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Manq

Facciamo quello che ci viene dal cuore

Ieri sera sono andato a vedere i Derozer al Nautilus di Cardano al Campo.
Lo stesso posto dove, qualche mese fa, sono andato a vedere gli Shandon. Suonavano con altri due gruppi. Il primo l’ho rimosso, il secondo erano i Gerson, band di cui sento parlare da anni e che inspiegabilmente non mi era mai capitato di beccare live. Inspiegabilmente non tanto perchè siano una band imperdibile, quanto perchè mi pare siano in giro da un po’ e per i posti che frequento non averli mai incrociati è strano. Al banchetto regalavano un CD raccolta di pezzi tra 2002 e 2007. L’ho preso e prima o poi magari lo ascolto anche, ma non mi spingerei oltre. Di loro comunque ricorderò la cassa drittissima in tutti i pezzi, una cosa alienante.
Ad ogni modo, questo post vuole parlare dei Derozer e quel che c’è stato intorno conta pochino. Ah no, ecco, un’ultima nota a margine la voglio scrivere. Prima del concerto il DJ del Nautilus ha passato un miniset pop-punk composto da pezzi abbastanza vari, anche recenti e senza mettere gli Offspring. Visti i commenti della scorsa volta, mi sembra giusto sottolineare questa positiva variazione sul tema. Detto questo, parliamo dei Derozer.

I Derozer sono la miglior band punk-rock italiana di sempre e per sempre, nei secoli dei secoli. Non ho ben chiaro da quanto fossero fermi, non ricordo l’ultima volta che li ho visti suonare. Forse era ad un Indipendent Day a Bologna o forse in un posto sotto un cavalcavia della Milano-Torino. Sicuramente tanti anni fa. Beh, li ho trovati in formissima. Han fatto un set tirato, con tantissimi pezzi, suonato con una carica disumana e a dei volumi smodati. Smodati. Ho cantato e gridato per tutta la sera e ci son stati momenti dove ero a tanto così dal correre sotto il palco. Dito alzato sempre, pelle d’oca spesso. E l’accoppiata “Vento” + “Lungo la strada” è stato un momento sublime. Come sempre Sebi compostissimo e Mendez geniale, con le sue gag sugli astemi, le pastiglie, il fumo e tutte quelle cose che dice da dieci anni a tutte le date. Facendo ridere sempre, ovviamente.
Concerto bellissimo, che spero di replicare a breve e che allevia un po’ il fastidio dell’essere rimasto fuori a Seregno un mese fa. Venerdì sera c’era la festa del Bloom di Mezzago e sarei potuto andare anche lì. Era gratis e suonavano mille gruppi di cui forse due li avrei visti volentieri. Ci sarà sicuramente stata una montagna di gente e avranno suonato la metà dei pezzi. Insomma, meglio così.
Chiudo con una nota sulla foto che ho messo qui sopra. Kekko, quello di questo blog e non di quest’altro, ha dato vita ad una nuova iniziativa che si chiama Pressappoco e consiste nell’andare ai concerti e scattare un’unica foto, bene o male che venga. Già che c’ero, col mio cellulare NON smartphone ho fatto lo scatto qui sopra e gliel’ho mandato. Robi col suo telefono ha fatto addirittura il video di “Murruroa”, ma avendolo girato di fianco a me, sarà una sorta di karaoke version. Coming soon on youtube.

The Avengers: un film con gli schiaffi

Venerdì sera sono andato, finalmente, a vedere The Avengers.
Io non sono un fan dei fumetti Marvel, non ne ho mai letti in realtà, e non sono tantomeno fan dei film che fino ad ora hanno tratto dai vari albi di supereroi. Per contestualizzare: al cinema credo di aver visto solo il Batman con Denny De Vito che fa Penguin e quello con Shwarzy che fa Mr. Freeze (sempre che non si tratti dello stesso film). In home video ho ampliato la mia cultura guardando i primi tre X-men, il primo Spiderman, l’Hulk con Edward Norton e i due Batman di Nolan. Ah, al cinema ho visto pure Watchmen, bellissimo, ma credo non sia una roba del tutto inerente.
Questo il mio background.
Riguardo The Avengers però ho sentito parlare tantissimo e solitamente sono tipo da non restare indifferente ai casi cinematografici di massa. Di conseguenza ho deciso di andare a vedere questo film ignorando bellamente chi fossero Iron Man, Capitan America, Thor, Occhio di Falco (SPOILER: non è Marotta) e la Vedova Nera.
Onestamente ero convinto di sapere solo chi fosse Hulk, perchè con mia nonna da piccolo guardavo un telefilm (ai tempi non si chiamavano serie tv) che ce l’aveva come protagonista. E’ tuttavia evidente che mi sbagliassi, perchè chi è Hulk io l’ho scoperto solo Venerdì.

