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Manq

Tema: il mio primo concerto. Svolgimento:

Il mio primo concerto è stato nel 1997. Era primavera, ma la data non la ricordo. Il fatto che una sommaria ricerca su google non abbia saputo aiutarmi contestualizza il periodo molto meglio di mille parole, anche se ho come l’idea che quelle mille parole da qui a qualche riga verranno comunque fuori.
In quel tempo (cit.) facevo la seconda liceo e da qualche mese avevo rivoluzionato i miei gusti musicali passando da Molella al punk-rock. Il mio primo concerto furono gli Offspring al forum di Assago.
E qui tutti si aspetterebbero alcuni secondi di silenzio imbarazzato. Ecco, no. Ma proprio neanche per il cazzo. Nella primavera del 1997 gli Offspring erano in giro a presentare “Ixnay on the hombre”, disco che io avevo già comprato originale dal mio negozio di fiducia e che era una bomba colossale senza se e senza ma. Dopo circa un anno speso ad ascoltare “Smash” a ripetizione, Ixnay l’avevo accolto tipo Parola del Signore.
Era Smash con delle canzoni nuove dentro.
Era perfetto.
Onestamente fatico tantissimo a ricordare come venni a sapere che gli Offspring avrebbero suonato a Milano. Forse me lo disse qualcuno a scuola, quasi certamente un metallaro perché i metallari erano sul pezzo. Può essere avessi già internet, ma certamente non lo sapevo usare. Quindi boh, non lo so, non ricordo e chissenefrega. Fatto sta che si decise immediatamente di andare. Il team, oltre al sottoscritto, annoverava altri tre iscritti. Il primo era Ciccio, il mio compagno di banco nonché fautore del mio indottrinamento al punk-rock. La seconda era la Laura E*, a sua volta responsabile dell’indottrinamento di Ciccio. Si narra che la fonte della cascata punk cui ci abbeverammo in massa in quegli anni fosse proprio la sorella di Laura, che la leggenda vuole anche fosse una figa stellare. Fatico a ricordarle entrambe, ma non faccio testo. Ultimo elemento era Orifizio, t.a.f.k.a. Fabrizio Orsini, della cui formazione musicale amo invece prendermi ampi meriti io.
Chiarite le adesioni fu il momento di comprare i biglietti, presi in prevendita alla Ricordi di Monza e pagati nell’intorno delle trentamila lire. Il biglietto era bellissimo, rosso e nero, stampato su una carta tipo lucida a costine. L’ho guardato giorni e lo tenevo sempre nel portafoglio, piegato dentro la carta d’identità. Un po’ per non perderlo (portarlo in giro per non perderlo era logica ferrea, per il me di allora), un po’ per sfoggiarlo in qualunque circostanza possibile. Allora pensavo che avrei tenuto tutti i biglietti dei concerti e che un giorno li avrei incorniciati tutti e affissi in camera.
Non mi ricordo il mio abbigliamento per l’occasione. Non avevo certamente addosso nessuna maglietta di un gruppo, perché semplicemente la mia prima maglietta di un gruppo la presi lì a fine concerto. Chiaramente la comprai al banchetto del merch ufficiale, perché per me prenderla fuori era l’equivalente di prenderla tarocca e non volevo essere attaccabile quando l’avrei mostrata orgoglioso. L’ho ovviamente conservata e non fosse per i buchi, le fisse di mia moglie e l’essere degli Offspring probabilmente la metterei ancora. Ricordo invece che avevo messo i Cat, quegli stivali da tabbozzo che andavano quando facevo le medie. Li avevo messi perché una delle regole dei concerti era “mettere scarpe alte e ben allacciate che se no nel pogo le perdi” e io, da neofita, mi ci ero attenuto. I Cat erano le uniche scarpe alte che avevo in casa.
