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L’italia è una merda, ma…

Diario dall’isolamento: day 2

Oggi è stato il primo vero test di questa situazione di isolamento: lavorare da casa coi bimbi in giro.
Paola ha iniziato alle 7:00, portandosi due ore avanti rispetto a me in modo da avere margine di gestione. Dalle 9:00 abbiamo iniziato a darci il cambio ogni due ore stile wrestling: due ore di lavoro in ambiente silenzioso per call e attività di concentrazione, due ore nel delirio dei bimbi per i lavori meno delicati. Ho passato quattro ore al portatile seduto al tavolino IKEA dei bimbi. Un calvario, ma l’abbiamo portata a casa.
Peggio di noi l’hanno vissuta i bambini, che non riescono ovviamente a comprendere perché non dovrebbero passare tutto il tempo a giocare con noi avendoci a un metro di distanza. Probabilmente non è il primo problema in termini di priorità, ma vederli tristi per non poter stare coi loro nonni o all’asilo fa abbastanza male, credo più che altro per il senso di impotenza. I bambini capiscono, ma non accettano e non ci puoi fare un cazzo.

Verso le 18 siamo poi usciti per fare un giro dell’isolato. Due passi, aria fresca. In giro certamente meno persone di ieri, ma l’effetto è comunque strano: una guerra invisibile ed impercettibile fuori dai giornali, ma che esiste e non puoi esimerti dal combattere.
Stando a casa, ma anche veicolando messaggi, ribadendo concetti e spingendo iniziative positive come quella messa in piedi da Fedez e Chiara Ferragni. Ho letto di persone che l’hanno criticata, alcune per motivi anche comprensibili, altre per mera ideologia. Io ci ho messo degli euro, perché al netto di tutto credo siano sempre e comunque vite salvate e mi piace pensare di giocare in quella squadra, oltre a tifare perché vinca.
Del resto mi curo poco, al momento.

Secondo giorno di isolamento, da domani tutta Italia pare si sveglierà nelle medesime condizioni. Forse così inizieremo a pensare come una Nazione. Vedremo.
Paola intanto vuole sfruttare la circostanza per spatellare Olivia e boh, forse in una vita precedente ero Erode.

Diario dall’isolamento: day 1

E quindi alla fine Milano si è dovuta fermare e con lei la Lombardia.
Non fermare fermare eh, se devi andare al lavoro puoi andarci. Se l’azienda lo ritiene, diciamo. Oppure se lo ritieni tu.
Il decreto sul blocco della Lombardia è come il codice dei pirati: più che altro una traccia e noi lombardi, su questa traccia, dobbiamo muoverci.
Oggi quindi è stato il mio primo giorno di quella che sarà, temo, una lunga stagione di isolamento e ho deciso di raccontare qui quello che succederà da queste parti, day by day.
Alla fine avere un diario dovrebbe voler dire questa cosa qui.

Oggi sarebbero dovuti venire i miei a mangiare i pizzoccheri, ma sono stati a casa. Li abbiamo mangiati noi, i pizzoccheri.
Da domani non porteremo più i bimbi da loro, né dagli zii o dalle persone che ci hanno aiutato in questo momento di asili chiusi. Si sta tutti e quattro in casa insieme e io e Paola faremo i turni a star dietro ai figli alternandoci nello smart working (grazie a dio Paola può fare orari molto flessibili).
Non so se ai miei faccia peggio l’ansia del possibile contagio o l’impossibilità di avere un nipotino che riempia loro la giornata. Li chiamo spesso ripetendo allo sfinimento cosa devono fare e anche questo per loro è elemento di tensione perché la mia apprensione probabilmente li fa sentire vecchi.
Non sono sicuro di saper gestire questa cosa.

Nel pomeriggio siamo usciti a fare due passi nelle campagne dietro casa. Giorgio con la sua biciclettina, io e Olly mano nella mano, Paola a spingere il passeggino inizialmente vuoto. Fuori c’era una bellissima giornata e l’aria, paradossalmente, è pulita come in marzo non è da anni, se si trascura il particolare del virus che ci si propaga attraverso. In giro tante persone impegnate a fare due passi all’aperto. Credo questa sia una bella cosa perché non ho visto assembramenti, solo voglia di uscire di casa in una giornata di sole. Certo qualche gruppetto c’era, perlopiù adolescenti, ma che vuoi farci?
Come li tieni in casa i ragazzini, senza nulla da fare tutto il giorno?
Forse se si beccano in tre o quattro al parco non è la fine del mondo. Sarebbe da evitare, ma se c’è una cosa chiara è che questa è una situazione fatta di compromessi, ad ogni livello.
Speriamo di trovare un equilibrio che ci porti fuori con meno danni possibili.

Oggi quindi è stato il mio primo giorno di isolamento forzato.
Tiriamo dritto e speriamo bene.

