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Ho giocato Baldur’s Gate 3

Nella mia vita non sono mai stato un grandissimo videogiocatore, neanche da ragazzino. Ho giocato pochissimi titoli, a cui però ho dedicato tantissimo tempo. Tra questi, la saga di Baldur’s Gate è probabilmente l’unica su cui sono tornato diverse volte. La giocai tutta all’uscita in modalità single player per poi rigiocarla quasi immediatamente dopo costruendo l’intero party sulla scia del nostro party di D&D. Ricordo che registrammo anche tutte le voci per doppiare i personaggi, un lavoro oltre il maniacale di cui probabilmente ho ancora i file da qualche parte.
Poi la giocai l’estate della tesi di laurea, costretto a casa ad Agosto mentre gli amici si sparavano una vacanza on the road in California(1) e forse un’altra volta prima del 2020, quando durante il lockdown mi è sembrata la cosa più normale del mondo reinstallare tutto e ripartire ancora una volta.
Se ho passato gli ultimi due anni a monitorare ogni possibile sito di e-commerce nel tentativo di trovare una Playstation 5 al suo prezzo reale, senza cedere alle truffe dei vari Game Stop, è solo perchè sapevo che nel 2023 sarebbe uscito il terzo capitolo di questa saga.

Questo per dire che sì, c’era dell’hype.
Il gioco è uscito il 6 settembre e io l’ho finito in 2 mesi esatti, il 6 novembre.
L’ultimo salvataggio, quello che si genera automaticamente prima dello scontro finale, registra 129 ore di gioco effettivo, ma è una stima al ribasso. Per la tipologia di gioco che è, infatti, il dato non tiene conto dei passaggi in cui ho dovuto ricaricare e ripartire da un punto più indietro a causa di scontri finiti male e/o decisioni di cui non ero soddisfatto (ma di questo parliamo dopo). Sono quindi portato a considerare attendibile una stima di 150 ore di gioco effettive spalmate su 60 giorni, numero che calcolatrice alla mano mi addebita 2.5 ore di gioco al giorno per ogni fottuto giorno che dio ha mandato in terra tra il 6/9 e il 6/11 2023.
Tutti i giorni.
Anche quelli in cui ero via per lavoro e non avevo accesso alla playstation.
“Ma questo è impossibile!” starai pensando. E hai ragione, perchè tu giustamente non consideri che un essere umano possa privarsi del sonno per giocare ad un videogame, specie alla non più verde età di 42 anni. Eppure eccoci qui.

Baldur’s Gate 3 è un gioco meraviglioso.
Non ho titoli per definirlo il miglior RPG della storia, ma è sicuramente il migliore tra quelli che ho giocato io. La cosa davvero magnifica però è che lo è al netto della storia che racconta. Non che la trama portante sia brutta, non lo è per niente, ma a me sono servite almeno metà delle ore di gioco per poterci entrare ed iniziare davvero ad interessarmene. Per lunga parte della mia esperienza il mega plot che dà origine agli eventi è rimasto sullo sfondo, costantemente offuscato da interessi più marginali ed immediati, che fossero relativi a side quest o allo sviluppo di rapporti interpersonali con altri NPC. 
Perchè la caratteristica senza dubbio migliore di questo gioco è che puoi davvero (DAVVERO!) giocarlo di ruolo, ad un livello di libertà e coerenza interne che non avevo mai visto prima in un videogioco(2). Non si parla quindi solo di operare alcune scelte o, ancora più classico, di giocare il proprio PG buono o malvagio, ma di percorrere una strada fatta di grigi, in cui definita l’idea che abbiamo del nostro personaggio la si possa adattare a scelte diverse in circostanze diverse, rendendo di fatto ogni storia “unica”. Per quello mi capitava di ricaricare dopo qualche decisione, perchè dentro di me sentivo che non fosse giusta per il PG, non perchè la ritenessi sbagliata in senso assoluto o controproducente. Senza voler fare spoiler, io ho scelto di giocare la storia usando il personaggio che avevo creato per la nostra campagna storica di D&D. Chiedendogli di riassumere la sua filosofia di vita, risponderebbe: “Va beh, se proprio devo salvare il mondo per risolvere ‘sto mio problema, oooook…”. Nulla di particolarmente elaborato, ma siamo comunque dalle parti di un personaggio che non è interessato particolarmente a fare del bene, ma non è neanche votato alla malvagità. Non è nemmeno il classico opportunista, però, perchè sceglierà sempre la via più “etica” per ottenere il proprio tornaconto, anche quando questa non dovesse essere la più semplice o immediata. Un personaggio di questo tipo non è facile da inserire in un RPG, perchè la maggior parte delle volte i giochi tendono a schiacciare questa propensione al bene per proprio tornaconto in una propensione al bene e basta, snaturando l’idea del PG in qualcosa di piuttosto diverso. In Baldur’s Gate 3 questa cosa non succede e sono rimasto impressionato da quanto la mia idea di personaggio potesse stare all’interno del gioco in maniera coerente e, anzi, fosse supportata dal gioco stesso nelle scelte che mi poneva di fronte. 
Altro aspetto superlativo riguarda i personaggi non giocanti, che non sono solo bellissimi e profondissimi, ma che hanno davvero una propria volontà ed indole, che il gioco ti permette di non offuscare e allineare forzatamente a quella che è la linea del personaggio giocante. Tantissime scelte compiute per gli NPC, per portare avanti le loro storie personali, lasciano al giocatore l’opzione di mettersi in disparte e lasciar loro la possibilità di agire per come sono stati pensati da chi li ha scritti. Anche qui, senza voler fare spoiler ci sono almeno un paio di finali “amari” per alcuni dei personaggi di contorno che fanno parte del gruppo, ma assumono tutta un’altra dimensione e carica emotiva se ci si arriva consci del fatto che quella sia la loro volontà e non qualcosa che dipenda dalle scelte che abbiamo compiuto noi per loro.
Insomma, Baldur’s Gate 3 è un gioco di ruolo VERO ed è quella la cosa per cui è valsa la pena buttare due mesi di sonno.

Altre note sparse.
– Tecnicamente e visivamente è molto ben fatto. Si bestemmia un po’ con la telecamera, specialmente durante alcuni combattimenti, ma è tutto gestibile.
– Giocarlo con il pad è di un’immediatezza incredibile, cosa che mai avrei pensato.
– La struttura dei combattimenti a turni mi è piaciuta tantissimo ed è gestibilissima anche da chi non conosce il sistema di gioco, per quanto probabilmente avere una padronanza della 5a edizione di D&D porti alla possibilità di strutturare i combattimenti in maniera ancora più strategica. Io non sono mai stato quel che si definisce un power player, ovvero uno di quelli che si studia ogni regola per creare il personaggio più forte possibile o la combo di attacco più letale. Io ho sempre giocato solo per l’aspetto interpretativo, spesso costruendo personaggi che nei combattimenti risultano utili quanto una pala da neve ai caraibi, quindi probabilmente ho commesso tanti errori nella scelta di abilità e incantesimi o nella meccanica di approccio agli scontri, ma ciò nonostante sono andato avanti senza troppi intoppi.
– L’ambientazione in cui ci si muove è davvero ben fatta e permette di calarsi in pieno dentro al mondo di gioco, anche quando l’azione si svolge in contesti e ambienti che non amo. Muoversi attraverso le vie di Baldur’s Gate, nell’ultimo capitolo del gioco, è qualcosa di incredibile. Non raggiungevo un livello così di immersività dai tempi di Red Dead Redemption 2.
– Gale è il miglior NPC di sempre.
– L’unica nota negativa, forse, è l’aver messo un cap ai livelli dei personaggi un po’ troppo basso. Non tanto perchè ambissi ad arrivare a chissà quale livello superiore, quanto perchè ho praticamente giocato tutta l’ultima parte di gioco già al massimo della “potenza” del mio party, cosa che ha reso le sfide meno difficili e stimolanti. Vero è che io ho giocato praticamente ogni side quest trovata, andando abbondantemente oltre la mole minima di gioco necessaria a chiudere la storia, ma forse sarebbe stato possibile bilanciare meglio questo aspetto.

