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Musica

“I couldn’t care less” (cit.)

L’Osservatore Romano in questi giorni ha pubblicato un articolo di rivalutazione dei Beatles da parte della Santa Sede.
Ringo Starr ha commentato come da titolo.
Applausi a scena aperta.
Chissenefrega. Era ora che qualcuno facesse presente che non siamo tutti qui ad aspettare che la chiesa dica la sua su ogni argomento. A molti non frega nulla e, devo ammetterlo, si vive altrettanto bene. Ringo Starr riesce con una frase dove intere generazioni di centrosinistra d’opposizione hanno fallito e continuano a fallire, con una semplicità ed una natturalezza che lasciano effettivamente spiazzati, ma solo perchè non si è abituati al fatto che qualcuno dica le cose come stanno quando di mezzo c’è il clero. Di contro, alla chiesa sono serviti quarant’anni per rivalutare i Beatles, qualcuno di più per ammettere il silenzio ignobile sulle leggi raziali. Non oso pensare quanto gli ci vorrà per fare mea culpa sulla pedofilia e magari chiedere anche scusa per aver lasciato parlare uno come Bertone in un momento tanto delicato.
Bertone che, per altro, ogni volta che apre bocca incrina non di poco il mio credo nella non violenza.
Ad ogni modo grande Ringo Starr, da sempre il mio Beatles preferito perchè indubbiamente il meno hippie e, a mio avviso, il più punk.
Oltre che il più brutto, s’intende.

Canadians – The fall of 1960

In questo Marzo densissimo di post (11, mai così tanti da tempo immemore) ho deciso di dedicare una paginetta alla promozione del nuovo disco dei Canadians. “The fall of 1960” uscirà nei negozi il 9 Aprile, ma qui sotto è possibile non solo ascoltarlo in anteprima (ok, ok, lo so.), ma anche scaricarlo in versione mp3.

<a href="http://ghostrecords.bandcamp.com/album/canadians-the-fall-of-1960">A Great Day by Ghost Records</a>

Faccio tutto questo in primis perchè oggi ho scoperto di essere un indiesnob, ma anche perchè a me i Canadians piacciono e trovo questa modalità di diffusione del loro lavoro molto intelligente, onesta e lodevole.
Del disco in questione non dirò molto, anche perchè non credo che qualcuno preferisca leggere una recensione piuttosto che ascoltarsi il disco, ma un paio di cose vorrei sottolinearle. La prima è che la copertina mi piace tantissimo. La seconda è che mi mancano molto le interminabili code strumentali del precedente disco. La terza è che dopo pochi ascolti la title track e “Carved in the Bark” sono i miei pezzi preferiti. L’ultima è che la traccia fantasma conclusiva è capace di sopperire ampiamente a quanto sottolineato nella mia precisazione numero due.
La domanda ora è: verranno a suonare a Colonia?

