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Manq

La mia storia con internet

Oggi ho visto Dietnam raccontare la sua storia con internet all’interno di un’iniziativa di cui non so nulla*, ma che per come l’ho colta mi è sembrata molto carina. Di conseguenza ho deciso di partecipare buttando giù la mia versione.
A pensarci è l’incipit perfetto perchè la mia storia con internet è fatta in larghissima parte di autoinviti ad iniziative che scopro in giro e che trovo carine. Lo faccio grossomodo dal 2005, quando sui blog che seguivo partivano catene in merito ad ipotetiche liste di canzoni da passare agli alieni, per fare il primo esempio che ricordo. A memoria non sono mai stato coinvolto direttamente, nel senso che nessuno mi ha mai chiesto “Ehi, Manq, ti va di partecipare a sta cosa?”, ma un tot di volte mi ci sono infilato di mio e in alcuni casi ne sono uscite robe anche carine. 
Sono tipo il protagonista di Tapparella, ma ho quasi 37 anni.
La cosa se vogliamo strana è che non vivo male questa situazione, per niente. E’ indubbio ci sia una sorta di “giro giusto” da cui mi sarebbe piaciuto ricevere considerazione, ma per me internet è sempre stato soprattutto un modo di gratificare me stesso. Scrivo cose e sono contento di averle scritte, finisce lì. Non ci lavoro**, non ci guadagno, non lo considero la mia fonte primaria di soddisfazione o gratificazione. 
Cosa sia per me internet riassume bene la storia che ho con lui.

In primo luogo internet è stato musica. Soprattutto musica gratis. 
Sono nato in provincia e mi sono costruito un giro di amicizie più legate alla prossimità spaziale che non a reali interessi in comune, di conseguenza per me avere accesso a un posto in cui scoprire musica nuova da ascoltare è stato la svolta. Non parlo solo di poter scaricare roba gratis, ma proprio di sapere ci fosse roba buona da scaricare. Più dei vari napster, emule, winmx per me sono stati vitali siti e webzine. Anche Myspace, tocca ammettere, ma soprattutto i forum.
Ricordo con amore infinito il forum di Monnezza nonostante credo odiassi il 98% degli utenti con cui entravo in contatto. Gente che ora probabilmente frequento online con altri nomi (#grazieaddio), ma che ai tempi avrei preso a sprangate sui denti. Tranne Fat Emo Boy. A Fat Emo Boy volevo bene. Magari è l’unico che se scoprissi oggi chi è mi starebbe sui maroni.
La mia storia con Internet è una storia di seconde possibilità date inconsapevolmente a gente che ha solo cambiato nick.
C’è stato un periodo in cui avrei voluto scrivere di musica per i siti che frequentavo e c’ero pure riuscito con Emotional Breakdown, che aveva accettato un paio di pezzi miei prima di chiudere per sempre. Poi c’è stato un secondo periodo in cui scrivevo di musica per una webzine che trattava prevalentemente metal e nu-metal. Le mie rece erano tipo i servizi senza donne nude di Novella2000.
Mi piaceva, come cosa.
Ogni tanto ci scappava pure qualche accredito per concerti dove davanti al gruppo trovavi massimo 50 persone. Calcolando il mio livello di rilevanza come critico musicale, probabilmente nessuna pagante.

Oltre alla musica, il secondo elemento per importanza della mia storia con internet sono le persone.
Ho conosciuto la mia prima morosa propriamente detta grazie a internet, per quell’assurdo meccanismo per cui serviva ICQ per incontrare una ragazza che abitava a 100m dal mio liceo. Tolto lo scintillante inizio non direi internet sia stato poi questo grande motore alla mia vita sentimentale, piuttosto alla mia vita sociale.
Ho già parlato dei forum e il più importante è certamente quello di GdR che ho frequentato nei primi 2000, attraverso cui ho conosciuto un monte di gente che frequento ancora oggi in real life (a parte Manowar tutti volentieri, tra l’altro).
Morti i forum sono arrivate le sezioni commenti dei siti che frequentavo. Anche lì era bello entrare a far parte di community e conoscere persone con le tue stesse passioni. Scoprire a trent’anni di non essere l’unico al mondo a reputare “The Last Boyscout” il miglior film di sempre è una bella epifania ed è stato possibile solo grazie ad internet.
Lo step ancora successivo di questo fenomeno sono probabilmente i gruppi su Facebook che sfociano in gruppi whatsapp, ma io non ci sono arrivato. Temo di essere sceso dal treno alla stazione prima. La mia vita fuori da internet è diventata troppo densa, con ogni probabilità, o forse non mi è ancora capitata la spinta giusta per poter fare questo ennesimo passo in avanti nel panorama del dialogo virtuale.

