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Musica

Il 2021 di Manq

Allora, com’è stato alla fine questo 2021, arrivato coi favori del pronostico con lo scopo di tirarci fuori dal mai sufficientemente vituperato 2020?
Probabilmente sotto le aspettive un po’ per tutti, ma non ne farei un demerito particolare. Di massima ha sofferto dello stesso hype nocivo che buttiamo addosso ai fine settimana da tutta una vita. Chiamati a redimere cinque infiniti giorni di routine lavorativa, immancabilmente si concludono lasciandoci già intenti a proiettare la favola sul weekend successivo, come peraltro già teorizzato dal Profeta della mia generazione.
Andandoci a guardare dentro però, questo 2021 è stato un anno che si può definire buono, per chi scrive. Il COVID è rimasto dov’era, ma chi ha voluto ha potuto usufruire di strumenti indispensabili a conviverci meglio e abbassare l’ansia che ormai portavamo a braccetto da troppo tempo. Si è tornati a stare insieme, ad uscire di casa e per quanto mi riguarda soprattutto a viaggiare, che come sa bene chi mi conosce è grossomodo l’unico motivo oltre il sostentamento che mi porti ad alzarmi dal letto la mattina per andare al lavoro.
Purtroppo, per una serie sempre diversa di circostanze di cui spesso sono il primo responsabile, anche il 2021 si è chiuso senza un concerto in presenza. Nei primi mesi dell’anno ne ho visti diversi in streaming, ma era una roba che potevo aspettarmi non sarebbe durata, mentre tutta la fase dei live distanziati e seduti l’ho proprio evitata per repulsione, pur sapendo sarebbe stato importante partecipare oltre il mio effettivo piacere personale. È una cosa che mi rimprovero, ma che in sincerità probabilmente rifarei pari pari dovesse, dio non voglia, ricapitare.
Il 2021 ha dimostrato inequivocabilmente che non ne siamo usciti migliori e a voler essere pignoli che non ne siamo usciti affatto, ma riconosco che il mio livello di imbruttimento stia pian piano migliorando, a piccoli passi, quindi bene così. Probabilmente i “quaranta in quarantena” sono un mix letale per l’umore e la stabilità mentale di chiunque, ma tutto sommato ho tenuto botta. Dormo quasi sempre, sono un po’ meno apatico e ho ripreso a fare piani per il futuro (che poi stringi stringi sempre ai viaggi si torna).
Forse mi ha aiutato anche mettermi in gioco in due cose che da quindici anni almeno, non esagero, davo per rimpianti definitivi in quanto “troppo vecchio per queste stronzate”. La prima è il brevetto PADI, che senza la spintarella di mia moglie non avrei probabilmente mai preso, la seconda è salire su uno skate e provare a non uccidermici, ma anche a vivermela senza sentirmi uno in piena crisi di mezza età. Ho elaborato questa forma mentis per cui non sia importante sentirmi ancora giovane, so di non esserlo, ma smetterla di pensare che questo precluda per forza delle esperienze che mi va di vivere. Magari è così, magari no, ma l’importante è capirlo provandoci invece di farcisi dei film sopra e tenersi il rimpianto. Anche nelle piccole cose.
Va beh, non voglio finire a fare un post che potrebbe scrivere il mental coach di Bonucci, fermiamoci qui.
Non ho manco ascoltato abbastanza dischi da fare una classifica di fine anno, quello che è indubbiamente il disco del mio 2021 è uscito nel 2006 e ci sono arrivato con 15 anni di ritardo (ma è una storia che dovrebbe uscire su Spento in questi giorni, quindi non faccio spoiler). Però credo che il disco più bello di quest’anno, uscito effettivamente quest’anno, sia quello dei Deafheaven, nonostante tutti i motivi che avrei per odiarlo: dal suo essere essenzialmente una trollata gigante, al suo avere 9 tracce in totale, ma con l’unica strumentale non esattamente a metà nella tracklist. Però è proprio bello, quindi in qualche modo glielo si perdona.

Bon, direi che possiamo chiuderla qui e rimandarci a cosa porterà il 2022. Vedo tutti intenti a sperare nel meglio, io firmerei perché andasse uguale.

Cose più grandi di X Factor

Stasera sarei dovuto uscire, ma sono rimasto a casa e così mi sono visto X Factor, per tutti #XF2021 (si farebbe davvero molto prima a chiamarlo direttamente così.).
Non lo guardavo da anni e sarei andato volentierissimo avanti così, non fosse che quest’anno in gara c’è un gruppo che mi piace. Non che ho sentito nominare eh, proprio di quelli di cui ho i dischi sulla mensola e la maglietta nel cassetto.
Le Endrigo.
È una sensazione strana quando sei uno come me, inteso coi gusti musicali che ho io, e ti ritrovi qualcosa di “tuo” su un palco del genere. Tipo un disturbo nella forza, una vibrazione dei sensi da ragno o la prima volta che vedi una ragazza stupenda e di istinto pensi: “Avrà si e no vent’anni”, ma non come fosse un plus. Nel profondo delle budella senti che c’è qualcosa di sbagliato, ma non sai cosa sia e, dubbio atroce, potresti essere tu.
Quando ho saputo della loro partecipazione alle selezioni da un lato ero felice (lo sono ancora, ho pure scaricato la app del programma per votarli), ma dall’altro continuavo a pensare sarebbero stati segati alla prima occasione. Figurati se passano i bootcamp con quella versione urticante di Lamette. Ok, ma di certo Emma non li porta ai live dai. Nulla contro Emma Marrone eh, ho tanti amici Emma Marrone, però i commenti che le ho sentito fare per giustificare il continuo portare avanti i nostri mi son suonati sempre autentici come una moneta da 3 euro e quindi non ci ho mai creduto davvero.
#Einvece.
Questa sera Le Endrigo hanno partecipato al primo live del programma e non sono nemmeno risultati tra i meno votati.

Non poteva essere vero.
E infatti i nodi alla fine vengono sempre al pettine e così sono bastati i primi responsi dei giudici a farmi capire di essere sempre stato nel giusto.
Bene Mika che “vi manca la fiamma”, benissimo Manuelito che “il pezzo è furbo e paraculo, un po’ come il punk” snocciolato neanche un’ora dopo aver mandato sul palco un cosplayer offensivo e grottesco annunciandolo come Zach dela Rocha, ma il capolavoro, il verdetto che mi ha purificato da ogni dubbio e da ogni senso di colpa è certamente quello di Manuel Agnelli.
“Paracul rock”
“Non è Waiting Room dei Fugazi”
“Non è punk, è punk pop, sappiatelo”.
SAPPIATELO.
Su Agnelli che fa punksplaining sono proprio decollato.
Che poi davvero vogliamo definire paraculo un gruppo che ha come manifesto il tema portante del programma? Cioè possiamo parlarne, ma cosa ci direbbe questa cosa dello stesso Xfactor?

Non è tutto.
Che Cose più grandi di te non sia per niente un inedito, quantomeno nella definizione che ho io di inedito, è un segreto di pulcinella, sta nel disco con cui il gruppo si è battezzato come Le Endrigo, ma la versione di Xfactor è molto diversa: 40% più corta e, di fatto, costituita unicamente di due gag iniziali ben scritte e due ritornelli killer in rapida successione (fact checking). Una sorta di bigino del pezzo originale. Esattamente come il bigino di Kant al liceo sarebbe dovuto servire allo scopo di far capire il Filosofo ad uno con evidenti limiti di comprensione per la materia come il sottoscritto, questa versione 2.0 del pezzo dovrebbe servire a far assimilare il prodotto ad un pubblico che non ha gli strumenti per comprendere l’originale.
Io nel compito in classe su Kant presi 4, vediamo come andrà ai novelli fan de Le Endrigo.
Per quel che mi riguarda sono comunque sereno perché la migliore band death metal mai esistita in tutta Brescia sopravviverà alle vostre nostre cazzate (cit.).

