Vai al contenuto

Politica

Questo post è essenzialmente per Bazzu

L’Italia è un paese strano.
I cittadini sentono il bisogno di maggiore sicurezza e la risposta viene data con l’esercito nelle strade.
Se i cittadini specificano che vorrebbero maggiore sicurezza sul lavoro, prima gli si dice che il problema è ingigantito e poi, se insistono, la si risolve mettendo i carabinieri nei cantieri.
Le forze dell’ordine sono ormai diventate la soluzione a qualunque problema.
Non si disperi quindi chi chiede al governo la sicurezza di riuscire a fare la spesa con i pochi euro del minimo salariale e l’inflazione salita al 4%, perchè se non dovesse bastare l’ottimismo consigliato dal premier, La Russa tra poco metterà i carabinieri alle casse dei supermercati.
Polizia, carabinieri, vigili urbani possibilmente armati fino ai denti ed esercito.
Ecco la risposta ai problemi dell’Italia.
Questo ed un ordinata e disciplinata educazione per le generazioni a venire, fornita ovviamente dalla sopracitata panachea in campi estivi “balilla flavour” proposti ancora una volta da quella fucina di idee che è il buon Ignazio (non me ne voglia Accento Svedese per essermi accanito sul suo stesso bersaglio, con tutte quelle che sta dicendo c’è spazio per chiunque si voglia accanire senza nemmeno necessità di sovrapporre le argomentazioni).
Ed in questo panorama di delirio collettivo potrei inserire molte altre citazioni illustri, gran parte per la verità snocciolate da Alemanno, ed andare avanti per ore a dire come questo paese sia ormai diventato invivibile.
Eh sì Riccardo, avevi ragione, forse sarebbe veramente il caso di cambiare aria.
Tuttavia mentre pensi che il tuo mondo stia diventando una palude infestata solo da rigurgiti del ventennio (e dai suoi fan telematici) e che presto ti ritroverai a vivere in uno stato di polizia, ecco che arriva Bazzu e ti apre gli occhi.
Non è vero che la gente vuole sicurezza.
Non è vero che i giovani vogliono sicurezza.
Non è vero che i giovani sono diventati incapaci di sognare, di credere in qualcosa e di mettersi in gioco completamente pur di raggiungere il loro obbiettivo.
I giovani sono pazzi, romantici e sognatori e tu me l’ha ricordato.
Stima piena ed incondizionata al tuo gesto, ragazzo, e te lo dico senza nessun tipo di ironia.
Giuro.
E sappi che ci sarò quando te ne pentirai.

Qual’è il colmo per un ministro alle pari opportunità?

“Cosa farebbe se lei dovesse avere un figlio omosessuale?”
“Gli direi di vivere la sua condizione in sobrietà e di non rivendicare diritti.”

Risata.
Non è una barzelletta.
Gelo.
Il Ministro alle Pari Opportunità chiede ad una minoranza che di opportunità non ne ha di “non rivendicare diritti”. Questo già farebbe molto ridere. Il fatto che poi il Ministro in questione sia Mara Carfagna e che nella stessa frase parli di sobrietà è addirittura da spanciarsi.
Io, se non fossi italiano, probabilmente avrei le lacrime agli occhi per le risate.
Purtoppo però vivo qui e sta cosa mi lascia a dir poco sgomento.
Già in settimana avevo avuto modo di scontrarmi con la cultura oppressiva e omofoba del mio amato Paese (con la maiuscola, mica che Manowar passi di qui e mi si incazzi) scrivendo una lettera abbastanza dura alla redazione del Corriere della Sera Milano riguardo un articolo uscito Mercoledì scorso.
Manco a dirlo, nessuno mi ha risposto.
Non ci contavo, mi premeva unicamente non lasciar correre la cosa senza manifestare dissenso, tuttavia è bene rendere noto che al dissenso civile nessuno ha dato ascolto nè risposta.
E si parla del Corriere, non del Giornale.
Con il Giornale non mi sarei mai sognato di dissentire, quella testata è fatta apposta per scrivere certe cose.
Dal Corriere però certe affermazioni non le accetto.
Anyway il discorso principale riguarda il caos scoppiato ancora una volta nei confronti del gay pride.
Anzi no, riguarda l’idiozia del nostro Ministro alle pari opportunità che sempre in merito al suo rifiuto a patrocinare la manifestazione ha partorito altre perle come: “non c’è discriminazione nei confronti dei gay” o ancora: “Roma è la capitale della cristianità, quindi il gay pride è oltremodo provocatorio.”.
Lasciando stare la seconda affermazione, che è addirittura incommentabile, mi soffermerei sulla prima.
Non c’è discriminazione nei confronti degli omosessuali.
Mi pare ovvio.
Ma se loro non sono discriminati, chi lo è?
Le donne?
Ok, diamo per buona che lo siano le donne (e se ne potrebbe parlare anche di sta cosa…). Sicuramente la donna media, quella che non può restare incinta perchè se no perde il lavoro e che per fare carriera deve farsi due volte il culo che si farebbe un collega uomo (realtà queste purtoppo ancora drammaticamente reali) sarà felice di essere rappresentata e tutelata da una che nella sua vita per andare avanti non ha dovuto che mostrare le tette.
Io, fossi donna, ne sarei onorata.
Esattamente come, da cristiano, ringrazierei il signore tutte le mattine per questo nuovo baluardo della fede che ha mandato tra noi a fare le sue veci.
C’è da restare senza parole.