Notizie dal fronte: CORONAVIRUS

Siccome il business non si ferma certo per quattro colpi di tosse mi trovo a Linate, pronto a volare su Napoli con la speranza non decidano di sbattermi in quarantena appena atterrato.
La situazione in aereoporto è, occhiometricamente, quella standard delle partenze del lunedì mattina. Forse c’era un minimo di coda in meno al bar Motta, il primo dopo i controlli di sicurezza, ma non mi sono trovato nell’aereoporto deserto che qualcuno poteva ipotizzare e, a parte qualche mascherina e l’istinto incontrollabire di dare fuoco a chiunque soffi il naso, direi che non c’è niente da segnalare.
Siccome al mio imbarco manca grossomodo un’ora, scrivo due righe sul blog in merito al CORONAVIRUS (tutto maiuscolo, così siete avvisati e dopo aver letto lavate le mani 20″).

Un po’ per la voglia di stare sul pezzo e un po’ per ipocondria, ho seguito la vicenda fin dai primi di gennaio, quando si è iniziato a parlare di Wuhan. Su una scala ipotetica di panico, mi sono stabilizzato quasi subito su un valore grossomodo intorno al 30%, beccandomi del paranoico un po’ da tutti. La situazione però era destinata a cambiare, come illustra il grafico qui sotto:

L’intersezione tra la retta rossa e quella verde è stimabile a venerdì scorso (21/2/20) nel primo pomeriggio.

Da quel momento sono passato dall’essere un matto allarmista ad essere un matto negazionista.
In queste ore quindi sto leggendo tantissimo di quello che circola sul tema, sia da fonti ufficiali, sia sui social network, luogo magico dove chiunque può togliersi il dubbio di sapere cosa pensi, che ne so, Paola Ferrari, di questa situazione (SPOILER: una serie di cazzate.).
Segue quindi un mini elenco di riflessioni sparse su quanto ho letto, classificate tramite categorie di persone che fosse per me andrebbero chiuse in centri per l’igiene mentale non credo abbiano le idee molto chiare in argomento.

1) Quelli che “Ma cos’è questa isteria di chiudere scuole/bar/negozi/ecc…? Ma ripigliatevi.”
Il problema di un virus che possono prendere tutti è, tenetevi forte, il fatto che possano prenderlo tutti. Questo vuol dire principalmente due cose. La prima è che se i contagiati superano una certa soglia, il nostro SSN per quanto buono finirebbe per collassare, con ovvie controindicazioni per la salute di tutti. La seconda è che più contagiati ci sono, più sale la probabilità lo contraggano persone più a rischio. Il che ci porta ad una seconda categoria.

2) Quelli che “La mortalità nelle persone giovani e sane è quasi nulla. Relax!”, che poi sono il sottoinsieme sfacciato del gruppo 1. Gente che magari fino a ieri si batteva per sensibilizzare in merito ai cambiamenti climatici e al futuro del pianeta che ci riguarda TUTTI, ma che per tutti intende evidentemente solo loro, o prima loro. Perché non è difficile capire che, di nuovo, senza prevenzione questa situazione può essere un problema serio per tante persone, che già hanno magari i cazzi loro da gestire.

3) Quelli che “I cinesi…”. Quanta miseria umana.

4) Quelli che “Avete rotto il cazzo coi cinesi e poi è colpa di un businessman milanese…”. Io la capisco la necessità di dare addosso al gruppo 3, è anche giusto, ma infilare la lotta di classe a cazzo di cane in ogni contesto e senza cognizione di causa non fa di voi persone intelligenti.

5) Quelli che “Burioni è il nemico a prescindere”. Di nuovo, capisco la volontà di ridimensionare l’ego di un uomo a cui è sfuggita di mano la percezione di sé e del proprio ruolo, ma un conto è criticare l’uomo e condannare certi suoi atteggiamenti, un altro è provare a dimostrare sia un pirla a 360°, o comunque anche nell’ambito delle sue competenze. Non è così e, spiace dirlo, ogni accusa di questo tipo che viene rispedita al mittente dai dati o dall’evidenza quell’ego lo pompa.

6) Quelli che “Italia Paese ridicolo, unici in Europa che non hanno arginato il problema…”. Raga, no. In Italia una serie piuttosto unica di coincidenze ha voluto che un trentottenne grave (evento raro) dicesse di avere un amico rientrato dalla cina (che poi non c’entrava una beata minchia) per innalzare i livelli di attenzione ed intensificare i controlli. A questo punto, come dice il proverbio, chi cerca trova. È difficile pensare l’Italia abbia più rapporti con la Cina rispetto ad altri Paesi europei e, a quanto ho letto, non c’erano altrove misure più stringenti delle nostre per il contenimento. Questa continua necessità di autodipingerci come repubblica delle banane non è che faccia bene.

7) Quelli che “Facciamo le scorte!!!1!”. Qui non so neanche cosa dire, mi chiedo solo quelli che si portano a casa settemilioni di casse d’acqua cosa pensano faccia il CORONAVIRUS ai rubinetti. Boh.

Ok, mi sono imbarcato e non mi vengono altre considerazioni al momento. Dal fronte è tutto, a voi studio.