Prossimi concerti: una chiacchierata con Valeria

Oggi, 10 Ottobre 2021 per chi leggesse in differita, è il giorno della riapertura dei concerti. Sono passati infatti ormai quasi due anni da quando il Covid19 ha ribaltato le vite e la società in cui viviamo e una delle vittime più martoriate è stata la musica dal vivo.
Da qualche settimana rimugino sull’argomento in vari modi, ma alla fine ho pensato che il prodotto della mia tastiera sarebbe al più potuta essere una spataffiata livorosa e inutile che avrebbe tirato in mezzo gli stadi e i comizi di Conte, ma che di fatto avrebbe aggiunto zero al dibattito poichè farina del sacco di uno che ai concerti, al massimo, ci va quando riesce a piazzare i figli da qualche parte. Ho quindi pensato fosse più interessante fare qualche domanda a chi coi concerti ci lavora e nella musica dal vivo ci sbatte tutto il proprio sangue, così ho scritto alla Vale facendole un paio di domande.
Valeria, per chi non la conoscesse, lavora per il Bloom e scrive per Bossy e per Awand. Da sempre dentro al mondo di chi mette la musica su un palco con delle persone davanti, ora è una delle teste dietro a Tutto il nostro sangue, una roba bellissima che dovreste supportare tutti e che mi ha permesso qualche riga fa di fare quella gag oscena.
Come sempre su questo blog, io faccio domande farcite di illazioni e chi mi risponde mi spiega con pazienza come stiano davvero le cose, resistendo alla necessità di mandarmi a cagare.
Nello specifico, la parte interessante è quella in cui lei risponde in corsivo.
Buona lettura.

Iniziamo dalla fine, dall’ultimo concerto. Il mio è stato nel 2019 e a memoria potresti averlo organizzato tu. In questi quasi due anni ho pagato per vedere roba in streaming, ma non sono riuscito più a vedere qualcuno su un palco, prima perchè non mi ci sentivo al sicuro e ora perchè i concerti seduti vanno oltre la mia comprensione. A marzo 2020 invece c’è stato l’#UltimoConcerto, quello con l’hashtag, l’iniziativa messa insieme da un numero consistente di addetti ai lavori e che si poneva lo scopo di dare un segnale a tutti riguardo al momento terribile che la musica live sta(va) passando nel nostro Paese. L’iniziativa fu recepita in modo divisivo e io stesso non ero del tutto convinto si fosse scelta la strada giusta, sempre che una strada giusta esista. Sto solo facendo un mini riassunto, non voglio tornare sulla polemica che ne era scaturita, ma se vuoi commentare quella fai pure. Quello da cui mi interessa partire è che dopo quell’#UltimoConcerto si è parlato del #ProssimoConcerto, con interpellanze parlamentari, DDL mirati e comunicati ministeriali che sembravano indicare qualcosa si fosse mosso davvero, che con quell’iniziativa aveste in qualche modo dato una spallata alla questione. Sei mesi dopo, la prima domanda non può che essere: come procede? Si è davvero mosso qualcosa, diradato il polverone di marzo?

Dietro a quella che è stata un’iniziativa plateale, vista, seguita, giudicata, c’è una macchina che anche a camere spente si è mossa e ha continuato a muoversi perché le cose cambiassero, e cambino, non solo nell’ambito pandemia, ma più in generale perché il settore spettacolo trovi un riconoscimento e una tutela fino ad oggi mancanti.
Ultimo concerto non era una festa, non era pensato per esserlo e già il titolo dell’iniziativa a mio avviso parla da sé. Mi sconcerta il livore che ha scatenato, come non sia affatto chiaro cosa ci sia dietro ai ‘’nostri artisti che ci fanno tanto divertire e appassionare”, e di come le provocazioni, le rotture e le proteste le capiamo e abbracciamo solo quando ci piacciono (o ci fa comodo?). Comunque ha centrato l’obiettivo, smuovere.
Come mi sconcerta chi non vuole suonare davanti alle persone sedute o non vuole andare ai concerti con le sedie. Tutto condivisibile, per carità, ma ci sta un punto: se non si supportano i posti che sono in ginocchio e se sono sopravvissuti hanno perseguito la loro missione di centro culturale rispettando le regole e stando alle capienze imposte, questi posti poi chiudono, non stanno in piedi.

Se i primi a non supportare, a non turarsi il naso per le modalità non proprio entusiasmanti (in primis per gli organizzatori, neh) in cui si sono potuti realizzare i concerti sono quelli che hanno per mesi hanno hashtaggato #mimanchicomeunconcerto, di cosa stiamo parlando?
Da lunedì si torna capienza 100%, non sembra vero, dopo tutto questo tempo, ma lo è.

Il discorso che fai ci sta tutto, supportare è la base ed è normale sensibilizzare tutti a fare la propria parte. Ho però l’impressione che da dentro si viva la musica e il mondo che le gira intorno con una consapevolezza ed un’etica che spesso è ingenuo attribuire anche al “consumatore”. Probabilmente, in tantissimi casi, chi va ad un concerto non ha idea di quel che ci sia dietro e non sono convinto stia lì il problema di fondo. Un po’ come posso sensibilizzare al consumo equo e solidale, ma nei fatti la politica che determina le condizioni del lavoro vola ad un’altezza diversa rispetto alla superficialità di chi compra il caffè senza stare troppo a ragionare se il prezzo dello scaffale permetta o meno a chi lo coltiva una condizione lavorativa umana. Un conto è far passare la consapevolezza al consumatore, un conto e dargli dello stronzo.
Ad ogni modo, la bella notizia è che si torni a capienza piena ed è davvero una vittoria a questo punto.
La domanda che ti faccio quindi è: quanto è compromessa la situazione? L’impressione che mi sono fatto da fuori è che le vittime sono state tante e che anche il futuro sarà complicato, con tanti tour internazionali che salteranno l’Italia forse (dimmelo tu) anche a causa dell’averci messo troppo a dare garanzie su quel che si potrà fare qui da noi questo autunno e nel prossimo anno. Tu come lo vedi il prossimo futuro dei concerti in Italia?

Assolutamente, chi non conosce una minima di dinamiche del settore fa fatica a considerare la musica come un lavoro e tutto quanto sta dietro a una band che suona sul palco, e di conseguenza giustamente come funzionano le cose. Però, anche vero, che a tutti i livelli, in questi due anni di pandemia tramite social non sono mancate/i addette/i ai lavori che hanno cercato di spiegare il problema per propria voce o tramite organizzazioni di settore. Lungi da chiunque dare dello stronzo a chi non conosce/non comprende le dinamiche o semplicemente non gliene frega nulla, è una considerazione diversa, più che incattivata, estremamente sconsolata: mesi su mesi di lockdown a leggere #mimanchicomeunconcerto, condivisioni di post nostalgici alla vita di prima, alle cose non si potevano fare, alla musica dal vivo mancante, commiati per i locali che hanno chiuso… e poi, quando si può riprendere, in una condizione preclusiva e penalizzante sia per chi va a vedere, ma anche per chi mette a disposizione il concertame, ci si tira indietro, storcendo il naso. Quindi non è che #mimanchicomeunconcerto, è #mimanchicomeunconcertovistoegodutocomevoglioaltrimentinientedaiaccendonetflixestosedutomasuldivano.
Quello del 10 Ottobre è un piccolo passo, sicuramente bello, ma ribadisco piccolo: tenendo i posti seduti come parrebbe ad oggi (10/10/21), per il settore è ancora tosta, non è un ritorno alla “normalità”. Che il settore musica dal vivo non stesse bene già si sapeva, anche prima del covid-19 che però ha sicuramente inflitto un’ulteriore batosta. E’ anche vero che credo ci si stia proiettando, seppur lentamente, ad un ritorno alle modalità di fruizione della musica dal vivo nelle modalità che conosciamo. La speranza è che si possa nei prossimi mesi tornare a vedere i concerti in piedi e che non saltino più date che già sono a volte al secondo rischedule.

