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Manq

First Contact

Questo week-end sono stato a Colonia per l’ormai consueto appuntamento con il Mito-retreat. A differenza dello scorso anno, però, in questa circostanza ho avuto anche la possibilità di tenere un seminario, il mio primo seminario fuori dai confini nazionali.
Figo, a pensarci.
Per mettere un po’ di pepe in più alla cosa, Venerdì mattina ho perso l’aereo che avrebbe dovuto portarmi a in loco.
Questo ha comportato il dover riprenotare un volo per la sera, pagandolo una fortuna, ma non mi ha impedito di fare quello che a mio avviso è stato un buon talk la mattina seguente.
Molte domande, molti feedback ed alcuni complimenti.
Per la precisione anche qualche commento “poco fiducioso” sulla possibile buona riuscita del mio progetto, ma credo faccia parte del gioco.
Ad ogni modo, la tre giorni tedesca mi ha fornito il primo reale assaggio di quello che sarà la mia vita nel prossimo futuro, dandomi modo di riflettere sulla decisione che ho preso e di valutarla un po’ meno in astratto ed un po’ più nell’imminenza.
La Germania ha diversi punti a suo favore.
– In Germania i mezzi pubblici funzionano a meraviglia. Per fare un esempio, Venerdì sera sono dovuto andare da Colonia a Schleiden, un paesino in mezzo al nulla, ed avevo a disposizione l’ultima corsa dei mezzi. Persa quella, sarei dovuto andare a piedi, o in taxi. La distanza da coprire era di 100 km più o meno. Atterato alle 21.30 avrei dovuto prendere un pulman alle 21.39 che mi avrebbe portato alla stazione dei pulman di Bonn alle 22.11. Da lì avrei dovuto raggiungere la stazione dei treni e prendere quello per Euskirchen delle 22.17, arrivandoci alle 22.56. Da lì, il treno per Kall sarebbe poi partito alle 22.59 per portarmi alla stazione della stessa Kall alle 23.19, dove avrei poi dovuto cercare la fermata del pulman per Schleiden e prendere la corsa delle 23.25 in modo da arrivare a destinazione alle 23.40. Ce l’ho fatta. Questo dice tutto.
– Il posto dove andrò a lavorare è decisamente una sorta di “paese di Bengodi”, lavorativamente parlando.
– Alcune delle persone con cui andrò a lavorare e che ho avuto modo di conoscere in questi giorni, sono simpatiche e molto in gamba.
– Al momento del trasferimento in Germania viene chiesto di dichiarare la propria fede religiosa, se se ne possiede una, ed a coloro che si dichiarano fedeli lo stato preleva dalla busta una tassa di 50 euro al mese che viene girata nelle casse della Chiesa selezionata. Per coloro i quali sono atei/agnostici/selfreligious lo stato non prevede trattenute. Mi pare equo lasciare possibilità di scelta a chi non ha intenzione di sovvenzionare la chiesa, perchè in quel caso, essendo soldi che altrimenti ti puoi tenere, diventa realmente una scelta. All’apprendere quella notizia ovviamente, da perfido anticristo quale mi dicono essere, ho subito sancito un ultimatum alla Polly: “O paghi, e a quel punto io mi sento legittimato a fare Sky, o non paghi e a quel punto mi sento legittimato a non reputare più così imprescindibile il tuo attaccamento alla maglia (cosa che avrebbe ragionevoli ripercussioni sul mio linguaggio quotidiano).”. E’ stato un bel momento.
– I voli che utilizzerei per i miei spero frequenti rientri in patria sono assolutamente comodi. Il Venerdì sera sarei in casa per le 20.30 ed il Lunedì mattina ripartirei alle 7.00, godendomi appieno tutto il week-end.
– La vita lì sembra costare un po’ meno.
– Convivere porterebbe notevoli vantaggi alla mia vita domestica.
La presa di coscenza del futuro/prossimo trasferimento ha anche però portato a galla alcune paure che fino ad ora ho preferito ignorare:
– I miei hanno solo me. Ok, non sono anziani bisognosi di assistenza, ma è brutto per me entrare nell’ottica di lasciarli soli. Questo è il motivo per cui salvo incredibili ed assolutamente imprevedibili sviluppi, alla fine di questa esperienza tornerò in questo paese orribile e ci tornerò per restare. Che si inculi la carriera, ho sempre pensato di dover lavorare per vivere e non vivere per lavorare.
– Sembra che a Colonia trovare una casa sia tutto fuorchè facile. Trovarla arredata poi, si dice essere impossibile. Questo rompe il cazzo perchè non era certo preventivato che io dovessi comprare altri fottuti mobili.
– Per quanto io sia una persona socievole, in Germania io e la Polly saremo soli. Soli.
– Stare via un anno incasina non poco i progetti di vita che una persona di quasi trent’anni dovrebbe e nel mio caso vorrebbe iniziare a preventvare.
Ad ogni modo ormai il conto alla rovescia è partito.
Si parla di Gennaio 2010.
Praticamente domani.

