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Giugno 2022

I vent’anni di un (altro) disco

Scrivere del ventennale dei dischi è una roba che non mi risulta si faccia più. Probabilmente il motivo è che quelli bravi, quelli che hanno incominciato a farlo, hanno esaurito i ventennali che gli interessavano ormai diversi anni orsono.
Vecchi di merda.
Io invece di dischi della vita che fanno vent’anni nel presente ne ho ancora tantissimi.
Un paio di mesi fa è stato il turno di Tell all your friends e avevo anche messo giù 3/4 di pezzo con l’idea di mandarlo a Spento, ma prima che lo finissi Marco mi ha scoopato, come si dice in gergo, e ho desistito dal finire la mia lagna da X-mila battute.
Tempo dopo è stato il turno del S/T dei Box Car Racer. Anche lì avevo pensato di mettermici e dire due robe, ma poi non lo avevo fatto, neanche ricordo perché. Probabilmente sarebbe stato un post con la centomilionesima versione sempre uguale del mio rapporto con Tom Delonge, quindi a conti fatti meglio così. Per tutti.

Due giorni fa però ho scoperto da Twitter essere il ventennale di un altro disco e questa volta non è proprio cosa lasciar correre, per me.
Il disco è questo qui:

Ai The Used io ci sono arrivato da Munnezza, una webzine/forum che ho citato mille volte qui sopra. Erano i primi anni di internet, per me, di conseguenza i primi tempi in cui riuscissi ad uscire dalla mia bolla provinciale per aprirmi ad ascolti nuovi, non necessariamente buoni. Allora avevo l’approccio al mezzo che i boomer hanno avuto negli anni ’80 con la TV e che oggi hanno con Facebook: se è scritto in una recensione online, deve essere vero. Also: chi scrive una recensione online deve essere un* che ne capisce. Solo anni dopo ho realizzato che probabilmente su quella webzine, come su tante altre, scrivessero più che altro ragazzini come me, al massimo più convinti di essere ‘sto cazzo (ma neanche sempre), però sto tergiversando.
Quando ho iniziato a bazzicare quel sito dei The Used si faceva un gran parlare. Era appena uscito il loro secondo disco e il mood generale era che la stagione di tutta quella roba lì fosse ormai finita. Dopo aver tessuto lodi sperticate per grossomodo qualsiasi cosa uscita tra il 2002 e il 2004, nel 2005 era diventato tutto una merda. Il nuovo avanzava, toccava girare pagina.
Io, però, ero come sempre in ritardo.
Andando a memoria, sul sito non c’erano le recensioni dei dischi considerati buoni di questa ondata nu-emocore di inizio millennio, venivano solo citate le band come riferimento in recensioni più recenti e spesso negative. Idem sul forum, dove chiedere dettagli su questa roba era il viatico preferenziale al ricevere insulti.
Alla fine quindi avevo scaricato un po’ di cose e, come probabilmente è giusto che sia, mi ero messo sotto a fare una cernita da solo. Si trattava di scavare in una montagna fumante di letame, lo riconosco, però mentirei se dicessi di non averci cavato un ragno dal buco. Anzi. Chiaramente non ci si poteva aspettare la qualità dei Q and not U, non so bene perché feticcio di moltissimi capiscers dell’epoca, ma se c’è una cosa su cui sono arrivato in anticipo rispetto a Boris e ai successivi meme è che la qualità ha rotto il cazzo, quindi bene così.
Tutto questo per dire che era il 2005, io stavo prendendo il “sole” sdraiato su una “spiaggia” irlandese con alcuni amici ed ero in uno stato di dormiveglia. Avevo probabilmente sentito tutto The Used senza farci un gran caso, mezzo rincoglionito, e di massima era quella situazione in cui il disco viaggia sulla strada buona per farsi dimenticare. Non so se vi capiti mai.
Ci sono dischi che ascolti fin dalla prima volta con attenzione, interessato a farti un’opinione corretta, e altri che invece piazzi in cuffia solo per riempire il silenzio e vedere se ce la fanno a farsi notare, a sconfiggere la nostra indifferenza mista a mancanza di aspettative.
The Used, con me, ce l’ha fatta in zona cesarini.
Pieces Mended è l’ultima traccia del disco e ricordo come fosse ieri che riuscì a destarmi da quel torpore vacanziero e scazzato e farmi di colpo tornare presente all’ascolto del disco. E poi farmelo rimettere da capo.
Negli anni credo di aver ascoltato tanti dischi il cui fulcro sta nella sofferenza, sia questa reale o posticcia, ma ancora oggi il senso di angoscia e disagio che mi trasmette Berth su Poetic Tragedy non ha pari. Non ho idea di cosa parli il pezzo, non mi è mai interessato approfondire. Per me è e rimarrà il lamento di uno che non se la passa bene, da ascoltare quando anche io non me la passo bene. Perché alla fine di questo si parla: emozioni. Stati d’animo che la musica crea in noi, ma anche in cui noi vogliamo immergerci tramite la musica. Almeno per quel che mi riguarda.
Il disco è tutto bellissimo, lo ascolto ancora spesso senza necessità di urlare GUILTY PLEASURE sui social e sentirmi una persona meglio. Ogni volta che parte Say Days Ago testo la capacità dell’impianto/supporto con cui lo sto ascoltando e dei miei timpani, di conseguenza.
Sui social frequento un paio di gruppi revisionisti/revival in cui l’apprezzamento per certa roba è ormai sdoganato e si vive un clima bello di sincerità e non curanza che dovrebbe sempre stare alla base del dibattito musicale. Chi scriveva su Munnezza oggi probabilmente si divide tra il darsi una posa su twitter (no link needed, you know who you are) e bazzicare gli stessi gruppi che bazzico io, ma in incognito. Buon per loro, c’è sempre da venire a patti con la propria autostima e se questo è il modo, bene così.
Io, di mio, ho fatto pace coi miei gusti troppo tempo fa per star dietro alla scena.