Se vi capita, giocatevi Baldur’s Gate 3.
Io sto già pensando di ripartire, magari con l’opzione “oscura pulsione” che però giocata ora è certamente meno misteriosa di quanto fosse in origine.
Intanto, vi saluta Malcer.

1. maiali.
2. e che spesso mancano, purtroppo, anche se si gioca da tavolo.


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Ha segnato Seedorf

E’ una cosa stupida.
Quando penso ad una situazione brutta, apparentemente irrisolvibile, da cui però alla fine si riesce ad uscire contro ogni aspettativa razionale, l’immagine che mi viene in mente è sempre il derby di Milano del 2004, forse la partita più indimenticabile della mia carriera di tifoso del Milan.
L’ho vista al Barcollando di Brugherio, un pub chiuso ormai da molti anni dove ai tempi andavamo a vedere tutte le partite del Milan, in compagnia, visto che allora nessuno di noi aveva abbonamenti alla pay tv.
A San Siro piove parecchio.
Nel primo tempo il Milan finisce sotto due a zero, prendendo un gol orribile su calcio d’angolo da Stankovic ed uno incredibilmente ancora più brutto su un tiro di Cristiano Zanetti deviato in porta da uno dei nostri, sempre sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
A questo secondo gol Aui, amico interista seduto affianco a me, aveva esultato in modo deciso. Perchè il derby è una partita strana e se vai sopra di un gol la tensione resta comunque superiore alla gioia, quindi sul primo gol non si era troppo sbottonato. Sul secondo però l’esultanza era arrivata. Giustamente.
Forse non ve l’ho mai dato a vedere (#sarcasmo), ma non sono una persona particolarmente propensa a pensare positivo. Per me una partita sotto 2 a 0 è una partita persa, anche se c’è ancora un tempo da giocare.
Il secondo tempo inizia con la nebbia dei fumogeni che si aggiunge alla pioggia e al mio morale pessimo, ma il Milan pare avere ancora voglia di provarci. Seedorf, soprattutto, che queste partite le sente sempre più di altri. Ci prova da fuori, un tiro sterile e brutto (seppur meglio di quello di Cristiano Zanetti) su cui però Toldo fa una porcheria e così John Dahl Tomasson la butta in porta, rapace.
Il Milan accorcia, ma ci vuole ancora troppo ottimismo per vedere luce in fondo al tunnel e infatti io, in quel momento, continuavo a vederla nerissima.
Passano i minuti e a centrocampo l’inter perde un pallone stupido. Forse Farinos, forse Zanetti, non ricordo. La palla la raccoglie ancora Seedorf che la appoggia a Kakà nel cerchio di centrocampo. Per i cugini è una buona idea farlo avanzare indisturbato e palla al piede fino al limite dell’area, così Ricardo li ringrazia infilando un rasoterra chirurgico alle spalle di Toldo, questa volta incolpevole.
Facciamo 2-2.
Ora il tunnel un uscita ce l’ha e l’adrenalina circola forte insieme ad almeno un paio ti Tennents. Non ricordo i dettagli, ancora una volta, ma conoscendomi anche in quel momento non avrei scommesso sul fatto che potessimo vincerla.
Lo so, sono patologico, infatti quando a 5′ dalla fine Seedorf (sempre lui) raccoglie palla sulla 3/4 dopo una punizione sparata sulla barriera e alza la testa verso la porta, ricordo nettamente di aver pensato: “MA COSA CAZZO TIRI DA LI’???”.
Me lo ricordo davvero.
La frase però non credo di averla detta fino in fondo, perchè sono saltato in piedi insieme a Simo e abbiamo ribaltato il tavolino del pub.
Che gol pazzesco.
Il singolo momento di gioia più grande della mia vita sportiva.
Più del gol di Grosso, più del rigore di Sheva.
Seedorf, giocatore immenso che da tifoso ho odiato per anni, è l’interprete del gesto sportivo più iconico che ho nella mia mente, simbolo non solo di una vittoria, ma assurto a emblema del trionfo del bene sul male, del ribaltamento della sorte avversa.
Il mio personale concetto di resurrezione.

Questa mattina mio papà ha fatto la sua prima dose del vaccino Pfizer.
Dopo qualche ora mi avvisano che a Treviglio i medici stanno dicendo a chi si vaccina che hanno dosi in eccesso, quindi di contattare amici e parenti over 60 e mandarli lì. Me lo dice uno zio di Paola e io ci spedisco mia madre, che riceve anche lei la sua prima dose.
Lo so, ora c’è comunque da aspettare e non farsi prendere la mano.
Io però mi sento come quando ha segnato Seedorf.

5CONTRO5: MxPx

Guarda te che rubrichetta che vado a rispolverare: il 5CONTRO5.
Il motivo è presto detto, questo 2021 arrivato con l’enorme responsabilità di toglierci dai coglioni il 2020 per il momento è stato un gigantesco vorrei ma non posso, fatto di ibridi mentali non sempre felicissimi tra la positività dell’attitudine alla ripartenza e la cruda realtà, che ogni giorno sottolinea come in fin dei conti non sia davvero cambiato niente.
E’ un concetto confuso, ma l’esempio che credo possa chiarirlo è quello dei concerti in streaming.
Dopo un anno a veder saltare eventi e date e con la voglia di guardare qualcuno che suona, in questo inizio d’anno mi sono affacciato sul fronte dei live streaming e di tutte le loro contraddizioni. La razionale illogicità del concerto in TV che si scontra con il fatto che mentre lo guardi comunque ti parte il piedino, ti si alza il dito e ti ritrovi a svegliare la moglie alle tre di notte perchè stai cantando con le cuffie senza manco accorgertene (questa cosa potrebbe essere successa davvero.).
Ok, ma perchè gli MxPx? Perchè sono una delle band più attive da questo punto di vista e con la loro serie Between this world and the next stanno suonando con una regolarità invidiabile da ottobre scorso. Io mi sono visto due “date”, una pagando e una gratis, e mi son piaciute un botto entrambe. Da lì ho ricominciato a metterli in cuffia con regolarità, a parlarne in giro e a rendermi conto di non essere proprio l’unico ad averli ripresi dal cassetto. A quel punto è arrivata l’idea di un nuovo round del 5CONTRO5.
A proposito, come funziona questa rubrica? Facile: metti insieme cinque persone che hanno tutte una certa fissa per un gruppo e fai fare ad ognuna di loro una playlist “ascoltabile”, ovvero massimo 16-18 pezzi e sotto i 60 minuti. Alla fine le confronti e tiri le somme di quanto ognuno se la viva in modo diverso. In pratica la scoperta dell’acqua calda, ma con un giochino divertente. Una delle cinque persone potrei essere io.
Negli episodi precedenti ci siamo occupati di Brand New, Get Up Kids e The Offspring.

