi ora parto con una filippica che potrebbe durare millemila battute e contenere ogni genere di spoiler su questa serie o altre serie che ho visto in passato.
Il primo show il cui finale mi ha innervosito è stato Lost, ma io mi sono sparato tutte e sei le stagioni nel giro di tre mesi quindi il risentimento è stato minimo. Vuoi che non ho avuto modo di passare anni a fare ipotesi assurde per domande a cui mai sarebbe stata prevista risposta, vuoi perchè l’impressione avrebbe svaccato era forte da poco più di metà del cammino, non ne ho sofferto particolarmente. Resta un finale dimmerda eh, intendiamoci, ma a bilancio son più i pro che i contro direi. Poi è stato il turno di Dexter, ma anche lì poco giramento di cazzo perchè, sebbene si tratti del peggior finale mai realizzato per qualsivoglia opera televisiva, un po’ tutta la serie ad esclusione della prima stagione (per altro autoconclusiva) e di qualche momento sparso s’era dimostrata ampiamente una merda.
Discorso a parte, quindi, per HIMYM, perchè io a differenza di molti l’ho sempre trovato godibile e ben riuscito, in tutte le sue fasi che pur riconosco altalenanti. Di conseguenza, l’amarezza per questo finale così BRUTTO è quasi ai massimi storici.
Mo parto con un analisi del perchè il finale fa schifo come episodio di HIMYM in generale, proseguo sul perchè la scelta di concludere così la serie sia discutibile, e finisco dicendo la mia sulla storia del “che conta è il viaggio non la fine”.
Via.
L’episodio conclusivo di HIMYM è una porcheria essenzialmente per due ragioni. La prima è che non fa ridere. Ora, la serie a me risulta sia una comedy e, come tale, mi aspetto che possa puntare anche a commuovermi/intenerirmi/emozionarmi, restando chiaro che di base debba però farmi ridere almeno un po’. Dal punto di vista delle battute, delle gag e del divertimento quest’ultima puntata non ha nulla da offire. Zero. In quaranta minuti manco un sorriso. Però non è che sia voluta la cosa, intendiamoci. Non è un episodio pensato per essere amaro, le gag ci sono. Però fanno schifo. Il Playbook vol.2 e Jim Nacho? Seriously? Quindi ecco, a prescindere da tutte le implicazioni sul finale è un episodio venuto male. E’ anche sviluppato male. Quaranta minuti per condensare una quantità spropositata di elementi con cui avrebbero tranquillamente potuto riempire una stagione. Affrontandoli come si deve, magari, e senza dare l’impressione di aver voluto arrabattare tutto per tirare le fila della questione quando ormai non si sarebbe più potuto rimandare oltre. Così assistiamo al personaggio di Barney che in 20′ ritorna sui passi compiuti in, tipo, quattro stagioni. E il gruppo che si sfalda per ragioni che, ok possono starci, ma erano lì da sempre e non hanno comunque mai portato i cinque ad allontanarsi. Tutto di corsa, tutto arrabattato per giustificare un finale discutibile che, però, si sarebbe potuto preparare meglio senza questa folle corsa al “colpo si scena” che, oltretutto, non ha di fatto sorpreso nessuno. Episodio brutto, quindi, ma andiamo oltre.
Discutiamo della scelta finale. A differenza di altri casi, qui non è sulla coerenza che possiamo scagliarci. Per come la serie è stata concepita e portata avanti il tutto ha una sua logica. Fa schifo, ma è coerente. Sono meno propenso di altri però a definirlo come unico finale possibile. Si poteva chiudere con un cazzo di happy ending e io avrei voluto un cazzo di happy ending perchè altrimenti, invece di una comedy, nove anni fa avrei iniziato a guardare un’altra cosa. C’era margine per chiuderla bene, di conseguenza s’è scelto di chiuderla male e per questo io odio profondamente gli autori. I melodrammi tristoni li evito come la peste perchè non sento il bisogno di vederne anche di finti in TV, quindi mi rotea il Cristo se mi vengono buttati in faccia a tradimento. Sta cosa è l’equivalente di Gordon Ramsey che mette la carne nei piatti vegetariani. Ma poi, la madre si ammala e muore giovane? La stessa madre che ben prima di Ted avrebbe dovuto sposarsi con il suo uomo perfetto se questo non fosse stato ucciso da un pirata della strada? #HowIMetLaSFIGA eh. Ah no, aspetta, l’uomo ideale di lei che muore rende the mother in tutto e per tutto uguale a Ted… è quello il punto? Beh, è un punto di merda. Sorvoliamo anche sulle cause di rottura tra Robin e Barney che dire pretestuose è poco e io non ho più sufficiente livore per argomentare. Passiamo al punto tre della disamina.
“La fine non conta, quel che conta è il viaggio”.
Sto. Cazzo.
La fine conta come conta tutto il resto, nell’analisi di un’opera. Questo finale rende meno belli gli episodi precedenti? No, neanche un po’. Rende meno bella la serie? Sì, di brutto. Ne ho pieno il cazzo di dover sempre affrontare un’analisi schierandosi o con la parte CAPOLAVORO IN TOTO o con la sua rivale MERDA SENZA APPELLO. Si può amare una serie riconoscendone i difetti o criticarla sottolineandone i pregi. Si può e si dovrebbe sempre fare così, perchè di serie perfette io ne ho viste poche.
Ok, ho scritto fin troppo e il sonno inizia a farsi strada.
Quest’anno sarà la volta anche del season finale di True Blood, che per me resta una delle cose migliori in circolazione. Magari farà cagare, magari no. Vedremo.
Chiudo con un interrogativo: dopo questo season finale, quante chances ha l’imminente “How I Met Your Dad” di fare anche solo un briciolo di ascolti?

