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Ricordi

Ne parlavamo tanto tanti anni fa


Oggi compie vent’anni “Hanno ucciso l’uomo ragno”.
Tipo che ci sarebbero milioni di cose da dire e scriverci sopra, ma alla fine si può benissimo evitare e limitarsi all’omaggio ad uno dei capolavori di quello che, per me, è e sarà sempre il più grande cantautore italiano. Grazie Max!
E comunque, sembra ieri.

My German years

Data astrale 22-12-2011.
Dopo ventitrè mesi, Manq lascia le terre teutoniche per il rientro in patria a tempo indeterminato. Sono stati due anni lunghi, per certi versi, ma sono comunque trascorsi in un lampo.
Non sempre è stato facile vivere qui, non sempre è stato bello relazionarsi con la gente del posto, ma spesso lo è stato e questo alla fine, un po’ di malinconia addosso me la mette. La scelta di rientrare non è mai stata in discussione e non c’è dispiacere alcuno nell’essere riusciti a metterla in atto, però come ogni volta che qualcosa di importante finisce, resta quel sapore salato di ricordi, momenti belli e brutti, atmosfere, persone, vita.
Martedì ho messo in ordine tutte le mie cose in laboratorio, classificando scrupolosamente sei anni di protocolli, risultati, reagenti, foto, video. Alla fine ero commosso. Ci sta.
Da Gennaio si ricomincia da capo: casa nuova, lavoro nuovo e vita nuova. Già perchè è ovvio che nulla sarà esattamente com’era prima che partissi. Due anni son passati per tutti, quindi bisognerà riabtuarsi alla proprie abitudini, rientrare nella routine abbandonata, risalire su un treno da cui son sceso per un po’, ma che ha ancora a bordo tutti i miei bagagli.
Bon, finiamola qui con sto post pretenzioso e malinconico.
Chiudo con una piccola raccolta di immagini, istantanee di quello che più o meno per me son stati questi due anni.
2010-2011: My Germa years.
Cius!

Tema: La mia collezione di dischi. Svolgimento:

Come al solito, appena vista l’iniziativa lanciata da Kekko su Bastonate avevo deciso di prendervi parte scrivendo due righe pure io sull’argomento. Poi, una volta letto il pezzo previa linkato ed individuato il seguente passaggio:

…Conosco persone che si sono spese migliaia di euro per esporre in bacheca un paio di cento album, tutti messi bene in fila con la costoletta in vista e l’ordine alfabetico e quelle robe lì. Conosco persone che aggiornano un file excel con tutti i dischi in loro possesso…