Sanremo 2020: le canzoni in gara

Non sto seguendo Sanremo.
Non perchè abbia di meglio da fare o perchè ritenga importante boicottare il festival, semplicemente preso come spettacolo di intrattenimento non mi interessa per nulla e, anzi, soffrirei terribilmente se provassi a guardarlo.
Discorso diverso sono le canzoni in gara, che per qualche motivo ogni anno solleticano la mia curiosità pur sapendo a priori siano tutte ultra lontane dal poter finire anche per sbaglio nello spettro dei miei ascolti.
Questa mattina quindi ho approfittato della playlist che Spotify ha creato ad hoc e mi sono sentito tutti i pezzi, commentandoli di getto e al primo ascolto su twitter.
Qualcuno mi ha detto che poteva essere più intelligente, avendo un blog, racchiudere tutti i tweet in un unico post(o) ed in effetti ha senso, quindi li riporto di seguito esattamente come mi sono usciti.
Una sorta di mini guida a questa edizione del Festival della Canzone Italiana.

  1. Musica (E il resto scompare) di Elettra Lamborghini.
    Boh dai, poi rompevate il cazzo per Despacito.
  2. Me ne frego di Achille Lauro
    Funziona, per me pure più di Rolls Royce. Il personaggio mi resta comunque indigeribile.
  3. Eden di Rancore/Dardust
    Questi han puntato sull’impegno politico perchè gli mancava la canzone. Dubito paghi.
  4. Andromeda di Elodie
    Nel 2020 credo ci stia e lei è brava. A me il pezzo fa cagare.
  5. Tikibombom di Levante
    Fino ad ora il pezzo migliore e lei non è che mi faccia impazzire.
  6. Rosso di Rabbia di Anastasio
    Premio “ritornello dimmerda”. Non è l’unico problema eh.
  7. Fai Rumore di Diodato
    La prima Canzone di Sanremo™ che sento in questa playlist. Per molti è un bene, chi sono io per?
  8. Ringo Starr di Pinguini Tattici Nucleari
    Not my cup of tea, ma il testo è carino e tutto sommato se la sentissi in radio probabilmente non spegnerei
  9. NO GRAZIE di JUNIOR CALLY
    Ma perchè il caps lock? Perchè? Cmq un pezzo rap anonimo e cerchiobottista di cui aveva bisogno solo chi la musica non dovrebbe ascoltarla.
  10. Viceversa di Francesco Gabbani
    Dovrei chiedere a mio figlio, che è il target. La paura è che il ritornello potrebbe anche piacergli, ma con quella strofa la probabilità che ci arrivi è bassina. Brutta non direi, però.
  11. Come mia madre di Giordana Angi
    Sorvoliamo sul “questa chi è?” perchè non è l’unica che non conosco in playlist e l’ignoranza è al portatore come i libretti postali. La voce mi piace ed è la seconda Canzone di Sanremo™ , la SNAI manco quota che me la dimentichi subito.
  12. Baciami Adesso di Enrico Nigiotti
    Sono entrato nel blocco Canzone di Sanremo™? Possibile, cmq non credo ci fosse bisogno di un altro Biagio Antonacci.
  13. Dov’è di Le Vibrazioni
    Sono nel blocco, senti che sensazione di comfort. Però oh, questa tra le Canzoni di Sanremo™ al momento è la meglio per ampio distacco.
  14. Il confronto di Marco Masini
    Perchè Marco? Perchè?
    (Canzoni di Sanremo™ in rimontissima si portano a 6/14)
  15. Carioca di Raphael Gualazzi
    Se skippo è tipo barare, vero?
    Ad un certo punto, prima che diventi triste come un party di capodanno su Canale 5, c’è una linea di piano che per me ha fottuto da qualche parte.
  16. Sincero di Bugo/Morgan
    Non so, mi pare indiscutibile giochi un altro sport rispetto al resto pur trasudando sforzo di non risultare fuori contesto.
    Leggevo che sono ultimi, difficile stupirsi.
  17. Finalmente io di Irene Grandi
    Finalmente?
  18. Voglio parlarti adesso di Paolo Jannacci
    Se vedete due robe che rotolano in terra me le rispedite?
    Non che mi servano eh, è più una questione affettiva.
    (Canzoni di Sanremo™ report: 7/18)
  19. Il Sole ad Est di Alberto Urso
    Mi dite se almeno è cieco? Se no non si spiega.
    (Non rompetemi il cazzo, ho tanti amici ciechi. Canzone di Sanremo™, così anche nel 2020 la quota tenore è salva)
  20. Lo sappiamo entrambi di RIKI
    A questo punto la domanda è lecita: perchè 32 artisti di cui metà inutili? Per finire alle due di notte lo spettacolo? Boh.
    Nona Canzone di Sanremo™ su venti pezzi totali. Inizio ad essere preoccupato, le proiezioni a 2/3 dello spoglio le danno sotto.
  21. Gigante di Piero Pelù
    AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH
  22. Nell’estasi o nel fango di Michele Zarrillo
    Ho perso le parole o forse sono loro che perdono me (cit.)
  23. Niente (Resilienza 74) di Rita Pavone
    Solo cuori.
    E NON VOGLIO SENTIRE REPLICHE.
  24. Ho amato tutto di Tosca
    Ultime speranze per una rimonta impossibile della Canzone di Sanremo™ affidate a sta lagna. Butta male. 
  25. Per sentirmi vivo di Fasma/GG
    Qui è dove mi piglio gli insulti, ma io la salvo nonostante TUTTO. E vi dico di più, la conto come Canzone di Sanremo™.
  26. Tsunami di Eugenio in via di Gioia
    “Siamo figli di Steve Jobs e del T9”
    Salta traccia.
  27. Va bene così di Leo Gassmann
    Non so, Leo. Non sono convinto vada davvero bene così. Direi l’opposto, anzi. (Canzone di Sanremo™ +1)
  28. 8 Marzo di Tecla
    Tecla è un bel nome, non mi spingerei oltre. Poi oh, in confronto al monologo della Leotta questo pezzo è un trattato femminista.
  29. Due Noi di Fadi
    Stiamo chiudendo il recinto coi buoi ormai scappati. Canzone di Sanremo™ matematicamente sconfitta da questa edizione del Festival. A nulla serve questo colpo di reni di Fadi, che quindi potevamo pure evitarci.
  30. Il gigante d’acciaio di Gabriella Martinelli/Lula
    Dignitosissima fino al ritornello, poi va beh, è pur sempre una roba da cantare sul palco dell’Ariston.
  31. Billy blu di MARCO SENTIERI
    Ma perchè il caps lock? Ad ogni modo, le canzoni di denuncia fino a qui erano effettivamente poche, c’era da aspettarsela. Vorrei strapparmi le orecchie.
  32. Nel bene e nel male di Matteo Faustini
    La Canzone di Sanremo™ chiude a 14/32, una debacle pazzesca, ma in fondo “è solo un bene che ci faccia così male”.

