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Musica

Non di solo pane vive l’uomo

Se volessi aggiornare il diario di bordo della mia vita oggi, non avrei molto da scrivere.
L’ultimo periodo è stato abbastanza avaro di news e si presterebbe ad una facile sintesi di questo tipo:
– Lavoro: ok
– Università: ok
– Bri: ok
– Amici: ok
– Milan: ko
Non molto da aggiungere.
A questo punto mi prendo un po’ di tempo per parlare di alcuni hobbies cui ho potuto dedicare del tempo ultimamente.
Sono essenzialmente tre, in rigoroso ordine di importanza: musica, cinema e playstation.
Ho sentito un sacco di CD ultimamente, alcuni appena usciti altri più datati, alcuni belli ed alcuni meno belli. Quello che più mi sta appassionando è il primo lavoro dei (+44), disco che non riesco a togliere dal lettore e che quindi lascerò su queste pagine come disco del momento ancora per un po’, anche se con una nuova traccia disponibile in streaming.
Cos’ha di speciale?
Tutto e nulla.
Tutto perchè è bello, a sprazzi è originale, è ben suonato ed è piuttosto vario nel suo insieme. Nulla perchè una volta ripulito dalle velleità elettroniche resta un cd di neo-pop-rock come in giro ce ne sono tanti, anche se a mio avviso spesso meno validi. Nel mio stereo stanno passando molto anche i Saosin con il loro omonimo album di debutto. Anche in questo caso zero innovazione, ma standard molto apprezzabili per le mie orecchie e quindi pollice alto. Stessa premessa vale per “The city Sleeps in Flames” degli Scary Kids Scaring Kids, tuttavia in questo caso la solita solfa mi ha stancato dopo pochi ascolti e quindi il pollice cambia repentinamente posizione. Mi sono preso anche la briga di gettare il muso fuori dal solito contesto, perchè spesso amo cercare nuove sonorità che possano colpirmi positivamente. L’ascolto alternativo è stato così dedicato ad “Oceanic” degli ISIS e al “Greatest Hits” dei Faith no More. In entrambi i casi sono rimasto decisamente deluso, ma credo soprattutto perchè ascolti troppo oltre i miei standard. So che molti mi tacceranno di eresia, ma uno scoglionamento come quello datomi dagli ISIS l’avevo provato solo ascoltando i Tool, il che è tutto dire.
Per chiudere il primo dei tre fronti, mi sono anche dedicato al disco di cartello di questo periodo. Il CD più chiacchierato di questa fine 2006, almeno per il momento, è “The Black Parade” dei My Chemical Romance. Definirlo in una parola è quantomai semplice: vergognoso.
Non credo di poter salvare una traccia, nemmeno il singolone super trasmesso da radio e TV, perchè sentendolo mi viene in mente che i Green Day fecero un lavoro migliore con Minority, estratto del loro peggior album in assoluto.
Credo di aver detto tutto.
Passando al cinema, mi sono tolto la soddisfazione di vedere alcuni film che mi intrigavano da un po’ di tempo.
Forse di alcuni ho già scritto, ma non ricordandomelo farò un breve riepilogo, per punti.
– Match point: siccome tutti mi dicevano di guardare assolutamente un film di Woody Allen, ho scelto questo. Bello. Fino a mezz’ora dalla fine l’ho odiato, ma ai titoli di coda mi sono detto molto soddisfatto.
– Clerks: non ho resistito oltre i quindici minuti.
– Memento: rivisto per caso su Rai Due sere fa. STRE-PI-TO-SO.
– Three Kings: consigliatomi da Orifizio, molto carino. Direi bello, in verità.
– Jerry McGuire: si fa guardare. Niente di che, ma nemmeno brutto.
Ora mi restano da vedere “Munich”, “Syriana” e “Le Relazioni Pericolose”.
Mi piacerebbe andare al cinema a vedere “Babel” e “The Departed”, ma tanto vale rassegnarsi.
Per concludere andiamo all’argomento playstation. Come tutti gli autunni è venuto anche quest’anno il momento di comprare Pro Evolution Soccer, unico motivo per cui in casa mia risiede la console.
Dopo due settimane il giudizio è piuttosto negativo. In primis perchè c’è la Juve nonostante sia in serie B, in secondo luogo perchè lo trovo abbastanza ingiocabile e giocare senza mai vincere alla lunga stanca.
Bene, è pronta la pasta ed è il caso che vada a mangiare altrimenti non esco più e la Bri mi uccide.