Ignorance is bliss

Non mi è mai piaciuta la musica colta.
Da sempre ascolto quello che mi piace e che mi diverte, senza badare troppo alla situazione culturale e sociale che mi circonda. Non sono uno di quelli che si spara gli eventi cool per essere cool, per dirla chiara, ma semplicemente uno che ci può capitare nel momento in cui quello che gli piace diventa in qualche modo trandy. Questo mi porta ad ascoltare ed apprezzare un monte di roba che probabilmente mi taglia fuori dal giro giusto, ma mi da anche modo di vedere spettacoli di indubbio valore artistico e socio-culturale.
Questo preambolo infinito serve ad introdurre il fatto che ieri mi sono sparato il live di Scooter. E mi è piaciuto parecchio.
Vedere un evento techno in Germania è una roba che volevo fare da tempo e ieri questa mia voglia è stata appagata appieno, con annessa dimostrazione di quanto realmente qui siano tagliati per quel genere di storie.
Nell’ambito poi, Scooter è il capo.
Lo so, sono un gruppo di tre persone ed io continuo a parlarne come fosse una sola, ma per me Scooter è il frontman, quello biondo-finto, ed è così dai tempi delle medie quindi non cambierò certo adesso il mio modo di intendere la cosa. E poi, diciamoci la verità, visti live traspare come Scooter sia lui e lui soltanto. Il resto è contorno, per quanto fondamentale.
Lo show si è tenuto al Palladium ed a costo di apparire ripetitivo, ancora una volta Colonia ha dimostrato di avere il locale giusto per l’evento giusto. Questo posto infatti è una sorta di vecchio capannone nel pieno nella zona industriale fuori Colonia, adibito a sede concerti e rave. L’ingresso, la zona bar, il guardaroba ed i bagni sono stati del tutto riattrezzati, quasi in stile teatro, ma la parte dove si svolge l’evento è ancora un capannone in tutto e per tutto, con travi e colonne d’acciaio a sostenere il soffitto, impianti a vista ed muri non verniciati. L’effetto rave è quindi tangibile ancora prima dell’inizio dell’evento.
E c’è un mare di gente.
Scooter attacca pochi minuti dopo le nove e nei primi quindici secondi ridefinisce completamente il mio concetto di “alto volume”. La gente ovviamente esce di testa ed inizia a ballare priva di ogni tipo di controllo, ma io mi soffermo ad analizzare l’aspetto visivo della questione. C’è un impianto luci impressionante, con effetti veramente assurdi. In bilico tra estasi ed epilessia inizio a lasciarmi prendere dalla performance in un tripudio di fuochi artificiali, fiamme che neanche i Ramstein e schermi dalle immagini allucinanti. Rapito da quello spettacolo ho il sospetto di aver appreso come debba essere calarsi dell’acido.
Sul palco, oltre ai “dj”, si alternano i due ragazzi protagonisti di “J’adore hardcore“* e la crew ballerina di “What is the question?“, oltre ad una coppia di cubiste di notevole caratura tecnico-tattica, ma l’attenzione è sempre per lui, il biondone, che salta e si dimena come un pazzo continuando a tirare i cori del pubblico come fosse allo stadio.
La performance dura poco più di un’ora e vengono proposte, oltre alle previa citate, chicche un po’ da tutta il repertorio. Da “Posse” a “Call me manana“, da “Fuck the millenum” a “Stuck on replay“, da “The sound above my hair” (una delle mie preferite) all’acclamatissima “One“, fino alla conclusione lasciata a “Maria“, il pezzo che la gente ha cantato per tutto il tempo dell’attesa per l’inizio dello show.
Ovviamente non è finita qui.
Scooter concede ben due bis snocciolando altre perle come “How much is the fish?“, pezzo durante il quale credo che il Palladium sia stato rilevato dai sismografi di mezza Europa, fino ad arrivare alla conclusione già scritta per l’accoppiata “Hyper hyper” e “Move your ass!“, coronata dalla comparsa di una gigantesca scritta “The end” sui monitor dietro il palco.
Tutto molto divertente. Unico rimpianto è non aver sentito “Faster harder Scooter“, ma non si può avere tutto.
La cosa che invece mi ha sconcertato è stata vedere gente di cinquanta/sessant’anni, dignitosissima all’apparenza, lasciare cappotto e maglione al guardaroba per indossare la maglia del gruppo e gettarsi in mezzo alla folla a ballare. Personaggi impagabili.
Insomma, sarà anche musica ignorante, però gran divertimento.

* al banchetto c’era anche la maglia, fighissima. Non l’ho presa solo perchè volevo qualcosa di più chiaramente riconducibile a Scooter, ma devo ammettere che le mutande con quel logo mi hanno tentato fino all’ultimo…