Parasite

A un certo punto, abbastanza avanti nel film, il protagonista si chiede: “Cosa ci faccio qui?” e finalmente si compie quel processo di immedesimazione che il regista ha tentato di inserirmi nel cranio a forza per i precedenti settecentoventimila minuti (percepiti) di film.
Sono dentro il cinema, ma non mi ci sento a mio agio e, anzi, provo fastidio ed irrefrenabile voglia di essere altrove.
Possibilmente non in Corea.

Parasite, film di Bong Joon-Ho recentemente premiato a Cannes, mi ha fatto discretamente cagare.
Probabilmente sono io eh, non è colpa del film, però le operazioni di cinema cervellotico e autocompiaciuto le tollero a fatica già quando pescano dal mondo che conosco e mastico, figuriamoci poi quando ci si mette anche la distanza culturale.
Guardo questa roba e non capisco quanto caricaturale sia la rappresentazione dei personaggi, per dirne una, quindi a conti fatti non capisco il film, che è grossomodo tutto racchiuso in quello.
Certo, non è tutto da buttare.
Ci sono sequenze che mi sono piaciute tantissimo, ad esempio tutta la parte dell’esondazione, ma è perché si tratta di una parentesi di pura estetica che non c’entra più o meno niente con la storia e, anzi, te la toglie proprio dai coglioni per diversi minuti permettendoti di apprezzare quanto sia effettivamente bravo il nostro Bong nel costruire le immagini che vuole mostrarti.
Quando la parentesi si chiude però, e i personaggi riprendono a parlare, il film torna a volerti raccontare qualcosa a tutti i costi e a te torna addosso il nervoso. Irritante come il Refn di Only God Forgives, ma senza l’aggravante della preterintenzionalitá di non voler raccontare una storia. Qui la voglia c’è, ma forse sarebbe stato meglio lasciarla a casa.

Altro momento esemplare.
Ad una certa c’è questa scena in cui DAZN (giuro), figlio piccolo di una coppia ricchissima, dorme in giardino ed i suoi genitori stanno sul divano a guardare fuori dalla finestra per controllarlo.
Da cosa nasce cosa e i due iniziano a fare roba. Tutto abbastanza normale, solo che quel che ne esce è la scena più anti-erotica mai passata su grande schermo e non si capisce se lo sia perché non mi arriva la sensualità Coreana, perché è stata scritta e filmata coi piedi o perché l’idea sia mostrare come il sesso tra ricchi é oltremodo disgustoso. Quale che sia il motivo però, non cambia il fatto non sia una cosa bella da vedere.
Ecco, più o meno vale lo stesso per il resto della pellicola, finale compreso, il cui mega pippotto a mio avviso è unicamente pensato per infierire ulteriormente su gente come me che, senza la pressione sociale dell’essere al cinema con alcuni colleghi, si sarebbe volentieri data dopo i primi 20′ e senza particolari rimpianti.
E pensare che il mio collega voleva vedere Zombieland. Forse non ci avremmo trovato gente morta male a colpi di spiedo da BBQ, ma certamente ci saremmo divertiti di più.