E’ bello dialogare su internet.
Fa incazzare, spesso, eppure è l’unico posto in cui puoi trovare interlocutori per qualunque argomento tu abbia voglia di affrontare. La mia storia con internet quindi è anche venata di un certo rammarico perchè nella mia testa sarebbe potuto e dovuto essere un posto molto più utile di quel che è diventato.
Un luogo dove imparare qualcosa, comunicare con tutti, avere accesso ad informazioni, che invece è diventato un ricettacolo di fake news, dove la “satira” ha sostituito l’informazione e dove comunicare ha ormai un significato profondamente distorto.
Non credo sia colpa di internet, però.

Conclusione: io sono Manq e la mia storia su internet è vecchia di vent’anni o quasi in cui mi sono sostanzialmente divertito.

* è probabile che i coinvolti ci guadagnino dei soldi con questa cosa e che io la stia spingendo a gratis unicamente per dare sfogo alla mia voglia di raccontarmi. Anche questo dice qualcosa della mia storia con internet.
** un pochino oggi ci lavoro per forza, perchè sono nell’ufficio marketing di un’azienda ed è impossibile prescinderne ormai. Diciamo che il mio lavoro non dipende dalle mie (non) competenze sul web ecco.

Quella volta che ho creato un account di meme

Se seguite questo blog sapete che ogni tanto faccio meme che non fanno ridere (ref.). Ovviamente intendo che non fanno ridere gli altri. Io mi ci spacco. 
Ad ogni modo, giorni fa uno dei miei contatti twitter se ne esce con l’idea di un meme di Di Maio con una frase presa da un pezzo dei Tiny Moving Part. L’associazione in se non mi aveva spostato più di tanto, però hanno iniziato ad apparirmi in testa immagini di politica con didascalie prese da pezzi emo. E boh, mi sembrava una cosa divertente.

Così ho aperto un account twitter che si chiama @emocrazia e ci ho messo dentro un po’ di queste creazioni. Pensavo sarebbe passato via inosservato… e infatti è passato via inosservato, salvo per un breve momento di gloria che mi ha portato a raccimolare una settantina di follower (#ChiaraFerragniScansati), che amo tutti come fossero figli miei.
L’immagine che ha raccolto maggior successo (e me lo aspettavo) è quella dei Pixies, ma per quel che mi riguarda, la più bella è quella con la Boschi e i Taking Back Sunday che sta in copertina alla gallery qui sotto. 
Non so quanto andrò avanti, sull’onda dell’entusiasmo ne ho creati una decina immediatamente e altrettanti il giorno dopo, postandoli poi via via nella settimana. Ora li ho finiti, magari settimana prossima mi ci rimetto, magari no, ma in ogni caso continuo a trovarla una cosa divertente.

Once upon a time #5

“Quelli che il calcio” è un programma sportivo ideato da Fabio Fazio e che va in onda la domenica pomeriggio durante le partite della Serie A. In seguito alla dipartita del suo ideatore dalla TV pubblica, lo show fu affidato a Simona Ventura. La Showgirl è perfetta per il format, potendo vantare un passato di praticante giornalista sportiva e spiccate competenze musicali, che all’epoca dei fatti le sono già valse la conduzione di due edizioni di Music Farm ed altrettante edizioni come giudice/coach di X Factor Italia.
Il 20 Settembre 2009 i Muse, reduci dal milione e passa di copie vendute con “Black Holes and Revelations”, sono ospiti del programma per presentare il nuovo disco “The Resistance”.

Once upon a time nasce come rubrica di manq.it che racconta momenti che hanno fatto la storia della musica. O forse la storia in generale.
L’uscita di Once upon a time #6 è da considerarsi altamente improbabile perchè non esiste traccia in rete del video di Madaski al Roxy Bar, prova ennesima dell’inutilità dell’internet.

La situa

Intorno al 20 gennaio ho scritto un pezzo su Dawson’s Creek, il cui pilota compiva vent’anni. Contestualmente, quasi per scherzo e certamente senza prospettive concrete, ho ipotizzato un #DawsonsCreekRewatch, iniziato riguardando qualche episodio e che si è chiuso incredibilmente con la revisione vorace di tutte e sei le stagioni dello show.
Mentre lo facevo ho preso a buttare su twitter le mie impressioni. Ogni tweet iniziava con “La situa” perchè voleva dare il quadro di come fossi messo in quest’impresa, ma soprattutto di quanto mi stesse assorbendo.
Finito il viaggio, mi pare buona cosa raccogliere qui sopra tutto quanto ad imperitura memoria.
E’ stata ovviamente una cosa bellissima.

22 Gennaio
– s1e08, Billy from NY irrompe a Capeside. Episodio clamoroso.
– s1e11 e ho provato a passare alla lingua originale. È come passare alla birra artigianale: gusto, complessità e struttura migliorano un sacco, ma alla fine torno sempre alla moretti.

23 Gennaio
– s1e13, season finale. Una gigantoscopica (e inattesa) rottura di cazzo. Si persevera cmq.

28 Gennaio
– s2e05, sto mollando il ritmo. Il livello di segoni mentali tra Dawson e Joey è intollerabile, ma Pacey e Andy sono cuori enormi.