Spazio statistiche: anche questa volta uno dei partecipanti ha scelto un disco intero, come miglior playlist, quindi Life in General diventa per forza di cose il disco più citato (27/81) e se lo chiedete a me è abbastanza giusto sia così. Sono invece sorpreso del fatto che al secondo posto si piazzi The Ever Passing Moment (10/81) e non Slowly Going the Way of the Buffalo (9/81), seppur siano due bellissimi dischi entrambi e la distanza sia in effetti minima. Per il resto, nelle diverse scalette si trova rappresentata tutta la discografia, con una percentuale sostanziosa di pezzi presi fuori dai dischi “ufficiali”, pescando in raccolte, compilation ed EP (17/81), ad indicazione del fatto che per tutti i partecipanti, la produzione sia rimasta valida nel tempo e attraverso le varie uscite, al netto delle ovvie preferenze personali.
Tra le canzoni, quella che fa meglio di tutte è Andrea (4/5) e non ci avrei scommesso un euro, mentre mi sorprende un pochino che Responsability sia solo in una delle playlist (d’altra parte io non ce l’ho messa, quindi non so bene che cazzo mi stupisco a fare). Il resto è piuttosto vario, quindi sottolineo solo Can’t Keep Waiting (2/5) perchè per essere un pezzo uscito da una settimana e da un gruppo che tutti collocano di istinto almeno 10 anni indietro nel tempo, è un gran risultato.

Ed eccoci alle playlist, finalmente.
Grazie mille a tutti i partecipanti.

Elisa
Dalle mie parti essere fan degli MxPx è sempre stata considerata come una cosa da serie B, un po’ per colpa del christiancore – che poi in realtà la Tooth & Nail ci ha regalato grandissime cose come Rufio, Slick Shoes, Dogwood, Cootees, Ghoti Hook e compagnia bella – e un po’ perché negli anni 2000 il sound degli MxPx si era ripulito troppo, ma quelli che avevano tutti questi preconcetti sono le uniche persone che ci hanno rimesso non ascoltando gli MxPx.
Per questo motivo ho passato i miei teenage years nella mia bolla, senza mai capire bene se questa band fosse bene o male famosa in Italia o se in realtà ce la ascoltassimo solo io e pochi altri.
Credo sia una situazione che capiti a molte persone che vivono in città di provincia di non sapere realmente la portata delle cose che fanno. C’è gente che ascolta musica sostanzialmente lontano dalle luci delle grandi città e vive in contesti senza stimoli, quindi finisce per forza ad ascoltare il punk rock e a suonarlo e magari svolta anche l’adolescenza di qualcuno dall’altra parte del mondo che si riconosce in quelle canzoni e sta vivendo le stesse cose.
Mi è sempre piaciuto ricercare i luoghi da cui provengono le band, andando personalmente a vedere il quartiere che c’era scritto sull’indirizzo stampato sul vinile, e credo che se ascoltiamo alcuni generi musicali ma ci perdiamo il contesto ambientale in cui nascono, stiamo perdendo l’opportunità di capire sul serio quella band.
E, diciamoci la verità, molte band non avrebbero mai avuto un senso se non fossero nate in posti davvero random; tipo i Raein a Forlì, o gli MxPx a Bremerton, per dire.
Dai pezzi grezzi di Pokinatcha, alla perfezione di Life In General (disco che ho consumato così tanto da doverlo ricomprare un paio di volte) ma anche alla versione più polished della band in Panic e Before Everything & After, ce n’è un po’ per tutti e non ci si annoia mai.
Inizialmente nella mia bozza di playlist c’erano addirittura 32 canzoni ed è stato difficilissimo scendere a 16; alla fine ho dovuto lasciare fuori alcuni singoloni e ho anche i sensi di colpa per quanto riguarda alcuni pezzi che ho dovuto lasciare fuori, ma credo che questa possa essere la mia playlist definitiva sugli MxPx.

The Terrible Cece
Grazie Manq per avermi chiesto questa Playlist, gli Mxpx per me sono adolescenza ma anche presente, non molte band ci riescono. Scoperti con Let It Happen, album che conservo con gelosia, tatuati sul braccio insieme a Cant e portati sempre sia nella pelle che nel cuore. Preferito The Renaissence EP.

Dan on the Moon
Questi 18 pezzi sono i più significativi per me, quelli che mi sono sempre rimasti di più dentro. Ogni volta che li riascolto mi trasportano in altri momenti della mia vita, in tanti ricordi belli e brutti che siano.

Cant HC
Era tipo il 1997 e andavo in questa discoteca a Cesenatico aperta la domenica pomeriggio. Era si un posto per adolescenti arrapati, ma nella pista di sopra c’era una selezione musicale da paura e dj Peter con il quale poi siamo diventati ottimi amici metteva ogni settimana una mezz’ora buona di punk rock melodico (all’epoca lo chiamavamo “punk californiano” ) e quindi avete già capito che si andava giù di NOFX, Lagwagon , No Use For a Name e compagnia bella.
Un pomeriggio passa questa canzone straordinaria che andava ai duemila all’ora e la voce sopra con una melodia che ti si infila nella testa e non se ne va più via, all’epoca non c’erano shazam o cazzi vari, manco il cellulare “Motorola StarTac” c’avevo e quindi l’unico modo era continuarmi a cantare la canzone in testa e sperare che la rimettesse la settimana seguente per sapere il nome della band e del pezzo.
Fortunatamente dopo una settimana in cui nella mia testa il pezzo era piuttosto cambiato Dj Peter rimette la canzone ed io mi fiondo in consolle e gli chiedo informazioni. La band erano gli Mxpx e la canzone si chiamava come me: “Andrea”.
Diciassette anni dopo ad un concerto degli Mxpx a Bologna la band torna per l’encore e Mike Herrera mi dedica la canzone, dopo il concerto mi ha detto che l’avevano messa apposta in scaletta per me. il cerchio si è chiuso, è stato bellissimo!
So che Manq mi ha chiesto una playlist e giuro che ci ho provato per giorni a farla ma essendoci già la perfezione dico che la mia playlist è il disco “Life in General” dalla prima canzone alla numero 17.
Diciassette come gli anni passati tra la scoperta della canzone e quella che probabilmente è la dedica più bella che mi sia stata fatta

Manq
Da ragazzino ho ascoltato quasi solo punk-rock e ne ho ascoltato davvero tanto, soprattutto di quello che arrivava dalla costa ovest degli Stati Uniti. All’epoca si chiamava So-Cal Punk, o forse lo chiamavamo così solo noi della provincia italiana, per darci un tono. Vai a sapere. Tutta quella roba veloce che stava sotto Fat Wreck, per intenderci. Gli MxPx erano ai margini di quel contesto per tanti motivi, dalla collocazione geografica al loro essere #TeamGesù, eppure quando li scoprii ci andai in fissa quasi subito lo stesso.
Vent’anni dopo mi tocca prendere atto che di tutta quella roba ho un’opinione molto diversa. In alcuni casi perchè la musica è invecchiata male, in altri perchè chi la suonava è invecchiato male. A volte sono invecchiate male entrambe le cose e forse, in certi casi, quello invecchiato male sono io.
Con gli MxPx però ci sto ancora tanto bene. Certo, i dischi dei miei vent’anni sono inevitabilmente la prima roba loro che mi viene da ascoltare, ma volendo fare questa playlist ho pescato anche tra cose più recenti, compreso l’ultimo singolo uscito pochi giorni fa.
Onestamente, nel 2021, non mi viene in mente nessuna band di quel giro capace di tirar fuori un pezzo così figo.