Leggendo la tua risposta deduco si riapra al 100%, ma coi posti a sedere e questa mi pare l’ennesima presa in giro, quindi volevo chiudere con l’ultima domanda. Uscendo dalla questione riaperture, mi pare che le misure di sostegno al settore negli ultimi due anni siano state poche e del tutto insufficienti. Puoi dirmi cosa è stato fatto (se è stato fatto qualcosa) nel concreto per provare a dare una mano al mondo della musica dal vivo da parte delle istituzioni?

Sì, lo Stato qualcosa ha stanziato, non abbastanza, non tutti ne hanno goduto allo stesso modo e altrove – es. in Germania – è stato fatto certamente di meglio.
Parallelamente bisogna ricordare che le venue non sono rimaste con le mani in mano ad aspettare le misure governative, alcune hanno avviato campagne fondi, tante si sono inventate e reinventate per garantirsi il sostentamento e sono state attivate iniziative come scena unita, ideate per rispondere alla situazione emergenziale.
Consiglio vivamente, per informarsi non solo sui numeri specifici dei soldi stanziati e delle misure adottate nel corso del tempo e in modo preciso, ma anche per approfondire tutto quello che è successo in questi ormai due anni in termini di azioni governative e di richieste per la tutela, la ripartenza e la possibilità di garantire per il futuro maggiori riconoscimenti per il settore, di consultare la sezione Iniziative e News | KeepOn Live, il sito dell’associazione di categoria live club e festival italiani.

Canzoni che amo di gruppi che odio

Qui è essenzialmente dove butto mezzo pomeriggio in cui dovrei assolutamente lavorare, incasinandomi con ogni probabilità il weekend, per scrivere un post e fare una playlist.
I dettagli però li vediamo dopo, adesso è necessario vi leggiate questa cosa qui.

La musica nella mia vita è sempre stata l’elemento di autodeterminazione principale, quello attraverso cui tiravo le righe dei confini che via via ho utilizzato per definire me stesso e il resto. A quarant’anni non ne farei proprio una questione di Bene e Male, ma mentirei se dicessi che è sempre stato così. C’è stato un tempo in cui la musica era questione di appartenenza non tanto ad una scena o a qualche struttura sociale (dieci anni abbondanti ad andare a concerti a cui presenziavano sempre le stesse cento facce, ma senza mai nemmeno provare a parlare con qualcuno non sono decisamente il CV di uno che vive la scena), ma più all’immaginario di quello che avrei voluto essere, o sembrare di. In un processo di questo tipo, l’odio è lo strumento principale che un ragazzino può usare per delimitare i confini, perchè senza un antagonismo sincero verso ciò che sta fuori dal proprio recinto, quel recinto diventa sfumato e si finisce per non avere più idea di chi si è e di chi non si voglia diventare.
Probabilmente la musica non è l’unico strumento che permette questo processo di crescita, ma io non ne ho avuti altri e forse per questo quando sento ragazzini vestiti tutti uguale passare con noncuranza da un pezzo trap ai Maneskin al grido di “mi piace tutta la musica”, mi prende una paura fottuta e sento la necessità di abbracciare i miei figli e dire loro che andrà tutto bene. “Ok boomer” è una possibile risposta a questa mia spataffiata, ma è una risposta sbagliata.
Alla fine però, per quanto solida sia l’armatura che ci siamo incollati addosso, se si è quel tipo di persona che può stare in una macchina mentre gira un disco che non ha scelto lui senza per forza doverlo coprire con le parole o che spaccherebbe il dito dell’amic* che schiaccia skip a metà di un pezzo nonostante il pezzo in questione sia una merda inqualificabile, allora c’è e ci sarà sempre un tallone d’Achille. Un minuscolo spazio indifeso in cui le canzoni belle si insinuano e si fanno spazio fino al cervello, arroccandocisi dentro per non uscirne mai più. Nella mia vita ho odiato tantissimi gruppi, alcuni da subito, alcuni in corso d’opera. Difficilmente ne ho riqualificati dopo averli odiati, magari pensandoci qualcosa in mente mi verrebbe anche, ma diciamo che non farebbe statistica. Il marchio dell’infamia è una strada a senso unico. La maggior parte di questi gruppi ai miei occhi ha prodotto solo merda e, anche se è indubbio che potrei approfondire e verificare se sia vero anche oggi, non mi sento particolarmente in difetto nel dire: “Anche no” e tenermi la mia opinione. Eppure ci sono pochi infamissimi elementi che quel varco l’hanno trovato e sono riusciti ad infilarci un pezzo, maledetti loro.
Questo post e questa playlist parlano di loro.

Ci sono tante ragioni per odiare un gruppo e radicalizzare il proprio gusto musicale e nel fare questa playlist credo di aver elencato una dozzina di gruppi che odio per ragioni molto diverse tra loro. La cosa più difficile da ammettere è quanto suoni bene questa oretta di musica.
Fa quasi incazzare.
Ora devo resistere alla tentazione di fare il Nolan delle playlist, quindi chiudo il post senza andare nel didascalico e spiegare le ragioni delle scelte, anche se l’idea che qualcuno possa chiedersi cos’ho mai contro, che cazzo ne so, i Black Eyed Peas mi dilania dentro. Nel caso remoto qualcuno fosse arrivato fin qui a leggere e avesse il dubbio, per favore, me lo dica.

Insistimooos

Battere la Spagna non è come battere la Francia, tantomeno la Germania, eppure c’è una ragione cristallina per gioire di questo risultato.
Più della loro superiorita autoreferenziale, più del guardiolismo, del tiki-taka e del falso nueve, persino più dei tormentoni estivi e degli annessi bailamos e, vi giuro, più della casa di carta.
La ragione giusta per esultare come un forsennato quando Jorginho ha tirato quel rigore pornografico alle spalle del loro portiere è una sola.
Gli Ska-p. 

Essere giovani fa schifo se sei giovane. E manco per forza.

Su Netflix c’è questa serie che si chiama Summertime. Racconta l’estate di un gruppo di adolescenti in riviera tra storyline senza la minima credibilità, una recitazione per lunghi tratti raccapricciante e una colonna sonora da volersi strappare le orecchie.
Il pezzo che segue sono io che vi spiego perché dopo aver contato i minuti che mi separavano dall’uscita della seconda stagione ed essermela sparata nell’arco di due sere, ora darei probabilmente tutto il catalogo di qualsiasi servizio di streaming in cambio di altri episodi.
O meglio, non so se riesco a spiegarlo, diciamo che provo a capirlo io per primo, perché ero convinto fosse una questione di vojeurismo nostalgico, ma credo di aver realizzato che non sia così banale.
Il dubbio mi è esploso in testa durante l’episodio tre di questa seconda stagione, sul finale, quando passano le immagini di una festa farcita di persone prese malissimo con in sottofondo un pezzo di Ariete che dice così:

Essere giovani fa schifo
e non poter decidere fa tanto male
Essere giovani non fa per me,
non fa per me.