Ora, viste le premesse e sommate alla mia totale ignoranza tecnica in ambito cinematografico, sono forse la persona meno adatta a scrivere di questo film. Se volete leggere qualcosa di fatto sicuramente meglio potete rivolgervi o a Junkiepop o a i 400 Calci, che è gente preparata.
Io però dico la mia da spettatore che si reca al cinema per vedere un film con i botti e le esplosioni e tonnellate di effettoni speciali e si ritrova di fronte a The Avengers. Il risultato è bocca spalancata, risate, applausi e tantissimo gasamento.
The Avengers infatti è, essenzialmente, un film con gli schiaffi. Tanti. Tantissimi. Tutti si menano con tutti in qualsiasi scena e contesto. Buoni con buoni, cattivi con cattivi, buoni con cattivi. La sequenza finale è un’insieme di pizze gigantesco ambientato in piena Manhattan, già candidata all’oscar come “Miglior attirce non protagonista” nel ruolo della demolita. Si sfonda tutto, senza ritegno e senza troppe remore, con Hulk ancora una volta padrone delle scene e nume tutelare delle mani in faccia. Che ok finchè si è tra simili, ma quando le appone ad una sorta di mega bacherozzo alieno grosso dieci volte lui sono applausi a scena aperta. E ancora non s’è visto tutto, a quel punto lì.
Quindi ok, Hulk capo supremo e dominatore della scena, ma il supporting cast non fa certo schifo. Iron man riesce ad interpretare agevolmente in un unica prova il 98% dei ruoli presenti in Independence Day. Buca solo Liv Tyler, ma per ovvi motivi di appeal sessuale (e solo da un punto di vista maschile, credo). Simpa, tarro e con il cazzo durissimo è quello che tutti pensano essere il protagonista fino a quando arriva Hulk a spiegare come stanno le cose sul serio. Perchè, forse non l’ho ancora detto, ma ad un certo punto dal nulla arriva Hulk. In moto. Secondo me c’è un buco gigantesco nel plot a quel punto del film, ma mentre scorrono quei dieci secondi in cui ti chiedi se davvero il buco c’è e di conseguenza come ci sia finito lì, lui è già verde e sta prendendo a sonori schiaffoni alieni colossali. E allora il dubbio ti passa e te ne fotti ampiamente. Almeno, io ho fatto così.
Dicevamo degli altri comprimari. Capitan America è sicuramente il più sfigato. Dotato dell’elasticità mentale di un talebano e provvisto di solida e massiccia scopa in culo, ad un certo punto fa quasi tenerezza col suo vestitino vintage e i suoi principi morali di sto cazzo. A fine film la Polly mi ha detto che era il suo personaggio preferito. La polly, per metà film, ha dormito (seriously). Ho detto tutto.
Quarto della lista è Thor, il semidio. Un pagliaccio che fa bella figura solo perchè di istinto lo si paragona a Capitan America, nei confronti del quale ha chiaramente una marcia in più. Hulk e Iron man però giocano un altro sport e questo deve saperlo anche lui. Certo che se, in un gruppo di sei, il semidio passa in secondo piano, non è che ti vien tanto da riconoscergli una bella figura, nel film. Ok, sali sul Chrysler building e attizzi fulmini a destra e a manca, ma quello verde sta già parcheggiando le cinque dita sui musi alieni da un po’ e dei fulmini nessuno in sala si cura più. Anzi, si ride quando Hulk trova due o tre secondi di pausa nella sua opera di devastazione per umiliarti.
Si chiude con i due sfigatz del gruppo, quelli che non hanno neanche il film introduttivo allegato. Una è Vedova Nera, aka Scarlett Johansson, per cui un qualsiasi film introduttivo non porno non avrebbe aggiunto niente alla questione. Ogni volta che la si vede in scena vien solo da pensarla intenta in qualche pratica zozzissima ed è bello che sia così. Non ho neanche capito bene perchè portarla in mezzo al macello, ma credo che sotto sotto tutti volessero semplicemente provarci. Bizzarramente però lei pare avere una simpatia di riguardo nei confronti di Occhio di Falco. Per evitare che a fine film la gente neanche si ricordasse di avercelo visto, gli sceneggiatori si inventano lo stratagemma di farlo giocare coi cattivi per un po’, dove fa anche la figura del crasto. Buon trucco, tutto sommato, anche perchè non è certo l’ultimo dei pirla. Vederlo tirare le frecce con un no look degno del miglior Chris Paul da un certo senso di godimento, nei momenti in cui Hulk non distrugge nessun grattacielo. Se poi, a contorno del contorno, ci sono un Fury arrogantissimo, un Loki più che degno nel ruolo del cattivo, e una portaerei volante invisibile (!!!), beh, è difficile chiedere di più.
Filmone, punto e basta.
La sua unica sfiga è che con tutta probabilità non sarà film dell’anno.