Madonna di Dio la tristezza…

A manq piace

A manq piace la figa.
Il titolo voleva essere questo, ma mi sembrava un po’ forte e questo è comunque un blog moderato (come vuole il nuovo governo), quindi ecco il perché del taglio.
“A manq piace la figa” non è però uno statement volto a precisare o a prendere le distanze. Non ha lo scopo con cui lo userebbe Bossi, per dire, ma getta unicamente le basi a quanto segue.
Da quasi due mesi ormai viaggio in metropolitana per due ore al giorno. Nella tratta che va da Gessate a Lodi Tibb mi trovo a contatto con un’ampia gamma di modelli di fanciulla che coprono più o meno tutte le tipologie che siete soliti trovare nei porno (maiali!). Si va dalle teens che scendono in zona licei, alle young che vanno in università, fino alle milfone da combattimento che vanno in ufficio. Un ampio campionario di analisi da cui nasce l’esigenza di scrivere un post.
Già perché, dopo anni di solitarie traversate in macchina, essere inserito in questo contesto mi da l’opportunità di fare uno studio sociologico e di costume a riguardo. In giro ci sono molte più belle ragazze di quel che si pensi. Se la cosa non emerge è perché in molti casi sono totalmente incapaci di vestirsi.
Ecco, sta manfrina per dire che adesso metto giù le cose che vanno e quelle che non vanno della moda donna early 2014.
1) I leggins. Come non partire dai leggins, a conti fatti la migliore invenzione dopo la ruota. Su un campione statistico importante come quello a mia disposizione, questo indumento vince la sua scommessa e supera i dubbi dei detrattori grazie anche ad un comune senso del pudore che ne impedisce l’utilizzo “fuori contesto”. Fortuna che, ad esempio, il jeans a vita bassa non ha mai avuto.
2) Le scarpe. Qui invece la donna non conosce vergogna. Ci sono essenzialmente due tipi di problemi: le scarpe brutte e le scarpe che rendono brutte. Il primo caso è semplice da descrivere, soprattutto di questi tempi. Avete presente tutti quegli stivali bassi con la punta tonda, la fibia e le borchie? Ecco, io vorrei sapere cosa cazzo vi dice il cervello. Oppure le allstar (uoo-u-uo-u-ua) col pelo dentro. E magari, per non farci mancare nulla, altre borchie. Va beh. La seconda categoria invece è piu ampia e concettuale e scatenerà le classiche accuse di sessismo, ma non posso tacere rispetto alle scarpe basse. Di ogni tipo, dalle ballerine (che in un mondo ideale sarebbero illegali), agli stivali senza tacco, corrispettivo della birra senz’alchol. Se siete sotto l’1,75 e vi mettete quelle robe ai piedi l’effetto è subito “bassa e tozza”. È inutile che a pranzo mangiate una carota per “perdere un paio di chili proprio lì”, mettetevi 5 cm di tacco e avrete già risolto il problema. Mica servono I trampoli, perdio, basta qualche centimetro. “Eh ma sono scomoda al lavoro!”. A parte che nel 90% dei casi state poi sedute tutto il giorno, ma il problema è proprio concettuale. Perché non uscite in pantofole allora? No perché l’uomo invece gode a mettere giacca e cravatta da maggio a settembre, con fuori l’asfalto che liquefa. Eddai su. Ultima nota: ai miei tempi le ragazzine mettevano le Buffalo, oggi mettono le Vans. C’è speranza per un domani migliore.
3) Gli occhiali grossi. Oh, non so che dire, a me l’occhiale è sempre piaciuto sulle donne, però un po’ state esagerando. C’è stato un momento preciso, qualche mese fa, in cui l’equilibrio si è spostato da pornosegretarie a Steve Urkel e questo non funziona. Serve moderazione. Però come dicevo, per me l’occhiale è sempre più sì che no e quindi lo promuovo.
4) I pantaloni corti sulla caviglia. Ecco, no. Ma proprio no perché, oltretutto, li abbinate alle scarpe di cui sopra e l’effetto ridicolo è dietro l’angolo.
Quindi questo è quanto, e ve lo dico perché in molti casi è davvero un peccato vedervi conciate in quella maniera. Dovreste puntare di più sul look quotidiano. Siete tutte brave a tirarvi fighe il sabato sera, ma la sfida vera è il martedì mattina. Le belle ragazze della MM2 difficilmente non lo saranno anche il fine settimana. Il contrario invece, lo sappiamo tutti, non è per nulla scontato.
E, soprattutto, piantatela di leggere i fashion-blog, che di solito son scritti da gente che starebbe bene pure vestita di rifiuti umidi. Ascoltate me.

Questo post, tutto sommato inutile, l’ho scritto col telefono per testare il nuovo wordpress.
Nei prossimi giorni cercherò di parlare di qualche disco, ma GTA5 non mi sta lasciando molto tempo libero.