Sapore di confusione

Ebbene sì, mi sono fatto la vasca tremenda casamia/estragon ieri.
In solitaria.
Una sorta di Giovanni Soldini emoposer, al volante della mia fantastica autovettura, spinto dal cuore verso un festival che, sulla carta, somigliava molto ad un evento imperdibile.
La giornata è stata progettata al millimetro, tanto che nonostante gli immancabili inconvenienti il tutto si è svolto secondo copione.
Sono uscito prima da laboratorio, intorno alle 13.30, così da arrivare a casa e darmi un paio di ore di sonno prima di partire. Il tutto ovviamente nell’ottica del ritorno.
Così è stato e per le 16.30 mi sono allacciato la cintura e ho preso la via per Bologna.
Tempo per arrivare a melegnano: 45′. Passo d’uomo.
Tempo di percorrenza Melegnano-Bologna Borgo Panigale: 1h e 30′. Velocità di crociera di 120/130 km orari, traffico praticamente nullo.
Tempo tra l’immissione in tangenziale dopo il casello di Bologna e l’uscita 7 bis: 1h e 15′. Record di bestemmie battuto senza sforzo.
Ho parcheggiato la macchina all’Estragon per le 20.10, ho rintracciato la Betty ed i suoi amici e sono entrato in tempo per sentire la performance dei Saosin.
Il loro set è stato decisamente positivo. Il cantante ha una voce altissima, ma precisa e ben in evidenza per tutto il concerto. Il genere non offre nulla di nuovo, tuttavia dietro alle pelli si trova un tizio veramente impressionante e questo, si sà, per una mia valutazione positiva vale tantissimo.
Hanno suonato mezz’ora, come da copione, ed alla fine sono stato contento di non essermeli persi.
Concluso il primo round ho avuto occasione di valutare il posto e l’affluenza.
Mi rincresce dirlo, ma un posto come l’Estragon a Milano manca proprio: grande, fuori dall’abitato e con una buona acustica. Se fossi un’agenzia che organizza concerti e che ama la qualità del prodotto che offre ne organizzerei più lì che al Transilvania Live, tuttavia da brugherese apprezzo molto che Milano resti la capitale dei concerti italiani.
Sulla gente pervenuta all’evento invece le sorprese sono poche: media affluenza e livello di poseraggine incalcolabile. Tutti gli ingredienti per fare di un concerto un buon concerto.
I tempi sono stati piuttosto serrati, per mantenere fede alla scaletta prevista dall’organizzazione, così dopo soli 15 minuti hanno fatto il loro ingresso sul palco i Senses Fail, uno dei due gruppi che hanno innescato la mia voglia di trasferta.
Grande delusione.
Il frontman della band è veramente un incapace. Su tutte le parti di cantato pulito, che sono un buon 80% nei loro pezzi, manca di voce, intonazione e tempo.
Io avrei potuto fare meglio.
Spiace perchè la loro scaletta è risultata veramente ben concepita e tutto sommato la band ha suonato in modo decoroso. Il cantante riesce solo a limitare i danni con un siparietto in cui ha esclamato: “This one goes out to Red Hot Chili Peppers. Thank you for making music I hate for over twenty years!” facendomi molto ridere.
Alla conclusione c’è stata una nuova pausa e così ne ho approfittato per un salto al banco del merchandise. L’assurdità è stata che non vendessero i CD, la cosa ormai consueta è stata che le magliette fossero scandalosamente brutte. L’unico indumento che valesse realmente la pena acquistare era la t-shirt dei TBS a righe orizzontali, che come sempre accade per le magliette più belle, era esclusivamente formato donna.
Ho comprato così un kit di adesivi e pins in cui è contenuta una spilletta fantastica, giusto per avere un ricordo della trasferta.
A salire sul palco a questo punto sono stati gli UnderØath. Puro Jesus Christ HC condito di tanta elettronica e sprazzi di melodia. La loro performance è stata suprema. Tanto sono brutti a vedersi, tanto spaccano una volta accesi gli amplificatori. In una parola: enormi. Tutto il set è stato praticamente perfetto e anche la conclusione in cui il cantante ha dichiarato quanto per loro fosse importante il credere in Gesù è riuscita a non infastidirmi eccessivamente. Avrei voluto premiare la loro performance con l’acquisto di qualcosa al banchetto, ma, come detto, non c’era nulla che valesse la pena fare proprio.
La serata procede ed arriva così il turno degli Anti-Flag. Nessun commento possibile perchè non fanno musica che possa piacermi, almeno sentendoli live, tuttavia devo dire che l’impatto che hanno avuto sulla gente è sembrato buono e questo va sicuramente enunciato come un loro pregio.
Da apprezzare anche la morale molto hippy che hanno sfoggiato inneggiando allo stare uniti, all’essere una cosa sola, all’aiutarsi vicendevolmente e via dicendo.
Non male.
Alla fine della loro prova è iniziata la febbre da Taking Back Sunday che ci ha tenuto compagnia fino all’inizio della loro performance, ore 23.30.
La prima cosa che mi ha colpito vedendoli è lo stile immenso dei cinque, veramente da alta scuola poser alla faccia delle frangette, delle magliette strette e di tutto il resto. Il cantante poi è un essere mitologico capace di unire la bellezza di Brad Pitt, il fascino di Kurt Cobain, le movenze di Michael Jackson (non scherzo), l’attitudine del frontman degli Hives, l’essere checca di Malgioglio ed una (in)capacità vocale live simile a quella del cantante dei Senses Fail.
Hanno suonato neanche un’ora, troppo poco, e hanno fatto troppi pezzi da “Louder Now” ultimo imbarazzante lavoro. Nel complesso mi sono sembrati piuttosto freddi e non sono riusciti a darmi quella scarica di emozioni eterogenee che invece mi trasmettono dal lettore CD, nemmeno su un pezzo come “Cute without the E”. Prima del finale ho apprezzato molto unicamente “Make Damn Sure” che anche se tratta dal sopracitato disco è veramente un gran pezzo.
Poi è accaduto l’inaspettato.
I Taking Back Sunday hanno suonato “A decade under the influence” ed è stato puro delirio.
Da lacrime agli occhi.
Il fatto che sia stata anche la canzone che ha concluso la manifestazione ha lasciato in bocca un senso di soddisfazione per quanto visto anche superiore alla realtà delle cose.
Erano le 0.20 quando sono uscito dall’Estragon e mi sono ritrovato immerso in una nebbia fittissima che lasciava presupporre unicamente un infelice viaggio di ritorno.
Con l’aiuto di un panino dell’autogrill, di una lattina di Burn letteralmente miracolosa e di una serie di CD veloci e canterecci suonati dallo stereo della mia macchina invece le procedure di rientro sono scivolate via piuttosto agili e mi hanno visto sotto il piumoncino intorno alle 3.00 del mattino.
Sicuramente una bellissima esperienza, anche grazie alla Betty e ad i suoi amici che mi hanno fatto compagnia sul posto, rendendo la sfacchinata molto meno pesante.
Grazie a tutti.
Se i gruppi in programma dovessero interessarmi, un’eventuale edizione 2007 potrà rivedermi tra le sue fila.