It’s bracket time!


Il mio pronostico sugli incombenti play-off NBA.
Fatto da tifoso, di pancia, con aspettative e speranze che esulano dalla competenza tecnica. Anche perchè di competenza non ne ho.
Il primo round inizia domani e di certo occhi puntati sulla sfida NY-MIA.

Parliamo di calcio giocato

Non è che io parli spessissimo di calcio, qui sopra.
Quando succede è, solitamente, perchè la mia squadra vince qualcosa. Sono milanista e in tutti questi anni da bloggher qualche post a celebrare trofei vinti sul campo m’è anche capitato di scriverlo. Quello che ho fatto raramente, per non dire mai, è stato fermarmi a parlare di calcio giocato in caso di sconfitte o comunque di momenti non brillanti della squadra.
Che poi è la cosa che mi sto accingendo a fare in questo momento.
Ieri, con tutta probabilità, s’è perso lo scudetto. Il suicidio è stato portato a termine nel peggiore dei modi: in casa e contro un’accoppiata non proprio inaffondabile composta da Fiorentina prima e Bologna poi. La ragione della sconfitta però è che, per la prima volta in direi sei anni, il nostro campionato è riuscito a proporre una seconda candidata al titolo oltre l’undici partente coi favori del pronostico. Questo non vuol dire che negli anni scorsi chi ha vinto ha vinto facile, ma semplicemente che perdere il campionato era oggettivamente molto complicato. Quest’anno non è stato così. La Juve non si è trovata quasi per caso sul finale di stagione a potersi giocare il tricolore, ma è stata lì dall’inizio, con merito, giocando per ampi tratti molto meglio degli altri. Bravi loro quindi. Niente episodi, niente arbitri. Ti giochi lo scudetto in casa col Bologna e alla mezz’ora perdi uno a zero. La tua avversaria, stesse condizioni, dopo 8 minuti ha rifilato due sberle alla Roma. That’s it.
Siccome in Italia siamo tutti allenatori, io qui adesso metto giù le mie idee sulla stagione fallimentare del Milan.
Qui a sinistra c’è una foto. Nella foto è ritratto un attaccante decisivo mentre segna un gol decisivo e ci fa vincere la coppa dei campioni. La foto è piccola, forse non si vede, ma non si tratta di Ibra.
Lo so che dire che Ibra è il problema di questo Milan fa storcere il naso a molti e, in effetti, detta così non ha molto senso come frase. Se hai lottato fino alla fine infatti è soprattutto grazie ai gol di Ibra, rigori a parte, quindi il problema non dovrebbe stare lì. Ed invece, secondo me, il problema è tutto lì. I motivi:
1- Ibra vincola tremendamente il gioco. Con Ibra si gioca in una maniera sola e spesso, quando lui viene a mancare, non si sa più creare nulla. L’anno scorso s’è vinto lo scudetto, ma se si va a riprendere la stagione si vede come la crisi milan sia stata nelle partite in cui Ibra non c’era, partite in cui non si faceva più gol. Anche quest’anno, l’abisso che separa i gol segnati dallo svedese rispetto a quelli del resto della squadra è indice di una Ibra-dipendenza che non può far bene ad una squadra che vuole vincere. Mi si potrebbe obbiettare che il problema è dovuto ai restanti dieci giocatori, non all’altezza di Ibra. Non è così, secondo me. L’organico del Milan senza Zlatan non è più scarso di quello della Juve, sia tecnicamente che agonisticamente. Con Ibrahimovic la squadra è incatenata ad un’unica soluzione e questo non può mai essere un bene.
2- Ibra è uno scassa cazzo. Deve giocare sempre e tutta la gara. Anche in partite come quella di ieri dove definirlo indisponente è poco o in partite dove sai dall’inizio non farà nulla di utile. Poi è vero che ieri se lo togli magari perdi invece che pareggiare, ma questo è uno strascico del punto 1.
3- Analizzandolo come giocatore è sovraumano, ma è come LeBron James: isolamenti, isolamenti e ancora isolamenti. Fisico illegale e tecnica sopraffina. Può segnare da ovunque. Può passarla a chiunque con assist straordinari. Di contro, non creerà mai un gioco offensivo degno di questo nome. Ed infatti, in sistemi di gioco ben strutturati, non si inserisce (vedi Barcellona).
4- Da tifoso, non hai mai l’impressione si stia impegnando. Gioca e si atteggia, sempre, con sufficienza. La palla è lunga o corta di mezzo metro? Non ci va. E si incazza. Caracolla per il campo fino a che non gli dai la palla tra i piedi e allora o fa la giocata da applausi, o la perde in malo modo provando tacchi, sponde o dribling che si trattasse di un ragazzino sconosciuto lo inchioderebbero alla panchina e non lo farebbero alzare mai più.
5- Nelle partite importanti, quando conta davvero, sparisce. Si nasconde. E non ti farà mai vincere un cazzo fuori da competizioni in cui da solo può stendere il 70% delle squadre avversarie.
Per tutti questi motivi Ibra secondo me è più un male che un bene, per la mia squadra, quindi dovessi risolvere il problema Milan partirei da lì. Non che tutto il resto non conti eh. Il Milan non ha giocatori di livello in molti ruoli chiave, è stato falcidiato da infortunii per tutta la stagione ed ha visto una gestione non proprio felice di alcune situazioni di mercato che avrebbero potuto portare molti punti e qualche prospettiva in più (vedi caso Pato).
In sintesi lo scudetto lo vince una squadra sola quindi il dramma non è aver perso. Io però vorrei vedere una squadra che torni a giocare a pallone e non a quello sport chiamato “dalla a Zlatan”, anche se magari porto a casa qualche scudetto in meno.
Che poi, sta storia che Ibra vince gli scudetti da solo, io andrei a raccontarla a Conte.
Non fosse che lo odio.