Esperienza totale

Prendete una spiaggia.
Sì, lo so, non ho mai scritto un post rivolgendomi direttamente a chi legge, però questa sera va così quindi non fate i pignoli e fate quel che dico.
Prendete una spiaggia di notte con un bel falò acceso e le stelle che brillano in cielo.
Mettete duecento, trecento amici intorno a quel fuoco. Chissenefrega se non avete abbastanza amici, fate conto di averceli e metteteli tutti intorno al fuoco con una birra in mano. A questo punto prendete tre chitarre e datele a tre di questi vostri amici d’infanzia che, fortuna vuole, sono anche musicisti che in qualche modo hanno segnato la vostra vita e dite loro di suonare i pezzi più significativi della vostra gioventù in modo che tutti si possa cantare insieme.
Ok, riuscite ad immaginare una situazione di questo tipo?
Io sì, perchè l’ho vissuta questa sera.
Niente spiaggia, purtoppo, ma un freddo localino imboscato nel quartiere di Colonia dove vivo. Roba che ci ho messo una buona mezzoretta a trovarlo, il posto, ma alla fine l’ho reputato veramente carino. Prendete uno di quei bar americani con le freccette, il biliardo, il casino e la cappa di fumo. Metteteci poster di band alle pareti ed una porta che da su uno stanzino con un palco in cui possono entrare per l’appunto circa trecento persone. Ecco, l’Underground di Colonia è così. Una roba che a Milano ce la sognamo e non solo per il divieto di fumo nei locali pubblici.
Ad ogni modo in questo piccolo locale questa sera è avvenuto qualcosa di magico perchè, non scherzo, sembrava veramente di essere in mezzo a gente che si conosce da sempre. Sarà che ero da solo e ho conosciuto più gente che in una vita di concerti “single palyer” in Italia, sarà che l’età media era esattamente la mia, sarà che per tutti i presenti andava in scena a grandi linee la colonna sonora della propria vita, ma non mi ero mai sentito così parte di un qualcosa ad un concerto.
Lo so, fa ridere, ma è così.
Mi rendo conto di non aver ancora precisato quale concerto ho visto sta sera.
Si trattava di Jon Snodgrass + Tony Sly + Joey Cape, tutti in versione rigorosamente acustica.
Non sapendo bene come funzionano le cose da queste parti ed essendo io senza biglietto, ho deciso di recarmi in loco con largo anticipo. Arrivato sul posto nel locale non c’è nessuno, tranne i tre showman impegnati nel soundcheck, così entro e mi sento un paio di pezzi in anteprima prima che Joey Cape venga da me a fare due chiacchiere e chiedermi poi dov’è il bagno. Quando realizza che non sono dello staff ride molto. Rido anche io, e ride anche il tipo al mixer che però poi mi chiede di uscire.
Il set vero e proprio inizia dieci minuti dopo le otto e sul palco ci sono tutti e tre gli artisti per suonare insieme i primi tre pezzi, uno dal repertorio di ciascuno. In realtà Joey Cape ne suonerà due perchè durante “Fatal Flu” Jon rompe una corda, la prima di una lunga serie, ma come appare chiaro si tratta di un fuori programma. Anche di questi ultimi sarà costellata la serata. In ogni caso avvio col botto, tra battute e dialoghi col pubblico che definire esilaranti è poco.
Personalmente non conoscevo Jon Snodgrass, nè gli Armchair Martian nè tantomeno i Drag the River (ok, shame on me). Tuttavia il suo set è fantastico. I pezzi voce e chitarra emozionano davvero e lui è un personaggio geniale, ma geniale sul serio. Esegue praticamente solo canzoni a richiesta, almeno finchè le richieste arrivano, ed alla fine cede il posto a Tony Sly. Non che se ne vada, smette semplicemente di suonare per dedicarsi a fare filmati con la sua compatta digitale. La gente apprezza e anche Tony Sly: “Jon is always great. In his set and even in mine.”
La scaletta del leader dei No Use for a Name non la commento neanche, perchè si parla di uno che ha nel plettro più singoli di Vasco e che quindi da dove pesca pesca sicuro. Il clima è fantastico, roba che ad un certo punto TS chiede ad uno del pubblico di aprirgli una birra, per capirci. Esegue anche tre di pezzi dall’album in uscita, quello da solista in acustico che è in giro a presentare. Il primo è molto simile a qualcosa dell’ultimo album NUFAN, il secondo è bellissimo ed il terzo serve a richiamare sul palco Joey Cape che nel disco canta metà della canzone. Questa sera però JC pare proprio non ricordare di cosa si tratti e così, dope due tentativi a vuoto tra le risate generali, Tony Sly lascia il palco.
A differenza del predecessore, il frontman di Lagwagon e Bad Astronaut decide di proporre diversi pezzi della sua carriera da solista, molti dei quali dedicati all’amico scomparso Derrik Plourde. L’atmosfera è carica di emozione e porta Joey ariflettere su come non sia facile essere allegri quando la maggior parte dei propri pezzi parla di suicidio. Per ri-alleggerire l’ambiente decide così di suonare “Beard of shame”, fermandosi nel ponte strumentale per ammettere di non avere mai avuto la necessità di imparare a suonare quella parte. Ormai il tutto procede da due ore abbondanti ed è quindi il caso di portare al termine la serata.
Sul palco tornano i due colleghi per suonare gli ultimi pezzi, ancora una volta pescandone uno per ognuno. La conclusione del tutto è affidata alla cover di “Linoleum” ed è l’apice di una serata spettacolare.
Almeno, vivendolo credevo fosse l’apice.
Poi è successo che i tre se ne sono andati e che la folla li ha osannati per diversi minuti buoni, fino a farli rientrare per un bis che sembrava del tutto imprevisto.
Scelgono un’altra cover: “Boxcar” dei Jawbreaker.
Jon vorrebbe suonare, ma anche filmare con la sua compattina e quindi chiede a uno del pubblico se può riprendere al posto suo. Questo accetta ed il pezzo parte a coronare il reale apice della serata.
Probabilmente questo racconto è orfano di diversi aneddoti che varrebbe la pena ricordare, ma ora sono un po’ stanco e quindi va bene così.
Esperienza totale.
Senza scherzi, credo sia stato il più bel concerto della mia vita.

