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Libri

Due

[…]
Ne consegue che egli sa perfettamente come andranno le cose fra Aidi e il sottoscritto. Potrebbe, cortesemente, farlo presente anche a me?
Sorride alla domanda, poi mette su una strana aria fra l’esausto e l’innocente. “Quando un uomo ha passato la linea d’ombra, di tanto in tanto si trova di fronte al se stesso ragazzo” mi fa correre un brivido lungo il filo della schiena. “In occasione di quegli incontri, il giovane prende la parola per primo e rivolge all’altro sempre la stessa domanda.”
“Quale?” balbetto, indifferente alle trombette, agli stravizi e ai propositi di spostarsi in piazza per dar fuoco a quel porco dell’anno vecchio.
Il Manuel lascia andare un sospiro, poi mi guarda dritto in volto e svela: “Valgono ancora le regole che ti eri dato da ragazzo, quando nessuno poteva ricattarti? Sei rimasto fedele a quello che ti faceva sentire libero come l’aria?“.
Il mistero delle sue parole mi ha lasciato addosso un’inquietudine nuova, capace di sopravvivere al rogo in piazza e alla festicciola destroy a casa della Megghi.
[…]

Quando Brizzi ha comunicato di essere prossimo alla pubblicazione di un sequel di Jack Frusciante è uscito dal gruppo io, come spesso in queste circostanze, l’ho vissuta bene il giusto. Non curante di quel che questa cosa potrebbe lasciare intendere di me, sono qui a ribadire che il primo capitolo della storia tra il vecchio Alex e Aidi è stato il libro più importante della mia vita, per una serie di fattori che hanno a che fare con l’autodeterminazione. Il goffo, ma tenace tentativo che tra i quindici e i vent’anni si fa per tracciare il perimetro della persona che si vorrebbe almeno provare ad essere. Non sto esagerando. Ero così convinto di dovere tantissimo a quel romanzo, da non averlo voluto rileggere per anni. Ho dovuto aspettare di percepire le mie spalle sufficientemente grandi da tollerare l’eventualità di aver usato come bussola un libro del cazzo. Nel 2015, preso il coraggio a due mani e con ormai piuttosto chiaro in testa la persona che ero effettivamente diventato, me lo sono riletto. Fortunatamente non sono rimasto deluso, ma se vi dicessi che ero sereno nel farlo, mentirei.
Eh, l’ho detto che non esageravo.

Tornare sopra a quella faccenda lì non deve essere stata una roba facile neanche per Brizzi, però, perchè per scrivere il sequel di anni ce ne ha messi addirittura trenta. Un  po’ lo capisco: cosa c’era ancora da raccontare, di quella storia? Come intercetti l’interesse di un pubblico per cui quei trent’anni sono passati? Io per primo ho approcciato la lettura con il forte dubbio che non avesse nulla da darmi/dirmi.
Mi sbagliavo, ovviamente.
Perchè a Brizzi non è solo riuscito il trick di catapultarmi in una vita che ricordo ancora in toni vividi, ma a cui penso per forza di cose troppo raramente, ma anche di farmela vedere con gli occhi di adesso. Se la storia continua formalmente dal punto in cui si era interrotta, la lente con cui ci viene mostrata tiene molto conto del tempo che è passato. E allora non ci vuole un secondo a capire che l’anno raccontato nel libro sia di fatto la rappresentazione dei trenta che abbiamo vissuto noi, tra cambi di prospettive, amicizie, relazioni e obbiettivi. Trent’anni semplificati e velocizzati perchè tutto, a diciotto anni, è più semplice e veloce. Di conseguenza il tema non è la relazione tra due adolescenti dopo un anno di vita a distanza, il tema diventa fare i conti col percorso che si è fatto, tra le scelte prese e quelle che ci sono state imposte, e capire se sia ancora il caso di voler bene a noi stessi.

A scrivere questo post ci ho messo parecchio, rivoltandolo più volte.
Il paragrafo che ho riportato ad inizio post, quella domanda in grassetto, è uno schiaffo che mi ha colpito dove già avevo male. L’idea iniziale era di provare a rispondere, ma ne sarebbe venuto fuori un testo simile a quello che ho scritto qualche mese fa per spento, probabilmente anche più brutto (l’ho appena riletto e, per una volta, non mi sono vergognato). Il punto quindi non è tanto rispondere, ma continuare a farsi la domanda. Perchè è vero che oggi la vita può ricattarci e portarci ad infrangere le regole che ci eravamo dati, ma quelle regole non cessano di esistere. Possiamo averle cambiate, riviste, aggiornate, ma sulla base del non ritenerle più giuste, non del non riuscire più a rispettarle.
Altrimenti è barare.

Complotto!

[…]
Immaginate che apra una nuova banca in una nuova nazione, e che produca una valuta che chiameremo scellini. Ora immaginate che questa banca attiri dieci clienti, ognuno dei quali desidera prendere in prestito dieci scellini. La banca mette gli interessi al 10 percento, in modo che ognuno dei clienti debba restituirle undici scellini. Ma come fanno queste dieci persone a restituire undici scellini se non solo non li hanno, ma non esistono nemmeno scellini a sufficienza? I debitori saranno costretti a trovare un modo di ottenere gli scellini extra l’uno dall’altro. Pertanto si rende subito necessaria una competizione. Se uno dei debitori dovesse ritrovarsi senza più uno scellino, allora gli altri nove avrebbero tutti gli undici scellini da rendere alla banca, mentre allo sfortunato decimo debitore non resterebbe che chiedere in prestito altri soldi. Ecco allora che viene creato del nuovo denaro e l’economia cresce.
Ma non è sempre stato così. Per gran parte della nostra storia sistemi del genere sono stati categoricamente proibiti. La parola “usura” viene oggi utilizzata per descrivere tassi d’interesse eccessivi nella restituzione di un debito, ma nell’uso originario la parola si riferiva a qualunque interesse richiesto su una somma prestata. La scrittura si è sviluppata dopo il denaro, perciò non ci è dato sapere a quale epoca remota risalga il tabù, o perché i nostri antenati dell’Età del Bronzo fossero così contrari all’idea.
Ciò che sappiamo è che le leggi antiche a cui possiamo risalire proibivano esplicitamente l’usura. Nel Nuovo Testamento, quando Gesù ribaltò i tavoli al tempio, la sua rabbia derivava dal fatto che i creditori di denaro praticassero l’usura.
Gesù è conosciuto come un tipo generalmente non violento, perciò se facciamo caso al fatto che tutti gli altri peccati, la crudeltà e le ingiustizie del mondo non gli facessero mai perdere le staffe, possiamo farci un’idea di quanto l’usura fosse considerata scandalosa all’epoca. Altri che denunciarono l’usura furono Platone, Mosè, il profeta Maometto, Aristotele e Buddha. Se una schiera di personaggi del genere è tutta d’accordo sulla questione, forse sarebbe il caso di ripensare al perché noi la accettiamo in maniera tanto supina.
Perché lucrare sui prestiti era tanto inaccettabile nel mondo antico? La questione è aperta all’interpretazione, ma una possibilità è che sembrasse contrario all’ordine naturale delle cose. Il lavoro creava ricchezza, perciò la ricchezza accumulata senza lavoro era innaturale. Era vista come una forma di tirannia, o di furto. L’usura era una forma di corruzione morale, un cancro finanziario che poteva sbilanciare le economie fino a farle crollare.
[…]