“E qui l’anziano invidioso si incazza” starete pensando, ma vi sbagliate.
Io non è che fatichi a empatizzare adesso che ho quarant’anni, il mio problema è a monte perché quando avevo grossomodo quell’età lí il mio mantra era in ogni caso proprio all’opposto. Sta roba non mi avrebbe rappresentato nemmeno a vent’anni. Volendo usare una canzone per spiegarlo, sarebbe questa e direi che la differenza è evidente.

I’m gonna stay eighteen forever
so we can stay like this forever
and we’ll never miss a party
‘cause we keep them going constantly

È quindi assodato che una roba del genere non possa davvero farmi scattare la molla del ricordo dei bei tempi andati perché quella è una rappresentazione della gioventù che non mi appartiene. Un po’ come con Dawson’s Creek: serie della vita se ne dovessi scegliere una, ma pur sempre una rappresentazione dell’adolescenza ai limiti del fantasy (ne ho scritto qui ed è un pezzo ampiamente meglio di questo, come anche giusto che sia.). 
Se non è la nostalgia, allora cosa?
Io credo che a fregarmi siano le rappresentazioni che trovo genuine dell’amicizia. Quando mi ci imbatto, finisco sotto ad un treno senza possibilità di tiro salvezza. A quel punto posso bermi qualsiasi prodotto, a prescindere da quanti e quali difetti possa avere, senza battere ciglio. E non perché non li veda, ma proprio perché tutto finisce in secondo piano.
E infatti Summertime.

Ribadiamolo: è una serie ingiustificabile sotto parecchi punti di vista, a partire proprio da quello meramente estetico e non starò qui ad indorare la pillola. Però se ci finite dentro alcune cose apprezzabili non potete non vederle.
All’inizio dicevo che la colonna sonora è raccapricciante e lo confermo: mentre iniziavo a buttare giù il pezzo ho provato a mettermela in cuffia e non ho retto tre pezzi. È roba inascoltabile fuori contesto, ma nella serie ci sta da Dio perché è perfettamente centrata sui protagonisti. E poi in uno dei primi episodi c’è questa scena pazzesca che usa Vattene Amore di Minghi&Mietta per trasferire allo spettatore il dolore crescente e insopportabile di Sofia che da sola vale la visione dell’opera intera.
La scena, ma anche Sofia.
Un’altra roba che ti capita quando invecchi è che ad una certa guardi i teen drama e non hai più quella voglia matta di scoparti le protagoniste perché le vedi effettivamente troppo giovani. È una cosa che anni fa pensavo a me non sarebbe mai successa. La mia tesi era semplice: non ho mai avuto il mito della donna più grande e se a vent’anni mi piacevano le ventenni e a trenta pure, non vedevo motivo per cui i miei gusti potessero cambiare. Ovviamente non ne faccio questione anagrafica, ma estetica. Probabilmente potrei trovare attraente una diciottenne agghindata per dimostrare dieci anni in più senza manco intuire il problema, ma quando la ragazza in questione appare come un’adolescente, a prescindere dall’età e da quanto possa essere figa, il mio cervello attuale va in blocco.
Non mi sono rincoglionito, però, quindi che Sofia sia di una bellezza abbacinante mi è ancora assolutamente chiaro. La cosa ridicola se mai è che essendo la protagonista lesbica di una serie scritta con il primo obbiettivo di non far incazzare nessuno, per evitare di alimentare lo stereotipo patriarcale delle lesbiche da porno sarà condannata ad incontrare solo lesbiche bruttine fino alla fine dei suoi giorni, in un paesino romagnolo dove letteralmente chiunque altro sta tra il bello e il bellissimo.
Va beh.
Della musica ho parlato, di Sofia pure, c’è altro?
Qualche punto sparso in chiusura dai, che sta diventando un polpettone infinito questo post.
– Vorrei vedere l’attore che fa Edo fuori da Summertime perché se non ha davvero dei disturbi cognitivi e comunicativi merita un cazzo di Emmy.
– Vorrei avere le palle di chi presenta con faccia seria ad un produttore uno script in cui dei diciottenni vagano per l’Europa senza problemi, prendendo voli per vedersi un’ora o mollando la famiglia per andare ad Amburgo/Milano/Barcellona a fare sa il cazzo cosa. Poi figli di proletari eh, manco la scusante di essere ricchi di famiglia.
– Vorrei sapere perchè nel 2021 la figura adulta positiva in un teen drama debba essere il quarantenne con la sindrome di Peter Pan. Io capisco che il modello della studentessa che si laurea in giurisprudenza a 21 anni sia tossico, ma spero bene sia chiaro per tutti che anche il concetto di “fai quel che ami e sbattitene del futuro” abbia fatto danni a sufficienza.
– Vorrei chiedere se c’è un limite all’utilizzo di Wait di M83 nelle OST e quante serie fa è stato oltrepassato. Per carità, pezzo meraviglioso, ma anche basta.

Anche basta.

Una roba su Demi Lovato e la fata Madrina

In questi giorni probabilmente avrete sentito parlare della questione del remake live action di Cenerentola in cui il ruolo della fata madrina è stato assegnato ad un attore nero e gay. Ne avete sentito parlare perchè ogni volta che succede una cosa così da destra si leva immediatamente un coro di sdegno che fa molto rumore e che di fatto è l’unico responsabile del far circolare la notizia. Inizio il post quindi con la prima presa di posizione: non linkerò la notizia per non dare visualizzazioni a testate che spero chiudano, ma per sapere quello a cui mi riferisco è sufficiente cercare su google “Cenerentola” e vedere le prime notizie che escono.
Questa “polemica” è di fatto scoppiata in contemporanea al coming out di Demi Lovato che ci fa sapere via instagram il suo non identificarsi nella definizione binaria di genere(a).
Come spesso accade, l’ondata di commenti che ha circolato nel mio intorno digitale in merito a queste due faccende mi ha spinto ad alcune riflessioni che ho scelto di condividere solo in seguito a questo sondaggio(b):

Partiamo dalla questione fata madrina.
Sarà interpretata da un attore di colore e dichiaratamente gay. Già con la prima frase ho le concordanze affanculo, ‘sto post sarà un fottuto calvario, ma cerchiamo di rimanere concentrati. La fata madrina altro non è che la stylist di Cenerentola e il fatto che sia interpretata da un uomo, nel mondo in cui esiste Enzo Miccio e gli stilisti sono in larga parte uomini, credo serva solo a dare alla storia una base meno fantasy. Questo, spero bene sia chiaro a tutti nell’anno domini 2021, indipendentemente dal colore della pelle dell’uomo in questione, parametro assolutamente ininfluente. Sul fatto che sia gay invece ho qualche ragionamento in più da fare.
Non mi risulta che la storia originale preveda in alcun modo sotto trame amorose per il personaggio. Ora, magari questa cosa cambierà nel remake (mi guardo bene dall’approfondire il film oltre alla ricerca google di cui sopra), ma se così non fosse non trovo alcuna ragione per caratterizzare il personaggio con un orientamento sessuale, soprattutto se nel farlo si cavalca lo stereotipo “maschio col pallino del look = gay” e magari lo si caratterizza come piuttosto effemminato. Il mio problema però non sta nemmeno lì: un personaggio del genere per me fa molti più danni di quanto possa essere utile in termini di far sentire rappresentata una categoria, ma è opinione personale non necessariamente corretta o condivisibile.
La questione che mi preme è un’altra.
Ho come l’idea che un ramake live action di Cenerentola sia una delle cose meno interessanti ci si possa inventare e che questa scelta di casting non sia altro che una strategia promozionale basata sul triggerare i soliti quattro reazionari fascistoidi nella più classica delle win-win situation: la destra può berciare di dittatura del politicamente corretto rinvigorendo la propria fanbase e la Disney di turno può invece raccogliere dall’altro lato, quantomeno con una campagna gratuita di promozione ad un nuovo film che, magari sbaglio, ma non avrebbe nessun altro selling point(c).