30 Gennaio
– s2e11. Tutto un po’ troppo diluito, in pieno stile anni ’90. Andy è palesemente l’unico personaggio reale e infatti nella serie passa per pazza.

31 Gennaio
– s2e18, Jack è gay, Andy almost pazza, Dawson noioso come sempre. Il ritmo però in questa seconda parte di stagione è ok e io ho urgenza di un maglione a V con la riga orizzontale.

2 Febbraio
– s2e22 season finale. Torna LA DROGAH e con lei lo strazio, ma nasce il magic trio Jen-Jack-Nonna e Pacey mena il padre. That I would be good in sottofondo. Piango.

5 Febbraio
– s3e01. Non ce l’ho fatta e ho ripreso, vedrò black sails più avanti. E ho fatto dannatamente bene perché LA RAGAZZA DEL TRENO.
– s3e01. Lo so che ho già twittato in merito, ma se non è il più clamoroso inizio stagione di sempre allora non so, vi meritare un posto al sole.

6 Febbraio
– s3e08. Andy in questa stagione è carta vetrata sulla schiena, Jen è improvvisamente bellissima, Dawson ormai appendice inutile allo show e Pacey e Joey iniziano ad essere la coppia più bella della storia della TV.

7 Febbraio
– s3e09. Non avevo mai visto questo episodio e la cosa mi ha sconvolto.

8 Febbraio
– s3e16. United we stand for Principal Green. Che stagione clamorosa.
– s3e17 Pacey bacia Joey E IO ADESSO PIANGO SU QUESTO FRECCIAROSSA PERCHÉ L’AMORE È UNA COSA MERAVIGLIOSA.

9 Febbraio
– s3e22 vorrei avere Dawson a portata, strappargli il cuore e mangiarlo. Per il resto, sta stagione infila una serie di personaggi clamorosi. Hanry su tutti.

10 Febbraio
– s3e23 season finale. Dawson suca.

– s4e01. Joey torna e sono tutti suoi amici, Pacey invece sembra abbia la peste. Dov’é il vostro #MeToo ora?

12 Febbraio
– s4e05 gli showrunner hanno infilato un mazzo di scope in culo a grossomodo tutti i PG e sono tornati alla carica con i predicozzi sulla DROGAH. Spero sia solo un brutto inizio.

13 Febbraio
– s4e07. Andy se ne va e onestamente non ricordavo succedesse così tardi, pensavo sparisse almeno 20 episodi fa. Fino ad ora una stagione pallosissima. In ogni caso, so long Andy McFee.
– s4e11 e la noia di sta stagione non si attenua, but
1) Gretchen miglior personaggio femminile so far
2) l’omosessualità di Jack è trattata con intelligenza (unico tra i temi sensibili)

15 Febbraio
– s4e14. Lo showrunner non può essere lo stesso della stagione precedente. Joey litiga con Pacey perché ha un preservativo nel portafoglio ed è tutto così pesante madonna santa.

17 Febbraio
– s4e16. Pura follia.

19 Febbraio
– s4e20 uno degli episodi migliori di sempre dentro la stagione forse peggiore di sempre. Infatti è sconnesso da ogni punto di vista. Però clamoroso. Promicide titolo incredibile.
– s4e23 season finale che sa tanto di series finale. Emotivamente devastante, porta a casa una stagione sciapa che peró tutti ricordano bellissima proprio per i 4 episodi finali. Bombetta.
– s5e02 Pacey si scopa Cameron prima che finisca a lavorare per House e Dawson fa uno stage per Ronnie Preager. MCU scansati proprio.
– s5e04. Episodio mastodontico.

21 Febbraio
– s5e08 Dawson scopa e la pace nel mondo sembra di colpo possibile.
– s5e10. Bottle episode clamoroso.

22 Febbraio
– s5e14 Jen cita The Last Boyscout. Si vola altissimi.
– s5e15, quello della rapina. Non può essere davvero andato in onda.

25 Febbraio
– s5e19. La stagione Joey centrica sta dando finalmente un senso al personaggio di Dawson, ora accettabile anche nella pesantezza del suo idealismo.
O forse è che ha tagliato i capelli.

26 Febbraio
– s5e22. Ho la prova che la versione Home Video abbia una colonna sonora tutta sbagliata perché Jen non canta gli Who sul divano.
– s5e23 season finale di una stagione ultra sottovalutata. Alla fine DC è come i Ramones. Sempre gli stessi 3 accordi, eppure ci han tirato fuori un numero incalcolabile di capolavori.

27 Febbraio
– s6e01 Dawson e Joey scopano ed è la roba più anti climatica possibile. <3
– s6e02, Dawson e Joey celebrano il loro amore ritrovato nel set apparentemente identico alla loro gioventù, ma in realtà fintissimo e vuoto. Metaforissime.

28 Febbraio
– s6e05 in pratica Boris 10 anni prima.

1 Marzo
– s6e08 il concerto dei No Doubt. Gwen ti amo esattamente come fosse il 1998.
– s6e10. E’ Natale e Audrey entra in casa di Dawson con la macchina. Gli indizi iniziano ad essere troppi per ignorare che dietro a DC ci sia in realtà Shane Black.