L’estratto di cui sopra è tratto da “Complotto! Caos, Magia e Musica House. Storia dei KLF, il Gruppo che Diede Fuoco a un Milione di Sterline“.
E’ un libro da leggere per la capacità che ha di raccontare in maniera lucida la follia del mondo in cui viviamo, filtrandola attraverso gli occhi di un gruppo musicale considerato completamente matto.
A volerci pensare, stimola una presa di coscienza del fatto che nella massima: “se pensi che tutti siano pazzi, il pazzo sei tu.” il concetto di pazzia andrebbe (ri)definito.


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Anche i draghi piangono

Dopo aver visto le prime tre puntate della nuova serie HBO House of the Dragon direi che ne ho abbastanza per scrivere due righe qui sopra.
Ci sarà qualche SPOILER, forse, ma come detto sono passati giusto tre episodi e io non ho mai letto il materiale letterario a cui si ispira questo prequel, quindi anche facendo mente locale non mi viene in mente chissà quale rivelazione io possa farvi da qui in avanti. Siccome però so che sull’argomento siete tutti ipersensibili, meglio tutelarsi.
Partiamo dal principio, per i più distratti: House of the Dragon altro non è che una nuova serie targata HBO e ambientata nell’universo di Game of Thrones ideato da George RR Martin, ma che narra avvenimenti accaduti circa 170 anni prima della serie originale. C’è un certo fermento attorno ai prodotti collaterali di quella saga e i motivi sono essenzialmente due:
1) Martin continua a parlare di quanto materiale sfruttabile ci sia, un po’ perchè VIVA I SOLDI e un po’ per tenere a bada la sua fanbase diversamente abile che ancora aspetta i libri conclusivi dell’opera.
2) La HBO vorrebbe continuare a beneficiare di un prodotto che ha avuto un successo fuori scala, un po’ perchè VIVA I SOLDI e un po’ perchè in un panorama di offerta ampiamente superiore alle esigenze del pubblico diventa difficilissimo tirare fuori prodotti originali che ripaghino dell’investimento a meno di usare come traino un brand già forte di suo.
Così, tra un progetto con Naomi Watts naufragato male e le storie future di Jon Snow di cui nessuno, ma davvero nessuno, sente il bisogno, è uscita questa House of the Dragon (da qui HotD), accompagnata da recensioni e commenti entusiasti provenienti grossomodo da ogni direzione.
Ecco, qui io cerco di dare un’opinione disallineata provando ad argomentare una minima, conscio del fatto che se anche qualcuno leggesse il pezzo probabilmente lo derubricherebbe a “parere di un hater” o a semplice volontà di fare il bastian contrario. Ci sta, come ci sta far notare che “se pensi che siano tutti matti, forse il matto sei tu”, però alla fine della fiera siamo sul mio blog quindi avete poco da rompere i coglioni.

Al netto dell’opinione soggettiva che posso aver maturato dopo questo inizio di stagione, ci sono già alcune valutazioni che credo di poter dare per oggettive. La più importante è che HotD ha mezzi che la serie originale ha avuto forse nelle ultime stagioni, sia in termini di budget che proprio a livello tecnologico. Le ricostruzioni CGI degli ambienti (su tutti Approdo del Re) permettono immagini molto più immersive e vive dell’ambientazione e anche l’utilizzo delle comparse è molto meno al risparmio rispetto alle prime stagioni di GoT, cosa che conferisce al tutto un aspetto molto più solido e credibile, specie quando si parla di battaglie. D’altra parte, qui siamo nella casa dei draghi e di conseguenza i draghi si devono vedere bene. 

Quello che per me non funziona è il racconto.
Io ho iniziato a guardare GoT dopo aver letto tutti i libri usciti fino ad allora*, di conseguenza probabilmente il motore che mi spingeva a stare dentro la narrazione non era basato sul cosa sarebbe successo, ma sul come lo avrebbero rappresentato. In questo caso invece mi si vuole raccontare una storia nuova, di cui non so nulla, partendo da un’ambientazione a cui non chiedevo più niente. Nel bene e nel male, infatti, la conclusione della saga originale non mi ha lasciato interrogativi o curiosità che avessi voglia di colmare, la storia che ci hanno raccontato può esserci piaciuta o meno, ma di certo è conclusa e, di conseguenza, per farmi ritornare a Westeros è necessario mi si racconti qualcosa di appassionante e/o mi si presentino personaggi interessanti. Altrimenti mi scogliono.
Ecco, con HotD mi sto scoglionando.
E’ vero, la storia è poco più che abbozzata al momento, ma cosa ci hanno messo di fronte? Una dinamica di successione al trono. Esattamente come in Game of Thrones, ma infinitamente depotenziata dal fatto che, di riffa o di raffa, sarà un Targaryen a finirci sopra. Lo sappiamo già, sarà così fino a Robert Baratheon. Quindi? Forse l’idea è realizzare un The Crown coi draghi, una sorta di fantasy biopic di una famiglia reale che vorrebbe risultare più disturbata e disturbante di quanto non siano già le famiglie reali esistenti solo sulla base del fatto che, boh, hanno lucertoloni di 10 metri come animali di compagnia. Un po’ pochino, se lo chiedete a me.
Però magari non è quella la chiave, il vero punto attorno cui dovrebbe scaturire la passione sono i personaggi. Possibile, ma allora guardiamoli insieme questi personaggi.

