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Concerti

Come da pronostico

Se Dio esistesse e suonasse in una band, suonerebbe nei No Use For A Name.
Punto.
Fine della storia.
“On The Outside” è in assoluto la canzone che tira più in mezzo eseguita dal vivo.
“Coming Too Close” è da sempre il pezzo su cui mi è più difficile non piangere ascoltandolo live.
E poi loro suonano bene nonostante il posto (il Musicdrome è veramente indescrivibile), suonano tirato, suonano una scaletta di soli singoli che neanche Vasco potrebbe permettersi, suonano con attitudine.
Anche nel finale, quando fanno due pezzi a richiesta tra cui una “Don’t miss the train” di cui non ricordano pressochè nulla.
Io sarò di parte, è vero, però cazzo dal vivo sono sempre supremi.
Sempre.
Checchè ne dica il Bell’uomo, che comunque ringrazio per la compagnia e la bella serata.
Da bravo ultrafan ho presenziato anche al pre serata acustico del Quorter di Legnano, acquistando il disco nuovo e approfittando per farmelo autografare.
Come detto, io sono di parte.
Però, cazzo, gran concerto!

Buona la seconda

Dopo la delusione Jimmy Eat World e il sold out della coppia New Found Glory/Paramore avevo decisamente bisogno di un buon concerto per ritirarmi su e dare finalmente inizio alla stagione live 2008.
Oltretutto, grazie al pacco recapitatomi dal BU alle ore 19.00, ho anche rischiato di dover rimandare nuovamente l’inaugurazione, non fosse che Bazzu e Max hanno deciso di accompagnarmi in quel di Mezzago.
Quello dei Canadians al Bloom è stato molto più che un buon concerto.
Il quintetto veronese mi ha impressionato e appassionato come non pensavo riuscisse a fare. Su disco mi piacciono molto, ma dal vivo, col suono che diventa più ruvido e potente, sono addirittura strepitosi.
Non c’è molto altro da aggiungere, solo applausi a scena aperta e conversione della soddisfazione post live nell’acquisto dell’accoppiata CD+Spilletta.
Spero di poterli rivedere presto, magari ancora insieme ai Bobbit Uncut, il gruppo che ha aperto molto brillantemente la serata nonostante i disguidi con l’ampli del bassista.
Per il momento il Week end è andato alla grande. La cena di ieri con gli ex-compagni è stata spettacolare e oggi la Ilo è passata a bere un caffè da me per vedere la casa, omaggiandomi tra l’altro di sei splendide tazzine.
E’ stata molto carina.
Bene, ora vado a letto che domani si va a Chivasso.