Google Hit List [Settembre 2009]

Questo mese è davvero complicato stilare una classifica, avendo io trovato veramente tante ricerche che mi piacerebbe premiare.
Purtroppo mi dovrò limitare a 10, quindi sarà bagarre. Prima di iniziare volevo però dare spazio a due mini-riflessioni.
La prima è che c’è un monte di gente che finisce su questo blog cercando recensioni dei dischi di cui spesso scrivo. Questo è bene. Il fatto che nessuno mi dica mai cosa pensa di quel che ho scritto in merito invece è male.
La seconda è corna alzate a chi è arrivato qui cercando: “vedo che vieni verso di me e dall’emozione io vomito”. Ragazzo/a, te lo devo dire, è il mio pezzo preferito.

1 – prolisso
2 – accoppiare cravatta
3 – perchè non riesco a non stare al pc?
4 – come sentire la sveglia
5 – leonardo allenatore elegante
6 – il pomeriggio di un piastrellista frasi
7 – non vado di corpo perche stress
8 – scarico film per vendetta
9 – incombenze fiscali di un tassista
10 – mille cose di me

Nota: aggiornata la sezione “musica”

E poi dicono che in Italia non c’è un problema di informazione

Ieri c’è stata la prima puntata di Annozero.
A me Santoro non è mai piaciuto perchè lo trovo la copia “sinistroide” di Ferrara e chi mi conosce sa bene che non è un complimento.
Ieri sera però è andata in onda la prima puntata e c’era curiosità per via della questione Travaglio, ancora senza contratto Rai non si capisce bene per quale motivo.
L’intervento di Travaglio è stato il seguente:

La parte sulla “Bicamerale ad ore” mi ha spaccato.
A parte le battute però, non credo di essere lontano anni luce dalla comprensione dell’intervento riassumendolo in questa frase: “Mignotte e cocaina sono un lasciapassare per il potere perchè fanno gola sia a destra che a sinistra.”.
Si può essere d’accordo o meno, ma il senso mi pare sia quello.
Questa mattina ho scelto di leggere le notizie che i giornali davano in merito.
Come consuetudine, sono partito da Repubblica.

Al via l’Annozero delle polemiche – “Diversi per una democrazia più forte”
[…]
Marco Travaglio legge il suo editoriale come faceva nelle edizione dello scorso anno, ma questa volta ancora senza un contratto che lo lega a Rai2. E cita i verbali di Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore barese che portava le escort a casa di Berlusconi: “Ho capito che con la cocaina e le ragazze mi sarei fatto largo nella società”, disse l’industriale al pm. Travaglio legge nel dettaglio degli incontri di Berlusconi con le ragazze, compreso quel 17 dicembre in cui il premier non andò al Quirinale adducendo uno “strappo muscolare”. Poi ricevette due ragazze, “forse erano fisioterapiste”, ironizza Travaglio.
[…]

Dopo aver letto l’articolo, mi è parso evidente che mancasse almeno una parte del concetto espresso da Travaglio.
Ho quindi optato per provare ad informarmi ulteriormente ed ho aperto il Corriere della Sera.

L’incipit di Santoro contro Berlusconi – “Non ci sto a sentirmi in nomination”
[…]
Marco Travaglio, nel corso del suo editoriale a metà puntata, ha ripercorso le vicende di Giampaolo Tarantini che «ha messo su una bicamerale a ore». Il giornalista ha letto i verbali delle deposizioni di Tarantini, «della sua voglia di conoscere il premier» e delle spese che Tarantini ha sostenuto. E conclude: «Berlusconi ha detto durante la conferenza stampa con Zapatero di non aver mai pagato una donna – aggiunge -. Si sentiva con lui (Tarantini) dieci volte al giorno, e poi Berlusconi dice di non conoscerlo, ‘Tarantini o Tarantino”?. Forse si riferiva a Quentin Tarantino. Il film è infatti “Pulp Fiction” ed è molto Pulp».
[…]

Da quanto scritto, anche in questo caso, non mi pare venga fuori il concetto espresso dal giornalista ieri sera nel suo intervento. La descrizione è vaga, le citazioni decontestualizzate e buttate lì senza spiegarne il significato (si veda appunto la bicamerale ad ore).
Non pago, decido di completare la mia rassegna stampa andando sul sito del Giornale.