Verso il voto 2.0

Ieri ho scritto un post infinito sulle prossime elezioni.
Ho clikkato su “pubblica” ed in quel momento il database di aruba è andato giù, cancellando per sempre le mie riflessioni.
E’ stato un brutto momento.
Oggi, non so perchè, mi sento di provare a riscrivere qualche riga sull’argomento. Di solito non riscrivo mai testi che per qualche ragione vanno perduti prima di finire on-line, tuttavia per questa volta voglio fare un’eccezione.
Il succo del discorso era ed è la mia ormai arcinota incapacità di trovare qualcuno in grado di rappresentarmi alle prossime politiche. Questo è strano in un paese in cui nasce un partito ogni trentaquattro millisecondi, ma forse è perchè io sono talmente in minoranza da non poter avere nessuno che voglia rappresentarmi all’infuori di me stesso.
Se dovrò quindi scegliere tra tante opzioni più o meno distanti da ciò che cogito ergo da ciò che sum, ritengo di dover selezionare non solo la meno lontana, ma anche quella tra le vicine che più abbia possibilità di portare avanti quelle idee per cui ho deciso di schierarmi. Questo si traduce nel votare ualcuno che abbia la possibilità concreta di governare. Oltre a questo, c’è da considerare che da quando ho diritto di voto, la maggior parte delle volte ho mio malgrado usato la croce per far perdere qualcuno, piuttosto che per far vincere qualcun altro.
Sono l’emblema del voto contro.
A sto giro però mi sono stancato e ho deciso che il mio voto o sarà per qualcuno, oppure non sarà del tutto ed annullerò la scheda.
Per questo sto cercando di seguire il più possibile questa campagna elettorale, nella speranza di trovare almeno un motivo per votare il centrosinistra e giustificare il mio ennesimo voto contro come fosse un voto pro.
Ieri Veltroni ha provato a darmi questa motivazione ed io avevo quasi abboccato.
Ovviamente sto parlando della questione De Mita.
La mossa di non candidare il buon Ciriaco per via del fatto che è 45 (qua-ran-ta-cin-que) anni che sta in parlamento all’inizio mi ha quasi fatto gridare al miracolo.
Spazio al nuovo che avanza.
Poi però ho riflettuto un attimo. De Mita è un democristiano. Cosa cazzo ci fa un democristiano nel PD con tutti i partiti di centro che ci sono? Questo avrebbe dovuto far riflettere Veltroni, non l’età. Walter avrebbe dovuto dire: “Caro Ciriaco, è vero che come diceva sempre il nonno di Manq voi democristiani non morirete mai, tuttavia vi sarei grato se vi schiodaste dalle poltrone cui vi siete abbullonati e vi sciacquaste fuori dai coglioni, vecchi e giovani, perchè con la sinistra, per quanto moderata, voi non c’entrate niente.”. Invece a Veltroni De Mita faceva comunqe comodo, non tanto da non rischiare di perderlo per realizzare un’abilissima mossa mediatica, ma abbastanza da proporgli di restare nel PD con incarichi “che per essere svolti non richiedono la presenza in parlamento”. Per il leader del centrosinistra l’ideale sarebbe stato tenerselo, e con lui i suoi voti, dicendo in giro che però per la vecchia politica non c’era più posto.
All’atto pratico quindi la mossa è positiva, ma non tanto da essere motivo di voto.
E ci sarebbe da dire anche riguardo alla questione Radicali, tuttavia ora non ne ho più voglia.
In sostanza quindi continuo a restare alla finestra e ad attendere un segnale che valga i due tratti della matita copiativa che ho a disposizione.
Oggi ho perfino valutato l’idea di votare Di Pietro sulla base del fatto che nell’ultima legislatura si è comportato bene.
E poi sta col PD e quindi sarebbe un voto contro Berlusconi.
Credo questo basti a chiarire il livello di delirio che ho raggiunto.
Bene, direi che è tempo di chiudere. Per farlo sparo giusto un paio di bombe nella più classica e Moschiana tradizione:
1- Domenica sera si è deciso di andare a cuba 10 giorni a fine Giugno. Martedì Castro lascia il potere. Coincidenze?
2- Si avvicina un wend dal sapore retrò: Venerdì sera cena coi compagni del liceo, Sabato pomeriggio in sala col gruppo del liceo, Sabato sera Bloom di Mezzago a sentire i Canadians e Domenica trasferta a Chivasso per torneo.
Sta sera son preso bene e ho deciso che mi piace molto questa mia foto (by Max).
Non so quale delle due cose sia più sconcertante.