Primo concerto dell’anno

Hanno suonato “Hear you me”.
Alla fine, nel bis, appena prima di “Dizzy” e io ho troppo di me legato a quel pezzo per non commuovermi.
Questo tuttavia è l’unico motivo che mi porta a desistere dal dire che mi hanno rubato diciotto euri.
Difficilmente mi spacco le palle durante un concerto. Anche quando ciò cui sto assistendo non mi piace è difficile che arrivi ad annoiarmi.
Sta sera è successo.
La cosa brutta è che non me lo sarei mai aspettato. Come già ho avuto modo di dire reputo l’ultimo lavoro dei Jimmy Eat World il loro miglior disco. Difficilmente mi capita di vedere dal vivo una band durante il tour del disco che preferisco, di solito arrivo in ritardo e mi ritrovo ad andare ai concerti sperando che il gruppo suoni la “roba vecchia”. Oltretutto di solito rimango molto deluso perchè ciò non avviene. Per una volta quindi ero euforico all’idea che gli estratti dall’ultimo lavoro avrebbero dominato all’interno della scaletta, ma neanche a dirlo questa serà ho assistito all’unico live della storia in cui questa consolidata tradizione non viene rispettata.
Quattro pezzi da “Chase this Light”.
Forse cinque, ma non ne sono neppure sicuro.
Decisamente troppo pochi.
A rendere il concerto pessimo però non è certo stata la scaletta.
Sono stati i volumi.
E i suoni.
Potevo parlare con Luca, Uippo, Dario e il BU senza gridare, potevo coprire il gruppo se decidevo di cantare qualche pezzo e riuscivo a sentire chiunque battesse le mani all’interno del locale. Credo di poter affermare di tenere volumi più alti di quelli di sta sera quando ascolto la radio in macchina e non ho nemmeno un impianto particolarmente raffinato. Difficile tirare in mezzo il pubblico suonando in sordina, anche se hai dalla tua una scaletta rimpinzata di ballatone e pezzi simil acustici. Ad un certo punto, se decidi di suonare “Bleed American” o “Big Casino” il volume lo devi tirare fuori, se no fai ridere.
E poi i suoni. Dopo i primi quattro pezzi l’impressione generale era che il batterista non ci fosse (non si vedeva sul palco, incastrato com’era sul fondo) e che l’avessero sostituito con una drum machine. La sezione ritmica, ridicolizzata dagli effetti, pareva quella di una base preregistrata che andava ad unirsi alle già molte basi preregistrate che avrebbero credo dovuto riempire il suono e che invece hanno solo dato l’idea di un maxi playback.
Imbarazzante.
Distorto inesistente, suoni finti, interazione col pubblico vicina allo zero, tenuta del palco modesta.
In sostanza un vero e proprio “fake” live.
Sembrava di assistere ad uno di quei video di MTV in cui si vede la band su un palco con in sottofondo il singolone estratto dal disco.
Al ritorno in macchina il BU, al telefono con la Vero, ha detto: “A me non è spiacuto, il mio socio invece è deluso. Voto medio direi quindi 5,5”.
Io ho risposto: “Cazzo, gli hai dato 8 tu.”
Non ci sono storie, alla fine di gruppi che dal vivo non deludono mai ce ne sono pochi.
Io continuerò ad ascoltare i Jimmy Eat World in macchina e continuerò ad apprezzare le melodie che solo loro sono in grado di tirar fuori, ma per andare ad un concerto sicuro di non restarne deluso ci sarà da aspettare ancora.
Ci sarà da aspettare il 21 Aprile, ad esempio.
In quell’occasione, per quanto il gruppo non produca nulla di decente dal 2002, so che mi divertirò.

Fake metal

Ok, è da Domenica che non do notizie di me e questo non è bello.
Però è anche vero che è da Domenica che vivo da solo e questa è la principale motivazione per il mio assenteismo.
Troppa roba da fare e troppo poco tempo, come al solito nella mia vita, e questo non può non avere ripercussione sulla mia attività di blogger.
Sta sera però, nonostante il sonno devastante, ho deciso di farmi forza e buttare giù qualche frase. All’inizio volevo scrivere qualcosa riguardo il mio nuovo lifestyle, tuttavia la mia condizione è stata testata ancora troppo poco perchè possa sbilanciarmi in un giudizio.
Certo che se fossi stato ancora dai miei l’essere uscito per la prima sera in questa settimana non avrebbe compromesso l’avere un pranzo domani a mezzogiorno, tuttavia trattasi di mere questioni organizzative che troppo poco pesano sulla valutazione della singletudine.
Volendo però scrivere qualcosa in questo post torno sulla mia serata in società.
Sono andato al Rainbow a sentire Atreyu e Still Remains.
Una bella serata fake metal insomma.
I secondi non li avevo mai nè visti nè sentiti e mi hanno fatto una bella impressione. Roba che difficilmente ascolterei su disco, che però dal vivo ha reso parecchio. Trattasi di tamarri, nè più nè meno, che però hanno dimostrato di saper tenere palco e pubblico in modo più che decoroso.
Poi a me i tamarri piacciono sempre.
Insomma, decisamente pollice alto.
Per gli Atreyu la definizione di tamarri è invece riduttiva.
Preparazione del palco e check che nemmeno i Metallica (per citare un gruppo che non ho mai visto live, ma che è noto essere abbastanza cagacazzo), scenografia raccapricciante e tempistiche iperdilatate sono troppo da sopportare per un gruppo che ha all’attivo quattro dischi di cui almeno tre identici tra loro.
Questo mi ha indisposto non poco.
Il set però è stato abbastanza divertente, per quanto conoscessi credo 4 soli pezzi di tutta la scaletta e persino questi siano stati suonati in maniera irriconoscibile. Il check faraonico non ha aiutato molto i suoni e questo, col senno del Poi, lo rende ancor più irritante. Il gruppo però intrattiene bene la folla, forse per via del fatto che tre dei cinque siano di una bruttezza leggendaria o forse per il fatto che tre dei cinque siano degli zarri da autoscontro durante la festa del paese.
Più probabilmente perchè il cantante possiede un oggetto magico arcano noto come “la canotta della virilità” che quando indossata rende il proprietario un figo d’altri tempi, ma una volta tolta lo trasforma nel peggiore dei ricchioni. C’è da dire che con il fisico sfoderato dal frontman e vista l’esigenza di mostrare i moltissimi tatuaggi, è comprensibile che questa sia durata indosso giusto due o tre pezzi.
In sostanza la serata è stata divertente seppur non abbia certo visto suonare gruppi le cui performance resteranno scolpite nella memoria. La Bri mi ha pure fatto una foto insieme al migliore degli atreyu, il bassista, che ha regalato veramente un gran live. Avrei voluto postarla, ma ho sonno e non ho voglia/tempo di ritoccarla per cancellare la mia faccia.
In quella foto oltretutto indosso la maglietta della futura ricchezza ed i tempi non sono ancora maturi perchè io la mostri.
Ora vado a nanna.