Sul posto ci aveva portato mio padre, che s’era anche offerto di venirci a prendere. O forse non s’era offerto per niente, ma tant’è. Se nella primavera del 1997 io mi apprestavo a vedere il mio primo concerto, gran parte della responsabilità era di mio padre. Da bambino credo di avergli chiesto un sacco di volte di portarmi a vedere Vasco e lui mi aveva sempre risposto che a vedere Vasco non ci sarebbe venuto. Che al massimo saremmo potuti andare a vedere Springsteen. Ecco, mi pare un buon momento per dirgli grazie, anche se, oggi come allora, Springsteen mi fa cagare.
All’interno del Forum c’erano millemila persone. La cosa bella è che a quei tempi non c’era un cazzo di divisione tra tribune e parterre e ci si poteva muovere a piacimento tra le diverse aree. Ricordo le band a supporto, ma non ricordo l’ordine in cui suonarono. Certamente le Lunachicks mi fecero cagare tantissimo, mentre i Vandals anche, ma solo fino alla cover del pezzo di Grease che mi piacque una cifra e me li rese simpaticissimi. Ho qualche flash di gente nuda sul palco che si arrampica e fa robe turpi con il microfono, ma sono immagini frammentarie. La sensazione regina di tutto il momento supporting cast però fu la paura cieca del pogo. Vedevamo questo assembramento innaturale di corpi a sbattere gli uni sugli altri con violenza e pensavamo che, qualunque cosa sarebbe successa, l’imperativo era non finirci in mezzo.
Stimammo una sorta di posizione di confine, tra il pogo e la gente normale, e decidemmo di posizionarci lì e non oltre per assistere al concerto. Che vederlo dalle tribune ci sembrava comunque una cosa triste. Quello più a rischio dei quattro era Orifizio, caduto pochi giorni prima portando fuori il cane (true story) e dotato di maxicerottone sul cranio a protezione dei punti di sutura ricevuti. A detta sua era tutto molto punk.
Allo spegnersi delle luci l’adrenalina era altissima e l’attacco di Bad Habit fu una cosa che anche adesso, se ci ripenso, mi mette i brividi. Dexter Holland si presentò sul palco con una giacca verde fluo e dei pantaloni neri completamente pieni di cerniere lampo. Il mio conflitto con l’outfit punk iniziò lì, al primo live.
E poi ci sono ricordi davvero sparsi e frammentati, tipo che a metà del primo pezzo finimmo diritti sotto il palco. Il pogo si rivelò in realtà una cosa fighissima e alienante e catartica e mille altri aggettivi di cui fatico a capire il senso oggi, figuriamoci allora quando l’indomani cercai di spiegarlo a mia madre. Di alcuni momenti ho chiaramente il ricordo di essere stato in compagnia, ad esempio io e Ciccio che gridiamo “I hate Pellizza” durante Cool to hate (NdM: we still hate you.). Di altri invece ricordo la solitudine, come quando durante Genocide ho spiccato i salti più alti di tutta la mia vita senza curarmi di chi o cosa avessi intorno. Che pezzo clamoroso Genocide, porco il cazzo. Le tracce da Ignition non le conoscevo perché il disco non l’avevo mai sentito e forse manco sapevo esistesse, però mi ricordo che uscii deciso a procurarmi quella canzone che cominciava con tutti quei FUCK. Non dimenticherò mai quando partì la base di Intermission e tutti capimmo immediatamente che dopo ci sarebbe stata All I want e che sarebbe stato un delirio totale. E nemmeno il pronosticato delirio quando scoppiò davvero.
Insomma, il mio primo concerto furono gli Offspring al Forum di Assago nel 1997.
E fu fighissimo.