Qui è il punto in cui comincia il difficile perché 1) si tratta di un semi processo alle intenzioni e 2) per quanto sia inconcepibile per alcuni, di solito cerco di riflettere empatizzando col pensiero di chi è parte in causa, ma in questo caso non ho la minima certezza di come possa essere percepita la questione da dentro.
Io credo davvero che scegliere un ragazzo nero e gay per interpretare la fata madrina, nello specifico, sia solo un’operazione di marketing, per due ragioni.
La prima è che se vuoi davvero fare un film che dia spazio rilevante ad una minoranza non hai bisogno di forzarla dentro un contesto iper tradizionale come Cenerentola. Puoi fare un altro film con personaggi neri, gay o whatever che abbiano un ruolo centrale. Il punto è che in quel caso forse non ti si filerebbe nessuno e quindi rischieresti il flop. Se invece fai Cenerentola con il fatino ebano a cui piace il catso polarizzi, fai scalpore e in qualche modo finisci per vendere un prodotto altrimenti meno (leggi: non) interessante. 
La seconda è che se vuoi davvero fare un film che si smarchi da certi presupposti ormai superati e reazionari non dovresti partire da una favola il cui messaggio di base è che la donna per emanciparsi deve sposare un fottutissimo principe. Nel senso, se lo fai per me sei in malafede oppure deficiente e ho come l’impressione Disney non possa permettersi di essere gestita da deficienti.
E allora la questione per me è questa: probabilmente è un bene che certi colossi stiano forzando la mano in una direzione che comunque è quella dell’inclusivitá, ma a me resta il retrogusto amaro della sensazione che stiano lucrando su quella che per molti è una battaglia ben lontana dall’essere vinta e la cosa mi fa leggermente schifo, anche se questo lucrare non è per forza di cose controproducente.
Non so come dire.
Se a fare del bene ci fai su dei soldi posso starci, ma non pretendere di passare da eroe. Se poi il fatto che tu stia facendo del bene non è nemmeno così scontato, mentre è innegabile che tu ci stia lucrando, beh allora per me sei una merda, persino peggio di quelli che stanno dall’altra parte, ma che almeno lo fanno apertamente e senza pose fake. Anche perchè, se davvero c’è quel tipo di malafede, si finisce ad utilizzare il personaggio gay come fosse un’attrazione da circo e non penso proprio questo sia un bel modo di supportare la causa.

Fino a qui è stato grossomodo semplice, ora passiamo a Demi Lovato e alla questione dei pronomi.
Non mi interessa molto di come DL voglia essere chiamata e in questo caso non è manco mia intenzione fare dietrologia: se è una scelta sincera bene, se è marketing bene uguale: alla fine come la coniughino nelle frasi a me interessa zero e se ci vive bene lei, ci vivo bene pure io.
Che mi interessa invece è la questione They/Their. Ora, lo dico subito, quel che segue è una boomerata(d), ma vorrei fosse chiaro che per me il ruolo di ciascuno di noi nella società non è comprendere ed appoggiare ogni scelta altrui, ma è quello di rispettarla. Fa differenza.
Io con la scelta di non aderire ai generi binari ho più di un problema, che poi è lo stesso che ho con i ragazzi cresciuti con youtube e spotify che alla domanda: “Che musica ascolti?” ti rispondono: “Di tutto”.
Il mio problema è che ho visto e vedo tutt’ora i danni dell’educazione al “puoi essere quello che vuoi”, perché la società in cui siamo inseriti non ti permette manco per il cazzo di fare o essere ciò che vuoi e prima impari questa cosa, meglio è. Certo, domani le cose potranno essere diverse e non ho modo di negare una società futura meno netta e definita possa essere meglio di quella attuale, quindi parlo solo di opinioni personali, ma a mio avviso l’autodeterminazione è un passaggio chiave di crescita e sviluppo individuali.
Ad una certa, secondo me, è necessario autodefinirsi come qualcosa rispetto a qualcos’altro, fare delle scelte di appartenenza.
È il modo per tracciare le linee che di definiranno.
La mia impressione è che la tendenza sia verso una realtà in cui queste scelte (spesso dolorose o comunque non facili) non siano più necessarie e che si stia cercando in tutti i modi di superarle. Come dicevo, non è qualcosa che posso definire sbagliato in senso assoluto, ma è qualcosa che certamente non capisco e che personalmente ritengo controproducente nel processo formativo.
In altre parole: non mi interessa che i miei figli siano etero o gay, cis o trans, ma mi piacerebbe fossero in grado di autodeterminarsi, perché penso questo approccio alle questioni (a.k.a. fare delle scelte e accettarne le implicazioni) sia l’essenza del crescere e maturare.
“Non è forse non scegliere anch’essa una scelta?” 
Boh, forse sì. Come detto, non ho la pretesa di avere una posizione chiara e insindacabile su una cosa che non riesco a comprendere, quindi ci sta questa mia idea possa essere “sbagliata”. L’obbiettivo a cui tendere è provare ad essere supportivo anche verso chi fa scelte che non concepisco, perchè farlo solo con chi si muove nel campo della mia approvazione non richiede poi ‘sto grande sforzo. Diciamo anche però che trovo idiota questo ricatto morale per cui il progresso vada abbracciato senza spirito critico perchè è più importante non passare da reazionari che valutare se abbia o meno senso esserlo, ogni tanto.

Alla fine rileggendo non credo ci sia molto da litigare in merito a questo post, ma sarò ben felice di ricredermi.


(a) Nel post potrei usare termini e lessico imprecisi e non in linea con quanto richiesto dalla comunità LGBT+. Spero questo non sia un limite alla comprensione e accetto ben volentieri correzioni o suggerimenti per rendere il tutto più preciso. 

(b) Il sondaggio ha raccolto 15 voti su quasi 380 follower, quindi è palese che il “ma chi ti si incula?” sia la frangia dominante. E’ sempre divertente però constatare il ritardo di chi non capisce il sottotesto e clicca lo stesso quell’opzione, dimostrando simultaneamente di non essere particolarmente svegli* e di aver mentito a sè stess* nella scelta. Chi ha risposto NO invece ha tutta la mia stima e approvazione.

(c) E’ un post con un tasso di termini inglesi oltre la soglia del tollerabile e di questo mi scuso, ma la trovo una scelta in qualche modo in linea con il tema, che è di per sè stesso un’appropriazione di qualcosa di squisitamente americano e che qui si incastra in modo molto forzato, a livello culturale e sociale.

(d) I boomer sono quelli che vi permettono di fare la vita che fate e al loro posto, alla stessa età, sareste probabilmente manovali in una piccola azienda invece che laureati in “faccio quello che mi piace”. Quindi sì, forse vi hanno rubato il futuro, ma era un futuro di merda.