Manq, per te l’avventura DIMET…

…continua!
Prova scritta dell’esame di dottorato passata.
Giovedì sarà il momento dell’orale, il momento in cui tutto può essere riscritto da raccomandazioni e spintarelle del caso.
L’altro giorno, dopo lo scritto, parlando con il mio capo c’è stato un simpatico siparietto.
Capo: “Ma qualcuno in commissione sa che lavori qui da me?”
Manq: “Io non ho detto niente.”
Capo: “Beh, da curriculum dovrebbe vedersi.”
Manq: “In effetti sul curriculum è scritto.”
Capo: “Speriamo che vedendo questa cosa non ti gambizzino.”
Manq: “…”
Personalmente non faccio una malattia dell’entrare o meno in dottorato, mi piacerebbe ottenere il più possibile a livello di riconoscimenti dal lavoro che sto facendo, ma non è certo quella la molla che mi spinge a proseguire.
Insomma, vediamo un po’ cosa ne esce.
Ora, mentre l’idraulico si appresta a finire i lavori della mia casa, io mi appresto a partire per Bologna.
Stasera suonano gli Used e io non ho intenzione di perdermeli.
Questo si traduce come al solito in 400 chilometri di pura solitudine, immerso nei miei pensieri e imbottito di caffè come nemmeno un pocket cofee.
Se suonano Tragic Poetry piango.
Non credo ci sia pericolo.
Come sempre quando mi appresto ad una trasferta di questo tipo ho necessità di selezionare con cura la musica che mi accompagnerà.
Questo mi porta a poter riflettere sulla mia scaletta per il cofanetto. Faccio subito una precisazione: per me gli anni novanta sono andati dal maggio 1996 al maggio 2001 e sono stati anni ignoranti.
In rigoroso ordine di ascolto.

01 – The Offspring – Genocide
02 – Nofx – Release the hostage
03 – Derozer – No Surf!
04 – Millencolin – Lozin’ must
05 – Persiana Jones – Cosa pensi
06 – GAMBEdiBURRO – La ragazza che io amo
07 – The Ataris – I won’t spend another night alone
08 – No Use For a Name – Not your savior
09 – Blink 182 – Josie
10 – Strung Out – Gear Box
11 – Propagandhi – Middle finger response
12 – Fenix TX – All my fault
13 – Lagwagon – Alien 8
14 – Diesel Boy – Titty Twister
15 – Useless ID – Out of tune
16 – Murder, We Wrote – Look inside my heart

Rileggendola ho un solo aggettivo: settoriale.
Grazie ad Ale e Federico per aver partecipato.
Attendo The O, perennemente in ritardo, e Manowar, impegnato a far nascere il primogenito.
Ah, l’altra volta l’ho dimenticato, ma inserirei anche Fili tra gli autori del cofanetto.
Spero si produca in una bella lista.