Questo pezzo è nato da la solita bella iniziativa di BASTONATE. Manq endorsa pesantemente BASTONATE ai Macchia Nera Internet Awards 2013 essenzialmente per tre motivi:
1) Oltre a partecipare sempre volentieri ad iniziative tipo quella di questo post, durante quella che fu “la settimana grindcore di BASTONATE” ci avevo pubblicato una cosa. Quindi in caso di vittoria sentirei il premio tremendamente mio.
2) Mi piacerebbe poter dire “Leggevo BASTONATE prima che fosse mainstream”
3) Se leggeste BASTONATE sapreste che i motivi sono sempre tre.
Quindi votate, grazie.

Scie chimiche

Il Milan ha comprato Matri, pagandolo 12 milioni di euro.
Alessandro Matri.
DODICI MILIONI DI EURO.
Balotelli, a Gennaio, è costato 20 milioni. Tevez, appena preso dalla stessa Juve, è costato 12.
Il Milan a Ottobre tornerà ad avere Pazzini a disposizione.
Pazzini è costato 7 milioni di euro più Cassano.
Pazzini e Matri sono costati più di Balotelli.
E sono completamente ridondanti l’uno per l’altro.
A detta di chiunque, il milan ha grossi problemi in difesa e un centrocampo modesto.
Il milan ha comprato una punta.
Una prima punta che aveva già, ma non voglio ripetermi, quindi andiamo oltre.
Il Milan ha venduto Boateng in Germania, per 10 milioni di euro.
Boateng, dopo una prima annata da amore vero effettivamente indolente e irritante, era un centrocampista.
Offensivo, con velleità di trequartista, ma tutto sommato abbastanza polivalente e se vogliamo duttile.
Per sostituirlo si parla di Kakà, fino a prova contraria un ex calciatore che anche al massimo splendore copre un solo ruolo e comunque in attacco, e Honda, un semi-sconosciuto che non ha mercato e che in ogni caso gioca dalla tre quarti in avanti.
Veniamo alla difesa, che come detto è parecchio scarsa.
E’ stato inserito in rosa Silvestre.
Silvestre è stato scartato dall’Inter, dove gli giocava davanti Jesus.
Questo può voler comunque dire poco, capita di non inserirsi, però da quando è in rossonero non ha visto mai il campo.
Ora gli gioca davanti Zapata.
Zapata giocava in serie B in Spagna.
Questi sono FATTI.
E allora dopo un po’ a uno viene da pensare che se in una situazione del genere vai a comprare Matri, strapagandolo, le ragioni sono tutto fuorchè calcistiche. C’è qualcosa sotto. Per forza. Non ci possono essere altre spiegazioni. Non ha senso dare soldi alla Juve per rafforzarla e toglierle un problema dallo spogliatoio. Non ha senso accollarsi lo stipendio di Matri e dare a Marotta (NdM: Dove cazzo guarda Marotta?) i soldi per comprare Tevez. Vuol dire lavorare per la Juve, che di questo passo di scudetti ne vincerà altri trenta.
La faccenda puzza, parecchio. E puzza anche che il Milan possa permettersi anno dopo anno di muoversi male sul mercato conscio che tanto in Champions ci arriva sempre. Per meriti suoi, demeriti altrui o spinto a calci in culo dal palazzo. Chiedere a Firenze.
Alla fine a tutti fa comodo che in Champions ci vada il Milan, soprattutto alla Lega e alla Uefa.
Le partite del Milan le vendi nel mondo.
Quelle della Fiorentina le vendi molto meno.
Perchè ormai che contano sono i diritti TV e gli sponsor.
Servono le partite di cartello.
Tipo Milan-Barcellona.
Tipo eh.


* Omaggio a Federica Nargi, compagna di Alessandro Matri. Via la Satta per la Nargi, per me c’abbiam perso pure da quel punto di vista.

Un po’ di colore

Lo scopo di questo post è solo dire che ultimamente sono in fissa per questo dischetto qui. Gli sport sono un gruppetto francese e questo disco, che a quanto pare è uscito solo in vinile, raccoglie tredici pezzi che sembran fatti apposta per chiudere l’estate. Davvero. Ora, pur non capendo il motivo per cui alcune tracce siano state registrate drammaticamente peggio delle altre, vi dirò dieci motivi per cui secondo me dovreste ascoltarlo. Sarò breve e andrò per punti, perchè credo abbiate intuito da soli che ultimamente scrivere il blog non è propriamente la mia attività principale.
1) E’ un disco perfetto per la stagione che stiamo vivendo. Ascoltato ora vince tutto. Ascoltato in inverno resterà bello, ma un po’ fuori contesto.
2) I pezzi registrati come Dio comanda [SPOILER: la maggior parte] smantellano quel diktat assurdo per cui un certo tipo di suoni e un certo tipo di genere debbano sempre essere prodotti con una qualità oscena. A me il lo-fi fa cagare. E’ bello sentire questo tipo di pezzi senza avere l’impressione li abbiano registrati nel buco del culo di un troll.
3) A me sentendoli vengono in mente i Minnie’s che mi piacciono. Ovvero non quelli dell’ultimo disco.
4) Sarajevo, 1984 è un pezzo CLAMOROSO. E nel disco non è l’unico.
5) La copertina è figa.
6) Sono francesi e comunque suonano buona musica.
7) Lo sto ascoltando a nastro da diversi giorni.
8) E’ un disco breve, che non stanca e non si appesantisce troppo, lasciandoti la voglia di riascoltarlo.
9) Si può scaricare facendo il prezzo, che è sempre una bella cosa. Si può pure scrivere ZERO eh.
10) Ci sono dentro mille mila voci che è sempre un valore aggiunto. Va detto che alcune sono ai limiti dello stonato, ma ci sta.
Oh, io ve l’ho detto.