Ha ragione il Silvio

In Italia c’è un problema serio di informazione.
Purtoppo Berlusconi quando parla di questa cosa lo fa in toni ridicoli e adducendo motivazioni risibili, però leggendo i giornali non gli si può certo dare torto.
Notizia di ieri è l’ormai famoso “bambino inglese con tre genitori“.
Con notizie come questa in circolazione ci si può mai stupire del terrore che la ricerca scientifica causa nel 90% della popolazione che non ha mezzi e possibilità di farsi un’idea corretta in merito?
Vediamo di fare un po’ di chiarezza in ambito.
Per la delusione di molti devo subito chiarire che l’embrione in questione ha, come tutti, solo due genitori. Un papà ed una mamma. La sua fecondazione è avvenuta in vitro sì, ma a scopo di impianto e quindi tra una cellula uovo materna ed uno spematozoo paterno. Nulla di più “normale”, nulla di più di quel che si può fare anche in Italia per avere un figlio. Fino a qui spero che nessuno abbia nulla in contrario quindi, visto che pure la medioevale legge 40 lo consente..
La domanda allora è: da dove arriva il terzo genitore?
Semplice, anzi no, abbastanza complicato, ma proviamo a spiegare.
Più o meno tutti sanno che il patrimonio genetico di un individuo sta nei suoi cormosomi e che questi si ereditano dai genitori.
Molti di coloro che sanno tutto questo sanno anche che i cromosomi in questione stanno nel nucleo delle cellule. La cellula embrionale non fa differenza.
Pochi invece sanno che esistono, fuori dal nucleo cellulare, organelli che si chiamano mitocondri. Questi organelli, fondamentali per il patrimonio energetico della cellula, hanno al loro interno del DNA che nulla ha a che fare con i cromosomi e che serve alla produzione di alcune delle proteine che i mitocondri usano per produrre energia. Mutazioni in questo DNA causano importanti patologie ereditarie.
Quel che si è fatto è stato quindi prelevare il nucleo dalla cellula uovo fecondata, e con lui i cromosomi regalati da papà e mamma, e inserirli in una cellula priva di nucleo, ma con mitocondri dal DNA “sano”.
Questo vuol dire essenzialmente che il bambino che si svilupperà dall’embrione in questione avrà subito una sorta di “trapianto di mitocondri”, come fosse stato trapiantato del cuore, e che se tutto andrà bene, sarà sano.
I suoi genitori saranno sempre e solo due e lui somiglierà loro come tutti i bambini.
Questa tecnica, che comporta grossi rischi nel processo di enucleazione e impianto, potrebbe portare all’eliminazione dalla nascita di alcune gravissime malattie genetiche. Ovviamente molto dev’essere ancora fatto, però è una gran bella notizia.
E allora mi chiedo: perchè cazzo sbatterla sui giornali come fosse l’ultimo best seller di Mary Shelly?
Scienziati pazzi e senza scrupoli che giocano a fare Dio, si legge un po’ da tutte le parti.
Ecco quello che penso.
Se Dio ci si fosse sbattuto una minima a fare sto mondo le malattie mitocondriali non esisterebbero e nessuno sentirebbe l’esigenza di cercarne la cura. Purtoppo però il Santissimo ha deciso di far le cose con pressapochismo e questo non tutti siamo disposti ad accettarlo. Troppe cose già vanno male senza che ci si possa fare nulla, quindi lavorare per far si che un bambino nasca con un’aspettativa di vita oltre i tre mesi non la reputo così una malvagia idea.
La scienza purtoppo ha sempre fatto paura e sempre ne farà.
E’ destino.
Tuttavia non capisco perchè si continua a dar credito ad una masnada di ignoranti che, informati in materia come potrei esserlo io di pesca all’aringa norvegese, si permettono di andare in TV o sui giornali a sparar cazzate.
Questa cosa mi ha messo addosso un po’ di nervosismo.
Forse però il mio nervosismo deriva dal fatto che oggi ho preso una decisione importante.

Nota: aggiornata la sezione “musica”