La protagonista è sicuramente Rhaenyra, la giovane figlia di un Re che non ha eredi maschi. Lei però non è la classica principessa disneyana (!!!), ma una fiera combattente che non accetta di essere considerata inadatta a governare solamente perchè donna e che, anzi, si trova molto più a suo agio a cavalcare un drago che non a fare da coppiera mentre gli uomini governano. Al netto di tutto quel che si potrebbe dire in merito all’originalità di questo archetipo nel 2022, ma soprattutto dentro un’ambientazione che ci ha già dato Daenerys, Arya, Brienne, Ygritte fino a Lyanna Mormont,  il nonsense vero è che letteralmente subito il padre si arrende all’evidenza di non avere alternative e la nomina erede al trono. Quindi abbiamo questa povera ragazza che prova ardentemente a comunicarci tutto il suo struggle di donna sulla base del niente, di psicodrammi tipo: “ok mio padre mi ha nominata erede al trono, MA NON LO PENSA VERAMENTEH”. Una roba talmente risibile e piangina che tanto valeva farla interpretare a Simone Inzaghi. Perchè purtroppo non solo Rhaenyra vive in un contesto dove grossomodo ogni donna che abbiamo incontrato ha dimostrato di essere fortissima, smarcandosi da qual si voglia stereotipo di genere, ma che nel farlo ha dovuto davvero passare le peggio violenze fisiche e psicologiche, tirando fuori un carisma ed una determinazione ammirevoli, nel bene e nel male. Prendiamo Daenerys, l’esempio più immediatamente correlabile. E’ un personaggio che non ho mai amato, ma nessuno può faticare a comprenderne il desiderio di rivalsa o il peso della condizione. In quello sta la sua forza narrativa. Rhaenyra non ha oggettivamente nessun motivo per essere incazzata e quindi sembra solamente una ragazzina capricciosa.
Il padre di Rhaenyra è Viserys I ed è oggettivamente il mio personaggio preferito al momento. A sua volta Re per mancanza di eredi maschi diretti (perchè, se non lo aveste capito, nessuno vuole una donna sul Trono di Spade), si trova a dover gestire il peso della corona e le decisioni scomode che ne derivano. Deve scegliere se provare a far nascere suo figlio uccidendo la moglie o lasciar morire entrambi (vorrei capire chi sceglierebbe la seconda), deve decidere come arginare suo fratello pazzerello che, in qualità di nobile, fa esattamente quello che fanno i nobili (ovvero il cazzo che gli pare) ed è obbligato a risposarsi dopo aver perso la sua amatissima moglie anche se lui non vorrebbe perchè l’amore non va a comando della politica. Giuro, sembra un personaggio di Anche i ricchi piangono. Gira tutto attorno al messaggio che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, senza che queste responsabilità risultino mai davvero così grandi, eppure almeno ne viene fuori una figura credibile.
L’ultimo della triade è Daemon, che anche in virtù del nome cazzuto è il pazzerello della situazione. In assenza di eredi maschi del fratello sarebbe lui legittimo pretendente al trono, ma siccome è uno che pensa di poter fare il cazzo che vuole solo per via del cognome che porta (Quando mai? E’ intollerabile!), viene messo al bando un po’ da tutti. Tanto che gli viene preferita addirittura sua nipote come possibile reggente, cosa che lo fa incazzare. Qui tocca fermarsi un secondo. HotD è quella serie che cerca di convincerti che un tipo che viene privato di un suo diritto e si incazza è stronzo sulla base del fatto che quel diritto, completamente contestualizzato nella realtà fittizia in cui ci viene presentata la situazione, è invece superato e ingiusto nella realtà in cui viviamo ci piace pensare di vivere. Notevole no? A parte questo, Daemon è un personaggio super edgy (ha sposato una prostituta, signora mia dove andremo a finire?), cazzutissimo in combattimento, ma che sotto sotto ha un cuore di panna visto che l’unica causa dei suoi mali è la nipotina a cui lui però vuole bene e a cui non sa dire mai di no. Aww.
Intorno a questa triade, vaghe copie sbiadite di personaggi già visti in ruoli già caratterizzati nel corso della serie precedente, che lottano anima e corpo contro la tendenza di noi spettatori a scordarci il loro nome.

L’ultimo paragrafetto di questa minirecensione faziosa lo dedico alla scrittura, che è forse il punto che soffro di più in tutta la faccenda.
In anni di GoT ho letto le peggio cose rivolte agli sceneggiatori Benihoff e Weiss, soprattutto quando il materiale originale è venuto meno e si sono trovati a dover chiudere le questioni ancora aperte. Io non sono particolarmente fan del loro lavoro, come tutti ho la mia opinione sulle scelte che hanno operato e non tutte mi hanno soddisfatto (eufemismo), ma ho sempre trovato il disprezzo nei loro confronti sovradimensionato, alimentato spesso in maniera subdola da quel maiale Martin e dalla sua fanbase più idiota. 
Una delle accuse che è stata loro mossa più spesso è l’aver abbandonato la veridicità spinta delle scene scritte dall’autore dei libri in virtù di scelte più spettacolari e cinematografiche che, però, soffrivano molto in termini di credibilità. Quelli che in gergo vengono definiti WTF o, da chi ne capisce davvero, MACCOSA. Ci sono mille esempi in merito, ma non riaprirò il cassetto delle polemiche.
Mi fa però davvero strano vedere e leggere chi li ha massacrati negli anni, spellarsi le mani di fronte a questo nuovo prodotto, visto e considerato che quello che segue è lo script dell’ultima scena del terzo episodio, senza esagerazioni (ma con SPOILER):