Lo schifo

E’ morto un ragazzo di 25 anni.
E’ morto di sport, una cosa che ultimamente accade troppo spesso.
Probabilmente adesso è presto per riflettere sul perchè cose così continuano a verificarsi, ma purtroppo la storia ci insegna che lo spazio per le riflessioni è solo a caldo. Se si lascia alla gente il tempo di metabolizzare, la si lascia dimenticare. Si da modo di distrarsi, di non pensarci, e il problema sparisce.
Almeno fino alla prossima volta.
E’ normale, fisiologico. Pensare alla morte fa male sempre, specie se poi si tratta di ragazzi.
Quindi a mio avviso bisogna stringere i pugni e parlare di questa cosa anche adesso che fa male. Fermarsi, se davvero serve, per riflettere e cercare di capire il perchè. La fatalità lasciamola agli eventi rari.
Qui si parla di numeri spaventosi, di casistiche drammatiche.
Una spiegazione logica, scientifica, è per forza di cose lì fuori da qualche parte e va tirata fuori.
Per farlo però non serve parlare di Morosini.
Non serve parlare della sua vita, dei suoi problemi, scavando fino a trovare il dettaglio che renda il tutto ancora più drammatico. E poi ancora, ancora, senza fine.
Anzi.
Mi fa schifo, profondamente, la corsa al dramma di cui siamo spettatori.
Non voglio i video del malore. Non voglio la diretta del tracollo. Non voglio lo scoop sui soccorsi nè il ricordo in diretta di chi gli ha voluto bene.
Disprezzo profondamente chi genera tutto questo desiderio di portarti dentro il dolore, tanto quanto chi ci si lascia portare.
Tanto rumore e non sappiamo nemmeno concedere il rispetto a chi è crollato, venticinquenne, su un campo di pallone.
Subito a filmare, a fotografare, a rincorrere la possibilità di dare al lettore un’immagine ancor più vicina del fatto.
Come se limitarsi a scrivere che è morto un ragazzo mentre giocava a calcio non fosse abbastanza a sconvolgere chiunque.
Questo non è giornalismo.
E’ merda.
Merda prodotta da gente schifosa, viscida, che ho il sospetto goda nel poter dire: “siamo meglio degli altri perchè noi abbiamo la foto del momento in cui gli si ferma il cuore”.
“Abbiamo vinto, noi abbiamo il video del decesso.”
Non posso credere che a nessuno di questi sciacalli schifosi venga in mente come ci si può sentire ad essere davvero tra quelli che da una tragedia così vengono colpiti in prima persona.
Fermiamo il campionato, che riprenderà tra sette giorni nelle stesse condizioni e con le stesse possibilità che qualcuno non finisca la partita, in nome di un rispetto e di un cordoglio che però non riesce a fermare lo spettacolo becero della caccia allo scoop macabro.
Etica, servirebbe solo etica.
E la capacità una volta per tutte di prendere uno per uno questi scribacchini dei miei coglioni e mandarli per bene affanculo.
Pubblicando poi foto e video in diretta della loro pubblica umiliazione.