avevo desistito.
Un po’ per quell’imbarazzo tipo scaccolamento colto in flagrante (non che mi sia mai successo, parlo per sentito dire), un po’ perchè all’inizio pensavo che il mio pezzo non sarebbe stato altro che una diluizione in millemila battute di quella frase lì.
Riflettendoci meglio però, la mia storia con i dischi è decisamente più articolata e può quindi essere raccontata con un senso, così questa mattina, quando su twitter ho letto una nuova richiesta di Kekko in merito, ho avuto la presunzione potesse parlare con me e ho messo mano alla tastiera ed inizato a scrivere la mia storia.
Io con la musica ho sempre avuto un rapporto particolare. Non ricordo infatti nessun’esperienza di vita fatta o subita cui non possa immediatamente ricollegare una canzone o un disco. Forse non è poi così particolare o fuori dal comune, questa cosa, però per quanto riguarda il mio giro di frequentazioni persone con questo attaccamento alla musica ne conosco pochissime. Esempio? A sette anni mi operano al cuore e per me quell’esperienza è una cassetta con “The final countdown” degli Europe sul lato A e “Al di là del muro” di Barbarossa sul lato B. E così a scendere: viaggi, morose, amici e via dicendo son tutti mentalmente connessi a qualche ricordo musicale. Il primo CD che ricordo di aver comprato io risale alle elementari. Dopo scuola vado in piscina e passo l’intera sessione in vasca a canticchiare in testa “Ridere di te” di Vasco. Non so perchè, ma è così. Uscito dalla vasca, vado coi miei a fare la spesa al Carrefour e chiedo di comprare un disco di Vasco che contenesse il pezzo. L’unico reperibile era il doppio live “Fronte del palco” e così procediamo all’acquisto. Seguiranno, nel giro di qualche anno, “Greatest Hits II” dei Queen, “Nord, Sud, Ovest, Est” degli 883 e finalmente “The final countdown” degli Europe, che la cassetta s’era ormai distrutta (e di Barbarossa chisseneincula).
Iniziano le medie. Io ho una mancetta che arriva ogni mese dai nonni e sono uno sfigato. Un bambino inserito a forza in un contesto pre-adolescenziale in cui è tutto un ragazze, sigarette e motorini. Io non fumo, non rimorchio e il motorino non lo voglio perchè mi fa paura. I miei soldi li spendo in CD, dischi che ora non ho nemmeno più. Erano i tempi di Albertino, del DJtime e della DJparade. Compravo compilation a ruota libera, ascoltandole a nastro fino all’uscita della successiva. Oggi di quei dischi non credo di aver più traccia, tra regali e prestiti mai riavuti indietro.
Cambio palco e si passa agli anni del liceo. La mancetta resta quella, ma le spese aumentano (“Hi Manq, my name is beer.” “Nice to meet you, Beer!”) e tutta sta liquidità per comprare i dischi inizia a venir meno. Però la musica mica si ferma, anzi, scopro il punk-rock e l’HC-melodico. Inizio a vestirmi come un deficiente (imbarazzo), tingo i capelli e duplico cassette come non ci fosse un domani. Qualche disco ancora lo porto a casa, ma più che altro i soldi li tengo per andare ai concerti e comprare magliette di gruppi imbarazzanti (tipo Frenzal Rhomb, ma forse ho pure di peggio). I dischi presi a quei tempi sono perloppiù Offspring e Nofx, ma la roba di cui mi riempivo la camera erano le cassettine dei demo con le copertine fotocopiate e tutto il resto. Li ho ancora tutti, anche quelli inascoltabili.
All’università la solfa non cambia moltissimo: stesse entrate, stesse uscite. Arriva però Internet ed io inizio a scaricare e masterizzare senza freni. Non ho mai comprato ne venduto album pirata, ma sono stato produttore e consumatore assiduo per anni. Il momento più basso della mia vita di acquirente di musica, ma probabilmente il mio più alto dal punto di vista del consumo. Napster 1, Metallica 0.
Credo di avere tendenze ossessivo/compulsive. Di tutti i miei CD masterizzati stampavo le copertine, a colori, e li mettevo su una mensola (che in breve diventò molte mensole) con le band in rigoroso ordine alfabetico ed i dischi di uno stesso gruppo in ordine di uscita. Avrò cambiato almeno cinque o sei volte la posizione dei gruppi col “the” davanti, alternandoli da sotto la T a sotto la lettera che avrebbero dovuto avere se l’articolo non ci fosse stato.
A quel punto ho iniziato a lavorare e nella mia testa è diventato un dovere morale comprare i dischi, soprattutto quelli vecchi per rimpiazzare le copie self-made. Ovviamente negozi di dischi neanche l’ombra, dalle mie parti, e di andare a Milano per rischiare di non trovare quello che cercavo non ho mai avuto voglia. Scopro “Interpunk” ed inizio a comprarci dischi a botte di cinque la volta. L’opera di rimpiazzo procede abbastanza lenta, mi serve metodo e così nasce il foglio excell. La lista. Quella su cui riporto i dischi da comprare e i dischi che ho in scaffale, ma che devo rimpiazzare.
Ogni ordine ha qualche disco vecchio e qualche disco nuovo, che non significa necessariamente appena uscito, ma semplicemente appena scoperto. Appena il disco arriva lo apro, sfoglio il libricino, e me lo sento dall’inizio alla fine almeno una volta, prima di riporlo nella libreria.
Metodo. Tipo serial killer, ma usato senza nuocere.
Inoltre, compro sempre qualche disco quando viaggio (se vado in posti in cui ancora ci sono negozi di dischi). Non per forza dischi che potrei trovare solo lì, ma anche solo dischi che quando riascolterò dirò: “questo l’ho comprato in quel posto” ed il ricordo del viaggio sarà classificato a dovere nello scaffale delle mie memorie.
Al momento la mia collezione comprende più o meno duecento dischi, che non sono molti, ma che per chi ha un bilocale sono sufficienti a creare un problema di location. Non smetto di comprarli e, anzi, sto tentando di recuperare roba abbastanza di nicchia con discreto successo. Sono feticista del compact disc e schiavo degli oggetti. Vittima di una società consumistica per cui possedere le cose rende le persone più felici.
Forse un giorno incontrerò Tyler Durden.