C’è una guerra che dura, in stallo, da 3 anni.
Lo stallo è dovuto al fatto che il nemico si rintana nelle grotte e il drago di Daemon non riesce a sputarci sopra il fuoco.
Dopo tre anni il Re decide di intervenire e aiutare il fratello.
Daemon legge la missivia, si sente piccato nell’orgoglio perchè a lui non serve certo l’aiuto di nessuno e decide di risolverla sul momento.
Si presenta da solo nel campo di battaglia fuori dalle grotte, si inginocchia e mostra bandiera bianca.
Il capo dei nemici, Crab Feeder, esce a verificare.
Con lui escono TUTTI i nemici.
La resa era finta, Daemon inizia a combattere in campo aperto contro tutte le truppe nemiche, da solo e sotto una pioggia di frecce.
Nessuna lo colpisce. No aspetta, una. Alla spalla.
Il nemico, numerosissimo, inizia ad accerchiarlo. Crab Feeder è fermo e si guarda intorno senza capire che cazzo stia succedendo (NdM: come dargli torto).
Da non è ben chiaro dove esce un drago che carbonizza tutti i nemici, tranne il capo che viene rincorso e trucidato da Daemon.
Guerra in stallo da tre anni, vinta per annientamento totale del nemico in 20 minuti e senza perdite, solo sulla base del “Te lo faccio vedere io se mi serve il tuo aiuto”.

Non posso averne la prova, ma una porcheria del genere scritta dai due di cui sopra avrebbe portato ad un’insurrezione popolare, invece qui è accolta come grande televisione. Perchè se è una roba che ha scritto Martin (o da cui Martin non ha preso pubblicamente le distanze) è buona per forza.

Probabilmente continuerò a guardare questa serie, il tempo per smentirmi è tutto dalla sua parte visto che ne sappiamo tutti ancora troppo poco, ma quando leggete o sentite dire in giro che è “tornato il vero Game of Thrones” per me ve la stanno vendendo. Mancano i personaggi, mancano i dialoghi e manca una struttura narrativa che possa anche solo ricordare lo spessore di GoT. Ci sono i draghi, però. Magari per qualcuno il vero Game of Thrones sono i draghi.
Ce n’è di gente strana.
Diciamo che io ho fatto la recensione dei commenti entusiastici che ho trovato in giro. Non ne so abbastanza per dire che la serie sia realmente tutta qui, ma sulla base di quanto visto questo stuolo di complimenti è ampiamente discutibile.

*Che gag

Una cosa divertente (che non farò mai più)

Intorno alla metà di Luglio @bidizeta ha scritto il tweet qui sotto:

A me è sembrata una bella idea, forse anche perchè ho immediatamente pensato al momento che avrei avuto voglia di raccontare, così ho iniziato a scrivere in giro e chiedere se qualcuno fosse interessato a fare, davvero, questa cosa. Molti “sì” e qualche “forse” nei mesi si sono trasformati in molti “forse” e altrettanti “no”, ma alla fine della fiera qualcuno che ce l’ha fatta a mandarmi un raccontino c’è stato e così li ho messi insieme in una raccolta .pdf di una sessantina di pagine.
Non sono un editore, non ho mai lavorato nell’ambito nemmeno di striscio, quindi probabilmente ho commesso una serie infinita di errori nel definire le scadenze e nel modo in cui ho provato a farle rispettare. E’ possibile che, se fossi andato avanti ad aspettare, avrei raccolto qualche pagina in più, ma mi sembrava poco rispettoso nei confronti di quelle persone che invece per arrivare entro i termini ci si sono sbattute. Si tratta di una cosa fatta unicamente per divertimento, quindi immaginavo dal principio che qualcuno alla fine non ce l’avrebbe fatta a starci dentro, spero solo nessuno se la sia presa per la mia decisione di non aspettare oltre. 

La raccolta contiene dodici raccontini più l’immagine di copertina, che è un’ulteriore storia che abbiamo provato a raccontare.
Hanno partecipato, in rigoroso ordine di apparizione: Gozer Vision, Steven Senegal, Roberto Gennari, Isidoro Meli, Michele Borgogni, Andrea Giunchi, Enzo Baruffaldi, Nanni Cobretti, vali, Luca Doldi, Claudia e Pietro “Pier” Lofrano.
Li ringrazio tutti per l’ennesima volta.

Tra i raccontini ce n’è ovviamente anche uno mio, racconta un avvenimento di cui avevo già scritto qui sopra a caldo, ma credo messo giù meglio.
Non sono tante le volte in cui sono soddisfatto di quello che scrivo, soprattutto perchè non sono tante le volte in cui mi prendo il tempo di scrivere con calma, senza pubblicazione immediata, potendo rileggere e rivedere il testo diverse volte, modificandolo in più riprese.
L’ho fatto leggere in anteprima a tre persone, prima di definirlo “finito”, e tutte e tre me lo hanno mezzo stroncato, con motivazioni diverse e a volte divergenti. Questo anche per dare un metro del mio essere soddisfatto di me.

Cliccando sulla copertina qui sotto vi scaricate la raccolta.

Il punto (ennesimo) su Game of Thrones

Premessa: viene da se che leggere un articolo a tema Game of Thrones senza essere in pari col materiale uscito espone a dei rischi. Pare superfluo dirlo. Quello che non è superfluo, a quanto pare, è precisare che tutto ciò che riguarda possibili leak della sceneggiatura di ciò che ancora deve uscire NON è tema di discussione. Non qui sopra. Quelli sono solo SPOILER inutili che potete trovare ovunque in rete, ormai, ma che io non voglio sapere. Grazie.