A un amico

La vita è fatta di momenti.
Se ti fermi a pensarci sopra, te ne passa davanti agli occhi una serie sterminata in pochi secondi.
Alcuni ti strappano un sorriso, altri magari una lacrima, ma sono tutti lì e tutti ugualmente unici. E certo, c’è n’è qualcuno più importante di altri, ma a costo di fare a cazzotti con la dottrina inculcataci da anni di Max Pezzali c’è da rendersi conto che il sale di tutto sta in quello che verrà, non in quello che è stato.
Perchè altrimenti uno la mattina neanche si alza.
Per quanto si sia girato e si siano visti posti magnifici, il viaggio più bello è quello che dobbiamo ancora fare.
Sempre.

Il gioco delle tre carte

[…]
– E’ che, senza il congresso, qui non c’è molto di fare. E anche il congresso non era molto… – Snijders fece un verso strano con la bocca.
– Non era interessante? Forse era un po’ fuori dai suoi argomenti.
– Sì, anche, ma non solo. È che ormai sento sempre le stesse cose. È raro trovare un po’ di fantasia, di inventiva. In particolare gli italiani hanno una cosa strana. Come competenza, intendo.
Ne abbiamo tante di cose strane, bello, a livello di competenza. Sei in un paese in cui le veline parlano di calcio e i preti parlano di sesso e di famiglia.
– E quale?
– Non sono originali. Quasi mai, intendo. Ultimamente vedo gente che fa le stesse cose che faceva venti anni fa. Raffinano. Limano qualcosa. Fanno roba bellissima, a volte. Molto complessa. Ma sempre con gli stessi modelli. Io intendo, parlo in generale. Le eccezioni ci sono. Ma sono rare. E la scienza non è questa. Ci vuole originalità, idee nuove. Le applicazioni le deve fare l’industria. Noi dobbiamo fare ricerca.
Notevole. Nuova sorgente di acqua calda scoperta in località Pineta dal professor Snijders dell’università di Groningen.
– E non capisco il motivo – continuò Snijders, dato che evidentemente l’argomento lo appassionava. – Scientificamente, gli italiani sono sempre stati validi. Preparati bene come studenti. Non come i russi, o gli indiani, ma molto meglio della media europea. È strano.
Massimo si sentì punto sul vivo. Su quell’argomento si era fatto venire il sangue amaro tante di quelle volte che, anche non volendo, ormai sentirne parlare gli attivava un riflesso pavloviano.
– Non è strano – disse mentre porgeva a Snijders la focaccina su un piatto. – Lo sa perché? La ricerca in Italia non è originale perché è comandata da dei tirannosauri. In Italia, il quarantasette per cento dei professori ordinari è gente che ha più di sessant’anni. Sessant’anni. Non ci riusciva Gioacchino Rossini ad essere originale a sessant’anni, e vuole che riesca gente come questa qui?
– Ma perché non vanno in pensione, allora? – chiese Snijders a bocca piena. – Non si rendono conto che non fanno del bene?
– No. Non se ne rendono conto. Perché in questo paese del menga siamo abituati a fare del bene in modo morboso. Le faccio un esempio semplice. Gran parte dei professori dice: «Non posso andare in pensione ora, anche se ne avrei diritto e anche se non ho più voglia di fare una sega, perché prima devo sistemare il mio dottorando, assegnista o qualunque ruolo abbia lo schiavo di turno». Il concetto è che siccome quel tipo ha fatto tesi, dottorato e tutto il resto con me come tutore allora ho una sorta di obbligo morale a sistemarlo. Come no. Peccato che se tu ti levassi dai piedi libereresti i soldi necessari a farne tre, dico tre, di ricercatori. Però magari in questo modo il tuo figlioccio potrebbe non entrare. Specialmente se è una immonda testa di cazzo che ha come unica dote l’ostinazione. Perché il fatto è che negli ultimi anni in Italia non entri all’università per bravura. Ci entri soprattutto per sfinimento. E questo è il primo problema.
– Ah, c’è anche un secondo problema? – chiese Snijders masticando.
– Sissignore. Il secondo problema è che, come giovani, eravamo troppi. Troppi, e con in mezzo troppa gente assolutamente inadatta. Ho visto ammettere al dottorato di ricerca persone che da studenti faticavano per passare gli esami. E perché sono entrate loro? Semplicemente perché quelli più bravi avevano abbastanza iniziativa per andare all’estero, o per andare a lavorare fuori dall’università. Quelli che non erano buoni a levarsi un dito dal culo da soli invece sono rimasti lì, e hanno cominciato la trafila. Il contrattino, il dottorato, la borsa, l’assegno e cazzi vari. Intendiamoci, in questo i professori hanno la loro buona parte di colpa. Invece di fissare una soglia che garantisse la decenza, hanno continuato a prendere un numero di persone fisso, e troppo grande rispetto a quello che sarebbero stati in grado di integrare in futuro. Così, insieme a gente brava che si meritava di fare il dottorato e di rimanere a fare ricerca, hanno raccattato morti e feriti. Che però, dopo aver preso a venticinque anni, dopo il dottorato ne hanno ventotto, e dopo l’assegno trenta o trentadue. E a quel punto o li assume l’industria farmaceutica come cavie oppure te li tieni sul gozzo, perché un laureato di trentadue anni, magari con il dottorato, leindustrie al momento non lo vogliono nemmeno in regalo. Io lo so bene. Sono uno di quelli.
[…]