Impossibile tacere

In questi giorni di silenzio sono accadute molte cose di cui avrebbe senso parlare.
Ferrara, Ruini e Bondi, protagonisti del celebre film di Sergio Leone “Il Brutto, Il cattivo e… il brutto l’ho già detto?”, stanno sollevando un polverone riguardo alla Moratoria sull’Aborto. Non avendo la televisione in casa mi sono perso [credo] accesi dibattiti televisivi ricolmi di nulla e probabilmente sono arrivato sul pezzo con un filo di ritardo, tuttavia grazie a Repubblica.it ho potuto farmi un’idea della questione.
Ora so, ad esempio, che il Papa è dalla loro.
Nessuna sorpresa.
So anche che la Binetti è dalla loro.
Della Binetti io non so nulla, a parte il fatto che è una Senatrice del “centrosinistra” e che quindi è lì a rappresentarmi.
Ho solo visto questa foto. Ho riso delle ore e ho capito che Livia Turco, che stimo ogni secondo di più, ha subito utilizzato il giusto approccio alla questione. Il suo commento: “Sì al dibattito, ma la legge non si tocca!”.
Parafrasando: dite un po’ quel cazzo che vi pare, tanto son parole al vento perchè non ho minimamente intenzione di perder tempo con voi e le vostre stronzate.
Mi sento già più rappresentato.
Prevedo un imminente mobilitazione di piazza.
Potrebbe chiamrssi feto day e potrebbe portare alla discesa in campo dei migliaia di embrioni congelati che la legge 40 costringe nei freezer al grido di “ricerca=morte, ibernazione=spasso”.
Se lo indicono ci vado.
Alla fine se Berlusconi, Fini, Casini, Formigoni e gli altri possono andare al Family Day, non vedo perchè io non possa stare in piazza a gridare: “Ricercatori criminali giù le mani dalle staminali!”.
Spero sia di Domenica, perchè altrimenti devo lavorare.
Cambiando discorso, ma restando nell’ambito dell’attualità politica, sto seguendo le primarie U.S.A. con discreto interesse. Mi sto illudendo che questa volta i candidati di Repubblicani e Democratici (quali che siano alla fine) possano essere persone con idee e programmi differenti.
Mi schiero subito: io tifo Obama.
Il motivo principale è che non vedo l’ora di leggere le milioni di vignette tipo “Obama vs. Osama” che lo vedrebbero protagonista in caso di elezione alla Casa Bianca. In secondo luogo credo che gli americani si meritino un presidente nero e mussulmano molto più di quanto il povero nero mussulmano si meriti come popolo gli americani. Infine, mi pare sia giovane, capace e abbastanza motivato a cambiare le cose. Stiamo in fin dei conti parlando di una persona che dopo il primo, secondo molti non indicativo successo nell’Iowa ha dichiarato: “Il tempo del cambiamento è arrivato: sarò il presidente che riporterà a casa i soldati dall’Iraq, che garantirà la sanità a tutti gli americani e metterà fine ai regali fiscali alle grandi multinazionali”.
Ok, non vincerà mai.
Però è bello sperare che ce la faccia, che mantenga la parola e che, soprattutto, non gli sparino durante qualche parata.
Ok, direi di chiudere con le notizie frivole e passare alla vera patata bollente.
Ciò riguardo cui è impossibile tacere.
La rivoluzione.
I Finley saranno tra i Big a S.Remo.
Questo evento è storico ed io l’avevo predetto in tempi non sospetti, quando uscì “Tutto è possibile” (il singolo), nessuno ancora li conosceva ed io scoprii che erano nelle mani di Cecchetto. Allora dissi: “Tempo un paio d’anni e vanno a S.Remo”. Ce ne hanno messi tre, ma mi reputo soddisfatto.
Musicalmente parlando non ho una posizioneriguardo ai Finley. Non li ascolto, ma non mi irritano. Diciamo che all’interno del festival di S.Remo probabilmente la loro canzone sarà quella che mi piacerà di più, ma per ovvi motivi di concorrenza inesistente. Per i gusti musicali che ho avessi 10 anni di meno magari mi piacerebbero pure. Cantassero in inglese magari di anni indietro ne basterebbero 5, non essendo costretto a comprendere i testi.
Chissà.
Comunque sia spero vincano perchè mi stanno simpatici.
E perchè per la prima volta arriva sul palco dell’Ariston qualcosa le cui radici, per quanto lontane, non sono così diverse dalle mie.
Il mio sogno perverso però rimane un’edizione di S.Remo vinta dai Derozer.
E presentata dal Paletta.