The great COVID Test swindle

Lo so, parlare di tamponi COVID è una roba fuori tempo massimo, ma in questi giorni ho scoperto come funzionano davvero e sono rimasto abbastanza folgorato perché, di massima, sono una truffa.
Due premesse:
1) mi riferisco SOLO ai tamponi rapidi fai da te, quelli che in 15′ ti danno un risultato.
2) quello che sto per spiegare è con ogni probabilità già noto a chiunque, ma io l’ho scoperto solo ora perché avendo una formazione scientifica davo per scontato funzionassero in maniera diversa. Diciamo attendibile. Quindi lo scopo qui non è darvi chissà quale rivelazione, ma spiegarvi perché sono un sistema insensato per l’uso che se ne è fatto.

Partiamo dalle basi: come funzionano questi tamponi?
Sono certo che chiunque ne abbia fatto almeno uno nell’ultimo anno, ma facciamo le cose a modino e mettiamo un piccolo sunto.
Si prende il tampone, lo si caccia in ambo le narici, quindi lo si immerge in una soluzione per qualche secondo prima di versare alcune gocce della soluzione stessa sul test. A quel punto la soluzione bagna una membrana e compaiono delle bande: quella di controllo (C) e quella del test vero e proprio (T). Se compaiono entrambe si è positivi, se compare solo C negativi e se non compare nulla il test non è valido e andrebbe rifatto.
Facile e intuitivo.
La domanda che non mi ero mai posto però è: cosa controlla la banda di controllo?