Alla fine della settima stagione è tempo di rifare il punto in merito allo show che tanto sta appassionando me e larga parte delle persone che conosco. Con questi sette episodi siamo ormai davvero in dirittura d’arrivo, la storia di tutti i personaggi sta convergendo al tanto atteso gran finale e per gli show runner HBO non è stato più possibile nascondere le carte: ora sappiamo come intendono chiuderla.
Non dico a livello di trama, dove ovviamente c’è ancora più di qualche interrogativo rimasto aperto, ma a livello di approccio. Questi sette episodi ci dicono chiaramente che David Benioff e D.B. Weiss vogliono tirare tutti i fili, chiudere tutte le linee narrative che hanno aperto, con metodo e dedizione. Nessuno, credo e spero, si aspettava da loro un possibile approccio stile Lost. Lasciando da parte per un momento le opinioni personali su quel tipo di scelta narrativa, mi pare abbastanza ovvio che una risoluzione di quel tipo fosse proprio incompatibile con l’opera in questione.
Che tuttavia ci fosse così tanta attenzione a non lasciare davvero niente in sospeso non era per nulla ovvio e questa, ideologicamente, è una scelta di cui essere felici. Attenzione, io parlo dell’approccio, che è ben diverso da come questo poi viene messo in atto. Su quello, ovviamente, si può discutere.
Parliamo di Zio Benjen.*

La chiusura della storia del ranger di casa Stark credo sia senza mezzi termini il punto più basso mai raggiunto dallo show in termini di scrittura.
All’interno di un episodio già sufficientemente ricco di nonsense, la catena di eventi innescata per chiudere la storia dello zio è il picco dell’assurdo e lascia per forza di cose l’impressione di aver assistito ad una scena che aveva come unico scopo il mettere la spunta su una lista di cose da fare, più che la reale necessità di dare un epilogo al personaggio. Una cosa tipo: “Dai, e con questa anche Zio Benji ce lo siamo tolti dai coglioni”.
Possiamo ipotizzare diverse motivazioni alla base di una così brutta scelta. La prima è certamente la mancanza di tempo. La settima è a conti fatti la prima stagione di GoT in cui il numero di eventi eccede di gran lunga il tempo a disposizione. Questo si traduce in gran ritmo, ma anche in grossi sacrifici narrativi di cui Benjen è chiaro esempio. In altri casi, come quello di Nymeria, ci è andata meglio.
Ritenendo da sempre il detto “do or do not, there is no try” una cagata, continuo sulla linea di chi apprezza il tentativo degli sceneggiatori di chiudere tutto senza dimenticanze, anche quando il risultato non è soddisfacente.

La seconda cosa che questa stagione ci dice è che la conclusione sarà con ogni probabilità vicina alle aspettative dello spettatore. Non in termini di qualità o soddisfazione, ma proprio in termini di trama. Molti usano il termine “prevedibile” per definire la questione, ma per me la cosa è un po’ più complessa di così. Prima di infervorarmi quindi metto un’immagine che riassume il concetto.

Game of Thrones nasce da una saga di romanzi fantasy e fin qui ci siamo.
In questo tipo di opere è fondamentale un’unico aspetto: la coerenza. Una volta completa, l’opera deve poter filare via liscia e ogni evento deve essere conseguenza plausibile e sensata dell’evento precedente. Nessuno parte a guardare il Signore degli Anelli pensando che Frodo alla fine non riesca a distruggere l’anello, il punto è capire come possa farcela e, soprattutto, non avere mai la percezione dell’esito scontato mentre si guarda/legge. In questo le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, sia in versione cartacea che televisiva, hanno saputo portare il senso di sospensione a livelli mai visti, inculcando nella testa dello spettatore la percezione per cui tutto sarebbe potuto succedere, ma è da sempre un bluff. Ben costruito, magistrale in certi punti, ma pur sempre un bluff.
Che l’epilogo avrebbe riguardato Jon e Dany non è mai stato in discussione. Jon è RISORTO, manco la morte può fermarlo. Se ancora pensiamo che non sia scontato il suo arrivo in fondo è perchè siamo stati distratti per anni. La grandezza di quest’opera è stata portarci dove siamo ora, ovvero dove sapevamo saremmo finiti, senza che che ne accorgessimo. Mentre noi prestavamo attenzione ai vari specchietti che ci venivano messi di fronte episodio dopo episodio, loro avanzavano, lenti, ma inesorabili, verso la conclusione.
Ora che ci siamo però, che le strade convergono, è normale che sia più difficile perdere di vista l’arrivo e, di conseguenza, non pensare al fatto che fosse chiaro fin da subito.
Un buon finale non è quindi quello che sorprende, ma quello coerente con quanto visto. Dopo sette anni siamo così dentro la vicenda, abbiamo così tante informazioni, da poter unire da soli i tasselli mancanti seguendo la logica. E’ come un puzzle, meno pezzi mancano alla fine più è facile inserirli. Non dico che sorprendere lo spettatore a questo punto sia impossibile, dico che farlo senza venir meno alla linearità della storia è difficile. Preferisco un epilogo prevedibile, ma sensato, ad uno imprevedibile che però non abbia reali basi in quanto costruito.
Dany sarebbe potuta naufragare con la flotta e non approdare mai a Westeros. Sarebbe stato sorprendente, certo, ma davvero la sorpresa è tutto ciò che abbiamo da chiedere?
Questo è quello che ha fregato Martin nei libri. Non ha accettato che il suo pubblico avesse dedotto la svolta narrativa più importante (Aegon Targaryen) e ha provato a barare, venendo meno alla coerenza fino a lì costruita. Nella serie, almeno da questo punto di vista, sono stati più bravi.
Che Jon e Dany fossero destinati ad essere gli eroi vittoriosi della storia non implica certo che finissero a letto insieme, ovviamente. Moltissimi hanno trovato scontato questo dettaglio che ai fini della storia non dovrebbe essere troppo rilevante** e che quindi sarebbe potuto tranquillamente essere evitato. Questa credo sia questione essenzialmente di gusto: c’è chi aspettava questa love story da sempre e chi sperava di non vederla mai, ci sta tutto. Io non ci vado matto, ma non stride per nulla nè con la storia, nè con la caratterizzazione dei due personaggi. A Roma credo direbbero “stacce”.

A conti fatti quindi questa non è stata certo la miglior stagione di GoT, il picco credo rimarrà la stagione scorsa, però al netto di evidenti problemi di rapporto tra numero di eventi e minuti a disposizione io sono soddisfatto.
Chiudo quindi con alcune note sparse più legate alla sostanza, a ciò che mi è piaciuto e agli interrogativi che mi sono rimasti.
Partiamo da Jaime.

