In questa settimana ho avuto (e ho tutt’ora) il COVID. Di conseguenza sono bloccato in casa, al confino da familiari e relazioni, e mi ritrovo con porzioni ampie di giornata senza nulla da fare.
Eppure non ho ancora visto un singolo secondo di questi Mondiali.
L’idea da qui in poi è ragionare sul perché, senza (spero) scadere in paternalismi o volermi dare pose da attivista di questo e quell’altro cazzo.
In primo luogo tocca dire che se l’Italia si fosse qualificata, io i mondiali li starei guardando eccome.
Non sono un tifoso sfegatato di calcio. Seguo il Milan volentieri, ma di massima non organizzo il weekend in base a quando c’è la partita. Mi capita di farlo giusto col derby o le sfide di cartello, ma perché quelle se riesco le guardo con qualche amico e diventa soprattutto una scusa per bere una roba insieme. Coinvolgimento moderato, diciamo, e soprattutto molto correlato ai risultati. Se il Milan compete mi piace star dietro alla corsa e tifare perché ce la faccia, se non compete chissenefrega.
Con la Nazionale però è molto diverso. La Nazionale la seguo sempre con tantissimo trasporto e le sue vittorie sono probabilmente le gioie calcistiche più grandi ed esplosive della mia vita. Niente come il mondiale 2006, neanche la Champions vinta contro Inter e Juve. Nel bene e nel male eh, quindi anche niente come la finale degli Europei 2000 persa al golden gol, per me. Neppure Isanbul.
Mio figlio stesso ha iniziato a “seguire il calcio” con gli Europei 2021, non credo sia un caso.
Questa passione viscerale per la Nazionale ce l’ho sempre avuta e credo nasca dal fatto che fin da piccolo ho visto gente (fortunatamente fuori casa) litigare per il pallone, trovandolo stupido. Di conseguenza, per me era bello che la Nazionale ci mettesse tutti dalla stessa parte, a bestemmiare e/o gioire compatti.
Devo però anche dire che la cosa si è radicalizzata con l’esperienza di vita all’estero, in Germania (non un estero qualsiasi, calcisticamente parlando), e i successivi anni spesi a lavorare a stretto contatto con stranieri. Leggo sempre in giro che gli stereotipi sulle nazionalità siano falsi miti da superare, spesso dentro una retorica da “siamo tutti uguali” che ha certamente un fine positivo, ma che per me è indigeribile.
Non lo siamo.
Che i francesi siano arroganti o che i tedeschi siano rigidi non è falso. Sono estremizzazioni (forse) di differenze culturali reali e tangibili. Diventano un problema solo se pensiamo 1) di non avere difetti a nostra volta e 2) di essere gli unici legittimati ad avercela coi difetti altrui. Senza allargare ulteriormente il tiro di ‘sto post già abbastanza a maglie larghe, lo sport Nazionale, che sia il calcio o le Olimpiadi, per me è una bella valvola di sfogo per convogliare un certo senso di rivalsa e orgoglio Nazionale.
Che vivo e sento perché, ci crediate o meno, negli ambienti sociali ad alta istruzione (quindi elitari) che frequento io, essere italiani porta con sé un pregiudizio di inferiorità che tocca smantellare e che, purtroppo, lascia delle scorie che depurare col tifo è il meglio che possiamo chiedere.
Tutto questo per dire che con l’Italia io il mondiale lo avrei seguito e, quindi, che non ha molto senso parlare di boicottaggio quando non si partecipa a qualcosa che non ci interessa, senza una vera rinuncia di principio dietro.
Certo, potrei comunque guardare le altre partite, ma credo si evinca per me il calcio non sia uno sport particolarmente godibile senza la componente emotiva. Posso apprezzare una bella partita anche se non gioca una squadra che mi interessa, ovviamente, ma per il mio concetto di “bella partita” direi che si tratta di casi molto sporadici.
Però.
Però è indubbio che questo mondiale in Qatar porti alla luce il peggio di tutto quello che ruota attorno al calcio, che poi è quello che ruota attorno anche a tutto il resto: i soldi.
In una società guidata dai soldi, in ogni ambito, ci capita di avere queste epifanie in cui realizziamo che il principio non collima con i valori dello sport. Oppure, che se le istituzioni a cui guardiamo e da cui ci facciamo rappresentare non mettono dei paletti, ci sarà sempre qualcuno pronto a portare la legge dei soldi oltre i nostri limiti etici e morali, senza che noi ci si possa fare poi molto se non pretendere di più dalle istituzioni di cui sopra.
Andando al punto (finalmente, se dio vuole) in Qatar ci sono due aspetti.
Uno è quello relativo alla parte gestionale, la costruzione degli stadi tramite schiavitù (perché quello è) con annessa caterva di morti che si è portata appresso. Questa è una cosa che la FIFA aveva il dovere di osteggiare, in sede organizzativa, chiedendo garanzie diverse e mettendo vincoli. Vigilando. Possiamo dirci: “Eh, a nessuno è fregato nulla fino a ieri!”, ma non è che tutti abbiano il dovere di avere sul radar la questione. Quel dovere ce l’aveva la FIFA e non ha fatto niente.
Il secondo aspetto è quello dei diritti umani e civili, legato alla situazione politica e religiosa del Qatar.
Secondo me portare un evento mondiale in un Paese con quel tipo di gestione è positivo, perché solo mettendoli più in contatto con il resto del mondo potranno vedere cosa c’è fuori, fare dei bilanci, ed eventualmente prendere coscienza dei problemi che hanno.
L’inclusione è sempre l’unica via, perché spinge al confronto e dal confronto si impara tutti (a lungo andare).
Quindi, se lo chiedete a me, chi davvero ha a cuore mettere sul radar dell’opinione pubblica i problemi che derivano da un governo che non rispetta diritti umani e civili e ha la possibilità di prendere parte a questo carrozzone dovrebbe farlo e trovare il modo di mandare un segnale. Quale che sia. Perchè quel segnale arriverà anche a chi il problema lo ignora o non lo vede. Tirandosi fuori invece il messaggio lo si manda a chi è già consapevole ed è una cosa che ho sempre l’impressione si faccia più per se stessi che per la causa.
Aggiungo però che chi ci va, ai miei occhi, ha il dovere di porsi in merito alla questione e se decide di non farlo sta assumendo comunque una posizione politica chiara, legittima e, proprio per questo, ingiustificabile.
In tal senso chiudo citando l’editoriale di apertura di Rai Sport.
Al netto del testo, sicuramente perfettibile, mi è sembrata la posizione giusta da tenere da parte del Servizio Pubblico, che ha il dovere di esserci e di raccontare un evento di questo tipo, ma senza nascondersi e, anzi, mettendo i problemi sul radar di chi questo mondiale lo sta seguendo nonostante tutto. Un audience probabilmente meno incline a riflettere sul peso di certe problematiche e che quindi dovrebbe essere la prima a cui puntare se si ritiene che, invece, queste problematiche debbano essere nella testa di tutti.
Attivismo, secondo me, vuol dire questo.
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