40

C’è una roba bella del compiere quarant’anni in zona rossa: è tutto chiuso, quindi alla fine la societá ti impedisce di uscire di casa e tornare con un nuovo tatuaggio o coi capelli fucsia.
Che non vuol dire non potrai comunque farlo appena ce ne sarà la possibilità, ma forse quando sarà il momento non ne avrai più voglia.
Forse.
Per il resto, da qualche anno ho un rapporto brutto coi compleanni e né l’isolamento, né questa cifra tonda, incredibilmente, lo hanno migliorato.
Mi spiace un po’ per le persone che mi stanno intorno e hanno provato a festeggiarmi, da Paola che come sempre si dimostra la super moglie che è, ai miei colleghi che mi hanno fatto una bella chiamata a sorpresa per farmi gli auguri. Anche con gli amici stretti ci siamo sentiti, che i quaranta tanto nel giro di qualche mese li faremo tutti, mi tocca solo aspettarli al di qua della vecchiaia.
Quarant’anni.
C’è solo una cosa peggiore della presa di coscienza del tempo che passa ed è vederlo passare con la sensazione di non poterlo sfruttare, cosa che non so voi, ma per me va avanti da troppo e inizio ad averne oltremodo pieni i coglioni.
Ieri ho messo una foto celebrativa come profilo sui social e questo post, nel caso servisse, le fa da didascalia.

Oggi però hanno sbloccato le vaccinazioni per gli over 70 in Lombardia e mio padre ha finalmente il suo appuntamento.
Il regalo più bello che potessi ricevere.

Di Whatsapp, Facebook, annunci pubblicitari e altre ovvietà

Se c’è una roba a cui sono radicalmente contrario sono le armi giocattolo.
Non starò qui a tirare pipponi sul perchè, non credo sia difficile da intuire anche per chi non la pensa come me, prendiamolo come punto di partenza per un discorso diverso.
In casa mia armi giocattolo non ne entrano, i bambini non ne hanno mai chieste, non è qualcosa di cui si parla o che può capitare di cercare su Google o Amazon perchè, ovviamente, non regaliamo neanche agli altri cose a cui siamo contrari.
Durante le feste, in una delle chat Whatsapp che condivido con amici, uno di loro ha girato la foto in cui imbraccia una sorta di mega cannonazzo regalato al figlio.
Qualcuno gli ha risposto pensando fosse una pistola ad acqua, lui ha precisato che no, era una pistola e basta.
Io non sono intervenuto, perchè l’argomento come detto non mi interessa. Non ho commentato, non ho scritto nulla in merito e dopo qualche messaggio si è passati a parlare d’altro, come normale.
Da allora, su Facebook, sono tempestato da annunci come questo:

La prima volta mi è balzato all’occhio proprio perchè qualcosa di davvero molto lontano da me e così ho iniziato a farci caso. Da allora me lo ritrovo ormai in Facebook su base quotidiana e credo sia lo stesso cannone della foto, o comunque una roba molto simile.
Allora mi è sorta una domanda: è una coincidenza che Facebook abbia iniziato a promuovere a me quel tipo di prodotto, una roba che non trovo neanche tra i consigli sul mio profilo Amazon, proprio dopo quella discussione avuta su Whatsapp?
E’ una roba un pochino paranoica, cospirazionista, così ho pensato che probabilmente ci fosse una spiegazione dietro un po’ più semplice e ho chiesto a twitter.

Qui tocca fare un piccolo inciso.
Il 90% delle risposte che mi sono arrivate era una rielaborazione del concetto: “beh ma ovvio zio”. Siccome chi mi risponde è gente che mi segue da un po’, l’essere trattato come un coglione probabilmente dice più di me di quanto dica di chi mi ha risposto, oltretutto visto che hanno risposto in diversi.

La prima ondata di interazioni arrivatami sottolineava che Whatsapp e Facebook fossero parte dello stesso gruppo/azienda. Questa cosa (che incredibilmente sapevo anche io che vivo a Gessate) per alcuni è sufficiente a giustificare che una conversazione privata tra amici venga letta da un algoritmo, profilata ed utilizzata per scopi commerciali e di marketing.
Una parte del mio lavoro è legata all’utilizzo di dati utente e quindi ho dovuto  (e devo tutt’ora) occuparmi di GDPR. In azienda abbiamo un consulente, ovviamente, perchè non ho le competenze per capire le cose da me, ma mi rifaccio a quello che mi è stato spiegato e se c’è una cosa chiara è che i DATI PERSONALI non possono essere utilizzati o condivisi* senza richiesta di consenso, che deve essere chiaro, esplicito e preciso (tipo una richiesta specifica per ogni utilizzo). Non mi interessa entrare in quel dettaglio, il dubbio però è che il contenuto delle conversazioni non è quello che io associo al concetto di “dati personali”. I dati sono quelli anagrafici, di posizione, eventuali foto profilo ecc…, ma quello che scrivo nelle mie conversazioni private deve essere e restare privato.
O almeno credo.
Chiarito il fatto che non sia formalmente sufficiente che due aziende appartengano allo stesso gruppo perchè si scambino i miei dati come pare a loro, sono iniziate ad arrivare le mie risposte preferite:
“Sarà probabilmente scritto nella policy che nessuno legge”.
Oh, è vero, sono il primo a non averla letta eh.
Però se faccio una domanda a cui non è evidentemente obbligatorio rispondere, o hai letto la policy e mi dici “E’ scritto lì” e allora stai fornendo elementi utili alla discussione, oppure CHE CAZZO SERVE?
Posso ipotizzare da me che ci sia scritto nella policy che lo fanno, se lo fanno.
Lì ho un filo sbroccato.

In ogni caso, anche solo per rispondere stizzito a chi mi scriveva sta cosa (vi amo tutti, non abbiatene a male <3) sono andato a leggermela io quella cazzo di policy e recita quanto segue:

Quindi NO, se Whatsapp e Facebook scansionano le mie discussioni private per profilarmi a livello commerciale, lo stanno facendo senza dirlo apertamente.