Last and even worse least

Oggi ho dato Chimica Bioorganica.
E’ andata bene.
A questo punto sono ad una sola lunghezza dal traguardo.
Un solo esame.
Un’unica prova orale da sostenere entro il 31 Gennaio 2007.
Si tratta di Tecologia, Socioeconomia e Legislazione.
Credo di aver ormai sostenuto molti esami brutti, troppi forse, e questo non è che il loro principe.
Studiarlo sarà realmente un’impresa ardua, ma la consapevolezza che si tratti dell’ultimo esame sarà sempre lì a confortarmi.
Oggi si è laureata Lale.
Sono andato ad assistere e così ho potuto rivedere un po’ di gente che non vedevo da lustri, anche a causa del pacco tirato loro un paio di settimane orsono.
La ragazza ha spaccato, 110 e lode per lei.
Partendo da un onestissimo 100 (media del 27,3) direi che la sua tesi è stata sicuramente ben valutata.
Approfittando della presenza di persone che sicuramente sono più informate di me su punteggi e conteggi delle lauree ho potuto informarmi e fare due calcoli allegri sulle mie prospettive.
La mia media attuale è di 25,1.
Tradotto in punti questo mi vedrebbe ai blocchi con un tutto sommato dignitoso 92.
Il mio voto di laurea dovrebbe quindi aggirarsi intorno al 100.
La Cristina, laureatasi oggi e nelle mie stesse condizioni, ha portato a casa un 101.
Un po’ mi secca pensare che senza quest’ultimo anno avrei potuto ambire ad un 103/104.
Non mi è mai fregato nulla di queste cose, sono sempre stato contento del mio 25 di media e se questo fosse rimasto immutato per tutti e cinque gli anni non avrei avuto certo di che lamentarmi.
Essere arrivato ad un passo dal 26 per poi ripiombare a 25 invece è abbastanza irritante.
Ora però basta con i calcoli.
Ora è il caso di organizzare questo serratissimo week-end, cercando di non lasciare spazio a nulla se non allo svago.
Si comincia Venerdì con la trasferta bolognese targata Taking Back Sunday.
Non ho ancora il biglietto e sarà una vasca importante, tuttavia mi ero ripromesso di regalarmela qualora l’esame fosse andato com’è andato e odio fare di me un bugiardo.
Per quanto riguarda Sabato invece ho propositi di shopping sfrenato da saziare spero con l’aiuto della Bri e questo dovrebbe occuparmi più o meno tutta la giornata.
La sera, dopo aver seguito un’altra imbarazzante partita dei rossoneri, sarà destinata ai festeggiamenti della neodottoressa Lale in un locale danzereccio di Milano ancora da definirsi e che spero sia molto poco fighetto.
Passando a domenica al momento non c’è nulla di organizzato se non la serata con Ambra, quindi credo di poterla occupare comodamente con un sapido mix di sonno e playstation.
Direi che i miei programmi sono da considerarsi niente male e quindi credo di potermi fermare qui.
Con il fatto che in casa mia ancora non vanno i riscaldamenti, mi si stanno ghiacciando le dita delle mani.
E’ il momento di una doccia bollente.

