Avere trent’anni
La Polly ci teneva proprio a vedere i Green Day dal vivo. Io sono un moroso come si deve e quindi ce l’ho portata, sfruttando ancora una volta le mie conoscenze altolocate. Ci ho portato anche Ciccio, perchè so che a queste cose ci tiene e già che c’ero ho tirato in mezzo anche Marco e Carlo che quando c’è da essere anni novanta son sempre presenti.
Si parte per il forum dopo il lavoro, Ciccio arriva in giacca e cravatta (una Ferragamo coi cuoricini di cui si bullerà per tutta la sera), parcheggiamo nel parcheggio a pagamento e nessuno di noi tre (Marco, Carlo e i loro amici li abbiamo incontrati dentro) ha mai sentito il nuovo disco. Viene quindi facile il totale perpendicolarsimo (my own personal contrario di parallelismo) con il concerto anni novanta.
All’interno del forum ci sono proprio tutti, dai ragazzini con i genitori, ai meno giovani nostalgici fino agli anziani. Ci sono anche diversi VIPs come il cantante dei Lost e Ringo, il DJ di Virgin Radio, da cui vengo inviato affanculo dopo una gag molto divertente che tuttavia perde molto del suo fascino se raccontata per iscritto.
Aprono il set i Prima Donna, gruppo abominevole riguardo al quale non spenderò ulteriori parole.
Io e Ciccio decidiamo di approcciare l’evento con l’attitudine punk di un tempo e così, dopo una salamella ed un rustichella, io perdo in fretta il conto delle birre. Entrambi sappiamo che le nostre speranze di sentire “Haushinka” e “Church on Sunday” verranno frustrate ancora una volta, però Ciccio si sente particolarmente parte della scena e non mi consente di esprimere qualsivoglia dubbio sulla tenuta artistica della band.
Il concerto vero inizia alle 20.38.
La scenografia è eclatante, il palco è immenso e ci sono pure i fuochi artificiali. Attaccano con pezzi dal nuovo album e sul palco ci sono altre due chitarre, una in vista ed una nascosta, più una tastiera. Billy Joe ha la chitarra, ma probabilmente non la suona. Io e ciccio, sempre più punk, decidiamo di riutilizzare uno scontrino che non ci è stato ritirato e prendere altre birre.
A fare i primi tre pezzi ci impiegano 25 minuti. Non essendo i Dream Theater è chiaro che qualcosa non va, ma alla gente sembra piacere particolarmente il momento “Ehhhhhh-Ohhhhhh” e quindi intorno a noi è puro visibilio.
A quasi un’ora dall’inizio Billy Joe attacca con le prime cover, buttate lì a piccoli assaggi per infoiare la gente. Nell’arco della serata ci sarà spazio per tutti, dai Nirvana agli AC/DC, dai Guns a David Bowie, dai Beatles fino agli Oasis, anche se credo che quest’ultimo caso non fosse voluto visto che l’intro di chitarra su cui abbiamo cantato “Wanderwall” era l’intro di “Boulevard of Broken Dreams”. Nel dubbio Ciccio dichiara che il pezzo è orribile e va a pisciare, tornando con una nuova birra. Io lo seguo a ruota.
A più di un’ora dal calcio d’inizio la ciurma inizia a manifestare disagio per via di una scaletta un po’ troppo new wave. I ragazzi sul palco se ne accorgono ed inizia il momento revival. Entra la storica chitarra con gli adesivi, la scenografia si fa minimal ed io inizio a sentire l’adrenalina salire, spinta probabilmente dall’alchol. Da qui i ricordi e le sensazioni si fanno un po’ confusi, ma spero di riuscire a renderli per benino.
Attaccano con “2000 Light Years Away”, che non è “Going to Pasalacqua”, ma che comunque accende gli spiriti. Io tiro a basso in un sorso ciò che resta dell’ennesima birra, per evitare di rovesciarla di li a poco. Nel parterre la gente smette di ballare e agitare le mani. Ciccio mi indica una tipa e grida: “AHAHAH, la figa ha smesso di ballare!!!”. Risate.