Lo sbaglio

Quella che sta succedendo in queste ore, a parer mio, è una cosa brutta. Per il Paese, dico. Le ragioni politiche alla base della mia affermazione in questo momento mi risultano ovvie e non ho voglia di stare a parlarne. Poi magari con l’andare del post verranno pure fuori, non posso garantire. Tanto qui ognuno fa quel cazzo che gli pare quando gli pare. Sta a vedere che devo essere io a mantenere coerenza in un blog che nessuno legge e che io stesso ormai ignoro spesso e volentieri.
Qui vorrei parlare di perché sia una cosa brutta per me.
In primo luogo mi sento tradito ed è una cosa che non fa mai piacere. Mai. Però ci sono delle sfumature.
C’è la tipa con cui non avresti mai pensato di uscire e che, invece, decide di accettare di stare con te. Per un po’, fino a quando non rinsavisce e ti pianta per uno meglio. In quel caso è ovvio che tiri il culo, ma a pensarci, sarebbe buona cosa ringraziare per quel che s’è avuto e tirare avanti.
Non è questo il caso.
Qui è proprio tutto un altro scenario.
Sei stato tradito da quella con cui ti sei messo essenzialmente per non stare più da solo. Manco ti piaceva davvero, non del tutto intendo, ma vedevi in lei la possibilità di cambiamento che la tua vita attendeva da un po’. Non sarebbe stato per sempre, ma pensavi saresti stato tu a decidere per quanto. Cazzo, era lei ad aver bisogno di te, porca puttana, non il contrario. Bam. Cornuto e maziato da una per cui, a dirla tutta, i tuoi amici ti pigliavano pure per il culo.
Parentesi.
Tutti bravissimi, tutti che l’avevano detto, tutti che sapevano tutto. Però ecco, sono anche sempre un po’ quelli che parlano male di qualunque tua morosa: la scassacazzi, la bruttina, la puttanella, l’antipatica. Che prima o poi ci prendano, se vogliamo, è statistica.
Chiusa parentesi.
E chiusa pure la metafora, direi.
Io quel che sta facendo Matteo Renzi non lo capisco. Una delle ragioni per cui gli avevo creduto, e ci avevo creduto, era che fosse l’unico in grado di dare un taglio alla vecchia concezione politica del PD. Sia come establishment, che pure come vocazione autolesionista.
E invece eccolo pronto ad inchiodare il coperchio della bara. Da dentro, però, una roba che manco Houdini.
La cosa che mi fa incazzare più di tutto, però, è che l’uomo che mi aveva rimesso voglia di andare a votare PD poi non me lo faccia fare. Cristo, se ci penso do davvero di matto.
DOVEVI ESSERE QUELLO CHE, FINALMENTE, VOTAVO CONTENTO. CONVINTO.
Votare per e non contro.
Te lo ricordi il programma?
Vincere. Governare. Cambiare le cose.
In quest’ordine.
Vabbè, non c’è molto altro da dire. Come capitatomi già mille altre volte, eccomi al momento in cui “basta, mi avete rotto il cazzo. Andatevene affanculo e non venite più a chiedermi il voto, merde!”. In questo momento, come ovvio, mi pare che la frattura tra me e il PD (e di conseguenza tra me e il Paese) sia incurabile. Le cose potrebbero cambiare, in futuro, ma anche no. Non saprei. Di certo, io, se per un qualche errore di calcolo il governo Renzi non avesse i numeri e cadesse dopodomani, a votare non ci andrei.
Manco se mi venissero a prendere a casa.
Poi oh, magari governa tre anni e fa un sacco di cose fighissime.
Però dubito, perchè è una maggioranza del cazzo, composta da gente del cazzo, che inchioderà di nuovo il Paese all’immobilismo fino al 2018, quando potremo finalmente avere una sana campagna elettorale con protagonista Berlusconi, per allora ormai fuori dai problemi giudiziari e libero di ricatapultarci per l’ennesima volta nello stesso squallido teatrino. Che noi a certe cose ci teniamo, sia mai.
Matteo, vacca troia, potevamo farcela.
E invece te ne esci a ridefinire LO SBAGLIO.
Dio, che nervi.

Lo so che qualcuno leggendo il parallelismo di cui sopra potrebbe pensare cose tipo: “Si vabbè, ma che tristezza. Che mancanza di autostima. Chi si infilerebbe in relazioni di quel tipo?”.
Tutti.
Pure tu.
Fattene una ragione, è molto più onesto.
Così non fosse, come riconosceremmo le relazioni buone?

Storia di un tweet

In questi giorni mi è successa una cosa strana.
Come credo chiunque legga queste pagine ormai saprà, da qualche anno sono un utente attivo nel magico mondo di twitter. Lo uso molto, mi piace, ed è il motivo principale per cui ormai sul blog scrivo sempre meno.
Non ho molti followers. Le persone che mi seguono sono circa 150 e per la maggior parte si tratta di amici, utenti fake e gente che ho conosciuto, non necessariamente di persona, tramite qualche giro giusto dell’internet. Penso ai blog che seguo e alle iniziative loro correlate, per dire.
Quelli che hanno iniziato a seguirmi solo sulla base di quel che scrivo e che sono rimasti nonostante il mancato follow back sono pochi ed è importante precisarlo qui per dare un quadro della situazione, oltre che per ringraziarli della stima.
Ho la presunzione di pensare che di tanto in tanto io usi twitter per dire cose intelligenti, almeno quando non sono impegnato a fare live tweeting di qualche evento televisivo a caso. Se non pensassi di dire cose sensate probabilmente non lo userei, come non scriverei un blog, ma in questo caso nonostante la mia insicurezza cronica sono abbastanza self confident da ritenere che il mio numero di follower sottostimi la qualità del mio profilo.
Bum!
Lo so, suona fastidiosamente arrogante, ma andava detto per chiudere questo cappellone introduttivo a presentazione dell’aneddoto che mi appresto a raccontare.
Venerdì sera stavo girando su FB e sul wall di un mio amico vedo una di quelle vignette che non fanno ridere e che usano una scusa qualsiasi per picchiarti in faccia foto di belle ragazze poco vestite (RESPECT, in ogni caso, per le foto di belle ragazze poco vestite.). Nella fattispecie, a corredo dell’immagine di due modelle avvinghiate su un letto, venivano espressi (imho male) punti di vista interessanti rispetto alla questione omofobia e all’incoerenza di quella che è un po’ la regina delle obiezioni.
Il concetto mi piace, così lo rielaboro in una forma che reputo immediata, diretta e divertente, e lo butto su twitter. Non essendo Luttazzi, preciso anche che la battuta non è mia seppur io l’abbia riarrangiata.

Inaspettatamente, questo tweet fa il botto.
Inizia a generarsi un’ondata di RT che io in precedenza non avevo mai sperimentato. Quando mi andava di lusso, gongolavo per essere arrivato a una ventina di stellinamenti (che vita triste eh) e mi pareva già di essermi aperto al mondo.
#Einvece la cosa a questo giro pare un fiume inarrestabile che si autoalimenta. Io un po’ sono contento, ma un po’ di più mi tira il culo perchè, cazzo, il concetto twittato non è manco mio. Tipo quei gruppi che provano a fare musica loro una vita e non succede niente, ma poi sbancano con una cover fatta per caso.
Con quel tweet ho guadagnato tipo 30 nuovi follower, che per me son numeri GROSSI, e non posso fare a meno di chiedermi se riuscirò a mantenerli col mio twittare standard. Son problemi eh, lo so.
Ovviamente, con l’andare della propagazione del tweet (a mia analisi, dopo il 70° RT), hanno iniziato ad arrivarmi risposte di gente che non aveva capito la battuta. C’era chi mi diceva di lasciare stare Gesù, come chi diceva “eh, ho capito non discriminare, ma da lì a dire che è naturale ne passa!”.
Alcuni sono riusciti nell’impresa di RT la battuta, followarmi, rispondermi con una critica dovuta al loro non aver capito il punto, offendersi per la mia controrisposta, defollowarmi e togliere il RT. Tipo in dieci minuti.
Io, dalla mia, ho cercato di rispondere a chiunque mi scrivesse in merito. Cerco di farlo sempre perchè 1) mi pare il senso ultimo del mezzo e 2) di norma i numeri sono tali da non costituire un impegno in termini di tempo.
Il succo della questione è che da Venerdì ho il cellulare in vibrazione costante, cosa che ha decisamente cagato il cazzo a mia moglie (lei, per dire, di notte si sveglia se lo sente. Io no.) almeno quanto ha alimentato il mio ego.
Ed era una storia che volevo raccontare.
Chiudo per ringraziare Malika Ayane. Non ho controllato (giuro), ma è l’unica celebrità che mi è saltato all’occhio abbia stellinato il tweet.
L’unica persona famosa che, prima di oggi, avesse preferito un mio tweet è Selvaggia Lucarelli.
Prima che mi bloccasse, ma quella è un’altra storia.