On stage: Plus 44

Sono andato a sentire i Plus 44.
Chi sono?
Sono il nuovo gruppo di Mark Hoppus e Travis Barker.
Chi sono questi due?
Beh, questa domanda non merita risposta.
Il disco uscirà a Novembre, quindi mi sono presentato al Rainbow completamente digiuno del loro sound.
Solitamente non è facile assistere ad un concerto di cui non si conosce nemmeno una canzone, o almeno non è facile restarne soddisfatto.
Per questo credo che ci siano buone possibilità che il cd sia un buon lavoro visto che a me il concerto è proprio piaciuto.
In 55 minuti circa il quartetto è riuscito a coinvolgermi e divertirmi grazie ad un sound piacevolissimo e ad una presenza scenica notevole.
Impossibile non fare paragoni con l’altra faccia della medaglia, ovvero gli Angels and Airwaves, ed il verdetto è di una vittoria “tanto a niente” per i prefissi londinesi di Mark e Travis.
Sebbene io sia da sempre fan assoluto di Tom Delonge, credo che questa sera sia arrivata la dimostrazione di dove stava il talento artistico nei defunti Blink 182.
In questo show non c’è stato spazio per scenografie sfarzose, cambi di strumentazione inutili, effetti sonori da Holliwood o pose da rock star. Il palco era striminzito e l’unico effetto scenografico concesso è stata la splendida batteria verde fluorescente che brillava nel buio sotto i colpi di un Trevis in forma smagliante. Per tutto il tempo l’unica cosa che interessa al gruppo è presentare alla gente i nuovi pezzi. Niente cenni a ciò che fu, niente commenti sull’ex socio Tom, niente riproposizione di pezzi vecchi.
Se anche loro sono stati parte dei Blink, il messaggio pare essere che la vita continua e questo non pare proprio essere un problema.
Probabilmente se si è sicuri di quanto si propone a livello musicale, diventa superfluo ogni contorno “fuomoso”. Unica nota forse non felice sono però i due nuovi membri. In realtà solo uno di loro mi ha veramente deluso, il pelato. Non tanto dal punto di vista musicale, invalutabile ad un primo ascolto live, quanto per l’assenza assoluta di personalità. Pareva nascondersi, come avesse paura di rubare scena a ciò che il pubblico voleva in realtà vedere.
Mai una parola, mai un gesto.
Il secondo chitarrista, quello “punk style”, non era poi tanto meglio, tuttavia almeno provava a fare un po’ di show e si concedeva cori e pezzi cantati. Insomma, se realmente si vuole dare l’immagine di una nuova e solida band, cosa che non credo risulterà difficile a questo progetto, è a mio parere necessario che tutti e quattro i mebri se ne sentano parte integrante.
Magari per questo è solo questione di tempo.
Ciò che più mi è piaciuto, però, olte alla maestria di Trevis dietro le pelli, è stato l’atteggiamento di Mark sul palco.
Lo stesso di una volta.
Geniale, simpatico, coinvolgente, ma mai eccessivo o demenziale.
Per fare un esempio, a metà show il ragazzo presenta un pezzo in questo modo: “Kids, this is the pretty one. Are you ready for a pretty song?”.
Casino.
Suonano il pezzo (realmente carino) ed alla fine in nostro eroe cosa dice?
“Ok, the next one is a little prettier.”
Idolo.

Giusto due chicche

La prima: sono letteralmente “La pupa e il Secchione” addicted.
Per quanto non sia particolarmente votato ai reality, ogni tanto mi capita di trovarne qualcuno che mi appassiona e devo ammettere che questo è uno dei casi.
Ho visto due puntate e trattenere le risate è stato assolutamente impossibile.
Coppia idolo è quella del drammaturgo e dell’aspirante sosia di Paris Hilton (???).
La seconda: la guerriglia tra Fabri Fibra e il restante mondo dell’hip-hop italiano.
Anche qui trattenere le risate è difficile.
Non sono particolarmente amante dell’hip-hop, diciamo pure che eccezion fatta per i primi Articolo 31 e per qualche bella base sparsa qua e la per la storia della musica, trovo il genere piuttosto fastidioso.
Tutto il turbine di insulti di questi ultimi giorni invece mi sta appassionando molto.
Già il nuovo video di J-Ax “S.n.o.b.” aveva lasciato trapelare un po’ di questa polemica (fantastiche le magliette con la scritta “Basta Infamare”), ma è con il video di Grido su Youtube che si è toccato l’apice del delirio.
Nella speranza di assistere a nuove ed esilaranti performance posto la perla.