Welcome to the punk rawk show

Primo atto:

Bazzu: “Fanno una roba già sentita milioni di volte, ma son bravi”.
Manq: “Se l’ho sentita un milione di volte un motivo c’è.”

Secondo atto:

(Whoa oaaa) Na Na Na Na Na (Whoa oaaa)
Io ci ho perso la voce e se non ho pianto è per puro caso.

Katy Perry is Fucked up.

Qui ultimamente si fa un gran parlare di twitter come nuovo strumento di vita on line. Io l’account ce l’ho da un bel po’ (non abbastanza da arrivare prima di Zdeněk Haták, ma da ben prima che ne parlasse La Repubblica, per intenderci), causa la mia abitudine a registrarmi a qualunque tipo di social senta nominare salvo poi dimenticarmene per anni. Eppure non l’ho mai utilizzato perchè mi sembrava una roba piuttosto inutile. Le cose son cambiate recentemente, forse da cinque o sei mesi, quando mi sono finalmente reso conto che se usato in maniera intelligente può essere un veicolo fantastico di informazione e, con le dovute virgolette, di politica orizzontale. Viva twitter, quindi, ma non è di questo che volevo parlare.
Volevo invece dire che, grazie all’uccellino blu, oggi sono venuto a conoscenza di una discussione agguerritissima tra Damian Abraham, il cantante barbuto e di sana e robusta costituzione dei Fucked Up, e la fanbase di Katy Perry. La diatriba, se vogliamo così definirla, riguarda l’ultimo video della cantante, “Part of me”, che metto per benino qui sotto nel post così A) fornisco tutti i presupposti necessari per seguire la discussione e B) tiro un po’ di visite.

La questione verte sull’opportunità o meno di prestarsi, da parte di Katy Perry, ad un maxi marchettone in favore del corpo dei Marines. Perchè il succo del video, che ho visto solo una volta e senza audio, è: “La mia vita sentimentale è una merda? Bene, io divento una soldatessa e sfogo tutto il mio rancore.” Uno spot all’arruolarsi che, l’avessero fatto direttamente i Marines, non sarebbe mai stato così efficace. Bene, la questione viene sintetizzata dal buon Damian in questa maniera:

Ecco, forse non passerà alla storia come esempio di diplomazia, ma se ne accorge da solo e rettifica:

Meglio così? Mica troppo, ma il punto non sta lì. Mi sembra invece che la questione sia, nel suo essere mal posta, sicuramente interessante. A me Katy Perry piace, mi fa anche simpatia, ma non posso condividere il messaggio del video nè lo scopo per cui è stato ideato. Vero che millemila prodotti, tra videogame, film, etc. sono spesso oltre il confine dello spot alla vita militare e considerando a chi sono rivolti, a pensarci la cosa disgusta non poco, ma effettivamente è opera talmente diffusa che rifletterci sopra non capita spesso. Grazie dello spunto.
La cosa tragica però, son stati i milioni di commenti e risposte da parte della fanbase della cantante. Roba così:

Del tipo, chissenefrega del concetto, tu non puoi criticare perchè sei meno famoso. Nello specifico, tu non puoi dire nulla contro Katy perchè non conti un cazzo. Signori e signori, la regina delle argomentazioni idiote.
Non mi sono informato più di tanto su eventuali risposte della cantante in prima persona, magari la questione ha preso poi risvolti diversi con (ipotizzo) la stessa Perry che spiega la sua estraneità ad intenti pro arruolamento, oppure con un flame violento tra i due. Non mi interessa, onestamente.
Il punto è che finchè la gran parte dei ragazzini reagisce ad un commento come quello di Damian con questo tipo di argomentazioni, diventa davvero legittimo pensare che video ed operazioni simili a “Part of me” possano influenzare le scelte dei giovani e portarli a scelte di vita radicali.
In estrema sintesi: la risposta dei fan, secondo me, prova la tesi del cantante.
Così è deciso, l’udienza è tolta.

Titolo ad effetto

Avere un blog vuol dire prendersi del tempo, ogni tanto, per sedersi ad un tavolo e scrivere al computer.
Nel mio caso è sempre stato più sdraiarsi sul letto e scrivere al computer, ma il concetto non cambia moltissimo. Avere un blog come il mio vuole anche dire non scrivere nulla di particolarmente interessante, non avere velleità informative, non avere pretese di essere sul pezzo di qualunque pezzo si stia parlando e, soprattutto, non avere il minimo senso del “pubblico”. In anni di attività, qualcuno da queste parti c’è anche passato e ci ho scambiato due chiacchiere volentieri, ma se penso alle rare volte in cui, invece che scrivere per me, ho provato a scrivere per chi legge, a dare un servizio, beh, la realtà mi ha ricacciato subito al mio posto lasciando cadere spunti di discussione o inviti alla partecipazione clamorosamente e immancabilmente nel vuoto.
Perchè quindi io mi senta sempre a disagio durante i frequenti e più o meno lunghi periodi di mancato aggiornamento, è un grosso e grasso mistero.
Con gli anni questo diario ha perso per strada quell’aura emotiva ed introspettiva che aveva un tempo. La versione ufficiale è che crescendo una persona diventa più matura e non ha più bisogno di una valvola di sfogo on-line, ma in realtà ho l’impressione che crescendo io sia diventato semplicemente più riservato. Problemi e disagi non son certo finiti, ma adesso, non so neanche perchè, non reputo più necessario metterli nero su bianco. E se da un lato è vero che parte di quel ruolo se l’è preso la ragazza che ho sposato e che mi dorme affianco, dall’altro ci sono una serie di questioni per cui mia moglie non potrà mai sostituirsi completamente ad un interlocutore invisibile da cui non si cercano risposte, ma solo tacito ascolto, e a cui si può parlare senza il timore che si preoccupi per te.
Anyway, questo post era nato con l’idea di aggiornare il blog con le solite quattro vaccate, ma come ogni tanto succede ho iniziato a scrivere e tutto ha preso una piega diversa.
Evito quindi di iniziare adesso a buttar giù una disamina approfondita (!) sul valore legale della laurea e la correlata iniziativa del ministero che chiede ai cittadini un parere in merito. In sintesi: idea buona, ma quesiti troppo complessi per poter rispondere in maniera secca e senza compromessi. Più o meno in tutte le categorie, ogni risposta si presta ad argomentazioni a favore e a punti contro. Insomma, complicato. Però l’iniziativa di chiederci un parere è lodevole e io la pubblicizzo volentieri, perchè è sempre bello quando la gente può esprimere le proprie opinioni a chi governa. Nota polemica: per votare ci si deve registrare. Per registrarsi va fornito il titolo di studio. E niente, il MIUR non sa cos’è un PhD.
Evito anche di scrivere del fatto che oggi compie dieci anni “Tell all your friends”, primo disco dei Taking Back Sunday. Non è uno dei dischi della vita, ma contiene una delle canzoni della vita, questa qui, quindi merita che ne parli sul blog, ma non credo meriti un post tutto suo sullo stesso. Fa un po’ ridere, perchè l’ho ascoltato sicuramente più volte di “Nevermind” e probabilmente anche di “Hanno ucciso l’uomo ragno”, ma tant’è. Tanto nel 2014 faranno vent’anni “Smash” e “Punk in drublic” e io giassò che me ne dimenticherò senza colpo ferire dimostrando che tutto questo celebrare, in realtà, non ha mai avuto un gran senso. Escluso il ricordarti che stai diventando vecchio, ovviamente.
Mi risparmio anche di spender tempo a scrivere di quanto dissociato devo essere per apprezzare una canzone il cui video è la roba più brutta mai creata da essere vivente e la cui voce su di me ha l’effetto piacevole che avrebbe una lama rovente rigirata nelle carni.
Il post potrebbe pure finire qui.
Io, però, ancora non ho capito se questo blog stia soccombendo sotto i colpi di twitter, come sta succedendo a facebook, sotto i colpi della montagna di serie TV che guardo, come sta succedendo al mio tempo dedicato alla lettura, o sotto i colpi del mio avere, definitivamente, una vita da adulto in accezione quasi squisitamente negativa.