Get a life!

Il mio impatto con il nuovo mondo teutonico è per forza di cose l’argomento principe di queste pagine, ultimamente.
Me ne dispiaccio, perchè mi piaceva avere un blog che parlasse un po’ di tutto, però lo stravolgimento avvenuto nella mia vita negli ultimi quindici giorni è troppo grande ed importante perchè non sia costantemente al centro dei miei pensieri.
Ad essere onesti avrei anche potuto/voluto scrivere un post di musica, ma dei due dischi di cui volevo parlare ho già detto tutto altrove, per la precisione qui e qui, rendendo un post in merito ridondante e, di conseguenza, superfluo.
Così, che piaccia o meno, ho deciso di dare sfogo a una riflessione che ho iniziato a maturare sin dal mio arrivo e che, in questi giorni di “festa”, è tornata di tremenda attualità.
C’è qualcosa di sbagliato nel modo che hanno qui (e nel mondo, a questo punto) di intendere il mio lavoro o sono io che ne ho un’idea scorretta?
Spiego meglio.
Nel laboratorio dove sono ora ospite in attesa che il mio reale posto di lavoro venga pronto, ci sono un sacco di ragazzi provenienti da altrettanti, o quasi, posti differenti. Ci sono australiani, canadesi, greci, indiani e tedeschi di ogni regione. Gente che più o meno orbita in una fascia di età compresa tra i venticinque ed i trenta, miei coetanei insomma, e che ha le più diverse situazioni familiari e personali: sposati con figli, sposati senza figli, sinlge, conviventi ed ancora residenti con i genitori. Insomma, è un ambiente senza dubbio eterogeneo. Ciò che contraddistingue ognuno di loro però, è l’onnipresenza in laboratorio. A qualunque ora io arrivi al mattino, loro sono qui e a qualunque ora io me ne vada, loro ci sono ancora. Tutti i giorni, feriali o festivi che siano. Certo non sono solito fare l’appello e quindi questo discorso potrebbe valere più per alcuni che per altri, ma in generale è così.
Neanche a dirlo, io di vivere in questo modo, non ho la minima idea.
Per quel che mi riguarda gli interessi importanti sono tutti all’esterno dell’ambiente di lavoro e sono già fin troppi rispetto al tempo che avrei a disposizione facendo le mie classiche otto ore al giorno.
La cosa triste è che, scrivendo tutto questo, mi sento in dovere di giustificarmi come se avessi scritto che “non voglio lavorare”. Sono arrivato al punto di sentirmi colpevolizzato nel dire che non vorrei lavorare più di quel che è necessario. Cazzo, è ridicolo. Chi mi conosce sa bene che non sono certo il tipo che parte con il conto alla rovescia delle ore quando inizia al mattino. Faccio quel che devo nel tempo che ci metto e se capita di metterci di più di otto ore, beh, mi fermo e finisco.
Io però non programmo in partenza la mia giornata su dodici ore nè la mia settimana su sette giorni, come vedo fare a tantissimi qui.
Se una cosa posso farla Lunedì non la programmo per Sabato ed uso il week end per lavorare solo se è estremamente necessario. Non mi pare di dire nulla di insensato, eppure posso garantire che qui nessuno la vede così.
Il problema è che con questo contorno è un attimo passare per quello che cazzeggia, visto che la mole di quanto produco io con le mie tempistiche normali non sarà mai pari a quella prodotta da chi, ridendo e scherzando, lavora il 50% del tempo in più.
Riflettendoci mi seccherebbe dover mollare un lavoro che mi piace solo perchè non ho intenzione di dedicargli TUTTA la mia vita, almeno fino a che qualcuno mi dimostrerà che ne avrò altre a disposizione da dedicare al resto dei miei interessi.
Discorso analogo vale per la facilità che ha questa gente nel saltare da un posto all’altro. Per quello che mi riguarda quest’anno sarà un’esperienza da mettere a curriculum ed un esperienza di vita, non lo standard da qui ai prossimi trent’anni. Non sono disposto a continuare a ricostruirmi una vita ogni tre, quattro anni saltando di laboratorio in laboratorio per ottenere una carriera sfavillante da cui, a conti fatti, già ora sento non trarrò nulla se non rimpianti su quanto mi è costata.
Io ho degli amici, delle persone con cui mi piace stare con cui ho condiviso tanto e spero di condividere ancora di più. Non ci penso nemmeno a passare un’esistenza fatta di conoscenze che vanno e vengono, per quanto simpatiche possano essere. Idem per quel che riguarda i miei genitori. Se fare carriera nella scienza vuol dire rinunciare a tutto questo, senza nemmeno pensarci su rispondo: “No, grazie” e vado a fare altro.
Io lavoro per vivere, non vivo per lavorare.
Magari tutte queste riflessioni sono solo frutto di una prima, erronea impressione, ma non credo. Inizio a pensare che quest’anno sarà l’ultimo in cui potrò fare questo lavoro se non vorrò scendere a questi compromessi.
Vabbè, ora vado a finire l’esperimento che sto facendo.
Sì ho scritto dal lavoro.
Sì forse sono un fancazzista.
Oggi, ieri e Venerdì qui però è stata festa nazionale.
Ed io sono stato in laboratorio.