L’unica cosa che ho sempre rimpianto dei libri, in termini di trasposizione on screen, è la caratterizzazione di Jaime.
Il grosso vantaggio della versione cartacea però è la narrazione a POV, che permette di farti vedere il personaggio per lungo tempo solo attraverso gli occhi di chi lo circonda, quindi per come appare, e solo poi attraverso i suoi, ovvero per ciò che è. Questo facilita molto il processo di “redenzione” perchè le ragioni che lo muovono emergono solo in seguito e portano il lettore a cambiare prospettiva. Nella serie, per ovvi motivi, questa operazione non è possibile e quindi il tutto ne esce drasticamente smorzato. Se ci aggiungiamo momenti di buio in cui gli sceneggiatori non sapevano letteralmente cosa fargli fare (ricordate “Jaime e Bronn vanno a Dorne”? Io purtroppo sì.), il timore che finisse sacrificato in toto era più che tangibile ed invece questa stagione ne determina per la prima volta il peso, mostrando Jaime per l’uomo che è e consegnandolo quindi agli spettatori come l’unico Lannister con una reale evoluzione.
La scena di lui che se ne va con la neve che arriva a King’s Landing per me in assoluto tra le migliori scene di sempre.
Una cosa che mi ha deluso, perchè ci riponevo discrete aspettative, è il rientro di Gendry che, salvo smentite future, al momento finisce nel tritacarne delle pedine sacrificate all’altare del “facciamo succedere le cose”. Fin dai tempi in cui ero semplice lettore, io sono stato #TeamBaratheon. Mi piaceva King Robert e sono tutt’ora convinto che morte di Renly sia stata la più grande porcheria della saga, in termini proprio di scrittura. Speravo quindi che il ritorno di Gendry riportasse in alto la mia casata del cuore e, devo dire, alla fine del quinto episodio ero fomentato come un bambino. Peccato la cosa si sia risolta in niente, mi auguro solo non riprendano in mano il personaggio giusto per la battaglia finale.
#MakeBaratheonGreatAgain.
Per chiudere, la morte di Viserion ed il suo arruolamento tra le fila dell’esercito degli zombie per me segna il punto chiave della divergenza tra libri e show televisivo. Se mai l’opera letteraria avrà una conclusione (cosa per nulla scontata), non credo conterrà questa svolta.
La teoria vuole che i Targaryen siano tre: Jon, Dany e Tyrion. Il drago con tre teste, ecc. Martin credo si sia tenuto il terzo in esclusiva per i libri, rendendo quindi “inutile” uno dei tre draghi. La mia speculazione vuole che il ritardo mostruoso nella messa in onda dell’ottava stagione (si parla di 2019***) sia in accordo con lo “scrittore” (virgolettato perchè uno scrittore di norma scrive): gli si da il tempo di uscire con un nuovo libro prima della conclusione della serie TV. Il libro introdurrà queste differenze in modo da tenere vivo l’interesse per la saga letteraria anche dopo la conclusione dello show, che altrimenti credo ne limerebbe non poco le aspettative ed i conseguenti profitti.
E’ un’ipotesi sensata, ma avendo a che fare con Martin può tranquillamente succedere che l’ottava stagione venga posticipata e lui non esca comunque in tempo col libro. Ormai non credo di avere più parole per esprimere il mio disprezzo nei suoi confronti, quindi la cosa mi tocca il giusto.
La serie TV avrà un finale, presto o tardi.
Io sono a posto così.


* Ho iniziato un processo di self training per iniziare ad usare ZIO BENJEN come nuova imprecazione/intercalare.
** La possibilità nasca un erede dall’unione tra Dany e Jon non la considero proprio perchè a mio avviso minerebbe la coerenza della storia. No dai, Zio Benjen, non scherziamo.
*** ZIO BENJEN!

I am a nightmare

La vita, a quanto pare, è quella cosa che succede tra il release di un pezzo nuovo dei Brand New ed il successivo.
Dall’ultima volta sono successe un po’ di robe, in effetti: ho cambiato casa, ho allargato la famiglia, ho imparato a tagliare il prato, mio figlio ha imparato a camminare, son pure stato promosso al lavoro. Sembra giri bene, per quanto faccia sempre paura dirlo.
Oggi ho ascoltato “I am a nightmare”.
Mi ci son volute le consuete dodici ore per metabolizzare l’idea di cliccare play ed accettare la possibilità di rimanere deluso, ma alla fine ce l’ho fatta. Ed è andata bene. Il nuovo singolo dei Brand New è la cosa che meno ci si potrebbe aspettare dai Brand New, è una canzone che prende bene. Tipo i pezzi di “Your favorite weapon”.
Quindi boh, forse anche a Jesse gira bene ultimamente. Da quel che ho letto in giro sembrerebbe di sì.
Ieri su BASTONATE usciva un articolo che, tra le varie cose, dice che un musicista che sta male produce tendenzialmente musica migliore. Io non sono del tutto allineato, a me piace un botto di roba scritta da gente che tutto sommato si diverte e non ha problemi nel darlo a vedere (anzi, la merda di solito arriva quando se ne va il divertimento), ma se dovessi pensare ad un esempio per corroborare la tesi del pezzo, i Brand New sarebbero la prima immagine a venirmi in mente.
Nel loro caso, anche io temevo che senza malessere sarebbe mancato l’ingrediente principale.
Invece no.
Poi magari il testo di questo nuovo singolo è la roba più disperata di sempre, io mica sono andato a leggerlo. Mi bastano quelle chitarre lì, quel riffettino lì e quel “I am a nightmare and you are a miracle” per prenderlo come un pezzo pieno di sole cose belle. Che poi è il motivo per cui se un quadro astratto mi piace non son così interessato a sapere il messaggio di chi l’ha dipinto. Vedo i colori, le forme e se stanno bene insieme io lo guardo volentieri. Poi magari per l’artista rappresenta la madre morta male, ma quello è a tutti gli effetti un problema suo.
Ha senso?
Per me ne ha.
Si continua a vivere quindi, tra un pezzo dei Brand New ad un altro, e forse è quasi bello che sia così piuttosto che avere un disco da dover affrontare tutto insieme, fatto di emozioni ed immagini diverse che ti arrivano in faccia simultaneamente. Non lo so. E’ probabile abbia scritto una cazzata.
George R.R. Martin, tanto per tornare ad un argomento ormai inflazionato su questo blog, da anni fa uscire qua e là capitoli dei suoi libri (l’ultimo proprio ieri, per chiudere il cerchio. Niente link, non qui sopra. Mai più.) e nel suo caso l’operazione mi manda ai matti. Ma proprio che gli auguro ogni male, mi son pure fatto bannare dalla sua community scrivendogli che il prossimo libro l’avrei pagato un euro alla volta in dieci anni (true story).
Forse il problema è mio e nella scarsa coerenza con cui approccio operazioni simili sulla base di chi le mette in atto, o forse son cose molto diverse che ho accomunato a cazzo io in chiusura di post. Non ho una risposta e temo il pezzo se ne stia andando dove non deve.
Ricapitolo, quindi.
E’ uscito un nuovo pezzo dei Brand New.
E’ bello.
Niente da aggiungere.

