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Musica

Fake metal

Ok, è da Domenica che non do notizie di me e questo non è bello.
Però è anche vero che è da Domenica che vivo da solo e questa è la principale motivazione per il mio assenteismo.
Troppa roba da fare e troppo poco tempo, come al solito nella mia vita, e questo non può non avere ripercussione sulla mia attività di blogger.
Sta sera però, nonostante il sonno devastante, ho deciso di farmi forza e buttare giù qualche frase. All’inizio volevo scrivere qualcosa riguardo il mio nuovo lifestyle, tuttavia la mia condizione è stata testata ancora troppo poco perchè possa sbilanciarmi in un giudizio.
Certo che se fossi stato ancora dai miei l’essere uscito per la prima sera in questa settimana non avrebbe compromesso l’avere un pranzo domani a mezzogiorno, tuttavia trattasi di mere questioni organizzative che troppo poco pesano sulla valutazione della singletudine.
Volendo però scrivere qualcosa in questo post torno sulla mia serata in società.
Sono andato al Rainbow a sentire Atreyu e Still Remains.
Una bella serata fake metal insomma.
I secondi non li avevo mai nè visti nè sentiti e mi hanno fatto una bella impressione. Roba che difficilmente ascolterei su disco, che però dal vivo ha reso parecchio. Trattasi di tamarri, nè più nè meno, che però hanno dimostrato di saper tenere palco e pubblico in modo più che decoroso.
Poi a me i tamarri piacciono sempre.
Insomma, decisamente pollice alto.
Per gli Atreyu la definizione di tamarri è invece riduttiva.
Preparazione del palco e check che nemmeno i Metallica (per citare un gruppo che non ho mai visto live, ma che è noto essere abbastanza cagacazzo), scenografia raccapricciante e tempistiche iperdilatate sono troppo da sopportare per un gruppo che ha all’attivo quattro dischi di cui almeno tre identici tra loro.
Questo mi ha indisposto non poco.
Il set però è stato abbastanza divertente, per quanto conoscessi credo 4 soli pezzi di tutta la scaletta e persino questi siano stati suonati in maniera irriconoscibile. Il check faraonico non ha aiutato molto i suoni e questo, col senno del Poi, lo rende ancor più irritante. Il gruppo però intrattiene bene la folla, forse per via del fatto che tre dei cinque siano di una bruttezza leggendaria o forse per il fatto che tre dei cinque siano degli zarri da autoscontro durante la festa del paese.
Più probabilmente perchè il cantante possiede un oggetto magico arcano noto come “la canotta della virilità” che quando indossata rende il proprietario un figo d’altri tempi, ma una volta tolta lo trasforma nel peggiore dei ricchioni. C’è da dire che con il fisico sfoderato dal frontman e vista l’esigenza di mostrare i moltissimi tatuaggi, è comprensibile che questa sia durata indosso giusto due o tre pezzi.
In sostanza la serata è stata divertente seppur non abbia certo visto suonare gruppi le cui performance resteranno scolpite nella memoria. La Bri mi ha pure fatto una foto insieme al migliore degli atreyu, il bassista, che ha regalato veramente un gran live. Avrei voluto postarla, ma ho sonno e non ho voglia/tempo di ritoccarla per cancellare la mia faccia.
In quella foto oltretutto indosso la maglietta della futura ricchezza ed i tempi non sono ancora maturi perchè io la mostri.
Ora vado a nanna.