6 Marzo
– s6e19. Immagino di aver rallentato un po’ perché non voglio che questa cosa finisca.
– s6e22 Joey Potter and the Capeside redemption. Titolo meraviglioso per uno degli episodi più belli di tutta la serie. Perfetto season finale, ma volendo anche gran finale. Ho già il magone.
– Series finale pt.1. ANOUANOUEI.
– Series finale pt.2. Si piange durissimo in casa Manq.

7 Marzo
– Bonus tweet. È stato un viaggio bellissimo ed intensissimo durato 40 giorni. Mi mancano già tutti, come la prima volta.
SERIE DELLA VITA. ❤


Alla fine ho pensato che un post sul blog non fosse abbastanza per celebrare questa impresa, quindi ho creato questa maglietta ridefinendo il concetto di sfiga AMORE.

Sovranità popolare

Oggi a Udine è successa una tragedia. Un ragazzo di 31 anni non si è svegliato, lasciando orfana una bimba di due. Il ragazzo si chiama Davide Astori ed era il capitano della Fiorentina.
Le chiamano “morti bianche”, pare non ci siano ragioni mediche chiare alla loro base e sono probabilmente la mia paranoia più grande per distacco. Nel senso che spesso non ci dormo, per sta cosa, o magari ho attacchi di panico, per sta cosa.
Insomma, la classica notizia che lascia scossi.

Navigando mi sono imbattuto in questo tweet:

Chi lo scrive è fiorentino e tifoso viola, oltre ad essere stato sindaco di Firenze.
Ora vi riporto alcune delle risposte che trovate sotto questo tweet, senza indicare gli autori perchè non sono Selvaggia Lucarelli, ma chiarendo che alcuni li ho segnalati. Sono tantissime, ne prendo solo alcune, ma il tono è abbastanza omogeneo.
– La campagna elettorale dovrebbe essere finita!!!
– Non può parlare. Punto. Ma meschino com’è mercanteggia anche sulla morte. Maledetto.
– Non riesci proprio a stare zitto: a urne aperte strumentalizzi pure i morti.Omuncolo senza DIGNITÀ.
– Se dovessi piangere per tutte le famiglie italiane che hai rovinato, dovresti reincarnarti per una ventina di generazioni, e non basterebbe
– Ma non ti vergogni ipocrita? Ad urne aperte approfitti di una tragedia per farti bello! Sei proprio odioso arrogante ed incapace!
– SEI E RESTERAI UN PICCOLO UOMO DI MERDA CON LE URNE APERTE STRUMENTALIZZI UNA MORTE PERCHE NON LO FAI ANCHE PER UNA PERSONA QUALUNQUE SEI SOLO RIDICOLO PEZZO DI M……. IO NON HO NIENTE CONTRO ASTORI ANZI A ME PUO DISPIACERE MA NON ATE MERDA CHE SEI VEDI COME HAI RIDOTTO ITALIA
– Almeno le hai fatte le condoglianze PRIVATE alla famiglia? #viscido
– Le tue lacrime da 🐊 sono in realtà, quelle da Sciacallo.
– Ma vaffanculo non hai pianto per tutto il popolo italiano a cui morivano migliaia. Di figli figuriamoci X un solo uomo, tu oggi da intelligente non dovresti nemmeno intervenire xche questo è anche colpa tua e della tua indifferenza
– Vergognati sciacallo

E avanti così, per lunghissime pagine di commenti.
Oggi in Italia si vota per formare un nuovo Parlamento, espressione della volontà popolare. Che, in parte, è rappresentata qui sopra.
Resta da capire in che percentuale.

Dalla parte giusta del populismo

Io ho lavorato nella ricerca scientifica dal settembre 2005 al gennaio 2014. Ho fatto gran parte del percorso accademico: tesi sperimentale, borsa di studio, dottorato di ricerca, post-doc; quasi nove anni di cui sette nel nostro amatissimo Paese.