Ma lo stanno davvero facendo?
Probabilmente no. E’ vero che la potenza di questi colossi è tale da poter piegare spesso le regole (o ignorarle proprio), ma è anche vero che su questo tema specifico probabilmente avrebbero più da perdere che da guadagnare facendo una cosa così apertamente contraria alle normative. Inoltre credo che ci siano persone ben più sgamate di me (eufemismo), in ambito informatico oltretutto, che uno “scandalo” di questo tipo probabilmente l’avrebbero già portato a galla, magari facendoci sopra dei bei soldi.
Mentre sbroccavo su questo post e rispondevo su twitter come fossi su un forum nel 2003, fortunatamente qualcuno ha capito cosa andassi cercando e mi ha fornito una spiegazione plausibile, che per la legge tanto cara ad Occam probabilmente è anche quella più vicina alla verità:

Bingo!
Il mio profilo utente, quello sì cannibalizzato apertamente da qualsiasi azienda per i peggio scopi commerciali, probabilmente clusterizza (sì, lo so, ma avete capito) con altri in cui quel tipo di ricerca è comune. Aggiungiamoci il fatto che, appunto, fossimo sotto Natale e quindi che moltissimi padri della mia età cercassero quel tipo di regalo su Amazon ed ecco spiegata la “coincidenza” anche da un punto di vista di timing.
Il motivo per cui Amazon non mi mostra quei suggerimenti quando sto sul loro sito è probabilmente dovuto al fatto che loro hanno dati molto più centrati da usare e possono essere più vicini alle mie reali esigenze. As simple as that.
Certo, la prova provata che sia così non ce l’ho, ma mi sembra una spiegazione migliore di quella che vede multinazionali giganti agire contro la legge, impunite.
Ad essere onesto, in questo momento sono più colpito da quante persone invece diano per scontato di essere al centro di quel tipo di trattamento e lo ritengano addirittura scontato.
A cominciare da me eh, prima di fermarmi a pensare e chiedere aiuto a chi ne sa di più.

*Nota: ero convinto, quello sì, che Facebook e Whatsapp potessero condividere tra loro dati personali senza violare GDPR. E’ anche scritto nella loro policy, se ho letto bene, ma in realtà non è del tutto vero. Quest’altra info utile arriva invece da Ale-Bu e Felson. Thx!

La fase 2

A Brugherio c’è una panchina.
È in via XXV Aprile, di fronte a casa dei miei e a pochi metri da un parcheggio. Per almeno 15 anni è stato il centro pulsante della mia esistenza, il punto da cui tutto partiva e dove tutto succedeva, anche quando non succedeva niente.
Ci si trovava lì tutte le sere, ma in settimana non era un semplice punto di ritrovo, era la meta ultima. Ci si accampava con qualche birra portata da casa e si faceva serata. Spesso saltava fuori un pallone e si giocava a centrare il lampione del parcheggio fino a che la buon’anima della Dirce usciva dal cancello a dirci che avevamo rotto il cazzo. Una disciplina innegabilmente affascinante la cui federazione, denominata FICP*, contava purtroppo solo una decina di iscritti. Noi.
Per quasi un anno siamo andati a sradicare il cestino dell’immondizia della piazzetta 500 metri avanti per portarlo alla panca, così da avere un modo comodo per buttare i rifiuti. Noi lo portavamo lì e il comune lo rimetteva a posto, una sorta di guerra fredda conclusasi con l’installazione di un secondo cestino dove noi lo volevamo. L’atto politico più rilevante della mia vita.

Oggi alle 21.30 sono arrivato alla panca in macchina, come facevo negli ultimi anni in cui ci si trovava lì e non avevo più la fortuna di viverci di fronte e poterci andare a piedi. La vista delle auto parcheggiate in fila mi ha scaraventato indietro nel tempo.
In macchina avevo un paio di birre fredde e un apri bottiglie. Vent’anni fa non avrei mai dovuto portarmelo perché:
1) avevo sempre con me, appeso al portachiavi, l’apribottiglie di mio nonno. “Cantina sociale gonzaga” scritto sopra a lettere cubitali. Insieme alle chiavi di casa è rimasto da qualche parte in Francia durante una vacanza e forse è stato meglio così, non rimpiango il non aver dovuto ammettere non fosse più il caso di averlo appeso al passante dei jeans ogni santo giorno.
2) sapevo aprire una birra con letteralmente qualsiasi cosa. Avrei potuto tentare anche sta sera, ma non avrei retto il fallimento.
Avevo anche un pallone, nonostante uscendo il cielo fosse solcato da lampi minacciosissimi. Prendere l’acqua è qualcosa che ho messo in conto senza remore: k-way sul sedile passeggero e via andare, non sarebbe certamente stata la prima volta.
Pian piano sono arrivati tutti, mascherine e distanziamento come diktat, ma simultaneamente la ferma convinzione di dover celebrare questo 18 Maggio 2020.
Il giorno in cui si può tornare a vedere gli amici.
Non credo avessi bisogno di questa epidemia di merda per realizzare quanto siano importanti per me, ma certamente il COVID ha aiutato a mettere in prospettiva le volte in cui mi è pesato il culo buttarmi in macchina per uscirci insieme quando nulla mi vietasse o impedisse di farlo.
“Ti rendi conto delle cose importanti solo quando le perdi” è una frase abbastanza del cazzo, ma è vero che certe rinunce si fanno spesso dando per scontate cose che scontate non sono.
Chiudendo subito questa possibile deriva riflessivo/filosofica mi concentrerei sul fatto che è stata serata bellissima, di cui avevo sicuramente bisogno.
Dubito sia vero che i 40 siano i nuovi 20, ma per una volta fare a 39 quello che facevo a 19 non è risultato strano o fuori luogo. Solo bello.
Alla fine abbiamo pure giocato a colpire il lampione e Max ha sparato la palla sul tetto della palestra come vuole la tradizione.
Il trofeo, oggi intitolato alla memoria della Dirce in segno di rispetto, è rimasto inassegnato.
Toccherà riprovarci settimana prossima.

* Federazione Italiana Centra il Palo

Contromano in tangenziale

ATTENZIONE: questo è uno di quei post in cui mi parlo addosso con lo scopo ultimo di cavar fuori una direzione al mio complicato modo di essere. Lo scrivo per lettori che non esistono, ma che ipotizzo eviterebbero volentieri di finire a leggere una cosa così senza preavviso.

La barzelletta di quello che guida contromano in tangenziale la conosciamo tutti:
+ La radio: “Avvistato un pazzo contromano in tangenziale…”
+ Uomo al volante: “Uno? A me sembrano tantissimi!”
Fa ridere.
Però io ci vivo dentro.

Il mio problema è che non sono matto a sufficienza da pensare di essere l’unico nel giusto, sempre e comunque, ma contemporaneamente non riesco a capire come faccia la maggioranza delle persone con cui interagisco a non vedere il mondo come lo vedo io. La testa, programmata per ragionare con logica, mi porta a pensare sia io quello sbagliato, eppure la stessa logica spesso non mi permette di trovare l’errore. E questo porta al crash del sistema.
Una canzone che mi piace dice:

Mio nonno
Per quasi settant’anni
È stato in minoranza
E sta benissimo!