Live reports don’t tell themselves

Mi sono visto proprio un bel concerto.
I Funeral for a Friend sta sera hanno fatto un grande show. Me li aspettavo precisi e puliti al punto di sembrare finti e mi aspettavo una prova discutibile da parte di Matt alla voce.
Così non è stato.
Il suono era effettivamente impeccabile ed i pezzi tutti suonati con una precisione spaventosa, ma la sensazione era di bravura più che di finzione. Anche la voce, tolti un paio di pezzi di rodaggio all’inizio, non si è certo risparmiata. La scaletta ha toccato tutta la produzione musicale della band, regalando anche la chicca di “10.45 Amsterdam Conversations” tratta da “Seven ways to scream out your name”. I pezzi nuovi in chiave live mi hanno convinto al 100%, ma è sicuramente sulla roba più datata che il concerto ha avuto i suoi picchi. Durante un siparietto volto ad elogiare il pubblico, ho anche appreso una roba abbastanza spiacevole: sembra che il menagement del gruppo abbia loro sconsigliato di fare tappa in Italia durante il tour europeo. Questa rivelazione aveva come scopo quello di dire che invece ci siamo rivelati un pubblico fantastico, tuttavia è abbastanza triste sapere che ci considerino un posto dove non è bello venire a suonare.
Per il bis hanno tenuto due pezzi enormi come “Streetcar” ed “Escape artists never die”. Sull’intro della prima, con il telefono che squilla, Matt ha anche accennato: “Milano, I just call to say I love you”, facendomi molto ridere. Chiudo la parte di post a loro dedicata con due cigliegine. La prima è che uno dei due chitarristi è ormai il sosia ciccione del cantante degli AFI, l’altra è che per la prima volta ho visto una tipa fare il segno del cuore con le mani ad un concerto. Quando me ne sono accorto ho sperato che Matt la vedesse, saltasse dal palco e la limonasse ferocemente.
Nel vedere tutto questo, avrei pianto.
Se la serata è stata molto piacevole gran parte del merito va anche ai Revolution Mother, il gruppo spalla. Trattasi di quattro bikers californiani usciti direttamente dagli anni ottanta e spinti da un’unica passione: l’hard rock. A vederli sembrano lo stereotipo degli harleysti ritratti nei telefilm americani di quell’epoca: bandane, giubbotti di jeans con sulla schiena il logo della banda, tatuaggi, barbone foltissime e tanta tanta attitudine. Che il loro sia un messaggio decisamente vintage è comprensibile al solo guardarli, ma per allontanare qualsiasi dubbio sfoderano una bella cover targata Black Flag, togliendo posto a qualsivoglia malinteso. Sentendoli suonare mi sono subito chiesto cosa ci facessero di spalla ad un gruppo come i Funeral for a Friend. La risposta mi è stata data poco dopo dal cantante della band.
“People ask us: “Why are Revolution Mother touring with Funeral for a Friend?”. Well there are not music categories. There are not music genres. There are only bad music and good music. We and Funeral for a friend play good fuckin’ music and we play it fucking loud!!”
Geniale.
Il loro show dura mezz’ora ed è puro spettacolo. Travolgenti da ogni punto di vista. Quando poi il chitarrista ha scavalcato le transenne per suonare un pezzo in mezzo al pubblico è stato il delirio. Tutti attorno a lui a corna alzate, sottoscritto compreso, in un momento di puro rock and roll!.
Al momento dei saluti si sono rammaricati di non potersi fermare a bere una birra con il pubblico, come loro consuetudine, per via delle serratissime date del tour. Se dovessero ricapitare in italia, non esiterei un secondo nel tornare a sentirli pur non apprezzando particolarmente il genere dal loro proposto.
Veri animali da palcoscenico.
Veri animali.
Chiudo, dopo aver ringraziato Carlo e la Sara per la compagnia, con l’unica nota negativa: il Musicdrome. Acustica buona, per carità, ma locale orribile e servizio sicurezza indisponente.

I heard they suck live!