Segue “Hitchin a Ride”, il gruppo si compatta e avanza di qualche metro. L’atmosfera viene però distrutta da dieci minuti di “Ehhhhh-Ohhhhhh” e “I need only one, two, one, two, three, four!”. Io dichiaro che se fanno una roba del genere su un pezzo di quelli seri gli tiro le vans e torno a casa in calze.
All’improvviso, senza neanche chiudere il pezzo, parte “When I come Around”. Io perdo il cappellino per la prima volta. Si parte verso il palco, cantando come ragazzini. Si salta, qualcuno cade, nonostante non ci sia neanche l’ombra di quel che una volta era definito “pogo”. A fine pezzo ho il fiatone e ritorno dagli altri.
Parte “Welcome to Paradise” e si ritorna in mezzo, con più cattivria. Un piccolo pogo si crea e io e Ciccio ci buttiamo dentro ridendo come idioti. Dopo pochi scondi Ciccio mi guarda e dice: “Che pogo da froci”. Altre risate.
Sono quasi spaesato, le cose capitano intorno a me e io le subisco in preda a quella sensazione di benessere suscitata solo dai concerti d’una volta.
Durante “Brain Stew” è ormai delirio. Ciccio chiede in giro se c’è qualcuno che gli passa la versione di latino, io sostengo che “Brain Stew la suonavamo anche noi”, conscio del fatto che ciò che noi suonavamo avava solo la pretesa di essere quella canzone.
Parte “Jaded” ed io perdo il controllo del mio corpo.
Si tira di nuovo il fiato per “Longview”, aiutati dal fatto che vengano chiamati a cantare personaggi improponibili dal pubblico. Si canta tutti insieme, desiderando di uccidere la malcapitata ragazza sarda che si sta umiliando di fronte ad un pubblico non proprio ridotto. E’ una festa, con tanto di immancabili e tristissime pistole d’acqua per innaffiare un pubblico che forse un tempo ai concerti sudava, ma che oggi risulta più che altro seccato.
Il tutto pare essere vicino alla conclusione e per un attimo torno semi lucido, ma è un istante.
“Basket Case” è il degenero.
“She” è il colpo di grazia. Io vivo esperienze extracorporee e grido frasi senza senso, tra cui “Se ci sposiamo in chiesa voglio questa canzone” rivolto ad una Polly attonita. Ciccio è altrettanto adeso alla realtà e mi dice fiero di aver toccato le tette prima ad una ragazzina e poi a sua madre. Il momento è di quelli che ne vivi pochi.
Poi tutto torna pian piano alla realtà. Il concerto torna nella sua fase mainstream, l’alchol inizia ad abbandonare le mie sinapsi e l’effetto è quello di una piacevole dissolvenza fatta di botti, coreografie e coriandoli.
In questo stato passano gli ultimi pezzi e i bis, fino alla chiusura che tutti temono. Billy Joe afferra una chitarra acustica e prende il centro del palco. Ciccio mi dice che a quel punto o fa “Time of your Life” o fa “Albachiara”. Invece partono due ballatone presumibilmente estratte dagli ultimi dischi, la gente accende gli accendini, Ciccio accende una sigaretta ed io guardo l’orologio.
Siamo sulla soglia delle due ore e mezza di concerto ed io rifletto sul fatto che, si può dire quel che si vuole, ma va riconosciuto che a tirare in piedi uno show del genere partendo da tre accordi non sono stati in molti, nella storia.
Arriva il momento di “Time of your life” che non è più “Good Riddance” da almeno dieci anni e tutti sono contenti.
Le ragazzine piangono, i genitori pure.
Io ricordo la conclusione del concerto del 1997, ricordo che sono passati 12 anni e che vado per i trenta e a Billy Joe che mi dice “I hope you had the time of your life” rispondo: “I had, Billy. It was 1997”.
Nota: aggiornata la sezione “musica”.