Manq, per te l’avventura DIMET…

…continua!
Prova scritta dell’esame di dottorato passata.
Giovedì sarà il momento dell’orale, il momento in cui tutto può essere riscritto da raccomandazioni e spintarelle del caso.
L’altro giorno, dopo lo scritto, parlando con il mio capo c’è stato un simpatico siparietto.
Capo: “Ma qualcuno in commissione sa che lavori qui da me?”
Manq: “Io non ho detto niente.”
Capo: “Beh, da curriculum dovrebbe vedersi.”
Manq: “In effetti sul curriculum è scritto.”
Capo: “Speriamo che vedendo questa cosa non ti gambizzino.”
Manq: “…”
Personalmente non faccio una malattia dell’entrare o meno in dottorato, mi piacerebbe ottenere il più possibile a livello di riconoscimenti dal lavoro che sto facendo, ma non è certo quella la molla che mi spinge a proseguire.
Insomma, vediamo un po’ cosa ne esce.
Ora, mentre l’idraulico si appresta a finire i lavori della mia casa, io mi appresto a partire per Bologna.
Stasera suonano gli Used e io non ho intenzione di perdermeli.
Questo si traduce come al solito in 400 chilometri di pura solitudine, immerso nei miei pensieri e imbottito di caffè come nemmeno un pocket cofee.
Se suonano Tragic Poetry piango.
Non credo ci sia pericolo.
Come sempre quando mi appresto ad una trasferta di questo tipo ho necessità di selezionare con cura la musica che mi accompagnerà.
Questo mi porta a poter riflettere sulla mia scaletta per il cofanetto. Faccio subito una precisazione: per me gli anni novanta sono andati dal maggio 1996 al maggio 2001 e sono stati anni ignoranti.
In rigoroso ordine di ascolto.

01 – The Offspring – Genocide
02 – Nofx – Release the hostage
03 – Derozer – No Surf!
04 – Millencolin – Lozin’ must
05 – Persiana Jones – Cosa pensi
06 – GAMBEdiBURRO – La ragazza che io amo
07 – The Ataris – I won’t spend another night alone
08 – No Use For a Name – Not your savior
09 – Blink 182 – Josie
10 – Strung Out – Gear Box
11 – Propagandhi – Middle finger response
12 – Fenix TX – All my fault
13 – Lagwagon – Alien 8
14 – Diesel Boy – Titty Twister
15 – Useless ID – Out of tune
16 – Murder, We Wrote – Look inside my heart

Rileggendola ho un solo aggettivo: settoriale.
Grazie ad Ale e Federico per aver partecipato.
Attendo The O, perennemente in ritardo, e Manowar, impegnato a far nascere il primogenito.
Ah, l’altra volta l’ho dimenticato, ma inserirei anche Fili tra gli autori del cofanetto.
Spero si produca in una bella lista.

Il cofanetto

Oggi Dietnam ha scritto un post geniale. Da una quindicina di giorni io sto lavorando alla stessa cosa sotto forma di una delle mie classiche “compilation”. Purtoppo non sto riuscendo a sfornare un prodotto che sia esattamente come l’ho in mente.
Il post del canadese però mi ha anche fatto pensare a come sarebbe bello chiedere a qualche personalità significativa di fare altrettanto.
Ne potrebbe uscire una sorta di cofanetto modello mediashopping.
Vabbè, buttiamola lì e vediamo cosa ne esce.
La richiesta è semplice: una quindicina di pezzi (più o meno, diciamo tra i dieci e i quindici) che raccontino gli anni novanta per come li si è vissuti. Possibilmente dando ad ogni gruppo/artista un unico spazio nella lista, così da aumentare la varietà.
Lascerò la mia tracklist per la fine.
Le persone che più mi incuriosisce coinvolgere in tutto questo sono quattro: Ale-Bu, Federico A.S., Manowar e The O.
Non è una cosa che costi particolare fatica e secondo me può essere divertente.
Credo che le cinque compilation potrebbero dare origine ad un cofanetto molto eterogeneo.
Ovviamente chiunque altro voglia cimentarsi nella cosa non verrà escluso, ma la mia curiosità è per le selezioni dei nominati.
Bene, vediamo se riesco a ricavarne qualcosa.
Chiudo con una notizia autocelebrativa: mi sono arrivati cucina e letto.
La mia cucina è bellissima.
E’ gialla.

Yippie ka yee motherfucker!