E’ capitato che oggi alle 14.00 Ale-BU mi mandasse un messaggio recitante le seguenti parole: “Noi si va giù. Si paga. Siamo vecchi. 16.30 al Libra…”.
L’invito era per Idroscalo Rock 2007, concerto dalla line-up discutibile, dal prezzo esorbitante, ma che vede come headliners i Nofx.
I Nofx sono una delle migliori liveband che io abbia visto nella mia vita. A farmeli apprezzare non è tanto l’abilità tecnica, quanto l’indiscussa attitudine e la capacità di divertirmi. Sempre. Analizzando tutti i concerti loro che ho visto (ed iniziano ad essere veramente tanti) non è stata mai suonata la stessa scaletta. Ogni volta ci hanno messo qualche sorpresa, qualche pezzo inaspettato, qualche chicca.
Oggi mi hanno regalato “Reeko”.
Ai tempi era la mia canzone preferita.
Ho dato di matto.
Questa però non è stata l’unica perla. Hanno suonato “Scavenger type”, “The brews”, “Don’t call me white”, “What’s the matter with parents today?”, “Champs Elisèes”, “Eat the meek”, “Kill all the whitemen”, “Bob”, “Stright Edge”, “Leave it alone”, oltre a tutti i pezzi che non possono mancare, tipo “Linoleum”.
Insomma, gran concerto e grasse risate per tutte le classiche gags che sanno saputo come sempre regalare.
Del concerto meritano anche veloce menzione i Sick of it all, sempre all’altezza della situazione su un palco, e i Sottopressione, il cui set carico di emozione è stato veramente splendido. Io non posso definirmi un loro fan, ma sicuramente oggi mi hanno dato tanto. Citazione finale per i “The Locust”, gruppo assurdo. Realmente assurdo. Non credo potrei mai ascoltarli su disco, però dal vivo il loro batterista fa spavento. Mai visto nulla di nemmeno paragonabile. Non fosse stato per la precisione con cui suonavano e con cui si trovavano sugli stacchi, avremmo tutti giurato che suonassero a caso.
Incredibili.
Direi che è ora di andare a nanna.
Ringrazio Steps, Ale-BU, Robi e la Meggie, Rao, Diego e Uippo per la compagnia sempre divertente.
Fischi ai Turbonegro.
Insopportabili.
Sono le 2.03, dovrei essere a letto da almeno un’ora.
Stare sveglio però è stato divertente.
Vero Bri?

In spite of fucking mosquito bites

Ieri sera al Magnolia mi sono visto il concerto dei Me first and the Gimme Gimmes.
E’ stato totale.
Cinque musicisti impegnati in diverse ed affermate band che possono permettersi di fare tour europei con un gruppo creato unicamente per cazzeggiare non si vedono tutti i giorni ed il loro live trasuda proprio questa atmosfera. L’unico obbiettivo è divertirsi tutti insieme, pubblico compreso, sulle note di canzoni arciconosciute, rispolverate e agghindate in chiave punk-rock. Nessuna pretesa insomma, se non quella di passare una bella serata.
Arrivato in loco però questa aspettativa ha ricevuto un duro colpo quando abbiamo scoperto dell’improvvisa defezione di Fat Mike, costretto a casa pare da un malore della madre. Non nego che quell’uomo sul palco sa sempre regalare momenti di show esagerati, anche quando fatica a stare in piedi, e quindi sapere della sua assenza ha fatto vacillare non poco la nostra euforia. Il suo posto però è stato preso per l’occasione da Eric Melvin che si è poi rivelato eroe della serata, soprattutto per aver imparato in due ore tutti i pezzi in scaletta.
Ma partiamo a raccontare dall’inizio.
Non proprio dall’inizio però, perchè di spalla ai Me First suonavano i PAY e i TAT e di loro non ho certo voglia di parlare.
Parlerò delle presenze in loco invece. In quel del Magnolia infatti c’erano un bel po di volti conosciuti. Il mio gruppo di partenza comprendeva Aledoni, Steps, Robi Burro e la Meggie, ma sul posto ho incontrato anche Marco, Carlo, la Simo e la Rò, personaggio quest’ultima che non vedevo da almeno quattro annetti.
Bello.
Saltando di palo in frasca però, riprendo a raccontare l’aspetto centrale del concerto. Reduci dall’uscita del nuovo disco “Love Their Country” (NdM: titolo pazzesco), i cinque si presentano sul palco in camiciona a scacchi, cappello texano, bandana e stella da sceriffo.
E’ subito show.
Spike, non si sa bene per quale motivo, parla italiano piuttosto bene ed entra gridando: “Siete pronti a sentire un po’ di musica originale?”.
Risate a profusione.
A quel punto cerca di tradurre “We play only covers” e ne esce un “Facciamo solo coperti” che mi da il colpo di grazia. Da li in poi le gag si sprecano per tutta la durata del concerto. “This one is a cover” Joey Cape lo dice prima di ogni singolo pezzo, esattamente come prima di ogni pezzo Melvin non omette di gridare “Ehi, I’m a Gimme!!!” con il sorriso di un bambino idiota. Spike intanto insiste con l’italiano, uscendosene con frasi deliranti tipo: “Ho ucciso mio padre, magiato suo carne e sto tremando di gioia” oppure “Panone di merda, tutti dobbiamo mangiare un pezzo” o ancora “Joey è nano di merda, ma molto talento”. In tutto questo i cinque suonano un bel po’ di pezzi e li suonano veramente bene. Jake, mio Gimme preferito nonchè chitarra solista dei Foo Fighters, è artefice di una performance maiuscola, ma anche Joey Cape si prende qualche momento per mostrare che se vuole la chitarra la suona gran bene.
L’apice della serata è forse Stairway to Heaven, introdotta dallo stesso Joey Cape come “the worst song ever written” ed il cui titolo è stato tradotto da Spike in “Merda fino agli occhi”. Durante l’intro il delirio si impossessa dei Gimme: nessuno sta capendo cosa succede, ognuno suona per i fatti suoi e tutti ridono sguaiatamente, voce compresa. Ne esce una roba indecente a cui pone fine Dave dando l’attacco per la parte tirata del pezzo e riportando ordine nella truppa.
Insomma, ci sarebbero milioni di siparietti da raccontare, ma so bene che scriverli e rileggerli non sarà mai come averli visti.
Però è mezz’ora che me la ghigno nel tentativo di ricordarli tutti e quindi chissenefrega.
Hanno chiuso il concerto, prima dei bis, con “End of the Road” e lì sono decisamente imapazzito.
Solo due pezzi ci sono stati concessi al rientro sul palco e a chi richiedeva “O Sole Mio” Spike risponde: “Melvin non ha praticato, scusa.”.
“Thank you for coming out tonight and thank you for bringing mosquitos” è il saluto finale che i cinque ci riservano.
Soddisfatti e con grandi sorrisi stampati in faccia non ci resta che tornare alla macchina.
Prima di andare però faccio un salto al banchetto del merchandise: ora anche io ho la stella da sceriffo dei Me first and the Gimme Gimmes!