Annozero mette alla gogna Il Giornale – Per Santoro abuso di Servizio Pubblico
[…]
Quindi MarcoTravaglio. Mescola frasette su ragazze e festini, Silvio e Massimo, infine il favoloso gioco di parole su «pulp»e«palp». Bravissimo,un genio bollito, con la maionese sarebbe anche gradevole.
[…]

Ora, senza voler entrare nel merito del fatto che tutto l’articolo è scritto con toni e modi che col giornalismo non hanno nulla a che vedere, mi pare incontestabile che anche qui l’intervento di Travaglio venga citato e descritto in maniera che non faccia minimamente intendere al lettore quello che in realtà è stato detto.
Com’è possibile che dopo aver letto i tre principali quotidiani del paese e aver constatato che tutti e tre riportano la notizia, mi è stato impossibile apprendere il concetto che Travaglio ha voluto comunicare?
E’ normale che le tre testate giornalistiche di maggior rilievo non facciano cronaca, ma opinione travestita più o meno bene da cronaca?
Come diavolo può fare un cittadino che non abbia voglia di buttare una mattinata di lavoro (come ha fatto oggi il sottoscritto) per farsi un quadro generale di quel che avviene nel suo Paese?
E, ripeto, si parla di una notizia che tutti e tre i giornali hanno riportato. Figuriamoci il delirio sui fatti che da molte testate vengono omessi.
E poi dicono che in Italia non c’è un problema di informazione.

Sarà vero?

Nella vita si cambia.
E’ questo il bello, dicono.
Personalmente non ho mai ritenuto niente come positivo a priori, quindi anche l’evoluzione che quotidianamente affronto preferisco valutarla passo per passo.
Così facendo è indubbio che spunti positivi se ne trovino a bizzeffe.
L’altra sera al concerto dei Dinosaur Jr. ho incontrato un conoscente.
Un conoscente è qualcuno di cui, per definizione, si conosce l’identità. Non nel dettaglio magari, ma quanto basta per rispondere alla domanda che potrebbe porti chi ti accompagna nonappena l’incontro si sarà esaurito e le sue componenti si troveranno ad una distanza sufficiente a poterne parlare.
Se non si possiede qualche dettaglio che identifichi la persona incontrata non si dovrebbe parlare di conoscente, ma piuttosto di volto noto, a mio avviso.
Quando l’ho visto passare, l’ho salutato e lui, molto cortesemente, si è fermato a scambiare due parole.
Il contesto in cui ci si trovava indubbiamente ha aiutato la conversazione.
Incontrare un conoscente ad un evento ha infatti non solo l’indubbio vantaggio di avere un argomento da trattare, ovvero l’evento stesso, ma offre anche la possibilità di defilarsi qualora la conversazione non sia particolarmente accattivante o, ancora peggio, inizi a volgere alla penuria di argomenti.
Io non mi ritengo una persona povera di argomentazioni, in tutta onestà, ma quante di queste possono essere trattate con un conoscente? Probabilmente se potessi intavolare ampie discussioni con i conoscenti arricchirei non poco il mio bagaglio culturale, perchè non è certo confrontandosi sempre con le stesse persone/idee che si cresce. Eppure questa cosa sembra impossibile da fare e la maggior parte degli incontri casuali decontestualizzati portano al classico scambio di banalità.
Forse dovrei imparare a sfruttare meglio le occasioni che la vita mi propone, ma in questo momento riflettendo su questa cosa sto andando fuori tema.
Tornando all’incontro di cui sopra, la cosa importante non è il breve dialogo che ne è scaturito quella sera, ma la mail che la persona che ho incontrato mi ha scritto pochi giorni fa.
Ok, so benissimo che tutto quello che ho detto fino ad ora perderebbe il [poco] senso che ha se dicessi che il conoscente ed io siamo soliti comunicare per mail ed infatti non lo dico, perchè non è così.
Tuttavia, dopo quell’incontro che non era il primo e che non sarà credo l’ultimo, mi ha scritto una mail dove si tornava sul concerto e si arrivava ad altra musica.
I collegamenti sono tutto.
Con i giusti collegamenti nascono sempre discussioni interessanti, anche a partire dal niente.
Questa è una cosa che mi piace.
Ma soprattutto mi piace aprire la mail un giorno qualsiasi di una settimana qualsiasi e trovarci qualcosa di decisamente non qualsiasi.
Qualcosa capace di sorprendermi.
La felicità sta nelle piccole cose?
Non credo.
Però questo non vuol certo dire che dalle piccole cose non ci sia nulla da trarre.
Ho scritto tutto questo perchè, in fin dei conti, questo resta pur sempre il mio diario e in un diario trovo giusto dare spazio anche a riflessioni di questo tipo.
Una volta, ad essere onesti, lo facevo molto più spesso.
Questo post è nato da una considerazione: oggi sicuramente se incontrassi sul treno la persona di cui sto parlando da diverse righe la saluterei e proverei a cimentarmi in una conversazione senza il solido appiglio contestuale che può offrire un evento.
La domanda è: “Se non avessi ricevuto la mail in questione, la penserei nello stesso modo?”.
A bruciapelo risponderei di sì, ma il dubbio è lecito visto che anni fa non l’ho fatto.
Mi piace però pensare che questo sia uno dei cambiamenti positivi che la mia evoluzione ha causato.
L’insicurezza, spesso, gambizza.