Precisazione d’obbligo: nessuno mi ha detto che non lavoro e non sono stato licenziato. Almeno per il momento. Trattasi di riflessioni.

Il 2009 di Manq

Fine anno, tempo di classifiche.
Come di consueto cercherò di prodigarmi nel tentativo vano di selezionare il meglio ed il peggio che quest’anno che sta per chiudersi ha offerto, circoscrivendo la cosa a quei due o tre ambiti che mi preme e soprattutto che posso permettermi di trattare.
Va detto che mai ho avuto tante difficoltà nell’assegnare le posizioni, sia per la presenza di molte opere meritevoli, sia per il fatto che negli ultimi dodici mesi ho veramente visto/sentito/letto molte cose.
Quello che si avvia alla conclusione è stato anche un anno notevole a livello personale, ricco di avvenimenti che in un modo o nell’altro segneranno per sempre la mia vita, ma come al solito riassumere quanto ho vissuto in una pagina del mio diario, che ciò che vivo lo racconta “in diretta”, è un’operazione che ai miei occhi non spicca per utilità. Ecco perchè non lo farò.
Partirò subito con le classifiche invece, che per la prima volta saranno seguite da una breve “spiega” volta a motivare le mie scelte.

Miglior disco
1° Thrice – Beggars
2° Biffy Clyro – Only revolutions
3° Minnie’s – L’esercizio delle distanze
spiega: premio “Beggars” perchè è il disco che non ti aspetti e quindi che apprezzi ancora di più. Questo non toglie che sia anche un capolavoro, ma a mio avviso lo è pure il nuovo Biffy Clyro, quindi per il primato serviva qualcosa in più. Più o meno per le stesse ragioni sego i Brend New, perchè mi aspettavo un capolavoro che non è arrivato. In onestà “Daisy” sarebbe probabilmente nella mia top 3 se fosse stato scritto da altri. Al posto suo ci finiscono i Minnie’s che, semplicemente, una volta ascoltati non ho più tolto dall’auto. Era Maggio. E se dopo aver ascoltato “Milano è peggio” qualcuno avesse ancora da ridire, beh, s’inculi.