Scrivere di musica: una chiacchierata con FF

Questo pezzo è costituito da uno scambio di mail tra Manq (a.k.a. io) e Francesco Farabegoli, l’uomo dietro a BASTONATE noto anche come FF, @disappunto, kekko senza la z finale e probabilmente altro. Tutte e dieci le persone che frequentano questo blog ormai dovrebbero sapere che BASTONATE per il sottoscritto è un sito di musica che andrebbe letto e così, dopo aver passato un po’ di tempo a pensarci su, ho deciso di chiedere a FF se avesse voglia di fare una chiacchierata a tema “scrivere di musica”. Ha accettato e questo è quello che ne è venuto fuori. Non la definirei intervista perché le domande sono in realtà farcitissime di opinioni e questo per me in un’intervista è sbagliato. Però ecco, nel dire la mia gli chiedo delle robe e lui, dicendo la sua, risponde.
A tal proposito, mi prendo l’ultima riga per ringraziarlo della disponibilità. [SPOILER] A quanto pare difficilmente si nega a questo tipo di cose, ma a me fa comunque tanto piacere che nello specifico abbia accettato.[/SPOILER] E’ un pezzo lunghissimo, ma secondo me dovreste leggerlo.

Tu scrivi molto spesso di musica e la targhetta dice che nel 2013 l’hai fatto particolarmente bene. Io leggo praticamente sempre quel che scrivi, ma a memoria non ricordo un disco di cui hai parlato bene che mi piaccia.
All’inizio pensavo che il trucco fosse nel fatto che leggevo i tuoi post sui Fugazi come leggo racconti che parlano, chessò, di gente che ammazza altra gente. Non serve essere affine all’esperienza raccontata per godersi il pezzo. Però non è così, nel senso che se leggo una tua cosa (pure oggi, con la statistica che ormai rema davvero contro), di norma mi prende la voglia di ascoltare ciò che ci sta dietro. E no, non mi prende voglia di fare stragi quando leggo di killer, di conseguenza non è solo come scrivi, ma inevitabilmente anche quello di cui scrivi. Tutto questo fa un po’ a pugni col concetto per cui, alla fine, leggere di musica resta idealmente un controsenso totale. Prendere un disco e ascoltarlo dovrebbe funzionare meglio di leggere mille battute sul tema, per farsi un’idea o addirittura un’opinione in merito. Questa autosufficienza non è estendibile ad ogni contesto e credo di divagare troppo dicendo che pensare lo sia è uno dei mali maggiori del nostro tempo, ma insomma, per la musica credo funzioni senza troppe controindicazioni. Quello che mi piacerebbe sapere, per cominciare, è se scrivi di musica perché ritieni sia invece necessario spiegarla a chi non può evidentemente farcela da solo. Cosa che, nel mio caso, farebbe il paio col fatto che ogni volta dopo aver letto il tuo pezzo, ascoltato il disco (o parte di) e averlo trovato orrendo mi ritrovo addosso un senso di inadeguatezza.

Ti faccio un esempio: ultimamente sono ossessionato dal disco nuovo di Lady Gaga. Ok? Il disco nuovo di Lady Gaga è un disco che non piace quasi a nessuno, ma a me mi sta scoperchiando il cervello e penso che sia una delle opere più poderose del passato recente e mi metto lì a ragionarci sopra, ci perdo un pomeriggio, faccio collegamenti, eccetera. Ok? Nel momento in cui scrivo del disco di Lady Gaga ti racconto un pezzo di me, cioè non ho la pretesa di raccontarti perché il disco dovrebbe piacerti. Ti racconto perché piace a me, che cosa mi smuove, eccetera. Eventuali momenti in cui mi son sentito nel passato come quando ho sentito ARTPOP, premesse ideologiche, analisi dei costi, eccetera. Per dire, a me interessa più l’intensità della musica di quanto mi interessino le canzoni, ok?, e il disco di Lady Gaga per me è di un’intensità devastante, non so dirti, sembra scritto con un coltello alla gola. Poi uno arriva, magari non ci trova i singoloni crassi e ignoranti alla Poker Face e pensa “boh, no, per me è una merda”. Ci sta, voglio dire. Se tu mi dici “la musica che ascolti mi fa schifo ma leggo comunque i tuoi pezzi”, non so, per me da una parte è il complimento più bello che mi puoi fare e dall’altra è una cosa ovvissima, quasi banale. Voglio dire, io non conosco tanta gente coi miei gusti musicali. Si può dire che conosco una sola persona con dei gusti musicali che rispecchiano i miei: se dovessi stare a quelli che la pensano come me, immagino mi toccherebbe chiudere bottega.
Sulla componente educativa dello scrivere di musica, non lo so. Per me la musica e lo scrivere di musica sono due cose diverse. Ora magari è facile dirlo: mi conviene farmi un’idea del disco ascoltandomelo piuttosto che leggendo quello che scrive la gente su quel disco, senza dubbio; e quindi lo scrivere di musica deve essere qualcos’altro. Però, se ci penso, quando ho iniziato a leggere le riviste mi facevo un mio viaggio mentale su dischi che non avevo mai ascoltato, così a prescindere, era una parte del gioco. Era un viaggio mentale disgiunto da quello che diceva il pezzo, magari: ti leggi una recensione e ti sembra troppo carica di insulti o campata per aria, e ti fai un’idea del disco che è il contrario di quello che hai letto, senza aver sentito il disco.
Venendo a me e te, non sono io a doverlo giudicare ma credo che la roba che scrivo abbia una componente narrativa in cui qualcuno si ritrova, molto di più che nei gusti musicali, quindi magari è quella –magari gli Shellac non sono il tuo gruppo preferito, ma il tuo gruppo preferito fa una musica che ti dà quello che gli Shellac danno a me. Non lo so. Tu riconosci l’autorità critica di qualcuno tra quelli che leggi? Tipo “se ne ha parlato bene lei/lui mi fido”?