Io c’ero. Cazzo.

E’ difficile commentare una serata come quella di ieri sera.
Per tanti motivi, non tutti necessariamente belli.
Certo è che mancare sarebbe stato imperdonabile.
Ieri sera dentro al Bloom di Mezzago tutto era come sarebbe dovuto essere.
Tutto.
Tanta commozione, tanti bei ricordi, tanta emozione al cospetto di un mare di istantanee di anni che ho amato.
E allora dito alzato e fuori la voce, per cantare ogni pezzo come fossi ripiombato nel 1997. E sicome nel 1997 ero giovane, via libera anche a qualche salto nel “pogo” trascinato da “Astronave” e “La ragazza che io amo”.
Il miglior concerto a cui ho assistito negli ultimi anni. Per molti versi il più bello di sempre.
Una festa.
Non credo solo per le Gambe, ma per tutti coloro che vedendole suonare hanno riportato alla mente una realtà che ha caratterizzato la seconda metà degli anni novanta.
A questo punto non mi resta che ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questa serata.
E’ stata magica.
Non so se ci sarà mai più occasione di assistere ad una cosa del genere.
E’ bello pensare di sì.
E se sarà nel 2017, come simpaticamente preannunciato ieri sera, io ci sarò.
Indipendentemente da dove sarò o come sarò, perchè avrò sempre caro nel cuore ciò che sono stato.
Con orgoglio.

GAMBEdiBURRO@BLOOM – Senza via di scampo

Enter Shikari

Meditandoci un po’ il live è stato enorme.
Musicalmente ottimi.
Tecnicamente validi.
Padronanza del palco egregia.
Matti furiosi.
HC tirato intervallato da tesissimi interludi techno.
Ho comprato una finger-light della band, merchandise ufficiale.
Ognuno di loro ne aveva una durante il concerto.
Delle circa cinquanta persone presenti al live, il 100% ne aveva almeno una all’uscita.
Sono anche degli ottimi managers.
La mia è blu e ha tre tipi di luce: intermittente veloce, intermittente lenta e fissa.
Decisamente tamarra.
Ora volo alla ricerca del CD.
Al rientro dal concerto mi sono fermato al Libra con Aledoni e abbiamo incontrato Ciccio.
Abbiamo parlato soprattutto delle nostre esperienze newyorkesi e ne è emersa una sola verità: Starbucks rules.