Vorrei scrivere qualcosa sugli Europe Music Awards.
Me li sono guardati dalla Bri e non posso che alzare le corna a Snoop Dog e ai Foo Fighters per la conduzione. Ottima. Ho scoperto che il gruppo che ha chiuso lo show sono i Bedwetters e che sono bielorussi. A me sono parsi la brutta copia di Enter Shikari, tuttavia la provenienza da una terra non certo nota per esportare musica un po’ li scagiona.
Spenderei ancora qualche riga per parlare dell’evento musicale di MTV, ma ieri ho preso un impegno ed intendo mantenerlo: parlare di “Die Hard – Vivere o Morire”.
Non sono bravo a commentare i film senza rivelare particolari indi da qui in avanti potrebbero esserci cosiddetti “spoilers”.
Non è un mio problema, io il film l’ho già visto.
E mi è piaciuto.
Devo subito ammettere che difficilmente avrei potuto trovare insoddisfacente un nuovo capitolo della vita di John McLain, sono un suo fan di lunghissima data e per questo assolutamente incapace di oggettività in merito. Se provo ad essere imparziale però mi viene da dire che era da tempo che in sala non si trovava un classico action movie americano come quelli dei bei tempi e che il nuovo Die Hard ha colmato appeno questa lacuna. La trama è la classica della serie: una banda iperorganizzata di pseudoterroristi combina un gran caos al fine di rubare dei soldi e John si ritrova per caso a dover rompere loro le uova nel paniere, riuscendoci. Sparatorie, inseguimenti, scazzottate e ancora sparatorie il tutto esasperato come deve essere in un film d’azione che possa definirsi tale. A dare quel qualcosa in più poi c’è il personaggio di Bruce Willis, da sempre caratterizzato, più che dai muscoli, dalla sferzante ironia. In quest’ultimo episodio John vede accentuata questa sua vena, quasi a fare un passo verso un altro mitico personaggio, il detective Joe Hallenbeck, che alla fine de “L’ultimo Boyscout” spiegava come “Non puoi semplicemente stendere qualcuno con un cazzotto in faccia, devi prima dire una battuta.”. Tirando due conclusioni, direi che aspettavo questo film almeno da dieci anni e che non mi ha per nulla deluso. Nemmeno quando John a bordo di un tir ha la meglio su un F35 che gli spara contro dei missili o quando con una macchina abbatte un elicottero o ancora quando si spara per ammazzare il cattivo alle sue spalle.
John McLain può tutto.
Mi sono gasato come un ragazzino.
Ora spero di procurarmi in fretta tutti e quattro i capitoli per organizzare una succulenta visione in sequenza nella mia nuova casa, se mai verrà pronta.
Maratona Die Hard.
Cazzo, sì.
Per concludere non posso esimermi dal classico discorso che si fa ogni qual volta si vede un film del genere e quindi butto lì la mia idea: secondo me, a Rambo, John McLain lo spezza.