No. Però secondo me c’è tutto un mondo tra leggere un pezzo a tema ARTPOP apprezzandolo anche parecchio e leggere un pezzo a tema ARTPOP e ritrovarsi alla fine con la voglia di capire se ci siano le condizioni perché anche a me possa scoperchiare il cervello. Poi quello che succede dopo aver ascoltato il disco conta relativamente nell’ambito del discorso che stiamo facendo. Che importa è arrivare ad ascoltare i pezzi invece di chiudere il browser dopo una lettura piacevole. Una delle cose più belle che mi sia mai capitato di leggere su un blog l’ha scritta XXX (NdM: privacy) in merito ad un live di Andrew WK (qui), ma ciò nonostante non gli riconosco la portata di cui sopra. Per me è questo il punto della questione ed è una cosa che, se me lo chiedi, dipende da chi scrive mentre per molti sta nella curiosità di chi legge. Sempre in tema di valutazioni personali, per me non è affatto ovvio parlare a molti scrivendo di qualcosa che poi piace a pochi, perchè assodato che non stiamo analizzando il piacere di una lettura indipendente dal suo contenuto, viene fuori tutta quella cosa dello scrivere della passione che sta dietro alla musica e dei fenomeni che la musica smuove. Cose che possono essere indipendenti sì dal tipo di musica di cui si discute, ma che non possono prescindere dall’avere la musica al centro invece di, chessò, le sementi. Poi magari domani apri un blog sulle sementi, io lo leggo e reagisco tipo: “PERCHÉ’ CAZZO NON HO UNA SERRA SUL BALCONE?” e allora il discorso cade. Ma non ho motivo di pensare sia così, oggi. La cosa che dici sul farsi il film di come suona il disco di cui hai letto prima di averlo sentito per me è vera oggi come ieri, tanto più la parte in cui valutazioni e ipotesi sono disgiunte dal suono ed entrano nel merito dei giudizi del recensore.
Tu hai un blog su cui scrivi della musica che ti piace, che poi credo sia l’operazione che sta alla base di chi scrive di musica per puro diletto. Mi piace una roba e ne parlo, fenomeno che prevede la stroncatura nella misura in cui parli di qualcosa che ti ha fatto schifo, ma in virtù del fatto pensassi/sperassi potesse essere buona quando l’hai approcciata. Quando io ho iniziato a scrivere di musica (che abbia scritto e scriva tutt’ora di musica è un fatto che esula dal merito dei risultati ottenuti) a tutto questo aggiungevo un livello ulteriore: la necessità. Per me era necessario che qualcuno parlasse della musica che mi piace. Chiarita la tua idea sulla valenza educativa dei pezzi, vorrei capire quanta importanza ha su BASTONATE l’aspetto divulgativo e, già che ci siamo, anche se ti fila il discorso sulla stroncatura unicamente come espressione di delusione oppure reputi sia un mezzo necessario ancora una volta a diffondere il tuo messaggio di cosa è sbagliato. Che poi in merito una mia idea leggendoti ce l’ho, ma vorrei capire se è giusta.

In linea di principio Bastonate nasce come blog divulgativo, verso i primi anni duemila. C’era questa idea di mettere in piedi una webzine che parlasse solo di sludge, approfonditissima, molto dettagliata, molto specifica. Così insomma i primi pezzi su Bastonate erano tipo “c’è questo gruppo nuovo, c’è questo gruppo con nome stupido, c’è questo streaming” e cose simili. Come impostazione l’abbiamo mollata per due motivi: il primo è che ci annoiavamo, il secondo è che non ascoltiamo dischi a sufficienza. L’altro giorno ho incontrato Matteo, che è quello con cui l’ho aperto, e mi ha detto che nel 2013 ha ascoltato tre dischi nuovi. Forse ora sono sei. Metti che io ascolti trecento dischi nuovi all’anno: è comunque tutta roba che mi rimbalza addosso, non è roba che vado a cercare con la lanterna o cosa. quasi tutto mi piomba a casa, e quindi la mia sensazione è che non sia così necessario mettersi a pompare questa musica.
Un’altra cosa che è importante si rifà a quel discorso che ti facevo prima: nello scrivere di musica, la cosa principale è lo scrivere. Così insomma, da un paio d’anni l’unica regola fissa su Bastonate è che il pezzo dev’essere buono. Se il disco è buono e il pezzo non è buono, il pezzo non esce. Naturalmente “buono” vuol dire tante cose, a volte escono delle ciofeche però magari hanno dei passaggi che mi piacciono, oppure contengono un punto di vista interessante, oppure hanno un bel corredo di immagini, non so. la cosa brutta dei pezzi divulgativi, informativi e quel che è, in senso stretto, è che non sono buoni quanto gli altri perché non raccontano una storia o ne raccontano una banale. poi ovviamente un riscontro diciamo pop c’è sempre, sia chiaro: se parlo di katy perry faccio più accessi che se parlo dei Bongzilla.
riguardo alla stroncatura, segue più o meno quello che ti ho detto sul resto. Se la stroncatura è buona la metto, se non è buona non la metto. Ogni tanto ne parlo con Enzo Baruffaldi, che cerca di convincermi che la stroncatura non ha grandissimo senso ed è molto meglio censurare il pezzo sul gruppo. ecco, ok, è un modo di vedere le cose, non so, la musica mi dà ancora molte emozioni -anche negative. E poi ha senso perché la stroncatura si basa su un concetto di appartenenza tribale piuttosto forte, almeno per gli standard della roba di cui stiamo parlando. Se stronchi un gruppo come i Sonic Youth, per dire, sai benissimo chi sarà tuo amico e chi sarà tuo nemico. Se promuovi i Sonic Youth, invece, è probabile che nessuno te ne chieda mai conto. Quindi in prospettiva diventa importante stroncare, un po’ per dare un’idea generale di cosa vuoi dalla musica (è importante far trasparire una visione d’insieme, o la gente non entrerà mai in sintonia con la tua roba), un po’ per dare al tuo scrivere un’impronta, assumerti la responsabilità di non piacere a qualcuno. è per quello che scrivere stroncature è così divertente: non sono gli insulti al gruppo, è sapere che stai deliberatamente mettendo i bastoni tra le ruote a qualcuno che magari non ti ha fatto niente. dà una certa forza allo scrivere.