Spero di non passare per chi strumentalizza la cosa

Spenderò due parole riguardo quanto accaduto oggi.
Parto da quanto so della vicenda: una decina di tifosi di Lazio e Juve si son presi a sberle fuori da un autogril. A rissa conclusa, mentre entrambe le auto erano intente ad andarsene, un poliziotto ha sparato per intimare l’alt colpendo alla nuca uno ragazzo di ventotto anni. Uccidendolo.
Diversi aspetti di questa faccenda mi hanno dato molto fastidio e cercherò di analizzarli brevemente.
Il primo. Come si fa a dire che un colpo che entra nella nuca di un ragazzo seduto in macchina, altezza più o meno 1,5 m, è stato sparato in aria ed è accidentalmente finito in testa al ragazzo? Io non discuto che il poliziotto non avesse alcuna intenzione di uccidere nessuno. Non conosco l’individuo, ma voglio sperare di avere ragione in merito. Tuttavia credo sia doveroso per le autorità riconoscere che c’è stato un errore. Un errore particolarmente grave visto che è costato la vita ad un ragazzo di 28 anni. Un errore ancora più grave se considerato che, vista la distanza da cui è stato sparato il proiettile e la posizione di chi ha fatto fuoco, quel colpo avrebbe potuto ammazzare chiunque si fosse trovato sulla traiettoria lungo le sei corsie dell’autostrada alle nove di questa mattina.
Solitamente quando cose di questo tipo succedono la mia vena anti-istituzionale viene fuori pesantemente, ma in questo caso cercherò di mantenere bassi i toni.
Statisticamente trovo assai improbabile che tra le forze dell’ordine non ci siano dipendenti capaci di commettere errori. Gli errori si fanno, li facciamo tutti sul lavoro. Il problema è che in certi lavori gli errori costano più che in altri. Io non ho nulla di personale contro l’ufficiale che questa mattina ad Arezzo ha sparato, tuttavia mi sembra corretto che si riconosca il suo errore e che si prendano provvedimenti. Invece l’approccio sistematico è quello garantista, che puntualmente sfocia in giustificazioni ridicole capaci solo di far perdere ulteriormente credibilità a chi le formula.
E questo mi porta alla seconda questione. E’ noto che il tifo organizzato non sia prettamente composto da ammiratori della divisa. Per quanto ritengo che troppo spesso gli ultras vengano demonizzati devo a mia volta riconoscere che la loro condotta è spesso ingiustificabile. Oltretutto non stiamo nemmeno parlando di gruppi predisposti al dialogo e alla comprensione. Allora mi chiedo: che senso ha raccontar loro fregnacce a cui non crederebbe nemmeno un bambino e soprattutto, aspettarsi che se le bevano senza le dovute, per quanto esagerate, rimostranze?
Mesi fa un cretino ha ammazzato un poliziotto a Catania. Campionato fermo per chissà quanto tempo, fiumi di parole contro la figura del tifoso in generale, sproloqui giornalistici atti solo a marciare sopra la questione e via dicendo. Tra tutte queste cose insulse però qualcosa di giusto c’era stato: condanna del cretino e cordoglio per la vittima.
A non troppi mesi da questa questione, dopo che negli stadi hanno iniziato ad attuarsi norme severissime per il controllo della violenza (ed era ora), capita che un poliziotto spari ad un tifoso e che questo muoia. Non è forse legittimo chiedere quantomeno che si manifesti il medesimo cordoglio? Non che fermare le partite sia utile a qualcosa dopo quanto successo, ma perlomeno sarebbe stato un segnale del fatto che la morte violenta di un ragazzo di 28 anni è deprecabile anche se non indossa una divisa.
Evidentemente non è così, non per tutti almeno.
Tutto questo per dire che, per quanto non trovi giusto il modo, l’intento dei tifosi di fermare il calcio oggi gode di tutto il mio appoggio.
Così come trovo sacrosanto che venga chiesta giustizia per questo tragico errore.
A giudicare da quanto sto sentendo da tutti i telegiornali però il discorso sta prendendo una brutta piega.
Alla fine infatti, si parla pur sempre di gente che stava facendo una rissa.