Video Music Awards

Stasera io e la Bri ci siamo guardati i VMA’s.
A me piace guardare i “main event” di MTV perchè solitamente trascorrono piacevoli e frivoli come l’ambiente in cui si svolgono.
Il mio interesse principale sta prettamente nel vedere come si agghindano le star per queste serate di gala, ma non disdegno il seguire con attenzione le categorie che più mi possono interessare come quella del gruppo emergente o del miglior video rock.
Tirando due somme lo show di questa sera è stato un po’ sotto tono, ma non ha mancato di fornire alcune chicche strepitose.
Parlando in generale, la sensazione che ho avuto è che Madonna abbia pestato i calli a qualcuno ad MTV perchè pur essendo in nomination con “Hang Up” in diverse categorie in cui era assolutamente favorita, almeno dal mio punto di vista, non è riuscita a portarsi a casa nemmeno una statuetta. La cosa puzza soprattutto perchè è stata battuta da pattume del calibro delle Pussycat Dolls.
Abbastanza scandalosa anche l’assegnazione del premio principale, ovvero quello al video dell’anno, che è stato assegnato a quei caproni dei Panic! at the Disco, che non hanno mancato di evidenziare la loro totale incapacità musicale esibendosi live in una performance da colica renale.
Veramente perrimi.
Ultma nota negativa la sovrabbondanza di rap, hip hop, r&b e compagnia che sempre in questi spettacoli riesce a spiccare per la capacità di indisporre me che guardo.
Come dicevo però, non sono mancati picchi ad alto gradimento che hanno permesso di farmi valutare il tutto in ottica sicuramente positiva.
In primis cito il premio per miglior gruppo vinto dagli All American Rejects, coronato anche da una più che onesta prova live. Adoro quando vince chi non si aspetta il premio e sale a ritirarlo completamente ubriaco. Così hanno fatto gli AAR che, dopo aver battuto Angels and Airwaves, Red Hot Chili Peppers e compagnia erano increduli come un interista che vince un derby.
La genuinità è facilmente riscontrabile nel commento alla vittoria pubblicato sul loro sito: “THANK YOU!!!!!! Holy Shit, we have a Moonman!!!!”.
In effetti non serve aggiungere altro.
Positivissima anche la vittoria degli Avenged Sevenfold nella categoria “Best New Artist”. Pur non sopportando il loro ultimo disco, in cui è stato abbandonato il metalcore in virtù di un hard rock piuttosto pacchiano, loro restano dei personaggi strepitosi, vere rock star.
Anche qui è d’obbligo la citazione ai ringraziamenti: “Ringriazio Dio, se esiste. Io non credo. Scusa papà per quello che ho detto.”
Idoli.
Unico rammarico è il non aver seguito anche l’intro alla serata in cui i My Chemicals Romance presentavano il nuovo singolo.
Pazienza.
Ora è il caso di andare a nanna, che domani si lavora.

Si riaprono i contatti con l’esterno

Back on the net.
Dopo una settimana esatta, l’Infostrada ha riallacciato la mia linea telefonica e con lei è tornato il tanto atteso accesso ad internet. Senza poter accedere al blog mi sentivo a disagio. Non ho mai così tanta voglia di scrivere come quando non ne sono in possibilità.
In questa settimana sono successe molte cose, ognuna delle quali forse avrebbe ottenuto una paginetta propria su questo sito se ne avessi avuto le possibilità. Così non è stato ed ora sono nelle condizioni di dedicare a questi argomenti solo poche parole.
Ora il problema è scegliere quali e credo che per certe questioni sarà tutt’altro che facile. Come spiegare tutto ciò che mi è passato per la testa riguardo l’immediato dopo cena di Venerdì scorso?
Pensieri contrastanti, riflessioni, paure.
Speriamo vada tutto a finire per il meglio.
Per non parlare del fatto che ha chiuso uno dei locali chiave della mia vita: le Grotte di Realdino. E’ strano ricordare come ai tempi del liceo andarci fosse l’evento, mentre ultimamente passarci la serata era più assimilabile ad una tortura. Eppure il locale è sempre rimasto uguale a se stesso.
Noi no, evidentemente.
Sebbene uno dei sogni ricorrenti fosse vincere abbastanza soldi per comprare quel pub e raderlo al suolo, ora che ha chiuso sono dispiaciuto.
Sono schiavo della malinconia.
Più faccio mente locale più mi vengono alla mente cose accadute in questi giorni di cui vorrei parlare, come il live dei BoySetsFire di Lunedì, senza dubbio il concerto più HC che io abbia mai visto. Mai stato al cospetto di cotanta attitudine, mai visto un gruppo dare così tanto per un pubblico di sì e no cinquanta persone. Stima a profusione per loro.
Fa caldo.
Stare al computer ancora mi diventerebbe un peso.
Per questo dovrò esimermi dal parlare di Pessotto, se non facendogli un “in bocca al lupo” carico di stima, della nazionale che senza sapere bene come si ritrova ai quarti di finale, del “NO” che vince, ma non convince al referendum pur guadagnandosi il mio voto e del lavoro che assieme ai primi risultati porta un carico ancor più gravoso di impegno.
Non è detto che non torni magari nei prossimi giorni su questi temi, ma anche così non fosse non mi spiacerebbe più di tanto.
Non amo scrivere a freddo.