Ancora oggi, quando parlo con alcuni colleghi, mi dicono frasi tipo: “Beh, io non sono rimasto in università. Io ho iniziato a lavorare subito.” e sul momento vengo sempre avvolto da quell’insana voglia di farmi esplodere in ufficio. Non è un discorso relativo solo alla mia azienda, ma generalmente diffuso nell’ambito extra-accademico quando si parla di “lavoro di ricerca”.
Io non sono mai stato Stachanov, ho sempre avuto la grossissima fortuna di avere interesse nella mia vita fuori dal lavoro e, soprattutto, non sono mai stato affascinato dal poserismo da straordinario che prende moltissimi giovani ricercatori.
– Sai, io lavoro fino alle dieci di sera.
– Ah, non me lo dire, ieri notte ho dovuto correre un esperimento che finisce giusto giusto sabato pomeriggio. Poi domenica analizzo i dati.
Tutte seghe.
La mia esperienza personale rispetto a chi fa turni di 12-15 ore in laboratorio sette giorni su sette è che sia spinto da un mix di, appunto, autocompiacimento e disorganizzazione. Lavorare libero da orari permette di impiegare 12 ore a fare una cosa che si farebbe in 8 solo perchè nessuno ti fucila se stai la notte al bancone, che tanto sei fuori casa/città/Paese, conosci poche persone e non hai una beneamata minchia da fare. Fermarsi fino a tardi può capitare in tutti i lavori. Se ti capita sempre, il problema sei tu. Fact.
Detto questo, io mi sono sempre fatto un discreto mazzo al lavoro e credo per una volta i risultati siano lì a disposizione degli scettici. Ho sempre vissuto in realtà produttive, dove pubblicare i risultati era importante, dove produrre dati era importante, quindi sentirmi costantemente associato all’idea piuttosto stereotipata del laboratorio come luogo di fancazzismo, lontano anni luce dal concetto di lavoro, mi irrita anche ad anni di distanza.

Il mio “nuovo” lavoro tuttavia mi mette a contatto con tutte le realtà italiane che si occupano di ricerca scientifica: da quelle dove si lavora tanto e bene a quelle dove, oggettivamente, vengono buttati via soldi pubblici.
Di nuovo, non ne faccio una questione di orario di lavoro. Posto che lavorare a progetto abbia l’indiscusso vantaggio di lasciare grandissima flessibilità nella gestione del tempo, io non mi incazzo con i ricercatori borsisti che lavorano sistematicamente dalle 10 alle 16. Prendono uno stipendio da fame con contratti rinnovati ogni sei mesi tra mille patemi d’animo ed imprevisti quindi, sapete cosa, fanno bene. Il problema è se in quelle sei ore (colazione, caffè, sigarette e pausa pranzo comprese) non si è professionali.
Mi capita di prendere aerei o treni per presentarmi ad appuntamenti fissati in largo anticipo e, arrivato sul posto, sentirmi dire “No, oggi non posso / La dr.ssa non c’è / Avevamo un appuntamento?”. Da questa situazione ho capito una cosa: non è un problema di educazione. Non solo, almeno.
Chi da un valore al proprio tempo, chi sa cosa significhi lavorare, impara immediatamente a non sprecarlo e diventa, contestualmente, sensibile al non voler sprecare neanche quello altrui. Chi al contrario non contempla ci sia un investimento di risorse dietro al lavoro degli altri è solo chi  in primis non valuta prezioso il proprio tempo. Quindi chi ne ha da perdere.
E’ una statistica che non teme smentite, fatta su un campione molto vasto. Al netto dell’inconveniente che capita a tutti e dello stronzo che lo fa apposta perchè in qualche modo si sente in diritto di mancarti di rispetto, il resto rientra nella casistica dei nullafacenti col camice. E sono tanti, troppi per un Paese che di fondi ne ha così pochi.

Come si è arrivati a questo?
Io non ho una risposta che giustifichi la totalità del fenomeno, ma ho certamente una spiegazione a parte del problema. In Italia fare ricerca è diventato un hobby.
Torniamo al sottoscritto. Io sono rimasto in laboratorio fino a 33 anni. Ero già sposato, quando ho mollato. Avevo già un mutuo (sebbene più piccolo di quello attuale), quando ho mollato.
Non avrei potuto farlo se non avessi alle spalle una famiglia che mi ha permesso di arrivare a quel punto, aiutandomi economicamente ad emanciparmi. Sono stato fortunato quindi, ma comunque non avrei potuto permettermi di restare in laboratorio ancora, certamente non oggi che ho due figli. Anche perchè in casa eravamo in due a fare ricerca.
Una prima selezione quindi la fa la possibilità economica di continuare ad investire ad oltranza in un sogno privo di prospettive tangibili.
La seconda selezione la fa il merito, ma in negativo. Siamo uno dei Paesi in cui il lavoro di ricerca è pagato meno, ma viviamo in un contesto globale in cui i propri dati ed il proprio CV sono disponibili ovunque nel mondo. Chi vale e riesce a dimostrarlo con i risultati ha mercato e, ovunque provi ad andare, trova gratificazioni economiche che in Italia non avrebbe. Quindi, 7 volte su 10, parte.
Non starò a fare pipponi sulla fuga di cervelli, ma questa è la situazione. La ricerca Italiana seleziona chi può permettersi di campare con 1000 euro al mese  (se va bene) e simultaneamente non ha la possibilità di andarsene via, per scelta di vita o perchè non è bravo abbastanza.
Non è un problema unicamente di fondi, è un problema di risorse umane che certamente ha avuto origine dalla mancanza di fondi, ma che ora è parte integrante del degrado. Gente che da vent’anni sta i laboratorio senza una minima spinta produttiva o professionale, che ha scelto questa carriera perchè offre orari comodi per andare a prendere i figli a scuola (non sono necessariamente donne, pare stupido precisarlo, ma ecco.). Non ho nulla contro queste persone, contro la loro scelta di vita e nemmeno contro il loro concetto di lavoro, se questo non fosse in un ambito finanziato coi soldi di tutti e, soprattutto, in costante mancanza di risorse economiche.