Il numero di Playboy con Stephanie Seymour

Esce oggi, per celebrare i vent’anni di Nevermind, Il numero di Playboy con Stephanie Seymour. Questo libro (perchè effettivamente sembra un libro vero) vuole essere una sorta di tributo all’album dei Nirvana che, un po’ per tutti anche se per tutti con una motivazione differente, è stato importante. Siccome è un’idea che apprezzo molto (e siccome ci ho scritto sopra due righe pure io [anche se la seconda motivazione è diretta conseguenza della prima]) mi pare valga la pena di segnalarlo.
La cover è di Giudit, la retrocopertina è di Tostoini, mentre l’impaginazione è soprattutto opera di Barabba.
L’idea da cui tutto è nato e di conseguenza la regia del progetto è di Bastonate.
Hanno contribuito, in rigoroso ordine alfabetico: Accento Svedese, Alex Grotto, Andrea Bentivoglio, Andrea Mancin, Arianna Galati, Aurelio Pasini, Bart Cosmetic, Capra – Gazebo Penguins, Daniele Funaro, Daniele Piovino, Daniele Rosa, Davide Bolzonella, Diego Peraccini, Elena Marinelli, Emiliano Colasanti, Enrico Veronese, Enzo Baruffaldi, Federico Bernocchi, Federico Guglielmi, Federico Pucci, Federico Sardo, Francesca Fiorini, Francesco Farabegoli, Francesco Russo, Germana Maffucci, Giampiero Cordisco, Giovanni Pontolillo, Giuditta Matteucci, Giulia Blasi, Giuseppe Mancuso, Irene Musumeci, Jacopo Cirillo, Livia Fagnocchi, Luca Benni, Marco Braggion, Marco Caizzi, Marco Delsoldato, Marco Kiado, Marco Manicardi, Marco Pecorari, Marina Pierri, Massimo Fiorio, Matteo Cortesi, Matteo Zuffolini, Mattia Meirana, Nicola Berto, Paolo Barbieri, Paolo Belardinelli, Paolo Grava, Paolo Morelli, Pop Topoi, Ramona Norvese, Ray Banhoff, Renato Angelo Taddei, Roberta Ragona, Roberto Bargone, Roberto Recchioni, Robertz Vinx, Simone Rossi, Solo Macello, Tatiana Traini, Tito Faraci, Tommaso Belletti, Valerio Spisani, Vanessa Carmicino.
Cliccando sull’immagine a sinistra è possibile scaricare il pdf, per l’epub il link è invece questo.
Buona lettura.

Dieci anni, oggi

Di post e articoli in memora dell’11 Settembre del 2001 se ne sono letti e scritti tanti.
Nessuno potrà mai cancellare quello che è successo, indipendentemente dalle disquisizioni sul come o sul perchè sia successo.
La disperazione palpabile di chi, imprigionato nelle torri, si lanciava dalle finestre è una cosa che non potrò dimenticare mai.
Detto questo, quello che pochi fanno è commemorare e riflettere su quanto successe il 15 Settembre 2001.
In quella data, quattro giorni dopo l’attentato, Balbir Singh Sodhi diventava la prima vittima dell’odio americano verso i mussulmani.
Il primo obbiettivo centrato dal desiderio di vendetta.
La triste ironia, vuole non fosse nè arabo, nè tantomeno mussulmano.
Non si deve dimenticare nulla di quanto accaduto l’11 Settembre 2001, ma nemmeno ciò che accadde dopo e che ancora accade oggi per via di quei terribili eventi.
E le vittime innocenti vanno commemorate tutte.