Qui è dove subentra il mio bias scientifico. Per me era indubbio C fosse data da una reazione di controllo con un antigene presente nella mucosa nasale, che per semplicità chiamerò col nome di fantasia CACCOLA. Metti il tampone nel naso e, ravanando, raccogli sicuramente CACCOLA e, se c’è, anche COVID. Quindi quando poi fai il test la banda C verifica che tutto sia andato per il verso giusto: non solo che il test abbia funzionato, ma che tu abbia effettivamente raccolto il campione. La tua mucosa può essere con o senza COVID, ma deve per forza avere CACCOLA.
In questo modo il controllo è un reale controllo sperimentale e il test ha tre risultati netti e chiari:
– Nessuna banda. Devi rifare il test perché o non ha funzionato, oppure non hai raccolto il campione come si deve. In ambo i casi non è possibile determinare un risultato.
– Solo la banda C. Hai fatto le cose per bene, il campione è stato raccolto, ma non contiene antigene COVID. Sei negativo e puoi gioire.
– Doppia banda C+T: ce l’hai nel culo hai fatto le cose per bene e purtroppo sei positivo.
Tutto chiaro?
Perfetto, solo che non funziona così.

Con mio sommo stupore, la banda C in realtà è unicamente correlata al corretto funzionamento della membrana, quel che penso si possa definire un “controllo strumentale”. In pratica ti dice solo che il test non è difettoso e, di conseguenza, compare sempre. Anche se il tampone nel naso non ce lo metti, per dire.
Attenzione però, il mio punto qui non è tirarvi un pippone protogrillino sull’onestah e menate del genere (so di aver scritto truffa ad inizio post, ma era solo per spingervi a leggere), la questione è un’altra. Farsi un tampone nasale in maniera accurata, o anche farlo a terzi, è un’operazione difficile. Il rischio di non essere sufficientemente invasivi è tutt’altro che remoto, al netto della malafede, perché ci si scontra da un lato con il fastidio/dolore e dall’altro con la non competenza nel farlo non essendo stati formati allo scopo.
Di conseguenza un tampone costruito in questa maniera è ok(ish) se ne vincoli l’utilizzo in farmacia o comunque in mano a personale specializzato, perchè il rischio di mancata raccolta del campione scende drasticamente, ma diventa completamente folle se viene messo in mano al pubblico. Perchè è vero che questi tamponi non hanno mai avuto valore legale (passatemi la semplificazione), ma tantissime persone li hanno usati per determinare se, in presenza di sintomi, fosse davvero necessario sentire il medico e farsi un tampone serio. 
Non è un’accusa eh, il tutto è stato gestito proprio per spingere ad un approccio del genere, ma di nuovo al netto della malafede in questo modo abbiamo lavorato contro il contenimento per un sacco di tempo, lasciando che persone ignare di essersi fatte un tampone male andassero in giro convinte di essere sane come pesci.
Anche perchè, non bastasse, sono tamponi molto biricchini in cui la banda del controllo appare quasi immediatamente, mentre quella della positività può impiegare fino a 15′. Quindi in tantissimi casi scommetto che alla comparsa della prima banda sia susseguita un’esultanza unita al lancio del test nel cestino, con buona pace dei 14′ restanti e dell’effettiva validità del risultato.
Ricapitolando, quindi, abbiamo messo in mano alle persone dei tamponi:
– Poco sensibili
– Difficili da interpretare in modo corretto (differenza di tempo nella comparsa delle due bande)
– Privi di un controllo sperimentale interno (il discorso su CACCOLA di cui sopra)
E abbiamo detto loro di usarli come strumento contenitivo della pandemia.
Alla luce di questa cosa, l’ondata di contagi a cavallo tra 2021 e 2022 mi pare pure piccola.