Tre dischi tre

Che io non abbia più tanto tempo per scrivere mi pare si intuisca. Anche per questo ho smesso di scrivere di musica per Groovebox, non potendo più garantire una “professionalità” mai richiesta, ma che per me è importante quando si decide di fare qualcosa.
Questa cosa però fa si che se un pomeriggio, come oggi, mi prendesse voglia di scrivere di musica io possa farlo sul mio blog. Just like old times. E quindi eccomi qui, a buttar giù qualche riga su alcuni dischi che di recente ho ascoltato e sto ascoltando e di cui, per un motivo o per l’altro, mi sento di dire due robe. Partiamo.

NOMADS – S/T
Questo disco l’ho scoperto grazie al Fragolone, che l’ha scoperto casualmente grazie a facebook. E’ un disco di post rock strumentale come ce ne sono, immagino, centomilioni di altri. La differenza però è che questo a me non annoia e, anzi, in certi punti commuove proprio. Tipo con “Home”. E’ un periodo questo in cui col post rock sto andando abbastanza d’accordo, anche se sono molte di più le cose che non mi piacciono di quelle che apprezzo. Ho ancora molte difficoltà coi dischi interamente strumentali, che spesso appunto mi lasciano davvero pochino, e anche in questo “Nomads” ci sono diversi punti in cui io ci avrei sbattuto una bella voce sopra. Delle belle linee vocali, a dare al tutto una forma più consona al mio palato. Però a differenza di altri casi (sì, parlo per esempio dei Mogwai), anche senza una voce sopra il disco sta in piedi e riesce ad emozionare. Io gli unici dischi completamente strumentali che riesco ad ascoltare sono “The Earth is not a cold dead place” degli Explosion in the Sky e l’ultimo EP degli End of the Ocean. E poi questo, che tutto sommato non ha moltissimo in comune con gli altri due. Io non faccio magari testo, però oh, se piace a me può piacere a tutti.

DEAFHEAVEN – SUNBATHER
Questo disco invece l’ho scoperto grazie all’internet che ne parla da tempo in termini entusiastici. Ci ho messo un po’ ad approcciarlo. Prima perchè ho confuso il gruppo coi Deerhunter, che non mi piacciono, poi perchè alla fine della fiera si tratta di un disco balck metal. E io credo non ci sia bisogno di ribadire il mio rapporto non proprio d’amore col metal. Però ci ho creduto, me lo sono ascoltato un po’ di volte e alla fine è stato amore. Che poi, se lo chiedete a me, non sono convinto sia davvero un disco black metal. Innanzi tutto la copertina è rosa. Poi i testi, per quanto li abbia letti velocemente, non mi paiono particolarmente metal. A renderlo un disco black sono chiaramente le urla strazianti del cantante (anche se, da ignorante, mi chiedo quale sia il confine tra questo black metal e certo emo violence o screamo o che dir si voglia, ma vabbè) che difficilmente si possono ignorare e che richiedono un po’ di tempo per essere metabolizzate. E io di gente che grida ne ascolto eh, ma così no. Così mai. Una volta assimilata la voce ed equiparata ad un altro strumento musicale distorto, il tutto è in discesa perchè le melodie sono di una bellezza sconfinata. Di una poesia rara. Uno dei dischi più belli che mi siano passati per le mani quest’anno, nonchè uno dei più “estremi” che io abbia mai comprato.

JIMMY EAT WORLD – DAMAGE
Ed eccoci infine alla nota dolente, ovvero il nuovo disco dei Jimmy Eat World, che è sostanzialmente un disco inutile. Ci sono dentro una sfilza di pezzi anonimi, un pezzo decoroso (How’d You Have Me) e un pezzo orribile (ByeByeLove) e non c’è verso di definirlo diversamente nonostante mi sia sforzato di ascoltarlo più volte. L’altro giorno su Facebook il buon Ghibo condivideva un video in cui i JEW suonano la cover di Taylor Swift “We are never getting back together” e quel che ne esce è un pezzo cento volte migliore di qualunque cosa si possa trovare in Damage. Credo sia una roba indicativa.