Te spiego l’EMO

Giorni fa Andrea ha riscoperto il piacere di fare le playlist su Spotify e ne ha tirata fuori una che racconta l’emo nella sua prima fase, diciamo quella che va dal 1985 al 2000. Per chi non lo conoscesse, Andrea è una delle penne di Impatto Sonoro, ma soprattutto un “amico di internet” che recentemente ho avuto il piacere di incontrare di persona e con cui mi è già capitato di fare giochini tipo quello di cui vi sto scrivendo. 
Dico giochino perchè Andrea, dopo aver condiviso la sua (bellissima) playlist ed essersi beccato il mio like, ha pensato di chiedermi se mi andasse di farne una sullo stesso tema. Potevo mai tirarmi indietro? Ovvio che no.
Non paghi, abbiamo deciso di estendere il concetto e coprire anche le fasi successive della storia, in modo ne uscisse un quadro diciamo completo.
In sostanza quindi mi sono cimentato nel mettere giù una breve serie di playlist a tema EMO e, visto che sono uscite più carine di quanto immaginassi, ho pensato potesse valere la pena metterle anche qui sopra e scriverci due righe due di commento.
Le regole erano pochissime: finestra temporale definita e massimo 12 tracce, come qualsiasi playlist dovrebbe essere se lo scopo è farsi ascoltare. Io ad ognuna ho messo come cover un’immagine di Andrea Emo e il perchè, se avete letto fino a qui, non ha senso spiegarlo. 

Emo 101 (’85-’00)
A conti fatti la più semplice da fare, ma anche quella in cui credo fosse più difficile distinguersi rispetto ad altre ipotetiche liste redatte con il medesimo scopo. Parliamo degli anni in cui l’emo è nato ed ha goduto del suo momento creativo di maggior spicco. Per moltissimi, l’unico periodo che abbia senso analizzare.
Su 12 pezzi, credo almeno 8 escano da dischi che per me sono capolavori. La cosa se vogliamo peculiare è che lo sono anche per un sacco di gente che ne capisce molto più di me. I gruppi coinvolti son quelli che trovate in qualsiasi testo a tema emo reperibile su internet, da wikipedia in giù, tralasciando però tutte le pagine di gente che parla di una roba che non ha idea di cosa sia.
Dopo averla fatta l’ho ascoltata alla nausea.

Emo 202 (’01-’10)
Qui la situazione si fa spinosa perchè è evidente il primo decennio del nuovo millennio coincida sì con la “maturazione” del genere, ma anche con il suo più drammatico sputtanamento. La corretta informazione avrebbe dovuto tener conto di entrambi i fattori e regalarci una playlist cumulativa, ma con Andrea si è deciso per farne due, una radical chic e una da guilty pleasure. Io i confini tra le due li vedo davvero molto sfumati, ma capisco il ragionamento.
La prima è questa e contiene alcune delle mie canzoni della vita.

La seconda invece è decisamente più cafona e contiene un sacco di roba che non ha propriamente una dignità. Dal canto mio però rivendico il diritto di difendere ogni singola traccia di questa seconda lista, che a conti fatti se vogliamo ha dalla sua il tentativo di sviluppare il tema in maniera diversa, anche se profondamente sbagliata a livello ideologico.
Poi oh, se ho tempo per una sola delle due, 8/10 metto su la seconda perchè io un po’ la penso come René Ferretti.

Emo 303 (’11-’19)
Terza playlist e siamo a quello che per me è il capitolo più complicato perché c’è da pescare nell’ultimo decennio (che decennio poi non è, ma vabbeh) e io non sono più sul pezzo da tantissimo tempo. La prova è che in lista sono finiti pezzi di dischi belli, ma che non ho mai comprato.
In generale il grosso del mio sforzo era volto a dimostrare che le idee, quando si parla di emo, ormai siano finite, ma anche che fare bei dischi usando le idee di altri venuti prima non è mai stata pratica per quel che mi riguarda deplorevole. In coda ho voluto mettere quello che per me è l’unico filone nato in questo periodo e con qualcosa di “nuovo” da dire e se vogliamo fa sorridere perché pur basandosi sul campionare i pezzi dei decenni prima (letteralmente), alla fine risulta comunque più fresco del revivalismo derivativo delle tracce che lo precedono in questa playlist.
Questo giro ci ho messo anche un pezzo italiano perché, in questo decennio, ho ascoltato forse più dischi italiani che stranieri. Poi mi dicono che da noi arriva sempre tutto dopo, quindi credo abbia senso.

Probabilmente nessuno ha bisogno che io gli spieghi cosa sia l’EMO, certamente non nel 2019, ma è un giochino che mi sono divertito a fare e che mi ha permesso di mettere insieme delle playlist che ascolterò certamente un sacco.
Quindi boh, evviva.