Foto del giorno n°10 – Last but not least
Maledetta Sterla
*In un’immagine, il meglio ed il peggio di Londra.

The fairy tale of London

Eccomi qui.
Decisamente riposato e mediamente soddisfatto dalla prestazione degli Azzurri sono pronto a raccontare il tour che mi ha portato oltre manica nei giorni scorsi.
Inizierò parlando proprio della metropoli di per se stessa. Credo che sia la città più bella che io abbia mai visto. La cosa che mi ha più colpito è stata la grandissima varietà di paesaggi differenti che racchiude al suo interno. Parchi, palazzi ultramoderni, monumenti, zone caotiche, zone tranquille, quartieri di lusso ed enormi mercatini il tutto mischiato assieme senza lasciare in chi guarda la sensazione di disagio che differenze così grandi mal accostate saprebbero suscitare.
Sconvolgente.
Muovendosi in metropolitana poi, il tutto acquisisce ancora più valore perché ogni volta che si riemerge dal sottosuolo in un diverso quartiere si ha l’impressione di aver cambiato non solo città, ma forse persino paese e cultura. Soprattutto Domenica, passando da Camden Town a Soho e poi a Notthing Hill, a Temple e, per finire, al cuore della City, siamo stati sbalzati ripetutamente attraverso paesaggi che da noi potremmo trovare solo viaggiando con un ipotetico treno che in pochi minuti ci porti a Napoli, Firenze, Roma e Milano. Non credo che avrei potuto immaginare quello che realmente è Londra se qualcuno me l’avesse descritta in questo modo prima che ci andassi di persona, ma è assolutamente difficile rendere l’idea di quello che questa città offre a chi la visita. Devo ammettere, tra l’altro, che avere affianco una persona che mastica di Architettura mi ha aiutato moltissimo a cogliere il fascino anche di cose che magari, non lo so con certezza perché non mi ci sono mai trovato a cospetto, avrei difficilmente apprezzato. Un esempio è costituito dagli edifici ipermoderni come il Loyd’s, di cui mi sono letteralmente innamorato. Oltretutto, pur essendo la città in se ed i suoi abitanti di una sporcizia inenarrabile, tutti i monumenti e gli edifici sono al massimo del loro splendore, senza nulla che possa deturparne l’aspetto. Prima di partire mi immaginavo di trovare tutta un’altra città e forse anche per questo l’ho apprezzata così tanto.
Ha saputo stupirmi.
Ora è il momento di parlare dei Londinesi. Anche loro da un certo punto di vista hanno saputo stupirmi. Mai vista così tanta disponibilità verso i turisti. Chiunque ci capitasse attorno era pronto ad aiutarci anche senza che noi chiedessimo nulla. Sabato pomeriggio, ad esempio, stavamo consultando la cartina fuori da un Casinò per decidere dove andare e la ragazza alla reception è uscita apposta per chiedere se avessimo bisogno di aiuto. Stessa cosa per un addetto dell’underground che ci ha spiegato passo passo come fare i biglietti all’automatico per risparmiarci la coda allo sportello. Chissà perché me li immaginavo molto più chiusi verso gli stranieri. Altra cosa che mi ha impressionato moltissimo è la multirazzialità (vocabolo che credo di essermi testé inventato). Lo spettro di etnie perfettamente amalgamate che ho visto in questi due giorni non l’avevo mai visto da nessun altra parte. Per quel poco che ho potuto constatare, chi predica l’incompatibilità tra culture diverse dovrebbe farsi un viaggetto nella capitale del Regno Unito prima di sostenere nuovamente questa tesi. La cosa che invece non mi ha per nulla stupito è quanto questa gente senta il calcio ed i fiumi di birra che lo accompagnano. Sabato alle 15:00 l’Inghilterra ha battuto il Paraguay (e non ho detto l’Olanda del calcio totale o l’Argentina di Maradona) uno a zero, grazie ad un’autorete.
La sera alle 22:00 c’erano ancora in giro ragazzi e ragazze totalmente ubriachi, mezzi nudi, vestiti solo di patriottiche bandiere ed intenti a fare caroselli come neanche avessero vinto sei a zero la finale.
Fantastici.
Non che io trascuri il fattore calcio. Domenica c’è stata la rituale visita allo stadio che non manco di fare in nessuna delle città che visito. Tra i molteplici che si possono trovare a Londra ho scelto lo Stanford Bridge, per ovvi motivi nostalgici. Con un certo disagio sono entrato anche nello store ufficiale per vedere se fosse già reperibile la nuova maglia numero 7. Non c’era.
Meglio.
Altra cosa che non posso astenermi dal descrivere è il lato economico del viaggio. Che la “sterla” fosse moneta infame lo si sapeva dal principio e lo si era detto in tempi non sospetti. Ero tuttavia riuscito a non cadere nel suo diabolico tranello per quasi tutto Sabato, concedendomi unicamente acquisti che mi sarebbero stati rimborsati dai miei come la borsa porta pranzo di Harrods che mia madre voleva per atteggiarsi in ufficio o il nuovo paio di All Star che avrei comunque dovuto acquistare al rientro, viste le condizioni in cui versavano le precedenti.
Tutto procedeva bene fino appunto a Sabato sera, quando ho messo piede nel Virgin Megastore di Piccadilly Circus.
Lì si è consumato un dramma.
Quel posto vende tutti i CD dei miei sogni, anche quelli introvabili, quelli che non sono nemmeno riuscito ad ordinare via internet, persino quelli che nemmeno Uncle Bazzu a Los Angeles (e non ho detto Quartoggiaro) è riuscito a trovarmi.
Tutti.
Nel giro di pochi minuti, in preda agli spasmi e ad uno stato eccitatorio fuori dal comune, avevo per le mani una quantità di dischi tale da dover ipotecare la casa che non ho per poterli pagare. Riacquistata coscienza di me sono riuscito a limitare i danni comprando solo, si fa per dire, tre dischi: “Under the Radar” dei Grade, “The Everglow” dei MAE e la limited edition di “Tell All Your Friends” dei Taking Back Sunday che presenta al suo interno, oltre al disco, un DVD con video, interviste ed altre cose inutili da cui io però sono fisicamente dipendente. Il dramma in tutto questo non è stata nemmeno la spesa folle in se, ma l’essere uscito di lì col chiodo fisso di tutti i CD che avevo dovuto rimettere sugli scaffali e che forse non sarei mai più riuscito a trovare altrove.
Anche in un viaggio perfetto tuttavia, ci sono degli inconvenienti. In questo caso l’unico che sia degno di nota è il non aver visto nessuno dei due luoghi descritti nel “Codice Da Vinci”: Temple Church domenica era chiusa (?), mentre per l’abbazia di Westminster le 10 sterline richieste all’ingresso apparivano eccessive.
Bene, questo è quanto.
Probabilmente, a pensarci meglio, mi verrebbero in mente milioni di altre cose da dire riguardo al mio week-end, tuttavia credo che sia giusto chiudere qui, almeno per il momento.
Come credo sia intuibile, non aver praticamente dormito per due giorni interi e aver camminato tanto da avere dolori sparsi in tutto il corpo ancora oggi, non mi è pesato per nulla.