Rientro

Rientrato da una settimana, questo sarebbe il tempo di scrivere due righe sul viaggio da poco concluso, ma non ne ho tanta voglia.
Ho fatto il classico reportino del tour di Maui, che sta come tutti gli altri nella sezione itinerari. Ci sono anche delle foto, ma fanno cagare. Manq che fotografa le Hawaii è un fail clamoroso. Tipo quelli che hanno vestito Bar Rafaeli a Sanremo e l’han fatta sembrare un cesso.
Con le foto di NYC è andata un po’ meglio, ma credo sia anche e soprattutto perchè ho optato per la tecnica Jay Z, ovvero il bianco e nero. Il punto era che a New York ero già stato e le cose che mi erano piaciute le avevo tutte già fotografate. Sto giro le ho ovviamente fotografate di nuovo, ma ripubblicare gli scatti mi faceva tristezza.
E basta, non c’è molto altro da dire. Ho ascoltato i dischi che mi avevano consigliato, apprezzandone ben pochi. Jets to Brazil bello, Halestorm divertente nella misura in cui può esserlo un disco di Pink suonato da dei metallari (quindi a volte tanto), Godspeed you, Black Emperor! a tratti interessanti, Mogwai quasi sempre noioserrimi, Thee Silver Mt. Zion ecc… mi son sembrati una roba vicinissima a certi Brand New in certi punti e lì li ho apprezzati, Mikal Cronin carino. Il resto semplicemente non mi ha convinto o non mi è piaciuto o non fa per me (come se fossero tre cose differenti). Potrei non aver ascoltato tutto, ad onor del vero, ma se ho saltato qualcosa non è molto.
That’s it.
Ah no, dimenticavo.
Sette anni e interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Forse non era la nipote di Mubarak.

Best gig location EVAH

Quando rientrerò farò, credo, un resoconto completo ed esaustivo del viaggione in corso.
Sta sera mi prendo quindi giusto due minuti per commentare a caldissimo un’esperienza veramente fantastica. Sono andato a sentire i Less Than Jake.
Ok, non proprio la band della vita, MA:
1- Di spalla suonavano i Pentimento.
2- Il concerto si è svolto “on a fucking boat” impegnata a circumnavigare Manhattan.
Il tutto è stato quindi clamoroso per diversi aspetti. Non mi metto a fare un report serio, ho sonno, ma alcune cose vorrei dirle (per farlo farei anche un elenco a punti, ma in sto post me lo sono giocato due righe fa e non posso ripetermi).
Inizio quindi col dire che i Pentimento dal vivo son bravi bravi. Ottima scena, ottimo suono, ottima scaletta, tiro assurdo. Ma roba veramente grossa, che magari da dei ragazzini (perchè son giovani) non ti aspetteresti. Dopo il live sono riuscito anche a comprare il fantomatico disco, che per diverse peripezie non ha avuto una facile distribuzione. Quindi obbiettivo principale della serata portato agilmente a casa.
La bomba vera però è stata la location, che per ovvi motivi si piazza al volo in cima alla lista dei posti più suggestivi in cui io abbia mai visto un concerto. La barca è partita al tramonto e ci ha proposto una visione spettacolare dello skyline di NY nel momento migliore della giornata, passando anche vicinissima alla Statua della Libertà che in questi giorni non è altrimenti accessibile. Veramente una roba da urlo. Poi il ponte era decisamente piccolo, il palco non c’era, i suoni erano buoni e quindi anche le performance musicali aggiuntive son state godibilissime. Menzione particolare ai Less Than Jake che han suonato tipo cinque pezzi dall’unico disco loro che mi sia mai capitato di sentire e che quindi mi hanno reso più accessibile il set. Questo potrebbe aprire a domande sul fatto che una band suoni gran parte dei pezzi di un disco del ’98 (circa, sto sparando) nel 2013, ma chissene. Per me scelta ottima.
Chiudo con un video che ho fatto durante il live. Non sono un pro del filmare/fotografare col cellulare durante i concerti. Anzi, è una roba che non sopporto, ma le circostanze lo richiedevano. Peccato anzi non aver immortalato Lady Liberty e, soprattutto, il finalissimo “circle pit on circus line” che ha chiuso il tutto col botto.