Ultimo paragrafetto un po’ nerdy per chi fosse arrivato fin qui: perchè non hanno fatto i tamponi con un controllo come quello che pensavi tu?
Non posso garantirlo, ma credo sia una questione di costi. Non lavoro nel settore quindi vado preso molto con le pinze in quanto segue, ma è facile ipotizzare che produrre una membrana in cui anche il controllo è relativo ad una reazione antigenica costi probabilmente il doppio. Senza contare i costi di sviluppo e ricerca per arrivare a creare un test di quel tipo. Quindi sarebbe stato probabilmente possibile farli così, ma certamente non sarebbe stato conveniente. Il problema però, a costo di ripetermi, subentra più che altro quando metti in mano lo strumento al pubblico, cosa che è avvenuta ben dopo lo sviluppo della tecnologia.
Quindi, se lo chiedete a me, avrebbe dovuto pensarci la politica ad arginare il problema. Poi certo, andrebbero fatte analisi approfondite di costo-beneficio (ad esempio: senza i test rapidi in casa quanto avremmo incasinato le farmacie e gli ospedali più di quanto non si sia già fatto? Probabilmente tantissimo.), però siamo ad un livello ulteriore di analisi. Forse per contenere quel problema si sarebbe dovuto pensare ad una soluzione diversa dal liberalizzare uno strumento evidentemente incompatibile con l’utilizzo casalingo.
Avremmo potuto fare tante cose meglio, nella gestione di questa pandemia, ma ho l’impressione che in certi casi non ci si sia neanche resi conto di aver sbagliato e questo è uno di quei casi.


Questo post nasce dalla segnalazione di un amico che citerò col nome inventato di Davide, reo di avermi messo di fronte al problema. Grazie Davide, spero un giorno tu esca da questa tua dipendenza da tampone e possa tornare ad una vita felice e spensierata.

Breve storia triste

Ad inizio Aprile escono le date del tour europeo degli Spanish Love Songs, dove con Europeo si intende Uk e Prussia.
Io sono in una fase piuttosto positiva della mia esistenza: ho tre dosi di vaccino e mi sono appena fatto il COVID, quindi vivo in questa convinzione per cui nulla potrebbe più fermarmi sulla strada del ritorno alla normalità. Ho già comprato il biglietto per il concerto di Dargen e quello per vedere Louis CK all’Arcomboldi, ma penso di poter fare ancora di più, così butto un occhio al calendario, litigo a dovere con mia moglie e decido di incasinare il ponte del 2 Giugno a tutta la famiglia comprando il biglietto della prima data del tour a Londra.
In quelle date c’è il giubileo della Regina, quindi mi prendo qualche ora per mettere giù un piano d’azione che possa funzionare al meglio per tempi, spazi e costi.
1) Mi prendo un volo ottimizzato: arrivo a Londra alle 12:15 del giorno del concerto e ripartenza alle 7:15 del giorno seguente, minimizzando la permanenza su suolo inglese.
2) L’aeroporto è Stansted e siccome arrivarci è un inferno, la distanza è tanta e i pullman oltre ad essere cari non offrono garanzie sull’orario per il ritorno al terminal sia che scelga di andarci dopo il concerto, sia che opti per la mattina seguente, noleggio una macchina.
3) Trovo un piccolo ostello a 600 metri dal locale del concerto (The Dome) con parcheggio gratuito in loco.
A questo punto la logistica sembra davvero perfetta: arrivo, guido fino all’ostello, butto la macchina, faccio un giro in centro fino all’ora del live, vado al concerto, torno in ostello a piedi, dormo e all’alba parto per rientrare all’aeroporto.
Preciso.
Ho anche valutato di portare tutta la famiglia a Londra per tre giorni, ma tra brexit, giubileo e il fatto che Londra è pur sempre Londra veniva a costare una fucilata. Troppo. Molto meglio così.
Sono discretamente gasato perchè è una roba che mette insieme un po’ tutto. C’è il concerto, tra l’altro di quello che è il gruppo che sto ascoltando di più da sei mesi a questa parte, c’è il viaggio, c’è questo mood supergiovane del “vado a sentirli a Londra”.
La fotta, insomma.

Fino a ieri.

 

 
 
 
 
 
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Alla fine ho disdetto albergo e macchina senza costi.
Il biglietto aereo è perso, ovviamente, mentre son stati super rapidi a rimborsare il biglietto del concerto.
Se dicessi che il problema è averci perso dei soldi, tuttavia, mentirei.