Per questo spesso dico che io non voglio che la ricerca nel nostro Paese riceva più fondi. Io voglio che venga riformata. Gli stessi soldi, distribuiti meglio e in base al reale merito invece che poco a tutti, farebbero già fare un salto di qualità al sistema.
Il dramma vero è che la ricerca ed i suoi finanziamenti, così come temo la scuola (realtà che trovo assimilabile pur non conoscendola da dentro) sono diventati unicamente un simbolo da brandire ai comizi, vuoto, un po’ come “prima gli italiani” o “basta tasse”. Fatichiamo ad accorgercene perchè a gridarlo siamo spesso noi che quegli slogan li critichiamo.
Noi che siamo dalla parte giusta del populismo.

La macchina nello spazio

Ultimamente non è che mi venga facilissimo avere fiducia nell’umanità. Tra fascisti che sparano per strada, leader mondiali che parlano ogni due per tre di arsenale atomico e idioti che vorrebbero farci tornare all’epoca buia delle epidemie diventa davvero difficile pensare positivo.
Eppure ieri per qualche ora sono rimasto a guardare affascinato l’ultima dimostrazione di quanto l’uomo possa essere capace di grandi imprese. E’ stata una bella pera di fiducia nella nostra specie, che ha avuto il suo culmine grossomodo in questo momento:

Ieri è stato lanciato il Falcon Heavy, il razzo progettato da SpaceX che punta a rivoluzionare le missioni spaziali future, sia in termini di capacità di carico, che di destinazione, che sopratutto di costi visto che il grosso del progetto sta nel rendere il vettore “riutilizzabile”.

Io non so dire se Elon Musk sia un genio, certamente è una persona fuori dal comune con una visione fuori dal comune. Una visione che, a voler ben guardare, io probabilmente non capisco visto che si parla di salvare il pianeta.
Non credo di essere una persona particolarmente egoista, eppure questa cosa del benessere della Terra non riesco proprio a farmela piacere. Io sono per il benessere degli uomini nel presente, con una prospettiva a lungo raggio che può arrivare al massimo a 100, 150 anni da oggi (solo perchè ho dei figli e spero di avere dei nipoti). Trovo giusto fare tutto il possibile, anche e soprattutto ridefinendo il concetto stesso di possibile, per migliorare le condizioni di vita attuali. Per ogni singolo essere umano, ovviamente, il che è un traguardo già abbastanza utopistico, senza necessariamente proiettarlo in avanti di migliaia di anni.
Se eliminare la malnutrizione nel mondo OGGI accorciasse di un milione di anni la stima di vita sul pianeta (che pare stia intorno al miliardo e mezzo di anni) e la scelta dipendesse da me firmerei senza alcuna riserva.
Non so se sia una prospettiva miope la mia, probabilmente è così, ma credo che l’intervento dell’uomo stia compromettendo il futuro del pianeta con uno scopo condivisibile, ovvero l’aumento della qualità della vita. Non dico che il metodo sia perfetto: non c’è egualità nell’accesso alle risorse che creiamo, e il processo è viziato da interessi che nulla hanno a che fare con il benessere di tutti, ma al netto di queste situazioni il progresso c’è ed è costante. Forse è più lento di quel che potrebbe essere, certamente è meno “giusto” di quanto dovrebbe essere, ma c’è.

Ok, m’è scivolato il pippone, il post è nato per celebrare una roba figa fatta da gente figa che non è solo brava in quel che fa, ma lo è ancora di più nel comunicare quel che fa. Perchè se vuoi cambiare il mondo, saper parlare ai sette miliardi di persone che lo popolano credo sia utile.

Quindi, tirando le somme, l’uomo ha lanciato un’automobile nello spazio.
Lo ha fatto unicamente come mossa di marketing a supporto di un test per una tecnologia missilistica che vuole cambiare il modo di pensare i viaggi nello spazio e che, se quel che abbiamo visto ieri è solo un antipasto, è probabile ci riesca pure.
Guardando la diretta è stato bello sentire la gente che applaude, che fa insieme il count down, perchè piccola o grande che sia parliamo di una conquista dell’uomo e queste conquiste hanno il dovere di unirci e ricordarci che sappiamo fare anche qualcosa di buono.