Up all night

Uno dei momenti più attesi e temuti dal sottoscritto è arrivato.
I Blink 182 hanno rilasciato un pezzo nuovo dopo tipo otto anni. E’ senza vergogna che ammetto di aver avuto i Blink a pilastro della mia adolescenza musicale, ritenendoli tutt’ora uno dei miei gruppi chiave. Non erano certo più bravi di altri, non avevano certo i pezzi più belli, ma per me significavano tanto. Poi vabbè, tutto ha iniziato lentamente ad andare in malora anche a causa di un inaspettato botto da cui non si sono mai ripresi. Dopo “Enema of the state” infatti la storia li ricorda in confusione totale.
Step 1: proviamo a rifare tutto uguale e vediamo se la gente se la beve. Esce “Take off your pants and jacket”. Escono tre singoli copia dei tre singoli del disco precedente (ma copia vera: il primo con Mark che canta e loro che fanno casino in giro, il secondo con Tom che canta e loro vestiti da pagliacci ed il terzo su un pezzo dall’attitudine drammatica.), il disco è una mezza cagata e l’effetto clown sulle folle svanisce. Butta maluccio.
Step 2: Tom inizia a dire che nelle vesti di punk-rocker idiota non ci si sente più tanto a suo agio. Per testare un po’ l’ambiente butta fuori un disco pseudo side project (tipo lui e Travis con Mark in produzione) a nome “BoxCarRacers” e inizia a darsi le pose da emocorer vero mettendo “Fugazi” in qualsiasi frase pronunciata di fronte ad un microfono. Il disco in questione è una mezza bomba, a mio avviso, ed in giro la gente giusta ne parla abbastanza bene. L’operazione “i Blink 182 sono maturati” viene quindi avvallata e il gruppo butta fuori il “self titled” (ovviamente, quando una band ritiene di essere alla svolta, butta fuori un self titled. A caldo, direi di non avere nessun self titled nella lista dei miei dischi preferiti.). Io, per come ho vissuto i Blink, ad un disco del genere non ero per nulla pronto. A me non frega una sega dell’evoluzione artistica. Per me i tre di San Diego erano il gruppo di pirla di riferimento nel periodo in cui anche io ero pirla un bel po’. Veder crescere loro era come ammettere (leggi constatare. Leggi anche rendersi conto) di dover crescere a mia volta. Inaccettabile. Ad ogni modo anche all’interno della band qualcuno doveva vederla un po’ come il sottoscritto, tant’è che le cose vanno a puttane definitivamente e il gruppo va in pausa. Non si sciolgono perchè sanno già, in quel momento, che prima o poi serviranno altri soldi “facili”.
Step 3: parte quel calvario che sono i vari progetti indipendenti. Io i CD li ho presi a priori, di tutti, e li ho visti entrambi (i +44 prima ancora di aver sentito anche solo mezzo pezzo) live a Milano. Tom tira in piedi una cafonata colossale chiamata “Angels and Airwaves” mettendo clamorosamente fine al mio sogno di diventare lui. Mark e Travis provano a metter su una robetta pseudo blink ultimo periodo senza le derive intellettualoidi di Tom e ci riescono anche, ma ben presto ricominciano a suonare pezzi dei Blink che furono ai concerti ed il progetto, ufficialmente o ufficiosamente non è dato saperlo, muore. Travis intanto scopre di essere negro* e inizia una carriera hip-hop in cui può masturbare la batteria come e quando gli pare senza l’incombenza di avere altri musicisti per le palle durante i pezzi. Siamo al punto più nero della storia e, apparentemente, serve un miracolo per risollevarsi.
Step 4: arriva il miracolo. Travis si impasta con l’elicottero e ne esce tutto sommato indenne. L’occasione per una reunion strappalacrime in cui lo spettro della morte riavvicina tre amici di lungo corso è troppo ghiotta e così nasce questo progetto Blink182.0. Ormai i tre musicalmente sono affini quanto me, Andrea Bocelli e Dani Filth, ma questo non è importante se devi passare due anni in giro a suonare i pezzi vecchi spillando soldi alla gente. Ovviamente sul palco si vede chiaramente che non sono più loro. Tom canta con delle linee pretenziose che al sottoscritto mettono solo voglia di salire sul palco e picchiarlo a sangue. Travis ogni sacrosanto minuto spruzza lì un interludio autocompiacente e Mark, porello, resiste sul palco pensando che anche per quella sera ha portato a casa la pensione. La cosa dovrebbe durare un anno, riescono a farla durare due. Poi però i fan iniziano a chiedere pezzi nuovi e lì scatta il dramma. Come fare?
Step 5: i Blink182.0 entrano in studio. Da qui in poi mi baso solo su ipotesi personali e su quanto sentito nel pezzo anteprima “Up all night” rilasciato, appunto, ieri. Le chiavi del progetto, a questo punto, vengono messe in mano a Tom che essendo convinto di essere John Lennon potrebbe decidere da un momento all’altro di rimandare tutti affanculo (NdM: volesse iddio!) e andar via col pallone. Mark decide di produrre la cosa per scongiurare che Travis porti in sala mixer tutti i suoi amici negri*. Tutto dovrebbe andare bene e, con un po’ di fortuna, il disco uscirà. Bello o brutto non conta, perchè vendere venderà in ogni caso. Il problema eventualmente ci sarà col disco successivo ma nessuno di loro, credo, confida di arrivarci.
E così eccoci al punto in questione.
“Up all night” è lo specchio perfetto di questa situazione. Tom scrive un pezzo identico o quasi a quello che ritiene essere il suo momento compositivo migliore, ovvero i BoxCarRacers. Mark ci canta dentro una strofa così, giusto per non dare ai fan l’impressione che siano davvero i BoxCarRacers. Travis viene tenuto più o meno a bada con un mixaggio ed una produzione che con il rock (non dico il punk-rock, ma il rock) c’entra ben poco ed il gioco è fatto. Che la canzone sia bella o brutta, credo, non sia importante al momento. E’ importante solo ascoltarla e cercare di capire quanto possa contenere le basi per un progetto che si proclama rinato o quanto invece sia la trasposizione musicale del tanto discusso sondino naso-gastrico.
Il disco nuovo uscirà presto e lì il quadro sarà completo. Ci sarà anche un tour, ma come ho già spiegato, io non credo ci andrò.
Troppa malinconia