Due bei dischi (ma ne parlo in fondo, prima ci sono un po’ di pare)

Ho riguardato le foto di mio figlio.
Non una roba minuziosa, mi sono sfogliato il profilo instagram andando a ripescare tutte le foto dal primo compleanno al sesto, tre giorni fa. A me sembra sempre uguale e invece è diventato grande. Ok, forse grande no, ma insomma adesso è un ometto e se guardo i bambini della sua età che magari non vedo da un po’ per via di, va beh lo sapete, ecco mi sembrano tutti molto più grandi di lui.
Sono già uno di quei padri lì, mannaggia i preti.
Qualche settimana fa chiacchieravo con Paola del fatto che tra poco anche Olly sarà una donnina e che mi mancherà non avere più un piccolo da accudire in quel modo lì. Mi ha guardato come fossi un alieno: “Io un’altra gravidanza non la reggo Giuse, scordatelo”. Ho risposto: “No ma che cazzo dici? Piuttosto me lo taglio.”
Ed è vero eh, un terzo figlio sarebbe un bel casino sotto ogni punto di vista e non per modo di dire. Toccherebbe cambiare tutto, in primis casa. No way.
Il punto è che però credo di aver capito il meccanismo perverso dei gattari, quelli che ogni tot si tirano in casa un nuovo piccolo micio. A oltranza, per evitare che si crei quel vuoto che forse un po’ spaventa anche me.
Il punto è rimanere razionali.
Il punto più grande è che ho troppo tempo per pensare e, nel mio caso, è una fottuta tragedia, come credo sia chiaro a chiunque abbia letto uno di questi miei post notturni.
Ho bisogno di tornare ad impegnare il cervello per programmare cose a caso: viaggi, concerti, uscite. La qualunque. Ridatemi delle prospettive da disilludere o da rimpiazzare con altre ancora meno concrete.
Va beh, sto deragliando. Giuro che non volevo andare a parare sulla solita lagna, anche se a dirla tutta ho aperto il blog senza una minima idea di cosa avrei scritto.
Oggi ho ascoltato due dischi nuovi, nel senso di mai sentiti prima. Non vorrei dire una cazzata, ma in questo 2021 non credo sia capitato più di un altro paio di volte. Forse tre, ad andar bene.
Il secondo dei due dischi è uscito 15 anni fa, ma ci sono arrivato oggi per caso grazie a un gruppo di vecchi nostalgici su FB a cui mi sono iscritto. Il tipo che l’ha postato ha fatto un commento che mi ha acceso curiosità e così abbiamo iniziato a parlarne. Sono emerse due cose abbastanza assurde:
1) Il tipo è amico di due mie cugine, così a caso.
2) Non avevo mai ascoltato i Crime in Stereo perché per una vita li ho confusi coi Death By Stereo.
Ad ogni modo The Troubled Stateside è un disco loro ed è figo un bel po’. Sarebbe fuori tempo massimo se questa roba non fosse morta dieci anni fa buoni, oggi risulta quasi fresco per chi non se lo fosse mai sentito prima.
Il primo dei due dischi che ho sentito oggi invece è il nuovo di Margherita Vicario, che poi è pure questo nuovo per modo di dire visto che per metà buona raggruppa singoli già usciti e a cui ero già rimasto sotto in presa diretta.
Anche qui, per simmetria, segnalo due cose:
1) se c’è un momento buono per uscire con un album di pezzi “vecchi” è un contesto storico come quello che stiamo vivendo, in cui lo scorrere del tempo di fatto non esiste e ieri è il 2019.
2) tra i pezzi nuovi c’è questa DNA che, voglio dire, mi pare meritevole.

Questo post direi che lo posso pure chiudere così, anche se devo pensare ad un titolo e non ho davvero idea di cosa possa usare per riassumere questa pagina.
Avendolo tu già letto ad inizio post il problema è evidentemente solo mio.
Come gli altri di cui sopra, del resto.
Forse dovrei fare un disclaimer, ‘sto giro.

5CONTRO5: MxPx

Guarda te che rubrichetta che vado a rispolverare: il 5CONTRO5.
Il motivo è presto detto, questo 2021 arrivato con l’enorme responsabilità di toglierci dai coglioni il 2020 per il momento è stato un gigantesco vorrei ma non posso, fatto di ibridi mentali non sempre felicissimi tra la positività dell’attitudine alla ripartenza e la cruda realtà, che ogni giorno sottolinea come in fin dei conti non sia davvero cambiato niente.
E’ un concetto confuso, ma l’esempio che credo possa chiarirlo è quello dei concerti in streaming.
Dopo un anno a veder saltare eventi e date e con la voglia di guardare qualcuno che suona, in questo inizio d’anno mi sono affacciato sul fronte dei live streaming e di tutte le loro contraddizioni. La razionale illogicità del concerto in TV che si scontra con il fatto che mentre lo guardi comunque ti parte il piedino, ti si alza il dito e ti ritrovi a svegliare la moglie alle tre di notte perchè stai cantando con le cuffie senza manco accorgertene (questa cosa potrebbe essere successa davvero.).
Ok, ma perchè gli MxPx? Perchè sono una delle band più attive da questo punto di vista e con la loro serie Between this world and the next stanno suonando con una regolarità invidiabile da ottobre scorso. Io mi sono visto due “date”, una pagando e una gratis, e mi son piaciute un botto entrambe. Da lì ho ricominciato a metterli in cuffia con regolarità, a parlarne in giro e a rendermi conto di non essere proprio l’unico ad averli ripresi dal cassetto. A quel punto è arrivata l’idea di un nuovo round del 5CONTRO5.
A proposito, come funziona questa rubrica? Facile: metti insieme cinque persone che hanno tutte una certa fissa per un gruppo e fai fare ad ognuna di loro una playlist “ascoltabile”, ovvero massimo 16-18 pezzi e sotto i 60 minuti. Alla fine le confronti e tiri le somme di quanto ognuno se la viva in modo diverso. In pratica la scoperta dell’acqua calda, ma con un giochino divertente. Una delle cinque persone potrei essere io.
Negli episodi precedenti ci siamo occupati di Brand New, Get Up Kids e The Offspring.

Spazio statistiche: anche questa volta uno dei partecipanti ha scelto un disco intero, come miglior playlist, quindi Life in General diventa per forza di cose il disco più citato (27/81) e se lo chiedete a me è abbastanza giusto sia così. Sono invece sorpreso del fatto che al secondo posto si piazzi The Ever Passing Moment (10/81) e non Slowly Going the Way of the Buffalo (9/81), seppur siano due bellissimi dischi entrambi e la distanza sia in effetti minima. Per il resto, nelle diverse scalette si trova rappresentata tutta la discografia, con una percentuale sostanziosa di pezzi presi fuori dai dischi “ufficiali”, pescando in raccolte, compilation ed EP (17/81), ad indicazione del fatto che per tutti i partecipanti, la produzione sia rimasta valida nel tempo e attraverso le varie uscite, al netto delle ovvie preferenze personali.
Tra le canzoni, quella che fa meglio di tutte è Andrea (4/5) e non ci avrei scommesso un euro, mentre mi sorprende un pochino che Responsability sia solo in una delle playlist (d’altra parte io non ce l’ho messa, quindi non so bene che cazzo mi stupisco a fare). Il resto è piuttosto vario, quindi sottolineo solo Can’t Keep Waiting (2/5) perchè per essere un pezzo uscito da una settimana e da un gruppo che tutti collocano di istinto almeno 10 anni indietro nel tempo, è un gran risultato.

Ed eccoci alle playlist, finalmente.
Grazie mille a tutti i partecipanti.