È una bella frase e Dio solo sa quanto mi piacerebbe fosse applicabile alla mia vita. Purtroppo non è così: io la vivo male.
L’ultimo ambito in cui mi sto scontrando con le persone che frequento, da amici, a colleghi, a persone con cui in qualche modo interagisco online è la situazione relativa all’infezione da coronavirus che stiamo vivendo, ma è davvero solo un altro esempio di una routine in cui mi trovo a sedermi dal lato opposto della maggioranza dei miei conoscenti e investo ore nel tentativo di discuterne.
Vista da fuori è facile: è il profilo tipico di quello che gode nell’andare contro tutti, ma la realtà dei fatti (per lo meno a livello conscio) è esattamente all’opposto. Allora perché faccio così? Non lo so.
Di solito inizio a ragionare su un argomento a partire dagli elementi che ho in mano, costruendomi un’opinione che poi uso per dibattere col prossimo. Questo mi serve per approfondire, dare spessore al mio punto di vista ed irrobustirlo, oppure cambiarlo. Non so se sia cosí per tutti, ma per me funziona.
Ci sono volte (rare, imho) in cui però sono sufficientemente convinto di quanto sostengo da volerlo spiegare a tutti. Boh, forse è un retaggio evangelico della mia educazione cattolica, cazzo ne so. Il punto è che mi ci sbatto e quando fallisco di norma mi deprimo.
Il motivo ho provato a spiegarlo fuori contesto giorni fa su twitter:

Il problema infatti è che non mi metto mai a discutere con chi so a priori non possa farcela a seguire il discorso (a mio insindacabile e del tutto soggettivo giudizio), io punto solo su cavalli che stimo, gente che penso possa capire e che, se non arriverà a sposare la mia linea, nella mia testa lo farà argomentando in modo dettagliato ed univoco, fornendomi spunti di riflessione magari nuovi a cui non avevo pensato in partenza.
Quanto ci credo? Nel 100% dei casi.
Quanto succede? Non ho fatto un conto, ma la percezione sta intorno al 10-20%.
Eppure insisto.
Ogni cazzo di volta.
E così accumulo delusioni, amarezza e senso di inopportuno.

Sono le 2:49.
Questo post ho iniziato a scriverlo dopo essermi sfogato con quella santa di mia moglie, che alla 1:00 di tutto aveva voglia, tranne che di sentirsi vomitare addosso le mie menate esistenziali, soprattutto se derivanti dall’ennesima discussione su twitter con un estraneo.
Non sono per nulla convinto, razionalmente, di non essere io lo scemo del villaggio.
Eppure non riesco a prendere in considerazione la cosa e continuo a sentirmi come il tizio che corre sicuro di sé, contromano, in tangenziale.

Il 2019 di Manq

Fine anno, classico momento per tirare due somme. Oltretutto a questo giro finisce anche un decennio, quindi le somme da tirare sono anche più di due.
Dal 2010 ad oggi di cose, a voler guardare bene, ne ho combinate. Sono rientrato in Italia, ho preso un dottorato di ricerca, mi sono sposato, mi son trovato un lavoro a tempo indeterminato che tutto sommato mi piace, ho comprato casa, ho perso quasi quindici chili e ho messo al mondo due figli meravigliosi (ok, questo potrei non averlo fatto fisicamente io, ma ci siamo capiti). Un decennio decisamente positivo, nulla da dire. Un decennio in cui sono stato prevalentemente bene.
Eppure questo 2019 è stato l’anno in cui mi sono imbruttito.
Me ne rendo conto.
La spiegazione che mi sono dato è che… aspetta. Quel che segue è probabilmente un post di quelli che scrivevo nel decennio precedente, pieni di autoanalisi da quattro soldi e presa male gratis, quindi evitatelo. Davvero. Non è scritto per te.
La spiegazione, dicevo, che mi sono dato è che i due figli stupendi di cui sopra assorbano grandissima parte della mia pazienza. Il poco che rimane lo investo nel tentativo di non uccidere nessuno al lavoro e nei compromessi necessari alla vita di coppia. La cosa bella è che ho una moglie fantastica che 1) non usufruisce che di una porzione infinitesima della mia pazienza e 2) capisce quando non ne ho più e mi vuole bene anche se ogni tanto sbrocco.
Tutto ciò che sta fuori da questi tre ambiti, purtroppo, si becca un Manq a tolleranza zero e non è una bella cosa. Non lo è per chi mi sta intorno, ma non lo è nemmeno per me che di stare in mezzo alle persone inizio ad avere sempre meno voglia. Anche perchè vivo un quotidiano in cui tutte le interazioni si sono esasperate, estremizzate, e in ogni situazione c’è sempre qualcuno pronto a dirti quanto sei un coglione o ad insegnarti come si sta al mondo. 
Una volta abbozzavo. Serenamente. Magari mi spingevo nella discussione (senza il magari, son pur sempre quello che adora le discussioni), ma capivo piuttosto bene quando fermarmi e quando smussare. E lo facevo, di nuovo, serenamente. Oggi no.
Oggi mi trovo spessissimo a pensare “Ma perchè cazzo dovrei desistere dal mandare ‘sto tizio affanculo?” e l’unica risposta che ne esce è “per educazione” oppure, peggio, “per non incrinare il rapporto”. E sarò certamente io in un momento davvero passivo aggressivo della mia vita, ma ho l’impressione che a parti inverse nessuno si sia mai fatto questi scrupoli con me, quindi la vivo un po’ come essere in credito di 38 anni di diplomazia che nessuno sembra intenzionato a darmi indietro.
In più, come dicevo all’inizio, questo decennio è stato quello dei trent’anni che non è probabilmente il più divertente della vita, ma penso sia quello della realizzazione personale. Per me lo è stato.
E’ difficile guardare ai prossimi dieci anni con lo stesso senso di sfida o con la stessa fame di risultati. Anzi, è ovvio che prima o poi la vita inizi a chiedere conto anche delle rotture di coglioni che ci sono per tutti e che io, unicamente per fortuna, fino ad oggi sono riuscito a schivare. 
L’ho detto, mi sto imbruttendo.

Quest’anno ho ascoltato un po’ di dischi, qualcuno anche molto bello.
Li ho riassunti in una playlist di 12 canzoni, scegliendo per ogni mese quella più rappresentativa della fissa che avevo in quel momento.
Non è malissimo, la metto qui sotto.
Buon anno.

5CONTRO5: The Offspring

Terzo capitolo per la rubrica che non avrei mai immaginato potesse arrivare al secondo. Vedi tu, a volte, la vita.
In questo episodio la scintilla che ha fatto scattare le playlist è una discussione su FB scaturita sotto un post di Spazio Rock che mentre scrivevo pensavo fosse una celebrazione per i vent’anni di Americana, ma che invece controllando è semplicemente fine a se stesso, visto e considerato che, nel 2019, Americana di anni ne ha compiuti 21 (data d’uscita 17/11/1998). Se proprio serve un anniversario per legittimare questa cosa Smash ha compiuto 25 anni l’8 aprile scorso, così tagliamo la testa al toro.
Per i meno attenti quindi, questo 5CONTRO5 parla di Offspring, con o senza il The a seconda dei gusti.
Come funziona questa rubrica? Facile: metti insieme cinque persone che hanno tutte una certa fissa per un gruppo e fai fare ad ognuna di loro una playlist “ascoltabile”, ovvero tra i 10 e i 14 pezzi. Alla fine le confronti e tiri le somme di quanto ognuno se la viva in modo diverso. In pratica la scoperta dell’acqua calda, ma con un giochino divertente. Una delle cinque persone potrei essere io.
Negli episodi precedenti Brand New e Get Up Kids.