La cosa di assumersi la responsabilità di non piacere a qualcuno è bellissima. Io non credo di esserci portato, ad una roba del genere, quindi probabilmente parlo per invidia. Porsi contro come veicolo per definire se stessi e il proprio prodotto funziona moltissimo, ma a volte prende il sopravvento e detta le priorità in un pezzo a tema musicale. Parti costruendoti una certa figura nell’ambito della critica musicale, definendoti, e poi magari arriva il prodotto che ti spiazza (no, ok, esagero, però diciamo che non è facile collocare dentro o fuori) e si crea quel dilemma per cui parlarne bene o male dipende molto più dall’aderire al proprio manifesto che non alla reale portata del prodotto. E poi a cascata, con i lettori che si collocano a seconda dei pezzi scritti dalle loro penne/tastiere di riferimento. Cosa che, nei tempi dell’internet, porta inevitabilmente a stormi di opinioni intrecciate e radicali difese fino alla morte da gente che magari il disco deve ancora ascoltarlo. Ipotizzo. Che poi è lo stesso bisogno di appartenenza che ti porta a decidere di ascoltare quel genere musicale quando hai dodici anni ed è la via per virare da babbo ad alternativo senza cambiare nulla della tua quotidianità. Mentre scrivo, realizzo che probabilmente il web è pieno di dodicenni esattamente in quel momento della loro vita e che andrebbero valutati come tali invece di dar loro rilevanza solo perché il nick non ha credenziali anagrafiche. E capisco anche che ogni tanto ho la tendenza a parlare del web come fosse un’entità precisa e codificata E come io fossi un grillino o uno di Repubblica. Ok, è anche il momento di andare a parare da qualche parte con questa domanda. Tu dici che, cito, “una cosa radicale/violenta può essere fatta solo da qualcuno che pensa in un modo radicale/violento per me non è chiusura mentale, è buon senso.“. Dargen D’Amico sostiene: “Se io avessi un pubblico propriamente indie, non mi sognerei mai di partecipare a Sanremo, sarebbe un suicidio…“. Io di mio capisco che il tutto ha un suo senso legittimo e coerente, ma mi trovo a relazionarmi con l’essere nato in una buona famiglia, vivere in un contesto da ceto medio, non aver mai assunto droghe e lavorare tutti i giorni per una casa e una famiglia MA ascoltare prevalentemente roba che parla di disagio, droga, violenza, vita irresponsabile fino ad arrivare a pochi, ma presenti, adoratori del Demonio (che reputo peggio degli adoratori di Dio. E’ come credere nello sport e tifare Juve, tipo.). E non discuto ci sia un grosso problema di coerenza in me, ma arrivare a dovermi sentire fuori posto perché mi piace un genere musicale che non fitta con la mia estrazione sociale è disturbante. La domanda è: conta davvero così tanto l’essere coerenti nel fare e nello scrivere di musica?

Sai se mi dici LA COERENZA a me viene in mente, non so dirti perché, mia mamma che a quindici anni mi tira il cazziatone in privato per come mi vesto, e poi in pubblico mi difende dicendo “MA SÌ DAI È LA MODA E POI L’IMPORTANTE È CHE STANNO BENE LORO”. Questa cosa nella musica corrisponde ad ascoltare la musica che cazzo ti pare e piace, e quindi direi che l’estrazione sociale non c’entri niente. Io però a uno che grida contro il capitale e ha la villa poco fuori Bertinoro non gli credo, così come non credo a uno che canta STRAIGHT EDGE e quando scende dal palco si scola una birra. Nel pezzo che mi citi parlavo dei Deafheaven e descrivevo un genere musicale: quel black metal da cameretta fatto di dieci minuti di chitarra plin plin e pedali a manetta e poi cinque minuti di urla selvagge effettate e chitarre pese a pioggia. A me quella roba è sempre sembrata poco di pancia, molto frutto di sforzi intellettuali, e allora magari tra le due mi sento un Trucebaldazzi che quando canta io ciò troppo odio sai che è vero e l’odio lo senti proprio uscire dallo stereo. Però insomma è solo un’idea mia sulla faccenda. Essere coerenti nel fare musica, non lo so, è una delle cose. Non mi piace la parola. COERENZA mi sembra una cosa che ti fissa a uno standard che magari non sei stato nemmeno tu a fissare. Mi viene da pensare a termini alternativi e mi vengono in mente parolacce tipo RIGORE o ETICA o ONESTÀ; ma io non lo so se questa roba definisca quello che ho in testa. Non so, decidere che la tua musica deve passare attraverso certi canali. Io quando ho saputo che i Fugazi non concedevano interviste a Rolling Stone perché avevano pagine di pubblicità degli alcoolici, non so, sono rimasto folgorato, e alla fine se avessi un gruppo forse vorrei fare una cosa simile, decidere di passare per certi canali e boicottarne certi altri; la musica come atto politico fuori dalle logiche di destra o di sinistra, ecco, questa cosa mi piace abbastanza. Però dell’etica dei Fugazi non fregherebbe un cazzo a nessuno se la musica non fosse così buona, ecco, e quindi la musica viene prima. Per quanto riguarda lo scrivere non so, se i musicisti non si pongono domande dovrebbe essere chi scrive a porle. E allora la critica musicale inizia ad avere un senso, magari. Invece sulla COERENZA o RIGORE o ETICA o ONESTÀ in sé di chi scrive, non lo so, io scrivo per quasi chiunque me lo chieda (ho rifiutato forse cinque collaborazioni in tutto il tempo che ho scritto), cerco di scrivere ogni singolo pezzo al meglio delle mie possibilità, nient’altro. Come ascoltatore la COERENZA o RIGORE o ETICA o ONESTÀ è che se ho soldi da spendere nella musica li spendo nella musica e cerco di spenderli in un modo che abbia senso, quindi magari pagare un disco a venti euro al negozio invece che quattro dischi a venti euro su Amazon. O che so, pagare più concerti possibile invece che chiedere accrediti stampa a destra e a manca nei locali. Lasciare una birra al bancone e comprare una maglietta al gruppo e quelle cose lì.