Peggior disco
1° Nofx – Coaster
2° 30 Seconds to Mars – This is war
3° Taking Back Sunday – New Again
spiega: primo posto indiscusso per i Nofx che commento citando le pagelle di Giorgio Terruzzi ai tempi di Grand Prix: “Un campione del mondo non si comporta così”. Il disco dei 30StM è ovviamente gran peggio di “Coaster”, tuttavia non ero nemmeno certo di volerlo inserire in classifica. Non avrei proprio dovuto ascoltarlo, inutile lamentarsi dopo. Preciso che, nonostante i fiumi di parole ingiuriose da me spesi su questo blog, “Artwork” dei The Used non è tra i peggiori dischi perchè, pur essendo una maxi cagata, io lo adoro. Letteralmente.

Miglior concerto
1° Biffy Clyro @ Tunnel (Milano)
2° The Get Up Kids @ Estragon (Bologna)
3° All-American Rejects @ Musicdrome (Milano)
spiega: le prime due posizioni hanno una duplice spiegazione. La prima è che i GuK non potevano sperare di vincere non suonando “Forgive & Forget” dopo che mi sono sparato 200km per sentirla. La seconda è che mi sentivo di aver già parzialmente derubato i Biffy Clyro nella sezione dischi. Però anche solo il fatto di essere tornato al Tunnel dopo secoli vale la scelta. Ho segato il set dei Thursday di Bologna perchè, pur essendo ancora convinto abbiano fatto il live perfetto, rivisti a Milano mesi dopo non hanno ripetuto l’opera, anzi, hanno deluso. Se i GuK nonostante lo smacco sono finiti in classifica, non mostro alcuna pietà per Kris Roe. Invece di “Broken Promise Ring” hai suonato “Boys of Summer”. Vergongati!

Peggior concerto
1° Alkaline Trio @ Rolling Stone (Milano)
2° Green Day @ Datch Forum (Milano)
3° Escape the fate @ Estragon (Bologna)
spiega: la prima posizione va da se, trattandosi di una band incapace di suonare dal vivo. Per quel che riguarda i Green Day il giudizio è sulla prova on stage, perchè non si discute sia stata una delle serate più belle e divertenti di questo 2009. In merito agli Escape the Fate dico solo che sono stati in ballottaggio con i Lost e che hanno vinto perchè: 1- i Lost li ho mollati dopo tre canzoni 2- gli EtF se la menavano di più.

Miglior film
1° Inglorious basterds
2° Gran Torino
3° Watchmen
spiega: onestamente credo ci sia poco da spiegare. Watchmen appartiene ad una categoria di film che solitamente non apprezzo e, oltretutto, è lento da morire. Però non premiare una pellicola con una colonna sonora del genere, con una trama del genere ed una realizzazione del genere secondo me sarebbe stato a dir poco ingiusto.

Peggior film
1° New moon
2° Transformer 2
3° Outlander – L’ultimo vichingo
spiega: in condizioni normali District 9 avrebbe vinto a mani basse, ma di fronte ai fuoriclasse bisogna saper chinare il capo.

Miglior Libro
1° Il Mercante in Fiera – L. Scarpetta
2° Herry Potter (saga) – J.K. Rowling
3° L’assassino che è in me – J. Thompson
spiega: sento di dover precisare solo l’inserimento della saga del maghetto di Hogwarts in classifica perchè sui sette libri sono più le pagine discutibili di quelle buone. Molte di più. Però alla fine mi è piaciuto parecchio e quindi chi se ne incula. Ora sto leggendo “Il Potere del Cane” di D. Winslow e non avendolo ancora finito ho dovuto estrometterlo dalla classifica. Al momento però, con 500 pagine lette su 700, caga in testa a tutti e tre i premiati. La spiega più grezza dedicata al capitolo letteratura mi riempie di orgoglio.