Once upon a time #4

Ci sono cose la cui grandezza è determinata dal fatto di essere spartiacque.
Ci pensi e puoi immediatamente definire un prima e un dopo che in condizioni “normali” sarebbero separati da un lungo percorso di evoluzione e che invece hanno in mezzo solo una scintilla, un piccolo evento capace da solo di stravolgere lo stato delle cose e innescare un cambiamento radicale.
Il cambiamento può non essere duraturo, la svolta può venire riassorbita negli anni, ma non sarà mai possibile dimenticare quando c’è stata e cosa ha comportato.
I Video Music Awards di MTV sono stati lo show musicale più rilevante nel mondo per almeno dieci anni. La musica come spettacolo celebrata attraverso la massima espressione del concetto, ovvero i premi ai videoclip.
Fino a quando è durata (non ho idea se esistano ancora, per dire, ma scommetterei sul no) sono stati un costante tentativo di fare le cose in modo sempre più grosso e spettacolare, senza omettere quella voglia tutta americana di “dare scandalo” con provocazioni all’acqua di rose che però infilate nel gigantesco megafono dell’evento riuscivano a far parlare i giornali per giorni.
Da Madonna che “bacia” Britney Spears e Christina Aguilera (ref.) fino a Miley Cyrus e Robin Thicke (ref.) tutta roba abbastanza innocua, buona giusto a far venire il prurito ai ragazzini e a far parlare l’america conservatrice.
Nel 2009 un artista riuscì a ribaltarne i paradigmi e simultaneamente mettere un punto fermo alla questione, arrivando dove nessuno prima di lei e ponendo l’asticella ad un’altezza irraggiungibile per tutto quello che sarebbe stato dopo, compresa se stessa (ref.).

Once upon a time nasce come rubrica di manq.it che racconta momenti che hanno fatto la storia della musica. O forse la storia in generale.
L’uscita di Once upon a time #5 è da considerarsi una missione, perchè lo scopo di questa rubrica ormai è proseguire fino a quando finalmente troverò il video di Madaski al Roxy Bar.

You break my heart into a thousand pieces and you say it’s because I deserve better?

Dicono che internet sia un posto giovane, ma in realtà non lo é più di quanto lo sia Gessate. Come nella “vita vera” alla fine tendi a circondarti di tuoi simili, al più sgrammato di alcuni dei paletti dettati dalla quotidianità, finendo a leggere e frequentare posti da quarantenne conscio che i giovani veri, grazie a Dio, stiano da altre parti a mangiare le pastiglie della lavastoviglie.
Con questo bias gigante sulla schiena ti trovi, anno domini 2018, a constatare che cose come la morte della cantante dei Cranberries o il ventennale di Dawson’s Creek abbiano una rilevanza reale nel tuo intorno digitale e per qualche secondo il tuo subconscio ti sinsiga con pensieri tipo: “Hai visto? Avevamo ragione noi! Il mondo lo ha capito!”. E tu, ovviamente, lì per lì ci credi.
#Einvece il mondo non ha capito proprio un bel niente, siamo solo noi (cit.) che proviamo a darci man forte gli uni con gli altri nel tentativo di dimostrare qualcosa di non richiesto e non necessario, esattamente come fosse il 1998.
Come in tutte le cose, il punto non è mai avere ragione, ma solo quanto si tenga al fatto che altri lo riconoscano. Nel mio caso, in media, tantissimo.

Le operazioni nostalgia sono da sempre una roba che fa presa, sul sottoscritto. Di solito quando iniziano è perché hai scollinato i migliori anni, ma per quel che mi riguarda posso tranquillamente dire di essere stato nostalgico da sempre. E di non essere il solo. Due esempi.
1) Una delle band che ho amato di più al liceo aveva nel demo un pezzo intitolato “13“. Gente di neanche vent’anni che rimpiangeva i bei tempi in cui ne aveva 13. Giuro. Pezzo incredibile, tra l’altro.
2) In compagnia da me tra i sedici e i diciotto anni il pezzo singalong che metteva sistematicamente tutti d’accordo era “Gli Anni”, del sommo poeta col nome di una moto.
La nostalgia è un vortice e ci siamo dentro tutti, grandi e piccini, ognuno coi propri riferimenti. Scrivere di anniversari su un blog è solo un altro tentativo di dar sfogo a questa necessità. Per qualcuno magari è una moda, per me forse la roba più naturale da fare quando apro la pagina di wordpress e decido di scriverci dentro.
Quindi adesso butto giù un pezzo su Dawson’s Creek.

Accento Svedese ha classificato gli anni ’90 come il periodo che va dalla cerimonia di apertura delle olimpiadi del ’92 fino al tragicamente noto undici settembre 2001 (ref.). Ovviamente ha ragione lui, ma nella mia testa più che di un decennio vero e proprio si parla del periodo a cavallo del Millennium Bug, da qualche anno prima a qualche anno dopo. Per la precisione, gli anni in cui è andato in onda Dawson’s Creek.
Coincidenze?
Beh, sì. Però è un fatto, gli anni prima e gli anni dopo non riesco ad associarli alla stessa epoca. DC ha scandito lo scorrere dei miei anni novanta senza necessariamente raccontarli, semplicemente coincidendoci.
Leggendo in giro dell’anniversario ho pensato di riguardarmi il pilota come puro atto celebrativo. Ora sono al quarto settimo episodio e non ho minimamente intenzione di smetterla. C’è qualcosa di difficilmente spiegabile in DC, parte la sigla (che nella prima stagione non è I don’t want to wait) e SBAM, sono a casa. Senza un senso, tra l’altro. Non ci può essere empatia per finti ragazzini che parlano di vela e Spielberg, per un contesto in cui il figo che arriva in città rapisce il cuore delle giovani suonando un cazzo di violino sul molo al chiarore della luna. È una roba ai limiti del fantasy. È come pretendere di avere Il Signore degli Anelli come proprio romanzo di formazione generazionale. Io non ricordo come fosse Beverly Hills 90210, ero davvero troppo piccolo per trovarci qualcosa più che i primi scossoni ormonali innescati da Kelly Taylor e la sua ciuffa improponibile, però dubito avesse dialoghi come quelli di DC. Nel terzo episodio Dawson dice a Jen una roba tipo “Rendiamo magica un’ora” per invitarla a beccarsi dopo scuola. La soglia del ridicolo superata in Fosbury.