Live reports don’t tell themselves

Mi sono visto proprio un bel concerto.
I Funeral for a Friend sta sera hanno fatto un grande show. Me li aspettavo precisi e puliti al punto di sembrare finti e mi aspettavo una prova discutibile da parte di Matt alla voce.
Così non è stato.
Il suono era effettivamente impeccabile ed i pezzi tutti suonati con una precisione spaventosa, ma la sensazione era di bravura più che di finzione. Anche la voce, tolti un paio di pezzi di rodaggio all’inizio, non si è certo risparmiata. La scaletta ha toccato tutta la produzione musicale della band, regalando anche la chicca di “10.45 Amsterdam Conversations” tratta da “Seven ways to scream out your name”. I pezzi nuovi in chiave live mi hanno convinto al 100%, ma è sicuramente sulla roba più datata che il concerto ha avuto i suoi picchi. Durante un siparietto volto ad elogiare il pubblico, ho anche appreso una roba abbastanza spiacevole: sembra che il menagement del gruppo abbia loro sconsigliato di fare tappa in Italia durante il tour europeo. Questa rivelazione aveva come scopo quello di dire che invece ci siamo rivelati un pubblico fantastico, tuttavia è abbastanza triste sapere che ci considerino un posto dove non è bello venire a suonare.
Per il bis hanno tenuto due pezzi enormi come “Streetcar” ed “Escape artists never die”. Sull’intro della prima, con il telefono che squilla, Matt ha anche accennato: “Milano, I just call to say I love you”, facendomi molto ridere. Chiudo la parte di post a loro dedicata con due cigliegine. La prima è che uno dei due chitarristi è ormai il sosia ciccione del cantante degli AFI, l’altra è che per la prima volta ho visto una tipa fare il segno del cuore con le mani ad un concerto. Quando me ne sono accorto ho sperato che Matt la vedesse, saltasse dal palco e la limonasse ferocemente.
Nel vedere tutto questo, avrei pianto.
Se la serata è stata molto piacevole gran parte del merito va anche ai Revolution Mother, il gruppo spalla. Trattasi di quattro bikers californiani usciti direttamente dagli anni ottanta e spinti da un’unica passione: l’hard rock. A vederli sembrano lo stereotipo degli harleysti ritratti nei telefilm americani di quell’epoca: bandane, giubbotti di jeans con sulla schiena il logo della banda, tatuaggi, barbone foltissime e tanta tanta attitudine. Che il loro sia un messaggio decisamente vintage è comprensibile al solo guardarli, ma per allontanare qualsiasi dubbio sfoderano una bella cover targata Black Flag, togliendo posto a qualsivoglia malinteso. Sentendoli suonare mi sono subito chiesto cosa ci facessero di spalla ad un gruppo come i Funeral for a Friend. La risposta mi è stata data poco dopo dal cantante della band.
“People ask us: “Why are Revolution Mother touring with Funeral for a Friend?”. Well there are not music categories. There are not music genres. There are only bad music and good music. We and Funeral for a friend play good fuckin’ music and we play it fucking loud!!”
Geniale.
Il loro show dura mezz’ora ed è puro spettacolo. Travolgenti da ogni punto di vista. Quando poi il chitarrista ha scavalcato le transenne per suonare un pezzo in mezzo al pubblico è stato il delirio. Tutti attorno a lui a corna alzate, sottoscritto compreso, in un momento di puro rock and roll!.
Al momento dei saluti si sono rammaricati di non potersi fermare a bere una birra con il pubblico, come loro consuetudine, per via delle serratissime date del tour. Se dovessero ricapitare in italia, non esiterei un secondo nel tornare a sentirli pur non apprezzando particolarmente il genere dal loro proposto.
Veri animali da palcoscenico.
Veri animali.
Chiudo, dopo aver ringraziato Carlo e la Sara per la compagnia, con l’unica nota negativa: il Musicdrome. Acustica buona, per carità, ma locale orribile e servizio sicurezza indisponente.

Riatribuzione

A volte mi sbaglio.
Non molto spesso, in realtà, tuttavia è capitato.
Questo post ne è la prova.
Già nello stenderlo però avevo il sentore di poter essere in errore ed infatti nella sua conclusione accennavo a questa possibilità.
Possibilità che oggi mi sento di convertire in realtà.
“Lies for the liars” batte “Tales don’t tell themeselves” e sradica dalle mani dei Funeral for a Friend l’agoniato premio Disco Mignotta 2007.
I motivi della vittoria sono essenzialemente due: “Earthquake” e “Hospital”, due pezzi più infettivi dell’ebola, capaci di insinuarsi in testa e non uscirne più.
Il fatto che mi ci sia voluto del tempo per apprezzare appieno il nuovo lavoro di Berth e soci è, credo, indice del fatto che questo disco, rispetto al contendente, è meno immediato e necessita di un metabolismo più lungo. Di per se questa cosa non è certo un punto a favore, sempre volendo giudicare la zoccolaggine del disco, ed è per questo che all’inizio non ero sicuro di questo avvicendamento in vetta alla classifica.
Poi però ho capito.
Non sono io il cliente cui questa meretrice punta.
Il cliente è quello che ascoltando la traccia “Wake the dead” dentro di se dice: “Fighi questi, sembrano i Fallout Boy!”.
Ebbene per far presa su queste persone non si poteva fare un disco più azzeccato. A mio modo di vedere però, gli Used di talento ne hanno un bel po’, e questo fa si che il disco risulti fruibile per tutti i tipi di orecchio, perchè ciascuno può trovarci qualcosa di buono. Insomma, se i Funeral for a Friend hanno centrato il bersaglio, gli Used hanno centrato la freccia dei colleghi, spaccandola a metà come da migliore tradizione cinematografica Robin Hood inerente.
Devo ammettere che vedere entrambe le band dal vivo nel giro di un mese mi stimola molto.