Elisa
Dalle mie parti essere fan degli MxPx è sempre stata considerata come una cosa da serie B, un po’ per colpa del christiancore – che poi in realtà la Tooth & Nail ci ha regalato grandissime cose come Rufio, Slick Shoes, Dogwood, Cootees, Ghoti Hook e compagnia bella – e un po’ perché negli anni 2000 il sound degli MxPx si era ripulito troppo, ma quelli che avevano tutti questi preconcetti sono le uniche persone che ci hanno rimesso non ascoltando gli MxPx.
Per questo motivo ho passato i miei teenage years nella mia bolla, senza mai capire bene se questa band fosse bene o male famosa in Italia o se in realtà ce la ascoltassimo solo io e pochi altri.
Credo sia una situazione che capiti a molte persone che vivono in città di provincia di non sapere realmente la portata delle cose che fanno. C’è gente che ascolta musica sostanzialmente lontano dalle luci delle grandi città e vive in contesti senza stimoli, quindi finisce per forza ad ascoltare il punk rock e a suonarlo e magari svolta anche l’adolescenza di qualcuno dall’altra parte del mondo che si riconosce in quelle canzoni e sta vivendo le stesse cose.
Mi è sempre piaciuto ricercare i luoghi da cui provengono le band, andando personalmente a vedere il quartiere che c’era scritto sull’indirizzo stampato sul vinile, e credo che se ascoltiamo alcuni generi musicali ma ci perdiamo il contesto ambientale in cui nascono, stiamo perdendo l’opportunità di capire sul serio quella band.
E, diciamoci la verità, molte band non avrebbero mai avuto un senso se non fossero nate in posti davvero random; tipo i Raein a Forlì, o gli MxPx a Bremerton, per dire.
Dai pezzi grezzi di Pokinatcha, alla perfezione di Life In General (disco che ho consumato così tanto da doverlo ricomprare un paio di volte) ma anche alla versione più polished della band in Panic e Before Everything & After, ce n’è un po’ per tutti e non ci si annoia mai.
Inizialmente nella mia bozza di playlist c’erano addirittura 32 canzoni ed è stato difficilissimo scendere a 16; alla fine ho dovuto lasciare fuori alcuni singoloni e ho anche i sensi di colpa per quanto riguarda alcuni pezzi che ho dovuto lasciare fuori, ma credo che questa possa essere la mia playlist definitiva sugli MxPx.

The Terrible Cece
Grazie Manq per avermi chiesto questa Playlist, gli Mxpx per me sono adolescenza ma anche presente, non molte band ci riescono. Scoperti con Let It Happen, album che conservo con gelosia, tatuati sul braccio insieme a Cant e portati sempre sia nella pelle che nel cuore. Preferito The Renaissence EP.

Dan on the Moon
Questi 18 pezzi sono i più significativi per me, quelli che mi sono sempre rimasti di più dentro. Ogni volta che li riascolto mi trasportano in altri momenti della mia vita, in tanti ricordi belli e brutti che siano.

Cant HC
Era tipo il 1997 e andavo in questa discoteca a Cesenatico aperta la domenica pomeriggio. Era si un posto per adolescenti arrapati, ma nella pista di sopra c’era una selezione musicale da paura e dj Peter con il quale poi siamo diventati ottimi amici metteva ogni settimana una mezz’ora buona di punk rock melodico (all’epoca lo chiamavamo “punk californiano” ) e quindi avete già capito che si andava giù di NOFX, Lagwagon , No Use For a Name e compagnia bella.
Un pomeriggio passa questa canzone straordinaria che andava ai duemila all’ora e la voce sopra con una melodia che ti si infila nella testa e non se ne va più via, all’epoca non c’erano shazam o cazzi vari, manco il cellulare “Motorola StarTac” c’avevo e quindi l’unico modo era continuarmi a cantare la canzone in testa e sperare che la rimettesse la settimana seguente per sapere il nome della band e del pezzo.
Fortunatamente dopo una settimana in cui nella mia testa il pezzo era piuttosto cambiato Dj Peter rimette la canzone ed io mi fiondo in consolle e gli chiedo informazioni. La band erano gli Mxpx e la canzone si chiamava come me: “Andrea”.
Diciassette anni dopo ad un concerto degli Mxpx a Bologna la band torna per l’encore e Mike Herrera mi dedica la canzone, dopo il concerto mi ha detto che l’avevano messa apposta in scaletta per me. il cerchio si è chiuso, è stato bellissimo!
So che Manq mi ha chiesto una playlist e giuro che ci ho provato per giorni a farla ma essendoci già la perfezione dico che la mia playlist è il disco “Life in General” dalla prima canzone alla numero 17.
Diciassette come gli anni passati tra la scoperta della canzone e quella che probabilmente è la dedica più bella che mi sia stata fatta

Manq
Da ragazzino ho ascoltato quasi solo punk-rock e ne ho ascoltato davvero tanto, soprattutto di quello che arrivava dalla costa ovest degli Stati Uniti. All’epoca si chiamava So-Cal Punk, o forse lo chiamavamo così solo noi della provincia italiana, per darci un tono. Vai a sapere. Tutta quella roba veloce che stava sotto Fat Wreck, per intenderci. Gli MxPx erano ai margini di quel contesto per tanti motivi, dalla collocazione geografica al loro essere #TeamGesù, eppure quando li scoprii ci andai in fissa quasi subito lo stesso.
Vent’anni dopo mi tocca prendere atto che di tutta quella roba ho un’opinione molto diversa. In alcuni casi perchè la musica è invecchiata male, in altri perchè chi la suonava è invecchiato male. A volte sono invecchiate male entrambe le cose e forse, in certi casi, quello invecchiato male sono io.
Con gli MxPx però ci sto ancora tanto bene. Certo, i dischi dei miei vent’anni sono inevitabilmente la prima roba loro che mi viene da ascoltare, ma volendo fare questa playlist ho pescato anche tra cose più recenti, compreso l’ultimo singolo uscito pochi giorni fa.
Onestamente, nel 2021, non mi viene in mente nessuna band di quel giro capace di tirar fuori un pezzo così figo.

Le canzoni di Sanremo 2021

Non seguo Sanremo.
Non perchè mi piaccia menarmela o per questioni ideologiche, è proprio che il varietà intorno alle canzoni mi fa cagare non è di mio gusto e quindi spararmelo per quattro sere filate con l’unico scopo di sentire le canzoni ha su di me l’appeal di una tortura cinese.
Anni fa lo facevo anche, per commentare in diretta su FB o Twitter, ma oggi preferisco mettermi su la playlist di Spotify e sentire solo le canzoni, commentandole rigorosamente al primo ascolto (che per larghissima parte degli artisti in gara sarà inesorabilmente anche l’ultimo).
Chi mi conosce sa da tempo che per me esiste un archetipo di brano definibile Canzone di Sanremo™ che vado cercando ossessivamente tra i pezzi in gara. Una volta era identificabile chiaramente nella quasi totalità delle canzoni, oggi invece è molto meno presente ed è utilizzato solo da quelli che non esiterei a definire True Believer del Festival.
Quando all’inizio dicevo di non essere ostile verso la kermesse Sanremese intendevo a livello generale, quest’anno ammetto di essere stato polemico riguardo non tanto al fatto si tenesse comunque in uno scenario in cui tutto il resto della musica e dello spettacolo sono fermi al palo, quanto per il fatto che mentre si ragionava su come poterlo fare in ogni caso non si sia mai cercato di pensare a norme che potessero far ripartire il settore a partire da Sanremo, ma piuttosto regole ad hoc per far sì che si facesse Sanremo e solo Sanremo.
E questa è una cosa che, da fuori, mi fa un po’ schifo.
Ora però ecco il mio commento ai 34 (COSA????) pezzi in gara.