Joker

Sta sera ho deciso di andarmi a vedere il Joker di Todd Philips (o se preferite di Joaquin Phoenix), da solo e al secondo spettacolo. Non avevo voglia, ma ho letto così tanti complimenti in giro da voler verificare di persona appena possibile.
Il dubbio più grande che avevo era che non avrebbe retto le aspettative che mi sono fatto leggendone in giro.
Ecco alcuni commenti sparsi che può leggere anche chi non lo ha visto, senza che rovinino nulla (tranne forse uno, ma lo segnalo prima).
1) Non lo so se usare il cattivo dei fummetti sia stato solo un pretesto per vendere il film, ma di sicuro, anche togliendo i Wayne e Gotham City dall’equazione, persino mia nonna all’uscita avrebbe detto: “Bello tutto, ma questo è il Joker…”
2) Non dirò che Joaquin Phenix è meno bravo di quel che si dice e legge in giro. Mentirei. Per darvi l’idea di come la vedo io però, posso dire che il mio Di Caprio preferito non è quello di The Revenant.
3) Ho letto che negli Stati Uniti c’è una certa preoccupazione intorno a quanto questo film possa innescare e che addirittura in alcuni casi si sia parlato di “stato di allerta” e “misure precauzionali”. Posso capire, ma non credo sia un problema del film.
Al di qua dell’Atlantico fortunatamente credo il peggio che possa accadere sia un nuovo effetto “V per Vendetta”, il cui pensiero mi porta in ogni caso a bestemmiare maledicendo la pellicola.
4) Domanda tecnica: la versione doppiata presenta gran parte dei testi a video tradotta in italiano, ma non tutti. Perché (cazzo) ne hanno tralasciati alcuni? Se pensavano fosse un lavoro utile (non lo è), tanto valeva farlo completo.
5) Si chiama Joker, parla del Joker: è un cinecomic. Non capisco la polemica che si è scatenata in tal senso.

Concludendo quindi é un gran bel film e merita i premi e i complimenti che sta raccogliendo, anche oltre la prova d’attore del protagonista. Per me, ad esempio, ha una regia strepitosa.
Se proprio dovessi fargli un appunto (MINISPOILER) mi sarei giocato meglio l’ambiguità tra quel che è reale e quel che Arthur percepisce in seguito alla sospensione delle terapie farmacologiche cui è sottoposto. Il film parte bene in quel senso, ma poi diventa eccessivamente “pulito” e lineare, quindi forse si poteva far meglio. Sono però davvero dettagli che non tolgono nulla alla valutazione complessiva.
Ultima riflessione a margine. Inizio ad avere un problema con le opere che mi sbattono in faccia quanto è orrenda la società in cui viviamo. Giorni fa tiravo un pippone sui social in merito all’ultimo video di Massimo Pericolo e ai numeri che mette insieme e per questo Joker vincitore a Venezia vale grossomodo lo stesso discorso. Non dico sia sbagliato che l’arte svolga questo ruolo, penso anzi il contrario, però forse sto nella parte di società che certi problemi li vede, ma non li vive ed il mio inconscio egoista vorrebbe evitare di venirci a contatto, se non sempre, almeno quando sta cercando di dedicarsi ad azioni di svago. Credo lo prenda come un colpo sotto la cintura. Lo so, è un discorso stronzo, ma sto spazio serve soprattutto a mettermi di fronte ai miei discorsi stronzi.
Certo è che se in Italia opere come Gomorra sollevano sempre un putiferio legato a quanto sia eticamente corretto raccontare i cattivi con una certa epica, al netto del fatto il messaggio nostrano sia sempre che quel tipo di scelta criminale non paga, questo film fa proprio saltare il banco, basandosi quasi esclusivamente sul darci la prospettiva del pazzo omicida. Non dico sia una cosa per forza sbagliata, credo sia argomento complesso e che certamente non voglio affrontare alla 1:55 di notte, ma resta un dato a mio avviso interessante.

Nel 2019 sono usciti sia Endgame che Joker: direi annata non male per i fumetti sul grande schermo.

Marchetta

Non è vero, quella che segue non è una marchetta. Nessuno mi pagherebbe per scrivere roba, a nessun livello, e credo mi stia molto bene così.
È successo però che Rob mi chiedesse se mi andasse di scrivere due righe sul disco/EP del suo gruppo. Rob l’ho conosciuto su twitter, ci accomuna una certa passione per un certo tipo di musica. Di norma non mi piace scrivere male di roba fatta da gente che conosco, ma ovviamente non mi va nemmeno di scrivere cose che non penso, quindi ho questa “regola” per cui se il disco mi fa cagare glisso, se invece posso parlarne bene non vedo perché no.

Il disco si chiama “You’re not the places you live in“, loro sono i Morningviews e la mia opinione sta sotto il player, così se non vi interessa vi sentite il disco e basta.

