Oggi attacco la bozza direttamente al mattino, così evito di dimenticarmi come ieri.
Forse. Magari. Speriamo.
Nel post di oggi vi riporto un bello sfogo che ho trovato su twitter e che vi copio sotto per questioni di comodità. Potete leggere l’originale qui:
Piccolo sfogo. Avete rotto il cazzo [1]. Dovete esercitare l’empatia e riconoscere valore anche ai piccoli dolori, quelli quotidiani e insignificanti, quelli che non vanno in prima pagina, ma che sono inciampi per tutti e tutte.
Di fronte alla morte ed al dolore di questi mesi siamo tutti chiamati alla comprensione, all’esercizio del rispetto, alla cura dei comportamenti personali e collettivi. Ma questo non significa che io non possa essere dispiaciuto per altra cosa, meno importante. Invece no.
Ogni volta che qualcuno si dispiace per una situazione sicuramente marginale, ma comunque dolorosa, arriva sempre un “eh, ma i morti”. Avete rotto il cazzo [2]. Quel “eh, ma i morti” diluisce il dolore, minimizza tutto e tutti, avvilisce anche quei morti, quei lutti.
Se dico che mi dispiace che le scuole siano chiuse arriva puntuale un “eh ma i morti”. Che non significa nulla. Non esprimo valore sulla chiusura delle scuole, esprimo un mio sentimento. Che non minimizza il resto, ne rimane parallelo.
E come sentimento, il dispiacere personale bisogna accoglierlo, bisogna provare a capirlo, con una parola, con un gesto di vicinanza. Non bisogna ogni volta ridicolizzarlo, compararlo, renderlo minore in una gara del lutto più luttuoso. Avete rotto il cazzo [3].
Se qualcuno dice di essere dispiaciuto che non potrà vedere a Natale i propri cari, invece di rompere il cazzo [4] dovreste usare parole di comprensione. Perché quella persona pensa al dolore collettivo enorme che ci circonda, ma pensa anche al proprio minuscolo peso.
Siamo tutti colpiti e devastati dalle morti solitarie che incessantemente da 8 mesi affollano il quotidiano. Dei nostri cari e degli sconosciuti. E’ un pensiero costante, permeante, smisurato. Questa emergenza sanitaria ha riempito le nostre vite di un lutto costante.
Ne siamo tutti consapevoli, ne parliamo con rispetto, accogliamo tutte le misure che vengono prese (dobbiamo avere fiducia in chi decide), seguiamo le regole proprio per prenderci cura di tutti e tutte, usiamo il nostro comportamento come bandiera di solidarietà.
Ma a tutto questo si sovrappone la vita. Che non si ferma, va avanti con slanci e pause, con tutto il contorno degli errori, orrori e meraviglie. E con i nostri piccoli, minuscoli, insignificanti dispiaceri. Che esprimiamo come forma di cura personale, in parallelo al resto.
Non sapete che storie personali ci siano dietro un dispiacere, anche marginale. Quindi invece di rompere il cazzo [5] con il vostro “eh ma i morti” potete passare oltre. O se volete essere migliori potete accogliere anche i dolori minuscoli, farvene carico da esseri umani.
Altrimenti fate come quegli adulti che di fronte al dispiacere di un bambino o di un ragazzo usano frasi del cazzo [6] tipo “Fossero questi i problemi.”. Per quel bambino i problemi sono proprio quelli. E la vostra mancanza di empatia del cazzo [7] li moltiplica per cento.
Temo che non si sia capito cosa intendevo dire, ma sono un po’ stanco. Torno alla matematica che è rifugio ed esilio silenzioso.
(Mi scuso profondamente per aver usato in questo piccolo sfogo otto volte la parola cazzo [8], ma non sono riuscito a farne a meno.)
L’empatia è qualcosa di davvero difficile da trovare nel prossimo.
La vedo sempre più spesso brandita stile manganello sui social, in favore di questa o quella causa (tutte lodevoli eh, sia chiaro), da persone che poi dimostrano di esserne privi quando si arriva al doverla impiegare “nel quotidiano”, verso qualcuno che non rientra in quelle micro o macro categorie per cui provare empatia è più un modo di mettersi al collo una medaglia che non offrire comprensione e supporto a chi ne ha bisogno.
Sarebbe bello fossimo meglio di così.