I heard they suck live!

E’ capitato che oggi alle 14.00 Ale-BU mi mandasse un messaggio recitante le seguenti parole: “Noi si va giù. Si paga. Siamo vecchi. 16.30 al Libra…”.
L’invito era per Idroscalo Rock 2007, concerto dalla line-up discutibile, dal prezzo esorbitante, ma che vede come headliners i Nofx.
I Nofx sono una delle migliori liveband che io abbia visto nella mia vita. A farmeli apprezzare non è tanto l’abilità tecnica, quanto l’indiscussa attitudine e la capacità di divertirmi. Sempre. Analizzando tutti i concerti loro che ho visto (ed iniziano ad essere veramente tanti) non è stata mai suonata la stessa scaletta. Ogni volta ci hanno messo qualche sorpresa, qualche pezzo inaspettato, qualche chicca.
Oggi mi hanno regalato “Reeko”.
Ai tempi era la mia canzone preferita.
Ho dato di matto.
Questa però non è stata l’unica perla. Hanno suonato “Scavenger type”, “The brews”, “Don’t call me white”, “What’s the matter with parents today?”, “Champs Elisèes”, “Eat the meek”, “Kill all the whitemen”, “Bob”, “Stright Edge”, “Leave it alone”, oltre a tutti i pezzi che non possono mancare, tipo “Linoleum”.
Insomma, gran concerto e grasse risate per tutte le classiche gags che sanno saputo come sempre regalare.
Del concerto meritano anche veloce menzione i Sick of it all, sempre all’altezza della situazione su un palco, e i Sottopressione, il cui set carico di emozione è stato veramente splendido. Io non posso definirmi un loro fan, ma sicuramente oggi mi hanno dato tanto. Citazione finale per i “The Locust”, gruppo assurdo. Realmente assurdo. Non credo potrei mai ascoltarli su disco, però dal vivo il loro batterista fa spavento. Mai visto nulla di nemmeno paragonabile. Non fosse stato per la precisione con cui suonavano e con cui si trovavano sugli stacchi, avremmo tutti giurato che suonassero a caso.
Incredibili.
Direi che è ora di andare a nanna.
Ringrazio Steps, Ale-BU, Robi e la Meggie, Rao, Diego e Uippo per la compagnia sempre divertente.
Fischi ai Turbonegro.
Insopportabili.
Sono le 2.03, dovrei essere a letto da almeno un’ora.
Stare sveglio però è stato divertente.
Vero Bri?