* c’è proprio scritto nogro/i.

Comprare dischi


Da due o tre giorni volevo scrivere del Record Store Day 2011 perchè la ritengo una bellissima iniziativa. Non l’ho fatto fino ad ora perchè, essenzialmente, per me è difficile ricordare IL negozio di dischi. Quello che ha caratterizzato la tua adolescenza musicale. Quello dove andavi dopo scuola (o invece che a scuola) a comprare i primi album scelti da te e non per te.
Io sono cresciuto a Brugherio (MB) e a Brugherio c’era un solo negozio di dischi: il Pick-Up. Era uno stanzino piccolo e aveva pochissima scelta, ma il gestore era in simpatico e provava sempre a darmi una mano. Facevo le medie e da lui ho acquistato la serie completa delle compilation “Alba” più non so quante altre porcate dance. Ci ho anche preso “Nord-sud-ovest-est” degli 883, giusto per dare un quadro temporale alla cosa.
Poi è arrivato il liceo e la mia vita è cambiata, in tutto, ma anche e soprattutto musicalmente parlando. Il grande salto l’ho fatto comunque da Pick-up, entrando e comprando “Ixnay on the Hombre“. Qualche mese dopo tornai da lui a chiedere “Heavy Petting Zoo“. Ci misie due settimane a procurarmelo. Lì capii che forse, per le esigenze che stavo maturando, quel negozio non avrebbe più fatto al caso mio. Qualche mese dopo, in ogni caso, a Brugherio aprono un Bennet e Pick-Up ci si trasferisce dentro col proprio negozietto. Dura forse sei mesi. Poi chiude. Ora al suo posto c’è un Gamestop.
Dicevamo i tempi del liceo. Io andavo a Monza e tutte le mattine passavo davanti ad un negozio enorme, proprio di fianco alla Rinascente, chiamato “Ricordi Megastore”. Abituato ad uno stanzino di 4 metri per due, all’inizio pensavo si trattasse di un immenso passo in avanti, ma sbagliavo. E’ vero, c’era più scelta, ma alla fine per quanto concernesse i miei nuovi gusti non c’era tutta questa differenza in quanto a fornitura. Peggio ancora, non c’era servizio nè rapporto col cliente. Nessuno ci avrebbe messo due settimane a procurarmi un disco lì. Se non lo trovavo erano puramente cazzi miei. E poi i prezzi iniziavano a farsi proibitivi.
Monza non è Milano, però, e a trovare un negozietto di dischi che facesse al caso mio ci ho messo un po’ di tempo. C’erano infatti i negozi per i metallari, ma erano appunto pieni di metallari e a quei tempi io in posti con dentro i metallari non ci entravo a prescindere.
Però, girando e girando, un posticino l’avevo trovato. Inculatissimo in una vietta senza marciapiedi nell’intrigo dei sensi unici del centro c’era il Musicland, quello che definirei il reale punto di riferimento del me teenager in fatto di dischi. Ci ho preso robe che nemmeno ho più, tipo “90-93” o “Gli Amici di Roland“. Ai tempi io non avevo internet e per me l’informazione musicale arrivava unicamente dalle persone che conoscevo a scuola. Quindi andavo al Musicland e passavo gli espositori, chiedendo consigli e pareri. Era divertente.
A fine liceo però è arrivato internet e con lui il mail order di siti tipo “Negative” e roba del genere. Il Musicland ha chiuso e dio solo sa cosa c’è oggi al suo posto. Quella via io non la percorro dai primi anni zero.
La storia si conclude negli ultimi dieci anni, un periodo privo di riferimenti in cui i CD dapprima venivano comprati ai banchetti dei live show e poi, quando anche lì hanno smesso di venderli, on-line su siti tipo “Interpunk”. Se può contare qualcosa a mia parziale discolpa, mai su Amazon. Per un brevissimo lasso di tempo mi sono persino trovato a comprare CD in un negozio di abbigliamento, il Quarter, tanto ero perso e privo di riferimenti. Che poi io sono il primo ad avere delle colpe. Ho girato mezza New York per trovare “Generation records” e non ho mai provato a prendere la metro ed andare a Milano a comprare un disco dove è giusto farlo.
Anyway, a me la musica piace.
Mi piace anche comprare i dischi, schiavo più che altro della necessità di possedere oggetti (e farmici a mia volta possedere, citando il buon Tyler Durden).
Questo post quindi promuove un’iniziativa sacrosanta in favore dei negozi di dischi. Quelli veri.
Quelli che mi sarebbe piaciuto frequentare di più in gioventù.
Quelli che, se domani vinco al superenalotto, ne apro uno esattamente uguale e vivo la mia vita facendo la cosa che amo più fare: ascoltando e parlando di muscia.