1- Madame / VOCE
I giovani al potere, che a Sanremo mi sembrano sempre imbucati alla festa. Non so, sta roba non la capisco in generale, figuriamoci al Festival, ma forse brutta no.
2- Irama / La genesi del tuo colore
Ma che cazzo siamo al Festivalbar? Ma magari.
3 – Francesca Michielin & Fedez / CHIAMAMI PER NOME
‘Sti cazzo di CAPSLOCK demmerda ve li buco, baby. A parte questo, è evidente lo studio enorme fatto per camuffare quella che è una classica Canzone di Sanremo™ in modo che sembri una roba giovan(il)e. Math pop nel senso più dispregiativo possibile, ovvero l’unico.
4 – Colapesce & Dimartino / Musica leggerissima
Il nuovo cantautorato italiano di cui nessuno sentiva il bisogno, o comunque non io. Questa bugia gigante per cui “più o meno” in un ritornello sia una cosa cool e nuova, quando di fatto stai portando un pezzo derivativo in culo e che puzza di muffa, ma di quella che cresce sui formaggi che fanno già cagare da freschi.
5 – Annalisa / Dieci
E andiamo cazzo, Canzone di Sanremo™ con le palle cubiche che ammicca ai pixies (credo, o qualcosa di bello in ogni caso) in un tripudio di paraculismo adorabilissimo.
6 – Måneskin / ZITTI E BUONI
“Scusami, ma ci credo tanto”. Ma non mi dire. Rock da oratorio, che in piena tradizione rock da oratorio spreca 9/10 delle energie nel mostrarsi dannato quando non lo è e così si dimentica del resto, ovvero ad esempio di scrivere una canzone.
7 – Gaia / Cuore amaro
Siamo chiusi in casa da un anno, ‘sto mix di reggaeton e flamenco fa solo bestemmiare.
8 – Coma_Cose / Fiamme negli occhi
Han fatto robe meglio e calcolando che non stiamo parlando dei Beatles direi che ci siamo capiti. La cifra stilistica del testo è quella di “io ti temporalo” e vale il discorso del pane col tonno ad inizio Fast and Furious (RIP Paul Walker sempre).
9 – Willy Peyote / Mai dire mai (la locura)
La citazione di Boris, il pezzo controverso e la cassa dritta. Il meme nel testo. Tieni questa moneta da tre euro per l’impegno.
10 – Fasma & GG / Parlami
Una Canzone di Sanremo™ con gli stop&go. E’ tipo quando a Masterchef vedi un cuoco che presenta un piatto di formiche che costa 60 euro: ti viene istintivo pensare “che sia un genio?”, ma poi tendenzialmente lo mandi affanculo.
11 – La rappresentante di lista / Amare
Non so chi sia, ma il nome lo adoro. Siamo ad un terzo scarso della scaletta e c’è un sacco di ritmo ed allegria, forse per evitare di pensare che la gente muore o che siamo ben lontani da quello che sarebbe lecito aspettarsi dalla vita. Il pezzo è talmente coinvolgente e memorabile che mentre lo ascolto sto parlando d’altro.
12 – Lo Stato Sociale / Combat Pop (ALBI #1)
L’ho detestata fino al ritornello. Lì ho pensato: “mi hanno inculato di nuovo ‘sti maledetti”. Purtroppo poi è finito il ritornello, la canzone è andata avanti e non è quella che definirei una grande idea.
13 – AIELLO / ORA
Ma solo io ci ho sentito il Vecchioni de “La leggenda di Olaf”? Cmq a parte “sesso & ibuprofene” (Calcutta maledetto) c’è qualcosa che me la rende piacevole. Bella no, ma piacevole. Forse non è strettamente a canone, ma sapete cosa? Canzone di Sanremo™.
14 – Random / Torno a te
La Canzone di Sanremo™  è così, quando non c’è te ne accorgi, ma quando arriva di norma ti penti di averla cercata nei pezzi che non lo erano. Per dire che ecco, sto pezzo fa cagare.
15 – Gio Evan / Arnica
Urca, due Canzone di Sanremo™ di fila. O forse è ripartita quella di prima? No dai, non voglio essere ingiusto, questa è la prima Canzone di Sanremo™ che non prova neanche minimamente a dire “siamo nel 2021” e a suo modo lo apprezzo. E’ orrenda, ma con orgoglio e appartenenza.
16 – Noemi / Glicine
Triple threat! Niente cazzi, nella Canzone di Sanremo™ la voce femminile è un plus notevole e Noemi la voce ce l’ha bella. Se la fai cantare a Gio Evan il giudizio torna quello di Gio Evan.
17 – Max Gazzè / Il farmacista
E’ un pezzo di Max Gazzè. So cosa state pensando, avete anche ragione, ma i fatti dicono che un problema più grande di avere Max Gazzè in gara è che metà abbondante degli altri MAGARI fosse Max Gazzè.
18 – Malika Ayane / Ti piaci così
Non vince mai, probabilmente non è neanche una cosa che può fare il botto in radio, però ha una sua dignità che a suo modo si fa apprezzare.
19 – Fulminacci / Santa Marinella
Canzone inutile che quando mette “deficiente” nel ritornello diventa una canzone stronza.
20 – Ghemon / Mondo perfetto
Oh dai, a me lui non fa impazzire, ma questa ci sta.
21 – Arisa / Potevi fare di più 
Vedi Noemi, ma meglio. 
22 – Bugo / E invece sì
Purtroppo per lui, quella dell’anno scorso era meglio e questo credo apra un’amara riflessione, soprattutto perchè quella dell’anno scorso ce la ricordiamo tutti per i motivi sbagliati e con un testo sbagliato di cui Bugo è vittima.
23 – Francesco Renga / Quando trovo te
Sto facendo questa cosa alle 2 passate di notte e, lo dico chiaro, quando ho letto Renga ho pensato di chiudere tutto e piantarla lì. L’unica cosa che posso dire quindi è che sono rimasto per senso del dovere e che questa canzone non ha alcun merito, anzi.
24 – Ermal Meta / Un milione di cose da dirti
Ma quante cazzo di canzoni ci sono in gara santa madonna? Almeno una di troppo (che è comunque una Canzone di Sanremo™, chi se la sarebbe aspettata da Ermal Meta?).
25 – Orietta Berti / Quando ti sei innamorato
Volo, sembra un mashup preso da youtube. Magari lo è.
26 – EXTRALISCIO & Davide Toffolo / Bianca luce nera
Sto ancora ascoltando il pezzo di Orietta Berti, quindi inizio a commentare dicendo che è un titolo del cazzo. Parte il pezzo e direi che è in linea col titolo.
27 – Wrongonyou / Lezioni di volo
“Se un giorno dimenticherai” no guarda, togli pure il se.
28 – Folcast / Scopriti
Non mi giudicate, per me sì. Non un sì convintissimo eh, manco troppo duraturo, non è arrivato a fine pezzo per dire. Ma all’inizio ero positivo sul serio, giuro.
29 – Davide Shorty / Regina
Questo me lo ricordo dai tempi di X-Factor e direi che non è lui il problema qui in mezzo. Un suo disco manco se mi strappate le unghie, ma, voglio dire, è un discorso trasversale che non merita decisamente di essere tirato fuori per lui. O forse sì, forse non avere critiche specifiche è un pregio.
30 – Gaudiano / Polvere da sparo
Ma sì dai, buttiamola in vacca, cazzo cene.
31 – Greta Zuccoli / Ogni cosa sa di te
Raffinatissima. Poi che questo per qualcuno sia un complimento, parlando di musica, dice molto più della nostra società che non del pezzo. Non so se sia io ad essere vecchio al punto da percepire citazionismo d’accatto ovunque o il pubblico che ha proprio bisogno gli buttino in faccia le citazioni col secchio.
32 – Dellai / Io sono Luca
Premio simpatia. Non so se esista, ma io lo darei a Dellai sulla base del niente che so di lui a parte la metà del pezzo che ho già sentito mentre scrivo.
33 – AVINCOLA / Goal!
L’equivalente di una serie Netflix sull’estate di ragazzini che a 16 anni compiuti nel 2021 per qualche ragione inspiegabile hanno la fissa per gli anni ’80. La base è carina.
34 – Elena Faggi / Che ne so
Sono arrivato in fondo ed è l’unica cosa positiva che mi sento di scrivere. No dai, la verità è che su questa e quella di prima probabilmente sarei stato più indulgente se non fossero arrivate alla posizione 33 e 34 della scaletta.
Però oh, non credo neanche sia colpa mia ‘sta cosa.