Applausi a scena aperta

Non credo esista un’altra band capace di far sembrare bello il pezzo del video qui sotto.
Ma bello bello, non semplicemente migliore.
Il 7 Dicembre si va a vedere Biffy Clyro.
Punto.
E adesso sale l’attesa per il nuovo disco.

Quando scrivo di musica sono prolisso. E sticazzi.

Dischi.
Si era detto che mi sarei preso un post per scrivere di un po’ di dischi che sto ascoltando e che sono usciti più o meno tutti relativamente di recente.
Sono 7.
Quantitativamente parlando è tanta roba, qualitativamente non poi così tanta, ma in ogni caso sono tutti o quasi dischi che ero curioso di ascoltare e che di conseguenza mi va di raccontare.
Via.

Brand New – Daisy
Brand New - Daisy Questo per il sottoscritto era sicuramente il disco più atteso dell’anno e quindi è quasi d’obbligo partire da qui. Ed è quantomai difficile farlo perchè Daisy è un disco che, al primo ascolto, mi ha “sconvolto”. Anzi, mi ha aggredito senza lasciarmi il tempo di riprendermi fino alla sua conclusione, quando ho spento il lettore e mi sono chiesto se avessi realmente sentito quello che avevo sentito. Che i Brand New ogni volta siano capaci di dare una svolta al loro suono è indiscutibile ed ormai non fa più notizia, ma questo non impedisce di rimanere ogni santa volta che si ascolta un nuovo capitolo della storia, a bocca aperta. Il disco si apre con Vices, introdotta da un’alquanto suggestivo “old church hymn” (leggo in internet) ed è letteralmente un pugno in faccia. Dissonanze, suoni cupi e ruvidi e urla che nessuno mai avrebbe pensato di accostare ai Jesse Lacey e soci. Attenzione, non si parla delle urla posticce e postprodotte che tanto vanno di moda adesso, sia chiaro, ma di vere e proprie grida capaci di raschiare l’animo dell’ascoltatore e, nel mio caso, quasi di infastidirlo. Dopo un impatto del genere però sale la curiosità di capire dove sia diretto questo disco e così ci si ferma ad ascoltarlo con attenzione, nel tentativo di comprendere. Ascolto dopo ascolto si ritrovano la malinconia, l’intimità e l’emotività caratteristiche dei Brand New, ben identificabili in alcuni pezzi più vicini al precedente lavoro, ma continua ad essere chiaro che tutto è stato rielaborato e sfogato con una violenza mai usata prima. Alla fine non saprei come valutare questo disco, perchè è troppo ostico per poterlo fare così presto. Di sicuro è più lontano dai miei gusti rispetto a “Deja Entendu”, ma anche “The Devil and God are raging inside me” lo era eppure oggi lo trovo uno dei dischi più belli che ho in casa. Tuttavia, come ho letto su Alternative Press, “it’s entirely possible that the band simply wrote a good album this time around, not a great one.”.

