Parliamo di Natura Sì
Partiamo dai fatti: la catena di supermercati Natura Sì ha deciso di pagare i tamponi per i dipendenti non vaccinati che necessiteranno il green pass per lavorare (ref.).
La decisione ha suscitato reazioni forti in tante persone, che possiamo riassumere usando questo tweet di Burioni.
Questi, appunto, i fatti.
La mia opinione in merito è che Natura Sì ha deciso di colmare a proprie spese un vuoto legislativo, tutelando i propri lavoratori e questa è una cosa bella.
Qual è infatti la situazione attuale nel nostro Paese? Riassumiamola: lo Stato ha deciso di concedere libertà individuale in merito alla vaccinazione anti SARS-CoV-2, ma ha introdotto una serie cospicua di restrizioni a chi non possiede il Green Pass, ottenibile con la vaccinazione oppure sottoponendosi ad un tampone (ref.). Queste limitazioni includono l’impossibilità di recarsi sul posto di lavoro con conseguente sospensione dello stipendio (ref.). Un lavoratore che, nel pieno del proprio diritto, sceglie di non vaccinarsi dovrà quindi decidere se perdere parte dello stipendio rimanendo a casa oppure perderla pagandosi i tamponi. In questo scenario, Natura Sì ha semplicemente deciso di coprire parte di queste spese permettendo ai propri dipendenti non vaccinati di continuare a lavorare.
Qui faccio una pausa, così chi si è incazzato leggendo questa prima parte può prendersi del tempo per insultarmi e darmi del No Vax prima di leggere le argomentazioni successive (oppure no e tenersi l’opinione che si è fatto, non ci perderò il sonno).
Le ragioni che spingono Natura Sì a fare questa cosa probabilmente sono deprecabili. Non ho la possibilità di sapere con certezza le basi su cui hanno costruito questa decisione, può essere per una ricerca di mercato volta a collocare meglio il brand in una certa fetta di popolazione (chi non si fida di Big Pharma probabilmente è più propenso a comprare bio) o per una mossa di marketing che faccia girare il nome sulle prime pagine dei giornali. Forse il CDA del gruppo è composto da persone con una ferrea e radicata avversione ai vaccini o magari hanno fatto un banale conto della serva per cui spenderanno in tamponi meno di quanto gli costerebbe avere parte dei dipendenti a casa. Potrebbe essere un mix di tutte queste cose come nessuna. Non lo so.
Quello che so è che nella mia personalissima scala di valori, il lavoro è un diritto e una scelta non è davvero tale se solo una delle opzioni mi consente di arrivare alla fine del mese con il cibo in tavola. Il Green Pass è una manovra ipocrita fatta da una classe dirigente che si rifiuta di fare il proprio lavoro (governare) ogni qual volta ne ha l’occasione, nascondendosi dietro provvedimenti subdoli. La mia posizione sul GP è dal primo istante la stessa espressa da Barbero giorni fa.
Lo Stato inoltre, secondo me, non può e non deve permettersi di sbandierare delle libertà fittizie, mettendo poi nelle mani dei cittadini l’onere di far valere vincoli anche molto severi che le contrastano. Non andava bene quando suggeriva di denunciare i vicini che si trovavano in più di sei in casa l’anno scorso e va ancora meno bene oggi quando chiede agli esercenti o ai datori di lavoro di far valere restrizioni severe che, oltre a mettere i cittadini gli uni contro gli altri, generano oltretutto un evidente conflitto di interessi.
Lo Stato ha tutti gli strumenti per valutare la situazione sanitaria e decidere se la vaccinazione spontanea sia sufficiente a garantire sicurezza. Se non lo è, serve l’obbligo vaccinale. Non è complicato, è lo stesso calcolo alla base dei semafori: lo Stato valuta insufficiente la capacità degli italiani di fermarsi spontaneamente agli incroci per evitare incidenti e quindi ci obbliga a farlo.
As simple as that.
C’è tuttavia un altro fenomeno da analizzare, portato alla luce dalla questione Natura Sì, ed è nuovamente un’amara riflessione su come abbiamo veicolato il valore della vaccinazione. Nelle aziende si parla di “value proposition”, la leva da utilizzare per vendere un prodotto al cliente, ciò che lo rende interessante/appetibile esplicitandone la necessità e, di conseguenza, innescando il processo di acquisto.
Ora, io non sono esattamente la Ferragni e di marketing capisco davvero il minimo necessario a fare il lavoro che faccio, ma la posizione commerciale di un vaccino arrivato dopo 10 mesi di chiusure, vita azzerata e paura collettiva sulla carta sarebbe dovuta essere la più comoda possibile già in partenza, per poi diventare addirittura inaffondabile alla luce del fatto che funziona e la gente ha smesso di morire. Le persone avrebbero dovuto essere ultra felici di vaccinarsi per il loro bene e, onestamente, guardando i numeri della campagna vaccinale è stato largamente così per una vasta maggioranza di cittadini.
Ciò nonostante, siamo riusciti a far passare il vaccino come “sacrificio necessario”, con tutte le implicazioni nefaste che questo comporta se dato in mano ad una popolazione generalmente più impegnata a guardare cosa fa quello della scrivania affianco piuttosto che concentrarsi su quanto debba fare lui. Di conseguenza, a nessuno più interessa il fatto che essersi vaccinati è in prima istanza un bene per noi stessi nè ci interessa che chi non lo ha fatto debba comunque sottoporsi a continui controlli per garantire la propria e la nostra sicurezza. No, dobbiamo accanirci, quindi immaginarceli costretti a non lavorare ci dà quel brivido di vendetta che tanto ci piace.
Non a caso, una delle sostenitrici della linea Burioni è la sempre presente Selvaggia Lucarelli, già da anni prima punta della squadra (ammicco) che mira a colpire i cattivi dove fa più male, ovvero mettendoli nei guai al lavoro. E’ un metodo fascista, non so come altro definirlo, e a me i metodi fascisti fanno tendenzialmente schifo anche quando usati su persone che hanno sbagliato, a prescindere dalla gravità del loro sbaglio. Mi fa quasi strano doverlo ribadire: l’obbiettivo è uno Stato che si occupi in prima persona di dettare le regole, farle rispettare e punire chi non le rispetta, scevro dalla spinta della vendetta o della ritorsione che umanamente muove noi semplici cittadini.
Chiudo con un’ultima nota, già che ho la vena pulsante, e proprio perchè dettata dalla foga del momento concedetemi la sua natura benaltrista.
In un anno e mezzo di emergenza COVID non ci è mai interessato boicottare le aziende che non garantissero la sicurezza sanitaria necessaria sul posto di lavoro, nè ci è interessato che lo Stato se ne occupasse. Non ci è mai interessato boicottare le aziende che si sono opposte al telelavoro pur non avendo esigenza nel riportare i dipendenti in uffici poco sicuri o comunque più proni al generare focolai. Non ci è mai neanche interessato boicottare le aziende che hanno usufruito degli ammortizzatori sociali derivati dal COVID in modo improprio, contribuendo ad impoverire uno Stato che già arranca nel sostegno di chi ha davvero sofferto l’inferno per l’intera pandemia.
In tutti questi casi il nostro sdegno non era necessario.
Che lo diventi ora, innescato da un’azienda che investe il proprio denaro per il benessere dei propri dipendenti senza intaccare in nessun modo la sicurezza dei propri clienti o del proprio personale, secondo me, è davvero un brutto segnale.
Un’altra occasione persa per uscirne migliori.