La cosa bella di non scrivere più di dischi fuori da questo mio spazio è che non sento più la pressione ad azzeccare i riferimenti che uso per dare un’idea del prodotto. Prima ci passavo un tot di tempo a definire coordinate che fossero precise e tanto più si usciva dallo spettro dei miei ascolti canonici, tanto più sentivo il peso di non sbagliare. Era un casino. Qui invece me ne batto i coglioni e il risultato è che se dovessi descrivere questo disco di getto direi che è un disco dei Deftones suonato dai Mineral. Pesantina eh?
Meglio argomentare.
È un discorso di sensazioni. È un disco che fonda su quegli arpeggini che sfociano in muri di chitarre, tipici di un certo emo primi anni 2000, però usati per disegnare melodie che più che suscitare malinconia mettono a disagio. Presente no, le linee melodiche dei Deftones? Ecco.
Poi ovviamente il disco è molto più di questo. Anzi, se vogliamo una critica è che per soli cinque pezzi ci hanno infilato un po’ troppi riferimenti e diventa difficile orientarsi e dargli un’identità. Dopo tre tracce decisamente più vicine a certe atmosfere alt-rock, addirittura post-metal se vogliamo (e se il termine esiste), ti ritrovi in cuffia Dye, ovvero i Moving Mountains di Pneuma impegnati a farci sapere di aver compreso la cifra stilistica dei Brand New. È un bel salto.
L’abbondanza di riferimenti viene fuori anche nelle parti vocali: abbiamo le linee pulite, abbiamo gli scream e pure alcuni passaggi parlati/recitati. C’è n’è davvero per tutti i gusti e questo credo sarà un bel vantaggio quando le tracce da mettere in fila saranno dieci o dodici: troppe idee non sono mai un problema. Se ci pensate capita spesso di pensare che un disco abbia qualche traccia di troppo, ma non altrettanto spesso di pensare ne abbia meno del necessario.
Arriviamo all’ultima spinosa questione: è un disco derivativo? Parecchio, ma non credo che loro negherebbero questa cosa. Io ho 38 anni e magari ho ascoltato meno dischi dei ragazzi(ni) che oggi recensicono roba online, però quelli che ho ascoltato li ho ascoltati per il doppio degli anni. Ce li ho tatuati nelle sinapsi ormai, quindi quando ci si avvicina a quelle cose non posso non accorgermene. Non ho mai pensato questo fosse un problema, peró. Alcuni dei miei dischi preferiti sono tremendamente derivativi, solo che sono anche più fighi della roba a cui si rifanno, quindi dove starebbe il difetto? Oltretutto, come detto, qui i riferimenti sono tantissimi, di conseguenza tutto suona inevitabilmente meno ridondante. Son ragazzi che hanno studiato e capito le basi, anche meglio di altri, questa cosa paga ora e pagherà ancora di più andando avanti.
I miei momenti preferiti del disco sono On Uranus e Needle in a Haystack, che chiude tutto dalle parti di un certo post-rock.
L’unica curiosità che avrei, forse anche figlia di una certa fissa che vivo ultimamente, è sentirli con testi in italiano. Non per una qualche deriva sovranista (che proprio stocazzo), ma perché se c’è una roba che in questo disco non troverete sono troppi punti di contatto con la scena italiana di oggi, da cui il fatto che con pezzi in italiano forse arricchirebbero un panorama nostrano non proprio sfaccettato.
Se la parola che stai pensando è “esticazzi?” hai ragione tu.

W Satana!

Sono finito sotto a questo pezzo qui.

Ok, partiamo dal principio.
Il modo in cui fruisco la musica in questo periodo storico è molto diverso da quello a cui sono stato abituato per larga parte della mia vita, a partire del decidere cosa ascoltare fino al quando e al come. E’ tutto diverso.
La mia educazione musicale si è sempre basata sul passaparola, prima con gli amici, poi con gente a caso conosciuta online in vari forum o siti web. Il passare degli anni però ha voluto che questo meccanismo andasse pian piano svanendo: una volta intorno a me online vedevo parlare quasi solo di musica, ora sempre e solo d’altro. Quelli che ancora parlano di dischi o gruppi di solito o fanno operazioni nostalgia poco utili allo scopo di ampliare i miei ascolti, oppure aprono a robe che puntualmente avrei preferito continuare ad ignorare.
Fortunatamente, quella che sarebbe potuta essere una lenta deriva al silenzio e alla monotonia è stata dapprima mitigata e poi sovvertita dalla crescita esponenziale di servizi online che evitano di dover parlare con delle altre creature viventi e ti permettono di accedere a musica nuova che in qualche modo possa piacerti. Gli ALGORITMI, entità cibernetiche a cavallo tra i cartoni animati giapponesi e l’immaginario di Roberto Camerini, hanno preso il controllo dell’internet e, con livelli diversi di invadenza, bussano alla mia porta proponendomi di ascoltare questo o quel disco. La cosa figa è che, quando toppano clamorosamente la proposta, non devi nemmeno stare lì a giustificarti del perchè non ti sia piaciuta. All’algoritmo non gliene frega un cazzo, grazie al cielo.
Come dicevo, ogni servizio ha il suo algoritmo più o meno pressante e anche in base a quello ho selezionato in youtube il mio attuale metodo preferito per l’ascolto della musica. Youtube non mi dice “simile a” e non mi dà delle playlist preconfezionate chiamate, che ne so, CLASSIC EMO in cui dentro ci sono i Panic! at the disco. Youtube, per come la uso io, mi mette di fianco al video una colonna con altri video di cui leggo un titolo e posso vedere un frame. Nel mio personalissimo e discutibilissimo approccio alla musica, in cui l’estetica non è mai ininfluente nello stabilire un possibile legame con quel che sto ascoltando, questa possibilità di farmi incuriosire da un fotogramma e partire magari vedendo dei ragazzi suonare live piuttosto che approcciare come prima cosa la loro “fredda” o se vogliamo “neutra” espressione su disco, fa tutta la differenza del mondo.
Se trovo qualcosa che mi piace poi compro il disco e ascolto su Spotify, che è mille volte più comodo e mobile friendly, ma per “navigare la musica” oggi non ho posto migliore di youtube, sia quando vago tra roba nuova, sia quando voglio starmene tra le mie cose.