The Used – Artwork
The Used - Artwork Lo so, ho già scritto molto di questo disco. Troppo. Però in realtà non l’ho mai fatto come si dovrebbe, ovvero lasciando da parte i miei pregiudizi e le mie valutazioni impulsive. Così mi ci sono dedicato con attenzione, l’ho ascoltato e riascoltato e l’ho paragonato ai predecessori. Con somma sorpresa mi sono reso conto che questo nuovo capitolo è semplicemente il meglio prodotto dalla band dopo l’inarrivabile esordio. Attenzione, non sto dicendo che sia un bel disco, almeno non senza chiarire cosa si intende con “bello”. Innanzi tutto non si può decontestualizzare il prodotto dal genere in cui rientra. Questo è un disco di fake-emocore posticcio di quello che va tanto di moda oggi. Assodato questo, lo si deve valutare in quell’ambito e, secondo me, all’interno del genere è un buon disco: melodie facilone che si stampano in testa al primo ascolto, superproduzione, finzione sempre in primo piano (dalle urlettine di sottofondo ai riffoni pseudo-metal) e cliches a chili. Rispetto agli ultimi due album oltretutto ci sono molti meno momenti “strappamutande” per ragazzine e questo non può che essere un bene. Insomma, all’interno di un genere che può non piacere e che di sicuro ormai sovrabbonda di letame, gli Used riescono a fare meno peggio di tanti altri, basti solo pensare all’ultimo lavoro dei Silverstein per esempio. Poi è chiaro che molte band che hanno iniziato con questa roba se la sono ampiamente lasciata alle spalle provando a non perdere totalmente la dignità, ma quelle sono scelte che, per quanto apprezzabili, esulano dalla valutazione di un disco.

Thrice – Beggars
Thrice - BeggarsAccennavo giusto poco fa a quelle band che, pur partite da certe sonorità (ai tempi ancora genuine e degne di rispetto), hanno deciso di rispondere alla prostituzione cui la scena andava in pasto e probabilmente ad esigenze artistiche altre rispetto al soldo facile, evolvendo il loro suono in qualcosa di decisamente più maturo e meno teenage friendly. Oltretutto, nella fattispecie, i Thrice sono un’altra band che da sempre ha sviluppato un percorso fatto di crescita e ricerca della propria strada, partendo dal metalcore più melodico degli esordi, passando per il nu-emocore, il post-hc ed arrivando a questo disco che, a mio avviso, tratta di puro e semplice post rock. Personalmente non avevo mai ascoltato il precedente lavoro e quindi il salto tra “Vehissu” e “Beggars” per me è stato decisamente ampio, di quelli che mio nonno da giovane faceva per saltare i fossi per il lungo, eppure l’atterraggio è stato più composto di quanto mi aspettassi. Il motivo è semplice: “Beggars” potrebbe benissimo essere il disco che, quest’anno, mi aspettavo dai Brand New. A mio avviso infatti c’è veramente tanto della band di Long Island in questo lavoro, come tuttavia c’è tanto degli At the Drive In. Con queste premesse direi che c’è poco altro da aggiungere e rimane solo da mettersi belli comodi ed ascoltarselo perchè, sempre a mio avviso, questo potrebbe benissimo rivelarsi il disco dell’anno. Evidentemente sto crescendo.

Saosin – In search of solid ground
Saosin - In search of solid groundLi avevo lasciati nel 2006 con l’album di esordio e li ritrovo nello stesso punto oggi, con questa seconda uscita. Non si sono mossi di una virgola i ragazzi, sfornando quello che non si può che definire un disco fotocopia. Stessi suoni, stessi pezzi, stesso tutto. Ecco, metterci tre anni a fare una roba del genere non è giustificabile ne tantomeno degno di applausi. Allora mi avevano colpito perchè in un panorama dove per suonare questo tipo di musica era quasi necessario infilare grida da tutte le parti, loro sfoggiavano un cantato pulito pulito e dai toni altissimi. Musicalmente parlando non sono mai stati particolarmente innovativi, però avevano tutto quello che serviva al posto giusto, con l’aggiunta di un batterista coi controfiocchi che anche su disco sapeva inserire piccole perle qua e la. Oggi, come dicevo, sono ancora così con la differenza che, a quel che mi è parso dai primi ascolti, anche le linee di batteria si siano appiattite un po’. I pezzi non sono brutti, si ascoltano volentieri anche più di una volta, ma non lasciano molto. Un disco da mettere in macchina e sentire in sottofondo quando c’è altra gente a bordo, per capirci, una cosa che non colpisce e che non infastidisce. Una roba per cultori della band, insomma.