Angela is back! (This time hopefully for real)

Era il 2000.
Me lo ricordo benissimo quel periodo. La gita a Monaco di quinta liceo, i capelli colorati, l’idiozia, la maturità, l’ARCI di Arcore e Baffo Moretti, ICQ, il Rainbow Club di Milano, la mia Y10 pervinca con la radio mangiacassette, la Fra, i primi segni di identità personale per qul gruppo di persone partite tutte insieme ascoltando “Smash” ed arrivate a mondi così diversi, i demo, l’iniziare a percepire di essere adulti e ritenerla una cosa figa, l’ubriachezza gioviale.
Ecco, per il sottoscritto il gruppo manifesto di quel periodo sono i Murder, We Wrote.
Il loro demo volai a prenderlo una sabato sera proprio all’Arci di Arcore, il giorno in cui “uscì”. Me lo ricordo perchè quella sera con gli amici s’era deciso di andare al Rainbow e a me girava un po’ il cazzo perchè suonavano i Murder. Così, in profetica solitudine, decisi di andare a sentirli da solo e poi raggiungere il gruppo al puntello di fronte al Frisi. Ai tempi sapevo raggiungere il Rainbow solo da Monza perchè di vie non ne conoscevo mezza, il navigatore ce l’avevano giusto le navi e i riferimenti per arrivare a destinazione partivano da lì.
Ad ogni modo, con quella cassetta fu amore a primo ascolto. L’ho sentita talmente tante volte da averla quasi consumata ed è stata sottofondo di una serie incredibile di fatti ed avvenimenti indelebili dalla mia memoria.
Oltre al demo però, io letteralmente veneravo un pezzo che su quella cassetta non c’era.
Ora sono passati dieci anni e dio solo sa quante volte quel pezzo è stato vicino ad essere registrato. Ora però pare sul serio che la cosa sia andata in porto ed io non sto letteralmente più nella pelle.
Tipo che oggi Dani e Lore hanno messo on-line una preview di quanto uscirà ed io “Through this life” me la sono sentita a nastro non so quante volte.
Angela is back, this time hopefully for real.
Qui sotto c’è il player con i due pezzi in preview, il già citato “Through this life” e “The way”. Premesse ottime.
Ah, per la cronaca, il pezzo che aspetto da dieci anni è “Falling Down” e se veramente sto giro esce a Dani gli offro una birra.