Come da programma

Il doveroso saluto a Steps, neoacquisto della comunità blogger e prossima aggiunta alla lista dei miei link, e l’impegno per ora messo nel tentativo di realizzare un Tattoo per la Bri (alternativo a quello da lei deciso) non potranno distrarmi dal vero e preannunciato scopo di questa paginetta.
So straight ahead and let’s talk about music!
Stare al passo di tutti i CD che sono usciti o che ho deciso di procurarmi seppur vecchiotti in questo periodo è impresa titanica.
Troppa carne al fuoco, troppo poco tempo a disposizione, troppo spesso prodotti non convincenti al primo ascolto e quando si hanno tanti dischi da ascoltare, il primo ascolto è decisivo: se il prodotto non convince dal principio è facilissimo accantonarlo per dar spazio ad altra roba.
Spesso mi capita che a distanza di tempo quegli album accantonati con eccessiva fretta mi ritornino per le mani in momenti di stanca o di piattume sonoro, ma nessuno può dire se sarà così anche questa volta.
Vedremo.
Bando alle ciance e via di approccio metodico/analitico.
Potrei addirittura fare un elenco puntato.
No, sarebbe eccessivo, vado per paragrafi.
Spero di riuscire ad essere breve.
Biffy Clyro – Puzzle
Sto letteralmente consumando questo CD e più lo sento più mi convinco che sia uno dei migliori capitatimi per le mani nel 2007, se non il migliore in assoluto. Se dovessi descriverlo direi che suona come il figlio nato dallo stupro dei Jimmy Eat World da parte dei Maximo Park. Per i fruitori della musica indie di questi anni ( che poi di indie ha giusto il nome) probabilmente non sarà nulla di che, ma a me che questo indie proprio non lo sopporto piace a dismisura.
Darkest Hour – Deliver us
Il percorso dei Darkest Hour è giunto al capolinea. La lunga e tortuosa strada che porta dall’hardcore al metal è stata percorsa fino in fondo. Ci sono voluti quattro dischi per passare dal suono di “So Sedated, So Secure” a quello di quest’ultimo lavoro, quattro dischi in cui il demone del trash/death metal ha saputo ritagliarsi sempre più spazio a colpi di riff e doppio pedale rullante, fino a prendere definitivamente il controllo della situazione. “Deliver Us” è il CD più tamarro che si possa reperire in casa mia, almeno da quando ho eliminato “City of Evil” degli Avenged Sevenfold. Io lo odio, il metal, eppure questo disco mi piace e non so che cazzo farci. Questo continuo susseguirsi di assoli mi sta rubando l’anima insieme ai dannati cori melodici che i Darkest Hour hanno deciso di introdurre nel loro sound. Già mi vedo con i capelli lunghi, il chiodo e la maglietta dei metallica. Che schifo.
Silverstein – Arrivals and departures
Qui essere breve è facile. Questo disco è identico al precedente. Drammaticamente identico. Ora, se loro non hanno nulla di nuovo da dire, perchè dovrei io?
MxPx – Secret weapon
Disco sorpresa. Per quanto mi riguarda gli MxPx sono “Life in General” e “Slowly going the way of the buffalos”, tutto ciò che è venuto dopo o prima non l’ho mai considerato più di tanto. Devo ammettere però che quando tempo fa uscì “Panic” dentro di me pensai: “Ok, gli MxPx non sono più loro ormai da tempo, però in quanto a melodie cagano in testa all’80% dei gruppi pop-punk dei giorni nostri raccogliendo un centesimo del consenso”. Questa cosa la penso tutt’ora, anche perchè “Hear that sound” da sola metteva e mette tutt’ora in riga l’intera produzione pseudopunk del nuovo millennio, tuttavia quello che non avrei mai immaginato è che i tre anzianotti potessero tornare a suonare qualcosa che, almeno a me, ricordi così tanto ciò che gli MxPx sono stati nei gloriosi ’90. Questo non vuol dire che “Secret weapon” sia un CD “100% old style”, ma almeno può sembrare suonato dalla stessa band che ho amato da giovane. Può non essere molto, ma a me basta ed avanza per promuovere questo disco a pieni voti.
Mae – Singularity
Sarò sincero, l’ho spento alla quinta traccia. Insulso. Magari questo sarà uno dei casi in cui potrò smentirmi in futuro, ma per farlo dovrei rimettermi nell’ottica di ascoltare questo disco e non credo sia una cosa facile per il momento.
The Used – Lies for the liars
I The Used appartengono alla stessa famiglia dei Silverstein, famiglia con un male congenito che sta facendo avvizzire l’albero genealogico in maniera drammaticamente veloce. A differenza dei cugini però, loro provano a non lasciarsi morire e curano il loro suono con un po’ tutto ciò che di trendy c’è al momento. Non so quanto questo possa essere stato un tentativo disperato ed irrazionale oppure una furba e studiata mossa a tavolino, sta di fatto che l’accozzaglia di suoni che ne è uscita a me piace. Certo, se ripenso al “Self Titled” da loro licenziato ormai troppi anni fa, la voglia è di spezzare il nuovo disco a metà, tuttavia inserito nel contesto attuale del genere è a mio avviso più che dignitoso. In alcune tracce però sembrano i Fallout Boy e questo non posso proprio perdonarglielo. L’ago della bilancia sarà la prova live. Li aspetto al varco.
Fightstar – One day son, this will all be yours
Ok, l’ho ascoltato alle 3 di notte. Avevo sonno. Mi sono addormentato a metà. Questi sono buoni motivi per dargli un’altra possibilità, ma non ripongo nella cosa molta fiducia. Purtoppo la diagnosi è la stessa dei Silverstein: disco fotocopia, idee finite ed una preoccupante tendenza al cliche.
Vanilla Sky – Changes
Spreco di banda dell’aDSL. E pirla io che l’ho scaricato per sentire le tracce cantate da Mark Hoppus. Dio mio, quanto ancora soffro per la fine dei Blink.
Strung Out – Blackhawks over Los Angeles
Disco mezza sorpresa. Dopo “Exile in Oblivion” pensavo non sarei più riuscito ad ascoltare un CD degli Strung Out dall’inizio alla fine e questo nuovo lavoro mi ha smentito. Troppo poco per salvarlo però, quando sull’altro piatto della bilancia ci si mettono “Twisted by design” e “Subhurban teenage wasteland blues”.