Mae – (M)orning
Mae - (M)orningDovrebbe essere un EP questo dei Mae, il primo di una trilogia che dopo “(m)orning” dovrebbe dare alla luce “(a)fternoon” e “(e)vening”, ma 37 minuti di musica divisi in 8 pezzi lo rendono di diritto un vero e proprio disco. Il progetto che sta dietro alla trilogia mi è tutt’ora un po’ oscuro, nonostante io abbia provato a documentarmi in internet, ma se non ho capito male i nostri eroi hanno deciso di raggruppare le canzoni scritte nei mesi scorsi e vendute in internet per beneficienza, senza appoggiarsi ad alcuna casa discografica. Se ho capito giusto, l’iniziativa è sicuramente lodevole, ma adesso è il caso che io valuti i contenuti e devo dire che il disco mi piace. Si tratta di pop-rock pulito e solare, ma ben curato e non troppo timoroso di uscire da certi schemi (un esempio sono le due tracce sopra i 7 minuti, cosa che in quest’ambito non è certo usuale). Il tema è quello del mattino, dell’alba, e l’atmosfera è trasferita benissimo dalle orecchie alla mente rendendo l’esperienza simile ad un viaggio. I Mae da questo punto di vista hanno una certa tradizione, se si considera “The Everglow”, che secondo me resta il loro capolavoro. Brani lunghi quindi, ben articolati, ma anche pezzi più classici, sempre caratterizzati dalla voce leggera e dai suoni armoniosi. La chicca è forse il pezzo strumentale, “Two birds”, dove pianoforte e flauto si rincorrono come fossero il canto mattutino di due uccellini appostati sul davanzale della camera da letto. Dopo il flop di “Singularity” secondo me i Mae sono tornati ad ottimi livelli.

Darkest Hour – The eternal return
Darkest Hour - The eternal returnNon ho molto da dire riguardo questo disco e potrei seriamente recensirlo in una frase: i Darkest Hour mi hanno rotto il cazzo. Questa però non sarebbe una buona recensione (non che le altre debbano esserlo, però almeno ci provano) e quindi proverò ad articolare il concetto. Io non sono mai stato un metallaro, credo si sappia, e di conseguenza alla lunga ci sta che il trash/death proposto dalla band mi vada in noia, anzi, ci sarebbe da chiedersi come mai ci sia voluto addirittura un terzo disco. Forse perchè tra “Undoing Ruin” e “Deliver Us” c’era stato un’ulteriore salto in avanti per quanto riguarda la tamarria dei suoni e dei riffoni di chitarra, tale da spingermi comunque ad apprezzare il prodotto. Con questo nuovo album invece si torna un po’ indietro, addirittura in qualcosa si ripesca al metalcore iniziale ed in me subentra una certa noia. Per certi versi questo disco è una sorta di “Undoing Ruin” meno accattivante, con riff meno coinvolgenti e una struttura più ripetitiva, sempre che sia possibile non trovare ripetitivo questo genere di musica.

Poison the well – The tropic rot
Poison the well - The tropic rotChiudo questa interminabile carrellata di dischi e commenti con i Poison the Well e il loro ultimo album. Mi spiace dirlo, ma si tratta di una cocente delusione. Ad essere sincero già “Versions” non mi aveva certo entusiasmato nel suo tentativo di elevare l’HC a qualcosa di più razionale ed intimistico. Ecco, con quest’ultimo lavoro i ragazzi della Florida continuano su quella strada che forse apprezzerò tra qualche tempo, dopo ulteriori ascolti, ma che adesso mi lascia solo tanta nostalgia per i tempi di “Tear from the red” e “You come before you”.
Speriamo che vederli dal vivo mi tolga un po’ di questa nostalgia.

Ce l’ho fatta, ho finito.
Sono le 3 di notte.
Vado a letto.