Cose successe in HBO

George R.R. Martin è legato ad una sedia, sudato e stanco. Di fronte a lui, David Benioff e D.B. Weiss lo osservano. L’espressione soddisfatta e compiaciuta sui loro volti lascia presto il posto ad un ghigno. Può sembrare scherno, ma in realtà è solamente sadismo, represso per anni e finalmente lasciato libero di affiorare.
E’ a quel punto che i due iniziano a strappare pagine e pagine dai romanzi dello scrittore che, inerme, è suo malgrado costretto ad assistere a tutta la scena.
“La vedi questa storyline George? ECCO, NON CE NE FREGA UN CAZZO.”
“Vi prego, vi scongiuro lasciate quella part…”
“Quale, QUESTA? – risponde Weiss mentre di scatto sbottona i pantaloni ed inizia a pisciare sulle pagine di uno dei volumi – No, caro. Tutta questa MERDA noi la togliamo. Per noi non è mai esistita!!!”
“Ma… non potete farlo…”
“Oh, certo che possiamo. POSSIAMO ECCOME!”
E’ Benioff ora ad accanirsi sui tomi con una violenza ed una soddisfazione senza eguali, in preda ad una vera e propria estasi.
“Centinaia di pagine… in questi anni ci hai costretti a leggere miliardi di parole INUTILI! Personaggi, storie, colpi di scena DI CUI A NESSUNO PUO’ FREGARE UN CAZZO! Volevamo ribellarci, ma non potevamo. Abbiamo chiesto indipendenza, autonomia, ma l’unica risposta che arrivava erano altre pagine sotto cui soffocare. CI HAI ROTTO I COGLIONI!”
“Non volevo… scusatemi… non è colpa mia. Purtroppo non so più dove andare a parare. Vorrei piantarla lì, ma il mio editore mi sta addosso e anche HBO continuava a chiedere…”
“ZITTO! DEVI STARE ZITTO! – riprende Weiss tirando “A Dance with Dragons” nel camino – Hai venduto i diritti per la TV per fare ancora più soldi, per ampliare il numero di persone TRUFFATE da te e dal tuo editore. Hai promesso una saga che non sai concludere, un finale che non hai nemmeno idea di come tirare insieme. E NOI COSTRETTI A DARTI UNA MANO! Ancora mi sveglio sudato nel cuore della notte, con nelle orecchie le urla di persone che chiedono perchè le costringo a sciropparsi le storie di Daenerys a Meereen…”
“Dio, cosa abbiamo fatto…” bisbiglia Benioff piangendo, con il volto tra le mani.
“Ma adesso basta, caro George. – riprende Weiss – Basta. Vaffanculo Aegon Targaryen, vaffanculo Quentyn Martell…”
“‘FANCULO TUTTI I CAZZO DI MARTELL!!! – Grida Benioff gettando benzina su un espositore Mondadori.
“Già, fanculo a tutti loro! E Fanculo a te George. Non saremo più tuoi complici in questo!”
Martin è sconvolto.
“Voi non sapete quello che state facendo. Siete degli stupidi. Col materiale che vi ho dato avremmo potuto mangiare tutti per anni. Ci potevate fare almeno otto spin-off…”
“Ammazziamolo.”
“No, David. Non merita questa grazia. Noi ora chiuderemo quest’opera e lo faremo il meglio possibile. Con le nostre idee. Abbiamo ancora due stagioni da scrivere. Diamo alla gente quello che merita. Diamo loro un finale. Mettiamo fine alla tirannia di questo grassone di merda…”
“TANTO IO POI SCRIVERO’ UN FINALE DIVERSO PER I MIEI LIBRI E FOTTERO’ DI NUOVO TUTTI! COME HO SEMPRE FATTO! NON POTETE SCONFIGGERMI. IO SONO GEORGE R.R. MARTIN!”
“Può essere. Forse però, se faremo bene il nostro lavoro, qualcuno potremo salvarlo. Per pochi che siano, avremo fatto del bene.”
Weiss e Benioff escono dalla stanza.
Si abbracciano, commossi.
Da dentro giungono ancora grida ferali: “… NON SONO LA VOSTRA PUTTANA…”, ma loro ora hanno raggiunto la pace.
Insieme, costruiranno un mondo migliore.

Niente, ieri ho visto la premiere della sesta stagione di Game of Thrones e ora ho questa immagine bellissima in testa che non riesco proprio a far andare via.

Il conte di Montecristo

[…]
La notte sfavillava di stelle. Erano in cima alla salita di Villejuif, sulla spianata da dove si vede Parigi che, come tetro mare, agita i suoi milioni di lumi che sembrano tutti fosforescenti, più numerosi e mobili di quelli dell’oceano, che non conoscono bonaccia, che si urtano sempre, e sempre s’infrangono, e sempre s’inghiottono fra loro.
Il conte scese e fece qualche passo, solo, e, dopo un cenno della mano, la carrozza si scostò di qualche metro. Allora considerò lungamente, e con le braccia incrociate, quella fornace in cui vengono a fondersi, a torcersi tante di quelle idee che dopo essere fermentate nel magma incandescente, sprizzano per andare ad agitare il mondo. Quindi allorché ebbe ben fissato il suo sguardo possente sopra quella nuova Babilonia:
“Gran città!” mormorò, chinando la testa e congiungendo le mani come pregando.
“Non sono ancora sei mesi che ho oltrepassato le tue porte. Lo spirito della Provvidenza che credevo mi vi avesse condotto, ora me ne allontana trionfante. Il segreto della mia presenza fra le tue mura l’ho confidato soltanto a Dio, che solo ha potuto leggere nel mio cuore, solo sa che mi ritiro senza odio, né orgoglio, ma non senza dispiaceri, solo sa che non ho fatto uso né per me, né per vane cause, del potere di cui mi ha fornito. Oh gran città! Nel tuo seno palpitante ritrovai ciò che cercavo, minatore paziente, ho rimescolato le tue viscere per farne sortire il male, ora la mia opera è compiuta, quella che ho creduto mia missione è terminata, ora tu non puoi più offrirmi né gioie, né dolori: addio, Parigi! addio!”
E volse lo sguardo ancora sulla vasta pianura, come quello di un genio notturno, quindi, passando la mano sulla fronte, risalì nella carrozza che si chiuse dietro di lui, e disparve ben presto dall’altra parte della salita in un nugolo di polvere.
[…]

Semplicemente uno dei libri più belli che abbia mai letto.