Direi che come recensione può bastare. Alla fine la valutazione complessiva delle release del 2007 fino ad ora non è negativa, durante l’estate ho sicuramente avuto roba da sentire a sufficienza.
Il fatto che con tutti questi dischi io mi sia gettato anima e corpo per tutto Agosto su “Rode hard and put away wet” dei Diesel Boy (2001) suscita in me non poche domande.
A tutte queste domande c’è un’unica risposta.
“Me and Kate”.

Selezione

E’ tempo di compilations.
Ne ho due in progress, una per me ed una per la Bri. Avendo della prima scelto unicamente il titolo, che sarà “Climax”, parlerò della seconda. Si tratta del sesto capitolo, se non ricordo male, della fortunata collana “Manq against pacco music”, collezione che affonda le sue radici ormai quasi tre anni orsono ed il cui scopo originario era illustrare alla fanciulla con cui uscivo quali fossero i miei gusti musicali.
In realtà gli obbiettivi erano due e ben diversi: il primo era di dimostrarle di avere gusti migliori dei suoi, il secondo era di farla appassionare ai gruppi che amo in modo da portarmela ai concerti.
Col senno di Poi, direi di aver centrato entrambi i target con successo.
Trattandosi di una compilation mp3 l’operazione non è semplicissima, poichè ci sono da riempire 700 Mb, ma al momento sono ben messo. A dire il vero potrei anche finirla così, ma non mi soddisfa appieno: devo scremare un po’ di At The Drive-in e aggiungere i Dillinger Escape Plan, ad esempio, e poi vorrei ritagliare un angolino anche ai Me First. Giusto un pezzo magari, solo per marcare presenza dopo il bel concerto. L’opera è quindi ancora in divenire, ma sarà certamente conclusa entro Venerdì.
E’ una promessa.
La mia vita intanto prosegue, tra sbalzi d’umore e di temperatura, alle prese con un articolo in via di submission a Nucleic Acid Research ed un abbonamento aDSL da sottoscrivere entro domani. La scadenza è data unicamente dal fatto che col primo Agosto le offerte dei vari provider finiranno e se a quel punto non avrò ancora un contratto per le mani, un grosso ceppo di pino non levigato tenderà a materializzarsi nel profondo del mio io. In questo istante la mia scelta è nuovamente piombata su Fastweb, qualità e quantità abbinate ad un prezzo da rapina. L’alternativa è l’offerta telefono+adsl di infostrada. Questa possibilità ha diversi contro: aDSL da soli 4 mega, linea telefonica obbligatoria e soprattutto l’essere infostrada. Ha però 20 pro, identificabili negli euri di risparmio rispetto all’offerta Fastweb. La battaglia come si può facilmente intendere è tutt’altro che conclusa. Esisterebbe una terza via, che però unisce i lati negativi di entrambe le sue concorrenti senza aggiungere un solo lato positivo. Si tratta della linea a 20 mega tiscali, alice o infostrada (sono tutte e tre identche).
Il dilemma è quindi quello storico: “Qualità senza risparmio o risparmio senza qualità?”. Purtoppo Sole Piatti, la risposta che la mia amica TV diede al quesito, assicura una forza sgrassante senza eguali, ma non un servizio aDSL.
Urge trovare un’altra soluzione.
Che una doccia possa portarmi consiglio?
Tentar non nuoce.