Ci sono tantissime robe che da ragazzo ti appassionano, ma che riprese in mano da adulti si mostrano appunto ridicole. Ad alcune ripensi con imbarazzo, tipo lo ska, altre le rimuovi. Ognuno poi ha quei due o tre scheletri che preferisce lasciare sepolti nella memoria e che ha paura di andare a ripescare per evitare di farci i conti. Io, per dire, ho avuto questo rapporto con Jack Frusciante è uscito dal gruppo, salvo poi prendere il coraggio a due mani e constatare fosse una paranoia inutile.
Questo discorso non vale per DC.
Ho il ricordo nitido del fatto che lo guardassimo per riderne anche allora. Nessuno prendeva sul serio le storie di Capeside, ma non ne perdevamo mezza. Facevamo addirittura sporadici gruppi di ascolto ed era una roba così distante da ognuno di noi da essere paradossalmente iper inclusiva, diventando iconica.
Ho in testa questo speciale sui No Doubt andato in onda su TMC2 in cui Gwen Stefani diceva avessero proposto alla band di suonare in un episodio di Beverly Hills 90210 e loro avessero detto no, per ragioni che parafrasate avevano a che fare col concetto di sputtanarsi. Grossomodo dieci anni dopo un concerto dei No Doubt finisce al centro di uno degli episodi di Dawson’s Creek. Possiamo certamente dire che a quel punto per Gwen e soci sputtanarsi non fosse più un problema, ma in fondo credo c’entri di più il fatto che DC avesse anche per loro un peso specifico diverso e quindi avesse senso esserci, anche solo per fare dei distinguo.

La domanda ora è: cosa resta oggi di Dawson’s Creek?
Basta guardare i primi quaranta minuti per restare nuovamente folgorati e capire come lo show abbia ribaltato in toto il linguaggio con cui la TV si prefiggeva di parlare ai giovani. I concetti erano gli stessi di sempre, ma esposti in modo completamente nuovo. Qualche tempo fa mi sono ascoltato la puntata dedicata ai Teen Drama di Pilota, un podcast sulle serie TV fatto da gente che ne capisce certamente più di me. Non ricordo i contenuti nello specifico, ma ho chiaro in mente di aver pensato stessero affrontando l’argomento senza rendere i dovuti meriti, credo solo perché DC non ha mai avuto la fama di Beverly Hills né l’hipsterismo ante litteram di OC (potrei risentire per essere più preciso, ma ho un problema serio con i podcast e dopo pochi minuti la sensazione di origliare discussioni altrui mi diventa intollerabile).
Parlando di me invece, superata l’eccitazione del rivedere le camicie di Pacey, i personaggi con le t-shirt oversize e la bellezza abbacinante di Katie Holmes, restano le vicende di un gruppo di persone a cui sono rimasto legato come mi è successo per pochissime altre serie TV, anche qualitativamente molto superiori.
Le storie di Capeside, come quelle di Scrubs e recentemente di Weeds, mi hanno lasciato un piccolo buco nel cuore.
Poi c’è la colonna sonora, perfetta sempre nel suo essere completamente anonima. Tonnellate di rock radiofonico senza identità che però cementano la storia nel suo tempo. Ciò nonostante, ci sono almeno due momenti musicali di Dawson’s Creek impressi nella mia testa, “That I would be good” di Alanis Morrisette e “Baba O’Riley“degli Who. Una bella botta di pelle d’oca anche solo a ricercarle su youtube.

Chiudo il pezzo rimarcando il proposito di proseguire il mio rewatch quindi, in attesa dei momenti migliori, che poi son tutti legati al personaggio di Joshua Jackson: dalla storia con Andie (stagione 2) all’ascesa (stagione 3) e caduta (stagione 4) del suo rapporto con Joey.
Il titolo del pezzo è preso da un dialogo tra Pacey e Joey, quando lui decide di lasciarla appena prima del ballo dell’ultimo anno.
Un irripetibile manifesto emo.

PS: non ho resistito e ho fatto una ricerca sul blog. A tema Dawson’s Creek ci sono un paio di pezzi datati 2005 e 2006.
Non li rileggo manco se mi ammazzate.