Pallone vs. Palle

Volevo scrivere qualche parola, diverse in realtà, sulla cancellazione della puntata di Ballarò prevista per questa sera, rea di poter intaccare l’audience della Tv di Stato.
Penso tuttavia che desisterò, per due principali motivi:
1- So che Feltri ha pronto un editoriale in cui sviscera il Manq Sexy Gate, con tanto di documenti top secret. Non posso permettermi uno scandalo del genere a pochi mesi dall’inizio della mia convivenza con la Polly e oltretutto per me querelare il Giornale sarebbe economicamente infattibile, quindi è meglio che la smetta di parlar male del nostro Presidente.
2- La scelta di Rai Tre di proiettare “La Caduta – Gli ultimi giorni di Hitler” al posto della trasmissione di Floris ed in seguito “Correva l’anno – Le donne e la guerra” dice più di quanto avrei mai potuto scrivere io. E lo dice meglio, con più ironia. Tanto di cappello quindi a quella cha da domani, per editto presidenziale, sarà rinominata Rai Radio Londra.
Una cosa però devo proprio dirla, perchè non me ne capacito.
Perchè è stato montato tutto sto polverone inutile?
E’ Martedì.
C’è la Champions.
Chi potrebbe preferire Vespa al calcio?
E poi questa sera ci sono troppe partite imperdibili: il ritorno in champions del Milan, la Juve, il nuovo Real dei fenomeni, il nuovo Chelsea del maiale, il nuovo Manchester senza C. Ronaldo, il Bayern e via dicendo.
Anche il fatto che sia stata cancellata la puntata di Matrix prevista per la seconda serata è assurdo.
Ci stiamo forse dimenticando che a quell’ora vengono trasmessi i gol e, soprattutto, che ci sono da ascoltare le mirabolanti disquisizioni degli esperti di QSVS?
Naa, sono seriamente convinto che tutto questo polverone sia inutile.
Anzi, per avvalorare la mia tesi torno davanti al televisore, perchè dopo essere passati in vantaggio con un gol in fuorigioco, essere stati schiacciati per novanta minuti e aver preso un gol da polli, pare che i ragazzi si siano ricordati di saper giocare a pallone e che Seedorf e  Pippo abbiano costruito un gol della Madonna.

Ah, sì, prima o poi tornerò a scrivere d’altro. Ho in previsione di parlare di qualche disco nei prossimi giorni. Però la politica è troppo scoppiettante attualmente per essere ignorata. E poi, finchè posso, ne approfitto…

Non ci sono più parole

Il Presidente del Consiglio, invece di andare dal Presidente della Repubblica, va a puttane.
Oltretutto simula una malattia per poterlo fare.
Qualunque persona con una dignità propria si sarebbe dimessa.
Lui ovviamente no.
Però, cazzo, esigo almeno l’intervento di Brunetta.

“Minchia…”

Puntualmente, quando mi ritrovo a riflettere sul mio dottorato e sulla mia carriera, lavorativamente parlando attraverso i momenti peggiori.
Puntualmente questo capita in periodi in cui sono oltretutto oberato di lavoro che non sempre da le soddisfazioni che vorrei.
Puntualmente, infine, quando questo capita io scrivo qualche riga su questo blog per lagnarmene.
Oggi però non voglio farlo.
Oggi parlo di tutt’altro.
Oggi, continuando sul trend dello scorso post, prendo libero spunto dalla famiglia Doni e dedico un post all’ispettore Coliandro.
Il motivo è semplice: mi piace e, almeno quando stacco la sera, voglio dedicarmi alle cose che mi piacciono.
Ora io lo so che mi si accuserà di apprezzare questa serie perchè dipinge il poliziotto come un ignorante fascistoide invasato e convinto di essere Rambo, ma non è così.
Mi piace perchè mostra un poliziotto che, pur essendo un ignorante fascistoide invasato convinto di essere Rambo, sa smentire nei fatti quest’immagine che a parole non manca mai di dare di sè.
Se fossero così, i poliziotti, si starebbe meglio.
Il problema è che solitamente non si smentiscono, anzi.
Qui sarei molto tentato di partire con una divagazione a proposito di quello che ho appreso ultimamente sulle forze di polizia e che è stato raccontato proprio da un poliziotto, ma non lo farò perchè non voglio innervosirmi.
Sta di fatto che il prodotto messo assieme dai Manetti Bros. riesce a divertirmi e questo basta.
Oltretutto la regia e le musiche del tutto “non convenzionali” per la televisione italiana sono un’ottima boccata d’aria fresca nel palinsesto televisivo odierno.
Peccato solo per la recitazione di molte delle comparse e di alcuni dei personaggi a margine, che risultano veramente imbarazzanti.
Ora me ne vado a letto nel tentativo di finire il libro di Dexter, che sconsiglio a chiunque abbia visto la serie, e di riposare un po’.
Chiudo con una citazione proprio da Coliandro:

Ambulante: “Ti prego, aiuta me, compra fazzolettini. Io ho tre figli e mia moglie è incinta…”
Coliandro: “E che te devo dire… Scopa di meno…”

Ecco, per chiarire il personaggio: poi i fazzoletti li compra.

Something to write on blog about (plagio inconsapevole).