EDIT: Dopo aver riletto il post sento l’irrefrenabile bisogno di specificare a chi si fosse preoccupato leggendo, che va tutto bene. E questa riga esemplifica le prime trenta in maniera sublime.

Non proprio sul pezzo #2 – Jonathan Inc.

Ok, lo so anche io che “avere una rubrica” prevederebbe serialità, scadenze precise e alternanza con altri argomenti. Io però sono un blogger atipico e non particolarmente dotato, quindi facciamo che rilascio il secondo e con tutta probabilità ultimo appuntamento di “non proprio sul pezzo” direttamente dopo il primo. A bruciapelo. Tanto, se anche volessi fare un post simile tra qualche mese, è molto probabile che mi dimenticherei di intitolarlo così e la magia della rubrica svanirebbe nel nulla. Ad ogni modo, oggi parlo del disco di (dei?) Jonathan Inc. e per prima cosa vi do la possibilità di ascoltarlo, che poi è quello che davvero interessa.

Anche questo disco fa parte di quelli ricevuti da Arctic Rodeo e che ho ascoltato in maniera non abbastanza approfondita ai tempi. Ripreso in mano in questi giorni però ho avuto una specie di folgorazione e ho deciso di dedicargli uno spazio qui sopra.
Essendo roba non proprio consueta per i miei ascolti (oddio, neanche così distante, se vogliamo) mi son letto un po’ di definizioni a caso in giro per la rete. Si parla di dream pop, beard core, sleep folk. Dirvi che le previa citate etichette mi suggeriscano qualcosa sarebbe mentire, però la prima se vogliamo è abbastanza suggestiva e mi piace assai. Per quanto mi riguarda è un ottimo disco d’atmosfera. Mi rilassa, mi calma e mi fa davvero viaggiare leggero con la testa, soprattutto in certe occasioni. “Road noise”, per esempio, che qui ho linkato in una versione semiacustica fighissima, ma che in originale ha quelle trombe lì che, boh, mi spaccano in due. Come dicevo, non saprei fare accostamenti perchè non è che ascolti poi così tanta roba di sto tipo. A me vengono in mente alcune cose degli ultimi Mae, ma è proprio questione di suggestioni più che di suono.
Null’altro da dire, vostro onore, quindi il pezzo lo chiuderei qui.
Tra i CD arrivatimi da Arctic Rodeo non c’è veramente null’altro di cui valga la pena scrivere. Ci sarebbe giusto il disco di Kevin Devine, ma quello lo conoscono tutti e, per inciso, non vale i due che ho selezionato neanche alla lontana. Oltretutto secondo me è pure un disco di cover, quindi non capisco come possa piacere così tanto. A me, intendo. Va beh, dicevamo che i recuperi fuori tempo massimo sponsorizzati dalla Arctic Rodeo son finiti qui. Adesso ci sarebbe da colmare qulla lacuna per cui non ho mai ascoltato nemmeno una nota dei Wilco e di Bon Iver, cosa che pare sia ampiamente ingiustificabile ai tempi nostri. Magari lo farò a breve, magari no. In ogni caso, credo non ne scriverò in forma “Non proprio sul pezzo” perchè il gioco è bello quando dura poco.