Non lo so. Capisco la faccenda del rigore e della credibilità, ma continuo a vederci un eventuale valore aggiunto che però non è imprescindibile. L’altro giorno girava un pezzo a tema black metal nazista e violento (commentato anche da te su Bastonate) che raccoglieva, come ciclicamente accade, tutta quella serie di luoghi comuni che però partono dal presupposto ci sia una coerenza, no ok, un’onestà che invece non è per nulla necessaria. E’ chiaro che tu porti esempi in positivo, come quello dei Fugazi, in cui l’integrità fornisce uno spessore notevole alla questione. Però se la stessa integrità ce l’avessero gli Slayer, e magari ce l’hanno anche ma io a quel punto non voglio saperlo, per me diventerebbe complicato ascoltarli. Così come diventerebbe legittimo farsi domande su chi invece problemi non se ne fa. Non dico di prender buoni i messaggi che vanno nella mia direzione e auto-convincermi dell’essere finti di quelli che puntano altrove, ma, in sintesi, che se fai un pezzo bello E dici una roba figa sei un genio, se fai un pezzo bello dicendo una cazzata puoi essere comunque un musicista che mi piace. Se fai un pezzo osceno dicendo cose fighissime io non lo saprò mai perché non ti ascolto a prescindere e quindi non rientri nei casi in analisi. Per me funziona così. Mi piace molto però la parte in cui dici che chi scrive di musica deve porre le domande che chi fa musica non si pone, lo trovo vero in generale se si parla di giornalismo, ma questa è una cosa che, riflettendoci ora, nei tuoi pezzi apprezzo particolarmente.

L’articolo che citi è un buon modo di farti capire cosa intendo. L’articolo parte da un film norvegese sugli zombi nazisti e dice “sì, tra l’altro in Norvegia ci sono sempre stati problemi coi nazisti. Esempio? L’Inner Circle bruciava le chiese.” è un modo stronzo di mettere in piedi la cosa per diversi motivi: il pezzo contiene insinuazioni anche molto pesanti (tipo Burzum coinvolto nella strage di Utoya), parla di roba successa vent’anni fa, taglia tutto con l’accetta e tanti saluti. Il tutto per denunciare cosa? Che la Norvegia non è immune al nazismo? Ci sono partiti in Norvegia che stanno al 20% e promuovono politiche anti-immigrazione. Ci sono anche in Italia, per dire, ed è una cosa contro cui si dovrebbe combattere di giorno in giorno. E quindi, se vuoi, ci troviamo in una situazione in cui non ci frega un cazzo di cosa succede dietro casa nostra ma dobbiamo pesare quello che dice un gruppo nei testi? Non lo so. Io gli Slayer credo di capirli, per me sono espressione di un disagio reale -lo erano, quantomeno, venticinque anni fa- e la loro musica mi parla. poi la roba che mi dice magari è orribile, ma preferisco un gruppo che mi tenga acceso il cervello e mi spinga a dissociarmi, soprattutto se la musica è la musica degli Slayer. E questo è un modo di essere integri, ecco. Poi se ti vai a leggere i loro testi a volte c’è da starci male. A volte c’è da starci male anche coi testi dei Fugazi, per dire.

Andrei avanti per altri diecimila scambi sul tema, perché mi sto divertendo davvero molto, ma lo scopo ultimo resta tirar fuori un pezzo sul blog che sia leggibile in termini di lunghezza e credo noi si abbia sforato già da diverse battute. Adesso quindi sparo l’ultimo argomento che vorrei analizzare, che è la questione dialogo/scambio. Quando scrivi di musica sul blog o su una rivista, il pezzo è necessariamente autoconclusivo. Oggi però internet ha aperto le porte alla facilità di interazione e in potenza chiunque può parlare direttamente all’autore dell’articolo ponendo questioni, facendo analisi e contestando passaggi. Io arrivo da un’epoca in cui i forum funzionavano parecchio, ma lì le discussioni nascevano con l’intento di essere uno scambio di opinioni. Un pezzo sul blog, dicevo, non nasce per essere discusso. Tu hai la sezione commenti sempre aperta e, di norma, partecipi agli scambi che ne escono in maniera abbastanza attiva. C’è molta gente che apre un blog, lascia spazio ai commenti, ma poi non risponde e questo a me da i nervi perché la considero sempre una mancanza di considerazione, quando in realtà in molti casi uno magari sente di aver già detto tutto nel pezzo e semplicemente non ha cazzi di ripetersi. L’ultima domanda è quanto valore aggiunto può dare, se può darne, la facilità di discussione 2.0 nell’ambito dello scrivere di musica e quanti danni, invece, pensi possa fare il concetto web dell’uno vale uno (cit.) per cui tutti possono volendo dire la loro. E’ una domanda un po’ del cazzo se vuoi, ma mi incuriosisce.