Saltando tra video di gruppi di gente offensivamente giovane che al momento suona in Italia qualcosa che possa rientrare nel mio concetto di “scena”, mi sono imbattuto in questi Endrigo. Credo che il primo loro video che mi sia passato davanti sia stato “Spara” e non mi era piaciuto manco un po’. Forse la melodia, forse la voce decisamente fuori dallo spettro dei miei ascolti soliti.
Per quel vecchio adagio secondo cui una seconda opportunità non si debba negare a nessuno, da quel video sono passato a “Meglio Prima” e da lì è stato amore vero.
Il loro primo disco non l’ho mai sentito, ma il secondo, Giovani Leoni, me lo sto davvero consumando in attesa del terzo, le cui registrazioni credo si siano da poco concluse. Vorrei riuscire a beccarli anche dal vivo, magari il 30 Luglio nella caldazza bergamasca, anche per evitare di comprare il CD su Amazon.
C’è una scena in Italia fatta di tanti gruppi che finalmente provano un po’ a smarcarsi da quel che a me, da fuori, iniziava a sembrare una serie paradigmi inviolabili per fare emo in italiano. O forse è solo gente che suona quel che ha voglia di suonare conscia che smarcarsi dalle cose è un concetto che vive nella testa degli anziani. Perchè, alla fine dei conti, “la migliore band death metal mai esistita in tutta Brescia sopravviverà alle vostre nostre cazzate.”

Stand-up comedy

Ultimamente sono abbastanza in fissa per sto tipo che si chiama Giorgio Montanini e fa stand-up comedy satirica.
La stand-up è un tipo di comicità molto diffusa nei paesi anglosassoni, che qui da noi è confinata ai margini del panorama comico. Per darvi un paio di riferimenti veloci: Louis CK fa tournè mondiali (viene a fare uno spettacolo a luglio a Milano, in inglese, e i biglietti sono esauriti in poche ore) e Ricky Gervais presenta spesso i Golden Globe.
In Italia abbiamo un altro concetto di comicità, completamente disallineato da questi modelli, ma qualcuno prova comunque a farla anche da noi. Su youtube si trovano video di diversi comici stand-up nostrani e nell’ultimo periodo ne sto vedendo più di qualcuno. Uno di cui si trovano diversi spezzoni è Daniele Fabbri ed è piuttosto divertente. Uno che invece ha pochissimi video su youtube, ma che a me in quelli ha fatto ridere parecchio è Luca Ravenna.
Quello però che mi ha proprio ribaltato è appunto Giorgio Montanini, con questo video qui.

L’ho rivisto ora, mi ha steso di nuovo.
La cosa bella di internet è che se trovi qualcosa che ti appassiona diventa abbastanza immediato approfondire la questione e così nelle ultime settimane ho investito parecchio tempo prima guardando spezzoni di suoi monologhi e poi estendendo ad interviste extra spettacolo.
Ho così scoperto che Montanini non solo è stato uno dei pionieri di questo genere comico in Italia, ma che è addirittura riuscito a portarlo in contesti generalisti. In TV. Quindi probabilmente sono l’unico ad averlo scoperto solo ora.
Ha avuto per due anni uno spettacolo su Rai Tre chiamato “Nemico Pubblico”, per esempio, che però è stato chiuso. Da lì lo hanno chiamato per fare le copertine comiche a Ballarò, dove è durato tre puntate, fino ad una collaborazione con le Iene per lo spazio di “Pregiudizio Universale”, anche quello chiuso prematuramente.
La cosa che reputo interessante è che quando nelle interviste gli hanno chiesto ragione di questa censura, lui ha prima precisato che non è censura, ma legittima scelta editoriale, e poi ha detto che il problema non è tanto suo, ma di chi non ha la forza di portare avanti l’idea di farlo esibire in TV e si trova a dover far marcia indietro subito perchè non abbastanza sicuro o spallato per insistere su un percorso che in origine pensava funzionasse.
Boh, niente, mi sembra un’analisi intelligente.

Metto qui sotto uno dei monologhi fatti per le Iene, prima che li chiudessero. A vederlo non mi risulta incomprensibile la decisione di staccare la spina, ma è evidente il problema non sia nè Montanini, nè l’editore. 
Il problema è il pubblico.

PS: Non è che qualcuno ha un paio di biglietti in più per Louis CK a Milano?