Giuro che parto per Roma ed è la volta buona che mi arrestano

C’è da allarmarsi.
Io non sono mai stato un attivista, non sono mai sceso in piazza salvo in rari casi e comunque tanti anni fa. Ora però sono disposto ad armarmi di bulloni e partire per Roma.
Il dodici ottobre, con l’unanimità del consiglio dei Ministri, è stato approvato questo disegno di legge.
Una normativa volta a rimuovere dalla rete la gran parte dei siti personali e dei blog, come spiegato in questo articolo di Repubblica. Il succo è che per qualunque sito personale di informazione saranno necessari l’iscrizione al ROC, il pagamento di un bollo, la produzione di carte e certificati pur se il sito in questione sia privo di qualsivoglia fine di lucro.
Pur essendo già questo sufficiente a demolire le possibilità e le aspirazioni del 90% dei ragazzi che scelgono, come il sottoscritto, di aprire un sito in cui parlano del mondo visto con i loro occhi, la coppia Levi-Prodi fa di più ed impone che questi siti abbiano un direttore responsabile appartenente ad una casa editrice ed iscritto all’albo dei giornalisti.
Di tutti i blog che leggo quotidiananmente non ne sopravviverebbe nessuno.
Nessuno.
Non è ancora finita.
Se anche riuscissi a rientrare nelle restrizioni elencate (non so come) il contenuto del mio blog potrebbe risultare non conforme agli standard per quelli che vengono definiti come “contenuti diffamatori” ed io sare passabile di provvedimenti come previsto dagli articoli 57 e 57 bis del codice penale.
CO-DI-CE PE-NA-LE.
Sebbene nessun giornale o telegiornale parli di questa cosa (e come potrebbero, con tutto quello che c’è da sviscerare su Garlasco e sul rilascio della Franzoni?) fortunatamente in rete esistono ancora modi validi per informarsi.
Io devo ringraziare Dietnam e Bazzu che hanno citato questa cosa sui loro siti personali, così come devo ringraziare Beppe Grillo visto che tramite il suo blog ho ottenuto le informazioni necessarie per informarmi sulla vicenda.
Nella precededente frase in realtà credo siano ben chiari i due principali motivi che hanno spinto i nostri esimii ministri a votare questo decreto: internet è l’unica fonte di informazione loro malgrado non manovrabile e Beppe Grillo necessita di essere represso.
A quelle menti eccelse sfuggono però alcuni particolari.
Il primo è che se c’è qualcuno che non verrà certo leso dal provvedimento è proprio il comico genovese. Come lui stesso dice sul suo blog, Grillo non avrà certo problemi a trasferire il tutto in qualche altro stato. Ad eccezione di Cina, Birmania e forse altri due o tre posti, credo non farà fatica ad individuare una nazione meno liberticida della nostra. Lui continuerà come nulla fosse nella sua opera ed anzi avrà un ulteriore argomento da utilizzare per infierire su chi ci governa.
Lui può, perchè è potente.
A prenderla in culo saremo come al solito noi poveracci: ragazzi e ragazze che scrivono le loro vite on-line per motivi che a chi ha scritto questa legge non passano nemmeno per la testa.
Altra cosa che il signor Levi forse non considera è che con questo provvedimento otterrà esattamente l’opposto di ciò che sono i suoi intenti. Se mai questo decreto si tramutasse in legge aiuterà Grillo ad accumulare ancora più consensi e la prova è che io stesso, che mai ho nutrito simpatia nei suoi confronti, inizierei ad aderire alle sue iniziative contro questa nefandezza.
E non solo alle sue.
A tutte quelle di cui verrò a conoscenza e che secondo me potranno portare a cambiare le cose.
Tanto per cominciare quindi, ho inviato una e-mail al sottosegretario.
Non mi aspetto certo che la legga, ma mandargliela è un mio diritto e mi fa piacere poter pensare di non essere stato indifferente di fronte alla cosa.
L’indirizzo a cui ho spedito è questo: levi_r@camera.it.
Avrei voluto riportare qui il testo della lettera, ma appesantirebbe molto il post. Il file word però si può leggere clikkando qui.
Ora non resta che attendere quello che Camera e Senato stabiliranno in merito. La speranza è che la risicatissima maggioranza non sia sufficiente a far passare il decreto, tuttavia credo che in casi come questo non avranno problemi a prendere consensi anche dall’altra parte.
Tutti d’accordo quando c’è da reprimere.
Ultimamente scrivo troppo spesso di cose che non vanno nella società in cui vivo.

Nonostante tutto, oggi indosso una maglietta rossa.

Sto trascurando il blog.
Lo so.
La causa di questa latitanza, paradossalmente, è il blog stesso, ma questa non può e non vuole essere una giustificazione.
Per questo oggi mi ero già messo nell’ottica di scrivere due righe.
Dopo un’attenta analisi mi ero convinto della necessità, anche solo personale, di dare maggiore risalto alla questione Birmana e quindi avrei scritto volentieri di quello. Sarebbe stato un post abbastanza banale, ricco di domande tipo: “Come mai se non c’è di mezzo il petrolio o comunque una qualche possibilità di lucro, diventa così di scarso interesse esportare la democrazia?”, tutta roba che, per quanto vera e saccrosanta, è decisamente poco stimolante da scrivere, leggere ed eventualmente commentare.
Mi fa male sapere che nel mondo ci siano situazioni così tragiche, mi fa stare ancora peggio sapere che nessuno è intenzionato ad alzare un dito a riguardo e addirittura rabbrividisco all’idea che nonostante il continuare incessante dei morti in loco, la notizia slitterà pian piano dalla prima, alla terza, alla quinta, ad un trafiletto in ultima pagina.
Come pensavo, ho scritto una serie di ovvietà ed il fatto che siano tali non mi fa certo stare meglio, visto che nulla sembra in procinto di cambiare.
Meglio parlare d’altro e ad aiutarmi nella scelta di un nuovo argomento è intervenuta questa mattina “La Repubblica”.
Oggi il quotidiano riportava un’inchiesta di Curzio Maltese sui costi del Vaticano per i cittadini italiani. A differenza della questione Birmana, questo problema secondo me è un po’ meno scontato da affrontare, per diversi motivi:
1 – E’ una questione più vicina a chi mi legge e quindi probabilmente più interessante (altra triste ovvietà).
2 – E’ un problema di cui non si parla molto in giro.
3 – E’ qualcosa su cui forse è possibile intervenire.
Riporto l’articolo per intero, così da non attuare anche involontarie interpretazioni erronee.
Buona lettura.

L’otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro

I conti della Chiesa
ecco quanto ci costa

“Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati”. Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l’arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall’arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel “ventennio Ruini”, segretario dall’86 e presidente dal ’91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all’interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI.
Le ragioni dell’ascesa di Ruini sono legate all’intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un’altra chiave per leggerne la parabola si chiama “otto per mille”. Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all’anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.

Dall’otto per mille, la voce più nota, parte l’inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il “prezzo della casta” è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all’anno. “Una mezza finanziaria” per “far mangiare il ceto politico”. “L’equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all’anno”.

Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all’ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.

Per la par condicio bisognerebbe adottare al “costo della Chiesa” la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.

Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione (“Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire”, nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per “aiuti di Stato”. L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime “non di mercato” dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno, più qualche decina di milioni.

La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il “costo della democrazia”, magari con migliori risultati.

Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell’otto per mille sull’Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all’epoca “di sinistra” come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce “otto per mille” ma grazie al 35 per cento che indica “Chiesa cattolica” fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.

Ma pur considerando il meccanismo “facilitante” dell’otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio “ritorno sociale”. Una mezza finanziaria, d’accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l’impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma “quanto” veri?

Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull’otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all’estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all’autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come “esigenze di culto”, “spese di catechesi”, attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l’altro paradosso: se al “voto” dell’otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.

Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul “come” le gerarchie vaticane usano il danaro dell’otto per mille “per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa”. Una delle testimonianze migliori è il pamphlet “Chiesa padrona” di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo “L’altra faccia dell’otto per mille”, Beretta osserva: “Chi gestisce i danari dell’otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici”. Continua: “Quale vescovo per esempio – sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale – alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?”. “E infatti – conclude l’autore – i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere…”.

A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di “Chiesa padrona”, rifiutato in blocco dall’editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al “dirigismo” e all’uso “ideologico” dell’otto per mille non è affatto nell’universo dei credenti. Non mancano naturalmente i “vescovi in pensione”, da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: “I vescovi non parlano più, aspettano l’input dai vertici… Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato”. Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte “il dirigismo”, “il centralismo” e “lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa”. Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: “Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono”.

La Chiesa di vent’anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall’egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall’universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di “scoprire” l’antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l’impegno di don Italo Calabrò contro la ‘ndrangheta.
Dopo vent’anni di “cura Ruini” la Chiesa all’apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l’agenda dei media e influisce sull’intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent’anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.

Il clero è vittima dell’illusoria equazione mediatica “visibilità uguale consenso”, come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d’inverarsi la terribile profezia lanciata trent’anni fa da un teologo progressista: “La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo”. Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.