Spazio statistiche: per la prima volta da quando scrivo questa rubrica c’è una canzone che fa 5/5: Self Esteem. Grazie al cazzo, starai pensando, però è comunque significativo se pensiamo che Come out and play fa solo 3/5 (!) e The Kids Aren’t Alright 1/5 (!!!). Che nessuno ci abbia messo Pretty Fly (for a white guy) invece me lo aspettavo, quello è un singolo per persone che non saprebbero fare una lista di 14 pezzi degli Offspring, perchè ne ascoltano al massimo tre. Tra i dischi Smash risulta il più rilevante (28/70), anche per il bias introdotto da uno dei giocatori, e credo in senso assoluto sia giusto così. Mi sorprende un po’ Ignition prenda più preferenze di Ixnay on the hombre (13/70 vs. 11/70), così come il fatto che Americana (10/70) sia così presente in playlist di persone che snobbano i due pezzi di cui sopra: ho sempre pensato che fosse il disco dei singoli. In coda troviamo Conspiracy of One (4/70), l’inascoltabile esordio The Offspring (3/70) e Splinder (1/70), che rispetto a questi forse non merita uno scarto così marcato.
Tutto il resto non è stato giustamente preso in considerazione.

Ora le playlist, come sempre grazie a tutti i partecipanti. <3

Felson
C’è un gruppo che per me è associabile al liceo più degli Offspring? Non credo proprio! “Ignition” (1992) e soprattutto “Smash” (1994) sono stati una colonna sonora potente e costantemente presente in quegli anni. Se penso al gruppo di Dexter Holland e Noodles mi vedo davanti alcuni flash ben definiti: le gite e il walkman, i video dei loro singoloni su Mtv (non ancora Mtv Italia), la felpa di Giulio presa su Carnaby, Self esteem cantata a squarciagola in macchina, la delusione di tutti quando è uscito “Ixnay on the hombre” (1996), il concerto al primo Independent del 1999 sotto la pioggia (in realtà non me lo ricordo quasi per niente, ricordo solo la pioggia e le ore passate in stazione a Bologna, di notte, bagnato fradicio, ad aspettare un treno per tornare a casa).
Poi ok, negli anni (e album) seguenti qualche buon singolo l’hanno imbroccato ma intanto il liceo era già finito e gli Offspring avevano anche lasciato la Epitaph per passare alla Columbia Records e sinceramente io volevo virare verso altri lidi musicali e loro erano sempre più ripetitivi e piatti ma con meno idee (figuratevi adesso).
Pero dai, “Smash” rimane un disco della madonna, insuperabile nella loro discografia, con tutti grandi pezzi e nemmeno un riempitivo e, non so voi, ma io lo so ancora tutto a memoria. Per cui, per concludere degnamente, penso seriamente che dobbiate riascoltarvelo tutto proprio adesso!

Max
“Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo (1) , e così il trauma è bello che superato. Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno (2). Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono (3). Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro. Lavori quarant’anni finché non sei così giovane (4) da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa (5). Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi (6), fai sesso (7) e ti prepari per iniziare a studiare. Poi inizi la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità (8), finché non sei bebè. Quando sei sufficientemente piccolo (9), ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene (10). Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno (11), in un posto riscaldato con room service e tanto affetto (12), senza che nessuno ti rompa i coglioni (13). E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo (14).”
Woody Allen & The Offpsring.

Mauro
Senza dubbio il mio peggior concerto del 2019 è stato quello degli Offspring al Bayfest.
Stanchi, debosciati, onesti (ma poco motivati) operai del punk rock anni ’90 (o di ciò che ne rimane).
Tuttavia, da quel giorno sono tornati prepotentemente in heavy rotation. Anche se riflettendoci, non sono mai completamente usciti dai miei ascolti ricorrenti. Mi è stato proprio chiaro che ci sono aspetti, anche nella Musica, che vanno oltre al tempo, alle preferenze, alle fasi e alle mode. E con orgoglio, ho capito che gli Offspring restano tra i punti fermi del mio percorso musicale. Forse perché hanno rappresentato quel passaggio simbolico dalla musica come sottofondo alla Musica come parte imprescindibile della vita. Fin da quando le playlists erano delle cassettine da 90 minuti e non delle infinite liste su Spotify, c’è sempre stato un buon motivo per inserire nella scaletta (almeno) un pezzo di questi ragazzotti californiani. Nella discografia degli Offspring, ci sono pezzi per ogni occasione: i momenti di festa, il cazzeggio con gli amici, il viaggio in pullman verso il liceo. E quando arrivano i momenti di rabbia e disillusione, ecco arrivare Dexter a consolarci con le sue urla.
Siamo umani e le nostre emozioni permangono dentro di noi sempre e comunque; anche se il tempo passa e gli Offspring non sono più quelli di un tempo, è bene ricordarsi che neanche noi lo siamo. I loro pezzi, però, restano intatti, pronti ad accogliere tutti, dai fan datati a chi li scoprirà grazie ad un algoritmo o al consiglio di uno zio più grande. Non sono un nostalgico, non si stava meglio prima, non si starà meglio dopo, ma si starà sempre bene ad urlare “you stupid god damn shit motherfucker”.

Marco
Sono in vacanza coi miei genitori, abbiamo parcheggiato la Xsara in uno spiazzo sterrato, imboccato un sentiero di macchia mediterranea che scende verso la costa, che a un tratto si apre su delle dune del giallo più giallo che riesca a ricordare. La spiaggia in sé è piccola, quando passo di fianco a un tizio che avrà una decina d’anni più di me (io ne ho 13 all’epoca), sta sbattendo l’asciugamano come si fa con le lenzuola, a terra c’è una radiolina da cui riconosco It’ll be a Long Time, ed è come tornare a casa. I miei genitori non ci sono più, il mare non mi interessa più, non sono più in vacanza, sono d’improvviso immerso nella vita in cui sto cercando di cacciarmi con ogni mezzo, perché è un fatto associativo, è riconoscere un odore del branco, un richiamo dello stormo.
Per me gli Offspring sono stati questo, la mia prima e più grande opportunità di fare qualcosa della mia vita. Se ho pensato che forse avrei potuto suonare uno strumento è perché un mio amico mi ha fatto ascoltare The Kids Aren’t Alright a bordo di un treno, e ancora oggi, 21 anni dopo, non ricordo un impatto altrettanto devastante al primo ascolto.
La mia intera estetica dell’estate è modellata sui suoni lontani, anni 90, bagnati, taglienti e arabeggianti delle chitarre di Noodles. Ho passato quasi vent’anni a farmi insegnare da tizio e caio che cosa sia davvero il punk: gli anni settanta, l’hardcore, il diy, i centri sociali, questo e quest’altro, l’anarchia o il nichilismo, la storia da studiare, il rifiuto delle major, del mainstream, joe strummer, let’s go sì ma life won’t wait no, e alla fine di tutte queste nozioni mi sono guardato allo specchio, e mi sono reso conto che non me ne fregava un cazzo di niente, per me il punk è la voce di Dexter Holland che urla “well fuck you, woah woah”, e lo sarà sempre. Mi dispiace, sono nato nel 1987. Il resto posso rispettarlo, posso studiarlo, può piacermi, ma non mi appartiene.
La scaletta che farei se avessi una tribute band degli Offspring.