Quelli che non hanno tempo di star dietro ai commenti del proprio blog sono le “blogstar” o quella gente lì, le persone che magari hanno 70 commenti per ogni pezzo, cosa che io non ho (un mio post fa 20 commenti se proprio la gente si scatena). Però, per dire, scrivo saltuariamente (non dirlo in giro) per un sito di cinema che si chiama XXX [NdM: non l’ho detto in giro.], fa cento e passa commenti ad articolo, e lì rispondere ai commenti non mi stanca. Immagino però che XXX abbia un pubblico incredibilmente buono, relativamente parlando. Per dire, leggo i pezzi di Tea Hacic su Vice, alcuni sono molto belli, e sotto cento commenti di gente che le dà della troia. Allora perché ti ci dovresti prestare, e quindi vaffanculo. Ovviamente mi danno fastidio le persone brutte e i minus habens, e quelli che con il cuore impavido (e una mail falsa) danno opinioni scomode sul mio blog tipo “Bianconi handicappato di merda”, in un pezzo sui Baustelle nel quale magari io ho pesato gli accenti per dare un punto di vista originale. Ma poi non è fastidio, è che non capisco come faccia uno a essere così idiota e così desideroso di dimostrarlo. Ma LA DISCUSSIONE è sempre la cosa, quella che mi fa più piacere. Per me è abbastanza naturale ficcarmici. Per dire, quando scrissi quel pezzo sui Baustelle una tizia lo linkò su Facebook dandomi del fascista, io le scrissi in privato, ora siamo amici e tre ore fa mi ha mandato un suo pezzo per Bastonate (true story).
Comunque non è una vera domanda, giusto? Nel senso, i blog hanno i commenti, e quindi si tengono aperti ai commenti. Commento libero e non moderato, niente generalità, regola fissa. Nel form di wordpress devi inserire un indirizzo email, credo nient’altro. Poi magari ne cancello qualcuno ogni tanto, tipo “era ora che Vic Chesnutt morisse, meno male”: in fin dei conti è uno spazio mio e ogni tanto mi piace buttar fuori un cretino. Se c’è uno spunto interessante generato da un MIO pezzo a cui posso dare una MIA risposta sul MIO blog, cazzo, rispondo e ho pure fretta e sono eccitato come un bambino.

O Megan Fox o niente.

Le primarie PD sono il meccanismo partecipativo migliore messo in atto dalla politica italiana e quindi quando le fanno io cerco sempre di presenziare.
Essendo intenzionato ad andarci, mi prendo qualche minuto per riflettere su cosa voterò ed illustrare eventuali le ragioni della scelta.
Io alle primarie del prossimo week-end dovrei votare Civati.
Ho letto i programmi, ho ascoltato i candidati e analizzato le loro posizioni. Ho anche visto il confronto televisivo su Sky che, nota a margine, ha mostrato come si fa un programma di politica in modo serio e con dei contenuti. Il meccanismo del fact checking, per dire, dovrebbe diventare obbligatorio.
Ora, che alla luce di quanto detto e scritto Civati sia il candidato più vicino alle mie posizioni politiche credo non sia nemmeno da mettere in discussione. Non è il segretario perfetto, che non esiste, e in passato ho avuto molte volte di che lamentarmi del suo modus operandi, vedi caso Cancellieri per fare l’esempio più recente, ma mi pare chiaro che se mi si chiede di scegliere l’uomo che dovrà dare la linea al PD, d’istinto verrebbe da indicare quello che più mi somiglia.
Il problema però è che, temo, la riflessione debba essere più ampia di così se si vuole arrivare da qualche parte.
Cuperlo è impresentabile. Non dico sia una cattiva persona, però dai, a certe figure e, soprattutto, a una certa idea di politica e di partito bisogna dire basta.
Renzi è sempre Renzi. Slogan, quel tantinello di polpulismo, forte tendenza al centro. Tutte cose che non ho mai negato, nemmeno quando l’ho votato l’ultima volta. Però Renzi è quello dei tre che può avere i numeri per governare. Fermi tutti, lo so bene che si parla di segreteria di partito e non di governo del Paese, ma vogliamo davvero bendarci e non riflettere sul fatto che le due cose siano chiaramente legate e che, sbagliando queste primarie, si rischi di compromettere drasticamente il risultato delle prossime politiche?
Ecco, il punto sta proprio lì ed è lo stesso di sempre. Io ragiono a ritroso. Renzi è l’unico candidato che, raccogliendo voti anche fuori dal PD, può governare questo Paese per cinque anni e avere il tempo e i numeri per fare qualcosa. Non tutto quel che vorrei, ma qualcosa. Su questa base è bene che si arrivi alle elezioni politiche con un partito forte che supporta la linea politica del suo candidato vincente. La cosa più sbagliata sarebbe assistere per tutto il prossimo anno a continui battibecchi tra Renzi e il segretario del suo partito. Con queste primarie si inizia ufficialmente la campagna elettorale e il percorso al prossimo esecutivo. Serve un discorso di prospettiva, a mio avviso. L’unica cosa che mi piace poco è il meccanismo di accentramento personale che si sta compiendo e che porta Renzi a candidarsi come segretario prima e come premier poi. Sarebbe stato molto meglio avere come candidato segretario uno degli uomini del sindaco, uno Scalfarotto per dire, che avrebbe goduto dell’appoggio della corrente renziana senza però quel meccanismo tutto berlusconiano dell’uomo al centro di tutto. Questo idealmente eh, perchè per arrivare alla segreteria bisogna far fuori la vecchia dirigenza e per farlo serve aprire l’elezione del segretario a tutti. E se votano tutti, il metodo berlusconiano paga. Questo è il mio unico rammarico, anche se vorrei comunque ricordare che Bersani si è candidato a premier da segretario, come Veltroni prima di lui, e che quindi il meccanismo nel PD non è nuovo.
In soldoni, per me sarebbe buona cosa che queste primarie le vincesse Matteo Renzi nonostante il candidato per me più rappresentativo sia Civati.
E per me la cosa ha un suo senso.
Non è accontentarsi, è avere percezione dei propri mezzi e limiti.
Votare Civati sarebbe come gridare “O Megan Fox o niente!”.

EDIT: dopo aver scritto questo post in Facebook ho visto circolare il video del Terzo Segreto di Satira riguardo le primarie. Su Cristina Quaranta sono morto, anche perchè in sostanza per dire cose completamente diverse abbiamo usato la stessa metafora. Il video è comunque geniale.