Foto del giorno n°2 – Il nostro arrivo a Buckingham Palace
Fuckingham Palace
*Manq: “Guarda te sti cani inglesi che pagliacciata stanno mettendo su davanti a Fuckingham Palace…”
Bri: “Amo, questo lo capiscono.”

Angeli e demoni

Sono andato al concerto degli Ava questa sera.
Per me è stato come [ri]vedere l’addio al calcio di Van Basten.
Un bello spettacolo, lui che ancora concede qualche grande colpo di classe, ma nel cuore galoppa l’amarezza per qualcosa che sai essere ormai finito.
Per sempre.
Il concerto è durato un’ora in cui hanno proposto tutto il cd suonandolo anche discretamente bene, ma senza entusiasmare. Non hanno concesso nemmeno il ritorno in scena post pausa, il cosiddetto “bis” che di solito viene invece usato per suonare qualche pezzo in più. Molte luci, molti colori, moltissima strumentazione.
Molto fumo, ma poca sostanza. Ad ogni pezzo tutti i membri eccetto il batterista cambiavano ferro, per produrre suoni esattamente identici ai precedenti.
Fiction.
In tutto questo lui parla poco e quando lo fa è per dire che la sua vita è cambiata e che anche il suo modo di fare musica è cambiato, maturando. Per chi come me conosce e ha apprezzato il soggetto in questione nel passato, emblematico è stato il fatto che abbia pronunciato solo tre parolacce in tutto lo show, tra le quali non è possibile ritrovare “penis”.
Come temevo c’è stato anche un imbarazzante momento in omaggio ai defunti Blink 182, scelta che ammetto di non condividere.
Ho apprezzato molto tuttavia la decisione di farlo suonando “Down”, canzone tratta dall’ultimo CD e che ignoro a sufficienza da non aver accusato il colpo al cuore che altri pezzi riproposti in questo contesto avrebbero certamente scatenato.
Insomma, bello il cd nuovo, buona anche la performance live, ma il tutto in me scatena troppa malinconia perchè possa apprezzare.
Circa a metà serata però, solo sul palco, ha deto due parole sull’amore che sono sfociate in un apprezzamento ai pompini e, subito dopo, ha suonato voce e chitarra “There is” dei Box Car Racer. In quel momento, cantando “There someone out there who feels just like me”, trattenere le lacrime è stato doloroso.
Ripercorrendo la serata e le emozioni provate per scrivere queste righe mi affiora alla mente l’immagine di Tom che canta gli ultimi pezzi del live, ormai totalmente privo di voce ed in preda alle stecche più imbarazzanti.
Al pensiero che quello che una volta era il suo marchio di fabbrica dal vivo possa diventare un problema da risolvere, sorrido.
Ho scattato delle foto questa sera, ma l’unica immagine che voglio mantenere di Tom Delonge live è del 16 Marzo 2000. In quella circostanza, dopo la pausa di cui parlavo prima, era rientrato sul palco con un asciugamano arrotolato sulla testa dicendo: “Ero sotto la doccia, pensavo che il concerto fosse finito.”.
Idolo.
Così si è concluso il 6-6-06, il tanto chiacchierato giorno del demonio.
Non credo rimarrà come data da ricordare per quel che mi riguarda.