Manq
Prima di mettere mano a questa playlist mi sono riascoltato tutta la discografia degli Offspring fino a Splinter. Gli ultimi due dischi riascoltati oggi danno molto meno fastidio di quanto me ne diedero ai tempi, per le tre leggi di Surimi:
1) se mangi tutti i giorni aragosta, quando ti danno i gamberoni storci il naso. Quando ti danno il surimi ti incazzi e non lo mangi.
2) se hai una dieta varia e ti piacciono i crostacei, il surimi non è la tua prima scelta, ma lo mangi volentieri.
3) il surimi è fatto di scarti e lo sanno tutti, se lo compri pensando sia granchio il problema è tuo.
Credo gli Offspring siano il gruppo meno originale che conosco, negli anni hanno riciclato una quantità di idee e riff imbarazzante, eppure sta mattina pensandoci riflettevo che ad altri gruppi che fanno la stessa cosa si concede il lusso di parlare di “autocitazioni”. Lo faccio anche io, come gli Offspring si meritino questo marchio d’infamia nonostante non sappia dire in base a cosa. Riascoltando tutto mi sono imbattuto in cose che avevo dimenticato, tipo quando hanno pensato di essere i Pearl Jam (Denial, Revisited) o di poter riproporre pari pari Dirty Magic dieci anni dopo senza che nessuno mangiasse la foglia (Vultures). La roba che più mi ha devastato è riascoltare Not the one e faticare ad arrivare in fondo per quanto è suonato a cazzo quel dannatissimo charleston. Il primo batterista degli Offspring è qualcosa di incomprensibile. Ad ogni modo, scegliere solo 14 tracce per una playlist è impossibile, ma soprattutto ingiusto. Avendo fatto io le regole non ha senso che me ne lamenti. Per una volta quindi affanculo il completismo, la razionalità, la volontà di raccontare il gruppo a tutto tondo. Ho fatto delle scelte e le ho fatte nell’unica maniera possibile: col cuore.
Se pensate manchino pezzi imprescindibili è per la legge di Keglevich: prima dei vent’anni la vodka alla frutta è pazzesca, ma finisce che ne bevi troppa, vomiti e poi non la bevi più.
Mai più.

Te spiego l’EMO

Giorni fa Andrea ha riscoperto il piacere di fare le playlist su Spotify e ne ha tirata fuori una che racconta l’emo nella sua prima fase, diciamo quella che va dal 1985 al 2000. Per chi non lo conoscesse, Andrea è una delle penne di Impatto Sonoro, ma soprattutto un “amico di internet” che recentemente ho avuto il piacere di incontrare di persona e con cui mi è già capitato di fare giochini tipo quello di cui vi sto scrivendo. 
Dico giochino perchè Andrea, dopo aver condiviso la sua (bellissima) playlist ed essersi beccato il mio like, ha pensato di chiedermi se mi andasse di farne una sullo stesso tema. Potevo mai tirarmi indietro? Ovvio che no.
Non paghi, abbiamo deciso di estendere il concetto e coprire anche le fasi successive della storia, in modo ne uscisse un quadro diciamo completo.
In sostanza quindi mi sono cimentato nel mettere giù una breve serie di playlist a tema EMO e, visto che sono uscite più carine di quanto immaginassi, ho pensato potesse valere la pena metterle anche qui sopra e scriverci due righe due di commento.
Le regole erano pochissime: finestra temporale definita e massimo 12 tracce, come qualsiasi playlist dovrebbe essere se lo scopo è farsi ascoltare. Io ad ognuna ho messo come cover un’immagine di Andrea Emo e il perchè, se avete letto fino a qui, non ha senso spiegarlo. 

Emo 101 (’85-’00)
A conti fatti la più semplice da fare, ma anche quella in cui credo fosse più difficile distinguersi rispetto ad altre ipotetiche liste redatte con il medesimo scopo. Parliamo degli anni in cui l’emo è nato ed ha goduto del suo momento creativo di maggior spicco. Per moltissimi, l’unico periodo che abbia senso analizzare.
Su 12 pezzi, credo almeno 8 escano da dischi che per me sono capolavori. La cosa se vogliamo peculiare è che lo sono anche per un sacco di gente che ne capisce molto più di me. I gruppi coinvolti son quelli che trovate in qualsiasi testo a tema emo reperibile su internet, da wikipedia in giù, tralasciando però tutte le pagine di gente che parla di una roba che non ha idea di cosa sia.
Dopo averla fatta l’ho ascoltata alla nausea.

Emo 202 (’01-’10)
Qui la situazione si fa spinosa perchè è evidente il primo decennio del nuovo millennio coincida sì con la “maturazione” del genere, ma anche con il suo più drammatico sputtanamento. La corretta informazione avrebbe dovuto tener conto di entrambi i fattori e regalarci una playlist cumulativa, ma con Andrea si è deciso per farne due, una radical chic e una da guilty pleasure. Io i confini tra le due li vedo davvero molto sfumati, ma capisco il ragionamento.
La prima è questa e contiene alcune delle mie canzoni della vita.

La seconda invece è decisamente più cafona e contiene un sacco di roba che non ha propriamente una dignità. Dal canto mio però rivendico il diritto di difendere ogni singola traccia di questa seconda lista, che a conti fatti se vogliamo ha dalla sua il tentativo di sviluppare il tema in maniera diversa, anche se profondamente sbagliata a livello ideologico.
Poi oh, se ho tempo per una sola delle due, 8/10 metto su la seconda perchè io un po’ la penso come René Ferretti.

Emo 303 (’11-’19)
Terza playlist e siamo a quello che per me è il capitolo più complicato perché c’è da pescare nell’ultimo decennio (che decennio poi non è, ma vabbeh) e io non sono più sul pezzo da tantissimo tempo. La prova è che in lista sono finiti pezzi di dischi belli, ma che non ho mai comprato.
In generale il grosso del mio sforzo era volto a dimostrare che le idee, quando si parla di emo, ormai siano finite, ma anche che fare bei dischi usando le idee di altri venuti prima non è mai stata pratica per quel che mi riguarda deplorevole. In coda ho voluto mettere quello che per me è l’unico filone nato in questo periodo e con qualcosa di “nuovo” da dire e se vogliamo fa sorridere perché pur basandosi sul campionare i pezzi dei decenni prima (letteralmente), alla fine risulta comunque più fresco del revivalismo derivativo delle tracce che lo precedono in questa playlist.
Questo giro ci ho messo anche un pezzo italiano perché, in questo decennio, ho ascoltato forse più dischi italiani che stranieri. Poi mi dicono che da noi arriva sempre tutto dopo, quindi credo abbia senso.

Probabilmente nessuno ha bisogno che io gli spieghi cosa sia l’EMO, certamente non nel 2019, ma è un giochino che mi sono divertito a fare e che mi ha permesso di mettere insieme delle playlist che ascolterò certamente un sacco.
Quindi boh, evviva.