Mr. Robot

Quale altro blog vi propone l’analisi di una serie TV dieci giorni dopo la sua conclusione?
Ecco, infatti.
In termini di “internet time” un articolo scritto con dieci giorni di ritardo è come uscisse un’era geologica dopo. Nessuno è più in grado di mantenere vivo il proprio interesse così a lungo, come soffrissimo di una variante autoinflitta di ADD che ci porta a consumare vagonate di informazioni immediate per poi cancellare la cache del cervello* da tutto quel che abbiamo acquisito e presentarla vergine al next big thing.
Per forza di cose quindi mi ritrovo a scrivere riflessioni che potreste aver già letto in altri articoli a tema, ma in fin dei conti, visto il prodotto di cui si parla, questa circostanza rende il mio pezzo terribilmente “meta”.
Mr.Robot é la serie più bella che può capitarvi di vedere in questo 2015, ma in fin dei conti é anche la roba più derivativa e meno originale che si possa immaginare.

Qui è dove di solito vi metto in guardia dagli SPOILER che potrebbero seguire, ma essendo passati dieci giorni ed essendo voi arrivati fino a qui nella lettura, desumo non abbiate nulla da temere: o siete sul pezzo e quindi immuni alle sorprese, o non sapete di che si parla e di conseguenza anche la più cruciale rivelazione, letta nella completa ignoranza e fuori contesto, dovrebbe lasciarvi indifferenti e con ogni probabilità non fissarsi nella vostra memoria a sufficienza da guastare un’eventuale visione futura.
[SPOILER] Questa cosa potrebbe non essere vera. [/SPOILER]
Dicevamo, Mr.Robot. Il riferimento più ovvio che viene in mente già dal primo episodio è senza dubbio il “Project Mayhem” di Fight Club: la spinta anarchica ad una riorganizzazione del mondo basata sulla cancellazione del debito e di conseguenza della società come la intendiamo noi. In un’epoca in cui il denaro è perlopiù virtuale, un’ipotetica legione di hacker adeguatamente preparata e motivata potrebbe gettare un colpo di spugna sulla realtà. Non proprio lo script più innovativo ogni tempo, direi, ma è pur sempre roba che tendenzialmente su di me ha buona presa.
Noi viviamo le vicende dalla testa di Elliot**, sociopatico anaffettivo con chiari disturbi mentali che di notte hackera i cattivi e di giorno lavora in una società che offre sicurezza informatica. In sostanza il Dexter Morgan dei computer e, per essere sicuri che non vi possa sfuggire l’analogia con il serial killer dei serial killer, Elliot colleziona cd-r su cui salva i dati dei cattivi che hackera, esattamente come Dexter collezionava i suoi vetrini.
Non vi basta? La chicca é certamente la Fsociety, ovvero Anonymous/Occupy Wall Street. Siamo al cospetto di un fumetto da cui viene tratto un film, a cui si ispira apertamente un movimento politico REALE, che viene a questo punto inserito in una fiction costituendone però non più la parte fantastica, ma il rimando alla realtà. Se avete capito cosa intendo, é un loop straordinario.
Proseguiamo con la dissezione e troviamo Tyrell, assetato di potere e sposato con una bellissima e algida donna che lo asseconda e lo supporta nel suo arrivismo estremo salvo poi scaricarlo quando si presenta all’orizzonte l’ipotesi dell’insuccesso. Come a dire: ma House of Cards non ce lo mettiamo? Come no!
Prendete tutto questo e aggiungeteci una buona dose di complotto: avete chiesto i poteri forti, la minoranza che governa il mondo, l’elite così marcatamente e schifosamente cattiva e senza scrupoli da incarnare il male assoluto? Check.
Mr.Robot é come quando da piccolo prendevi tutti i tuoi giocattoli preferiti e li mettevi insieme in una mega avventura in cui He-Man e i pirati del Lego lottavano per sconfiggere l’esercito dei peluches. Più importante, Mr.Robot é la dimostrazione (ennesima) che usare bene le idee altrui e riproporre quanto già fatto da altri può comunque portare ad un risultato di altissimo livello. Gli autori sono così convinti di questa cosa che ne fanno proprio un elemento d’orgoglio: chi guarda deve capire a cosa si sono riferiti, quali siano le ispirazioni, a costo di fermarsi ed esplicitarle. Giro una scena UGUALE a quella di un altro film? Io ci metto pure la stessa colonna sonora. E vinco tutto.
Davvero, mr.Robot vince tutto e lo fa mettendoci pure una confezione perfetta fatta di regia, fotografia e musica sempre a fuoco.
Per me davvero un gioiellino.

“So this is what a revolution looks like, people in expensive clothing running around.”

Eh, a quanto pare si.

* Ho parlato di cache del cervello in un pezzo su mr.Robot come fossi uno che sa il fatto suo, ma in realtà è una frase che mi è uscita per caso e di cui ho notato il collegamento col tema del pezzo solo a posteriori. Hashtag stimarsi.

** SPOILER: lo spettatore in effetti è una persona immaginaria che solo Eliott vede e che per il resto del mondo non esiste QUINDI lo spettatore é Mr.Robot e siccome Mr.Robot é Eliott, tu che guardi sei Eliott. Tu che guardi puoi cambiare il mondo e rivoluzionare la società. Non è una metafora sottilissima, ma onestamente é figa dai…