Peggior libro
1° Uomini che odiano le donne – S. Larsson
2° La mano sinistra di Dio – J. Lindsay
3° La solitudine dei numeri primi – P. Giordano
spiega: il primo è un polpettone infinito privo del benchè minimo mordente. Il secondo è una cagata colossale da cui, inspiegabilmente, hanno tratto un telefilm favoloso. Il terzo è il libro con i personaggi più odiosi della storia. Direi che ho motivato a sufficienza.

Miglior serie TV
Scrubs – VIII serie
spiega: decisione ultrasofferta. Quest’anno infatti ho scoperto Boris e Californication, per fare due nomi che potrebbero ampiamente meritare il premio. Ho votato col cuore.

Peggior serie TV
Dexter – II serie
spiega: sottotitolo del Manq al cofanetto: “Come gettare in merda una roba figa.”

Mixtape (2000-2009)

Sono un modaiolo e questa è la principale motivazione che mi spinge a scrivere il post che segue. In attesa dell’immancabile classifica di fine anno ho infatti deciso di cimentarmi in un’operazione simile a quella vista in molti altri blog sotto le più svariate forme: l’analisi degli anni zero, ovviamente da un punto di vista musicale. Come dicevo, molti blog hanno già affrontato l’impresa.
Bastonate ha scelto di celebrare il decennio utilizzando le copertine degli album. Idea molto figa. Tra i commenti al post linkato qui sopra c’è anche la mia selezione, non ho saputo reistere.
Dietnam ha stilato la classifica dei migliori 20 album del decennio. Anche in questo caso avrei voluto fare la stessa cosa, ma mi sono reso conto che più che gli album più belli, in senso “assoluto”, avrei voluto premiare quelli che io ho ascoltato di più. Ok, so che dire che un disco è “bello” è sempre qualcosa di soggettivo, però secondo me ci sono dischi che sono “oggettivamente” belli ed altri che lo sono per me pur riconoscendo io stesso abbiano non poche carenze.
Non credo sia chiaro quanto intendo, ma chissenefrega. Alla fine tanto ho abbandonato l’idea di fare una classifica.
Trovo invece carina e più intima la scelta di autodedicarmi una bella mixtape.
Ah, per chi se lo chiedesse, ignoro volutamente l’argomento neve a Milano.
E poi la selection sottostante renderebbe le tre ore che ho impiegato ieri a percorrere 10 km pura poesia.

Manq mixtape ’00/’09
01 – Underøath – Breathin in a new mentality – Lost in the sound of separation (2008)
02 – Taking back sunday – Ghost man on third – Tell all your friend (2002)
03 – Rufio – Above me – Perhaps, I suppose… (2001)
04 – Bad astronaut – Linoleum – Unreleased (2008)
05 – Glassjaw – Siberian kiss – Everything you ever wanted to know about silence (2000)
06 – Brand new – Me vs. Maradona vs. Elvis – Deja entendu (2003)
07 – No use for a name – International you day – Hard rock bottom (2002)
08 – Biffy Clyro – Machines – Puzzle (2007)
09 – The used – Poetic tragedy – The used (2002)
10 – Funeral for a friend – Bend your arms to look like wings – Casually dressed and deep in conversation (2003)
11 – The ataris – Fast times at dropout hight – End is forever (2001)
12 – Boxcar racer – Watch the world – Boxcar racers (2002)
13 – All-american rejects – Paper heart – All-american rejects (2002)
14 – Britney Spears – If U seek Amy – Circus (2008)
15 – Finch – Letters to you – What it is to burn (2002)
16 – Mae – The Sun and the Moon – The Everglow (2005)

Trova l’intruso

Per giocare basta clikkare qui.
Un indizio: non sono i Nirvana.

Grazie a Uazza per la segnalazione.
Aggiungo un’annotazione: inizia a darmi sui nervi vedere su tutti i blog che giro la copertina di Rolling Stone di Dicembre.

Applausi a scena aperta

Non credo esista un’altra band capace di far sembrare bello il pezzo del video qui sotto.
Ma bello bello, non semplicemente migliore.
Il 7 Dicembre si va a vedere Biffy Clyro.
Punto.
E adesso sale l’attesa per il nuovo disco.