Qualcosa mi dice che un titolo adatto a questo post non esista

Scrivere non è un cazzo facile.
Mi spiego meglio.
Scrivere non è assolutamente facile per uno come me.
Me ne sto rendendo conto in questi giorni, alle prese con quello che vuole essere il tentativo di raccontare una storia, o forse più di una. Inizio a credere che il mio cervello non sia fatto per queste cose. Tutto nasce dal fatto che, spesso, ho dei flash generati dalla mia testa. Capita che alcuni di questi mi piacciano e, ultimamente, quando questo accade la voglia è di metterli per iscritto. Si tratta spesso di scene, frammenti di un quadro che non conosco per intero e che ciò nonostante riescono ad affascinarmi. Una volta di fronte a monitor e tastiera però, servono delle parole per poterli rappresentare. La routine è quindi iniziare a scrivere, frase dopo frase, nel tentativo di descrivere immagini che persino ai miei occhi sono tutto fuorchè chiare. Di per se questo non dovrebbe essere un problema irrisolvibile. Reputo di avere una discreta fantasia supportata da una più che discreta e fervida immaginazione, il problema è quindi un altro.
Non riesco a seguire il filo dei miei pensieri.
Ogni qualvolta inizio a stendere nero su bianco quella che potrebbe essere una storia, mi trovo presto in balia dei flutti che increspano lo specchio delle mie idee e vado alla deriva, portando il discorso su tutt’altro campo in manira spesso illogica.
Il tutto quindi assume le connotazioni tipiche dei racconti di un ubriaco, privi di inizio e di fine e caratterizzati da un susseguirsi di concetti discreti, consequenziali solo per la mente malata di chi li narra.
Se volessi esemplificare la cosa prenderei ad esempio questo stesso post: aprendo blogger ed iniziando a scrivere, l’idea era di stendere due righe sulle canzoni dell’estate. Nel mio progetto iniziale la riflessione sullo scrivere sarebbe dovuta essere unicamente una parentesi introduttiva.
Con questi presupposti viene da se che scrivere un racconto possa non risultarmi granchè semplice, tuttavia spero di riuscire almeno a finire il primo capitolo.
Il dramma sarà poi doverlo in pratica ribaltare una volta riletto.
Già, perchè un altro dei miei problemi è che quando rileggo un mio scritto sono colto dall’irrefrenabile desiderio di stravolgerlo, in preda ad un fiume di nuove idee.
Ok, è tempo di parlare di canzoni estive.
Fino a ieri il podio delle mie summer hit vedeva sul gradino più basso Tiziano Ferro e al sua canzone sulla Carrà, al secondo posto i Negramaro con “la Finestra” ed in vetta, con incalcolabile distacco sugli altri, Rihanna ed il suo pezzo circa gli ombrelli. Il premio della critica invece l’avrei assegnato a Io, Carlo e la sua “L’Ego”.
Come dicevo, ieri le cose sono cambiate.
Ieri ho visto questo video.
The Syles e J-Ax sfornano un pezzo il cui titolo la dice lunghissima: “+ stile”.
E J-Ax nel video sfoggia pure la maglietta dei Rancid.
Dopo averlo visto, gara chiusa e tutti a casa.
Questo post invece mi ha fatto tirar fuori dal casseto un pezzo vecchio, ma sempre molto estivo: Ash – Girl from Mars.
Chissà se Ciccio si ricorda di avermi passato quel disco.