Sublime

Ieri sera io e la Bri siamo andati alla serata Chuck Norris organizzata al Goganga di Milano.
Sebbene io abbia perso quasi totalmente la voglia di leggere uno dei blog più chiacchierati della rete dopo i primi 5 o 6 giorni dall’esserne venuto a conoscenza, ho deciso di andare al party per conoscere Dietnam, co-autore di Roundhouse Kicks, ma soprattutto blogger da me linkato per la sua pagina personale.
Il posto non è niente male, un po’ troppo fighetto forse, ma nulla di eccessivo.
Menzione assolutamente d’onore per il Basito, cocktail pestato simile al mojito da cui si discosta solo per la vodka al posto del ruhm ed il basilico al posto della menta. Me l’hanno servito con tanto di pomodorino pugliese.
Sublime.
Anche la musica non era male. Tutto indie ben selezionato che per le due orette che ho passato nel locale non ha pesato troppo e si è lasciato ascoltare, regalando perfino qualche chicca ignota che mi piacerebbe risentire.
Conoscere Dietnam mi ha fatto piacere. E’ bello parlare con qualcuno di cui quotidianamente ti ritrovi a leggere la vita.
L’incontro rende i blog entità meno astratte.
In conclusione non aver visto “Il codice Da Vinci” mi è pesato meno passando la serata in questo modo. La voglia di vedere questo film resta alta e l’ultimatum lanciato alla Bri è per domani sera.
No way out.
Resta solo una cosa da fare prima di chiudere: parlare di “We Don’t Need to Wishper”.
Non è facile.
Non lo è per nulla.
L’attesa per questo lavoro è stata spasmodica e l’adorazione che provo per Tom Delonge non è quantificabile. Con questi presupposti restare delusi non è affatto improbabile.
Solo che deluso non è il termine adatto.
Deluso è quando ti aspetti qualcosa di bello ed ottieni una cosa che non ti piace.
In questo caso non mi aspettavo nulla, ero solo terribilmente curioso. L’anteprima datami da “The Adventure” mi aveva colpito in positivo: singolone finto, lento, plasticoso, ipermelodico e terribilmente orecchiabile.
Tamarro.
Molto tamarro.
Come piace a me.
Purtoppo o per fortuna, il disco è tutto così. Letteralmente. Effetti e riff di chitarra si trascinano identici per tutte dieci le tracce dando al tutto uno scorrimento quasi cinematografico. Facendo un paragone azzardato è come sentire un CD di musica classica. In quest’ottica diventa vitale ascoltare il tutto dall’inizio alla fine, senza interruzioni. Devo ammettere che la cosa non è facile perchè la traccia numero due, “Distraction” è decisamente la più brutta del disco e compromette pesantemente le possibilità di proseguire nell’ascolto. Se si ha la forza di superarla però si può essere oltremodo sicuri del fatto che da lì in avanti sia tutta discesa.
Ora sono curioso di vedere cosa mai potranno propormi dal vivo. Con soli dieci pezzi all’attivo mi aspetto qualche sorpresa.
Vedremo.
Concludo scrivendo l’unico fact su Chuck Norris che ho pensato ieri sera. Non fa ridere, non è immediato, ma a me piace molto e lo trovo piuttosto azzeccato alla serata.
Ne vado discretamente fiero.

“Chuck Norris non ascolta Indie perchè sa già dov’è l’Arca perduta.”