(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

Attenzione: post a sfondo politico

Nel giorno in cui blogger celebra il suo compleanno, ho installato wordpress sul mio host. L’idea di costruirmi un blog in php tutto da solo si è infatti rivelata inattuabile, indi ho optato per il tentativo di forgiarne uno utilizzando qualcosa di già esistente, ma che comunque mi permetta di avere un mio DB in cui racchiudere tutti i post. Il fatto che questo sia avvenuto nel giorno in cui blogger, che tanto mi ha dato in questi anni, compie gli anni è del tutto casuale e, come tutte le coincidenze, non manca di affascinarmi.
Non è però di questo che voglio scrivere.
Da diversi giorni medito di stendere qualche riga riguardo il paese in cui vivo. Domenica sera avevo anche scritto un interminabile post, ma poi ho deciso di eliminarlo perchè giunto in fondo risultavo in disaccordo con me stesso. Problema annoso, quello di essere del mio stesso parere.
Una parte di quello che avevo scritto però la condivido ed è da lì che voglio ripartire oggi.
Il mio paese mi fa abbastanza schifo.
E’ oggettivamente vero che sarei potuto nascere in tanti altri posti in cui le mie condizioni sarebbero potute essere molto peggiori ed è matematicamente corretto pensare che la probabilità che questo potesse avvenire era immensamente più alta che non quella di nascere in un posto migliore. In fin dei conti la mia famiglia non se l’è mai cavata male: entrambi i miei genitori lavoravano, i miei nonni non sono mai stati un peso, abbiamo una casa nostra e ,addirittura, un monolocale mio, io ho potuto studiare e scegliere di peggiorare la mia condizione economica e sociale senza che mi venisse imposto dall’alto, insomma tutto questo per l’80% (sparo, ma non credo di andarci molto lontano) della popolazione mondiale sarebbe un gran lusso ed io non manco di riconoscerlo.
Sono però stufo di autocensurare il disprezzo che covo nei confronti della mia nazione solo in virtù del fatto che sarebbe potuta andarmi peggio.
Oggi, quindi, mi lamento.
Ci sono tantissime cose che potrei dire riguardo a quanto poco il bel paese tenga fede al suo soprannome, ma tutte in fin dei conti riportano allo scenario politico e quindi credo di poter riassumere pagine e pagine di lamentele semplicemente andando al nucleo della questione.
Questo week-end, tra l’altro, mi è stato anche fornito un bel pretesto per tirare fuori l’argomento e, non fosse per l’outing iniziale, questo post potrebbe benissimo passare per una reazione a quanto accaduto: il V-day.
Ho smesso di stimare Grillo anni fa, quando sputava sulle televisioni e prendeva soldi da Striscia la Notizia. Oltre a questa incongruenza di fondo da cui è scaturito il mio disappunto e su cui ammetto di non essermi mai voluto informare realmente, ho deciso di dare al “comico” genovese più credito dopo un discorso tenuto con Lale, Ivan e Theo al ritorno dall’avventura in rafting. Il loro punto di vista sul personaggio non era quello di chi idolatra, ma anzi più simile ad un pensiero del tipo: “capisco che ciò che fa lo fa per i suoi interessi, ma almeno ogni tanto fa qualcosa di buono e quando questo accade, viste le condizioni in cui versiamo, c’è da essere contenti”.
Effettiavamente il discorso ha una sua logica.
Tuttavia io sono un inguaribile romantico e mi piacerebbe che chi dice di muoversi nell’interesse della comunità lo faccesse realmente con quell’obbiettivo e non è certo questo il caso. Oltretutto non riesco mai ad apprezzare chi si schiera dietro a facili populismi nel tentativo di raccogliere consenso. Io, Manq, posso dire cose ovvie e scontate “sicuro” di raccogliere consensi perchè sono privo di potere mediatico o risalto sociale. Per questo posso affermare: “i politici italiani danno il voltastomaco” senza dovermi preoccupare troppo. Se invece volessi pormi alle masse e raccogliere fiducia come una sorta di leader, a quella frase dovrei far seguire un progetto in grado di cambiare le cose. Solo così a mio avviso meriterei di essere ascoltato. Grillo questo non l’ha mai fatto e perfino in quest’ultima trovata, che potrebbe indurre a pensare il contrario, mancano idee reali e concrete. Quello che penso del V-Day infatti è quanto ha scritto in merito Daniele Luttazzi sul suo blog, con una sola aggiunta: non aderirei a priori ad una manifestazione che si chiama “vaffanculo-day” perchè, sebbene non sia contrario all’utilizzo delle volgarità, a mio parere un nome del genere priva immediatamente di credibilità qualunque progetto.
Ciò che nonostante tutto colpisce di questa faccenda è l’esigenza della gente di dare retta a qualcuno che non sia parte della classe politica di oggi. Questo secondo me è un segnale da non sottovalutare.
Analiziamo la situazione. Io ho ventisei anni e credo di potermi definire “di sinistra” nella concezione più tradizionale del termine. Non vivo nell’anacronismo che caratterizza i “comunisti” del nostro paese, ma non sono nemmeno moderato al punto di poter avere qualcosa da spartire con Rutelli (o Mastella, o Follini, o… oh mio Dio!). Sono idealista e per quanto so che quello che ritengo giusto sia inattuabile, non smetto di crederci, perchè a renderlo utopico è la società in cui vivo ed in cuor mio penso ancora che la società si possa cambiare. Sono laico e convinto che anche lo Stato debba esserlo, senza tuttavia sentire la necessità di fare guerra a chi è religioso se non attacca lui per primo (d’altra parte “porgi l’altra guancia” è il loro motto, non il mio). Amo la libertà conscio del male che questa, se parziale, possa fare all’uomo che capisce di non averne pieno accesso.
Non penso che in Italia siano molti a pensarla come me, eppure credo che qualcuno ci sia. Per tanti o pochi che siamo il quesito è semplice: chi ci rappresenta?
Già faticavo ad individuare nel panorama politico del mio paese una realtà in cui potermi identificare alle ultime elezioni, ma sono sempre andato convinto che almeno far perdere Berlusconi potesse essere un’ottima ragione per votare dall’altra parte. Con la nascita del Partito Democratico però, l’altra parte diventa insostenibile. Un conto è votare DS conscio che dovranno governare alleandosi con entità di dubbio gusto quali Margherita, Udeur e sti cazzi. Un conto è votare per un conglomerato di cui Udeur, Margherita e sti cazzi fanno parte integrante. Sarebbe come votare per loro.
E’ votare per loro.
Io per loro non voterò mai.
E allora cosa faccio? Credo nell’andare a votare e non sarò mai quello che diserta dall’esercitare il suo diritto/dovere. Non accetto nemmeno l’idea che il mio voto venga dato a qualcuno “d’ufficio” e quindi non potrei mai votare scheda bianca.
Attualmente credo annullerei la scheda, ma spero di non dover prendere questa decisione.
Spero che qualcuno prenda coscienza del fatto che la gente è stufa di non contare nulla e si getti al seguito del demagogo di turno, capace di raccogliere le forze in piazza, instaurare una sana e duratura dittatura ed imporsi sulle genti.
Ci vorrebbe uno come il Duce, magari con amici migliori.
Quantomeno potei lamentarmene dalla mattina alla sera conscio di non averlo mandato io al potere e quindi senza sentirmi responsabile.
Forse no, non potrei lamentarmene dalla mattina alla sera senza subire spiacevoli conseguenze.
Effettivamente serve qualcuno diverso dal Duce.
E diverso da Grillo.
E diverso da Bossi, da Veltroni o dal Silvio.
Serve uno diverso da tutti.
Forse è meglio che inizi a cercare un modo creativo per annullare la scheda.