La mia nuova avventura di giornalista musicale al momento mi sta dando alcune soddisfazioni.
In settimana è infatti uscito su Groovebox il mio report sul live dei Get Up Kids @ Estragon.
Scrivere per una webzine tuttavia sta un po’ togliendo spazio a questo blog, perchè stendere due volte un pezzo che parla dello stesso evento è decisamente poco motivante. In un report scritto perchè qualcuno lo legga e non allo scopo di immortalare dei ricordi personali non trovo però giusto lasciare troppo spazio alle mie percezioni e quindi tento di attenermi al dovere di cronaca.
Il dilemma di conseguenza è che se scrivessi qui sopra del concerto, con tutta probabilità non ne uscirebbe una pagina come quella linkata in alto. Su questa pagina ci sarebbe ampio spazio per la bella sensazione provata nell’andare a Bologna finalmente in compagnia. Ci sarebbero delle menzioni d’onore a Marco e Carlo che si sono sparati insieme a me la trasferta, ma anche al BU e a Dietnam incontrati sul posto. Ci sarebbe un ampia cronaca della cena argentina fatta prima del live approfittando dei vari stand multietnici della Festa dell’Unità bolognese (che, per inciso, è veramente figa). Parlerei a lungo di come non ci abbiano serviti per quaranta minuti abbondanti, per poi mettersi una mano sul cuore una volta saputo che saremmo dovuti andare ad un concerto che iniziava circa 20 minuti dopo facendoci ingurgitare paella e grigliata mista di carne praticamente con l’imbuto.
Menzionerei la delusione nel non aver trovato una maglietta decente al banchetto, cosa a cui tenevo parecchio perchè i Get Up Kids live sono un evento che merita un cimelio.
Parlerei più o meno nello stesso modo dei The Briggs, ma sicuramente aggiungerei molto della diatriba animata avuta col bell’uomo sul loro essere simili o dissimili ai Dropkick Murphys.
E poi scriverei della performance dei ragazzi del Kansas, ma senza dedicare troppe righe alle scalette o alla risposta del pubblico. Parlerei soprattutto della mia risposta, la risposta di uno che la speranza di vederli dal vivo l’aveva abbandonata tanto tempo fa.
La risposta di uno che li adora per “Something to write home about” e che del resto si è sempre curato poco.
Uno che su “Action & Action” ha perso probabilmente la voce.
Uno che si è commosso su “Valentine” e “Out of Reach”.
Insomma, uno come me.
Avrei scritto della voce incredibile di Matt Pryor e dello stile ipnotizzante di Ryan Pope alla batteria, ma quello forse l’ho scritto anche nel report.
Una cosa che però anche in un pezzo di cronaca sicuramente non mi sono sentito di omettere è stato il fantastico e al contempo tremendo salto negli anni novanta cui questo concerto mi ha sottoposto. E’ stato bello, per una volta, vedere gente della mia età sotto il palco e gente più vecchia di me sul palco. E’ stato bello essere contenti e fieri, a nostro modo, dell’essere parte di un’altra generazione. Perchè i Get Up Kids, a differenza di tutti i gruppi che continuo a seguire dai gloriosi anni novanta, sono rimasti fermi a dieci anni fa. Basta dischi (the guilt show non l’ho credo mai sentito), basta concerti, nessun tentativo di continuare a restare attuali. Ogni due anni vedo i Nofx su un palco e sembra che il tempo non sia trascorso. Loro sono si convincono e ci convincono di essere gli stessi e va bene così, perchè anche noi trentenni con gli shorts un po’ vogliamo credere di essere rimasti al liceo. E’ una sorta di tacito accordo che sta bene ad entrambe le parti.
Con i Get Up Kids però quest’illusione scompare di fronte ad una band visibilmente invecchiata, ad un audience visibilmente invecchiata e per nulla reinfoltita dalle nuove leve e ad una scaletta che, che tu lo voglia o meno, è lì per ricordarti che una decina d’anni fa eri giovane.
Forse anche per questo non mi sono sbattuto più di tanto nel tentativo di andare a vedere gli Offspring Mercoledì scorso.
Sarebbe stato troppo presto, troppo traumatico.
Alla fine è bello saper trovare la voglia ed il tempo per scrivere qualcosa di più di una semplice cronaca di un live.
Oltretutto pagine più intime mi permettono di sfogare il mio innato talento per i titoli osceni.

[NdM: ho realizzato solo ora che il BU ha intitolato un post sul suo blog praticamente nello stesso modo. In quel post oltretutto linka un terzo post in cui si gioca con lo stesso tema. Questo lascia spazio ad una considerazione: noi ex giovani abbiamo poca fantasia e tanto cattivo gusto. Ad ogni modo la correzione al titolo è dovuta a questo. Se penso che all’inizio avevo intitolato il post “I’m a journalist, Dottie. A reporter”…]