ATTENZIONE: questo è uno di quei post in cui mi parlo addosso con lo scopo ultimo di cavar fuori una direzione al mio complicato modo di essere. Lo scrivo per lettori che non esistono, ma che ipotizzo eviterebbero volentieri di finire a leggere una cosa così senza preavviso.
La barzelletta di quello che guida contromano in tangenziale la conosciamo tutti:
+ La radio: “Avvistato un pazzo contromano in tangenziale…”
+ Uomo al volante: “Uno? A me sembrano tantissimi!”
Fa ridere.
Però io ci vivo dentro.
Il mio problema è che non sono matto a sufficienza da pensare di essere l’unico nel giusto, sempre e comunque, ma contemporaneamente non riesco a capire come faccia la maggioranza delle persone con cui interagisco a non vedere il mondo come lo vedo io. La testa, programmata per ragionare con logica, mi porta a pensare sia io quello sbagliato, eppure la stessa logica spesso non mi permette di trovare l’errore. E questo porta al crash del sistema.
Una canzone che mi piace dice:
Mio nonno
Per quasi settant’anni
È stato in minoranza
E sta benissimo!
È una bella frase e Dio solo sa quanto mi piacerebbe fosse applicabile alla mia vita. Purtroppo non è così: io la vivo male.
L’ultimo ambito in cui mi sto scontrando con le persone che frequento, da amici, a colleghi, a persone con cui in qualche modo interagisco online è la situazione relativa all’infezione da coronavirus che stiamo vivendo, ma è davvero solo un altro esempio di una routine in cui mi trovo a sedermi dal lato opposto della maggioranza dei miei conoscenti e investo ore nel tentativo di discuterne.
Vista da fuori è facile: è il profilo tipico di quello che gode nell’andare contro tutti, ma la realtà dei fatti (per lo meno a livello conscio) è esattamente all’opposto. Allora perché faccio così? Non lo so.
Di solito inizio a ragionare su un argomento a partire dagli elementi che ho in mano, costruendomi un’opinione che poi uso per dibattere col prossimo. Questo mi serve per approfondire, dare spessore al mio punto di vista ed irrobustirlo, oppure cambiarlo. Non so se sia cosí per tutti, ma per me funziona.
Ci sono volte (rare, imho) in cui però sono sufficientemente convinto di quanto sostengo da volerlo spiegare a tutti. Boh, forse è un retaggio evangelico della mia educazione cattolica, cazzo ne so. Il punto è che mi ci sbatto e quando fallisco di norma mi deprimo.
Il motivo ho provato a spiegarlo fuori contesto giorni fa su twitter:
In questi giorni sto rivalutando in negativo un botto di gente che stimavo.
È facile accanirsi con quelli che sono idioti sempre, perché è ovvio saranno idioti anche in situazioni particolari. Con quelli che stimi invece è doloroso perché ti senti un po' coglione pure tu.— Manq (@DrManq) February 28, 2020
Il problema infatti è che non mi metto mai a discutere con chi so a priori non possa farcela a seguire il discorso (a mio insindacabile e del tutto soggettivo giudizio), io punto solo su cavalli che stimo, gente che penso possa capire e che, se non arriverà a sposare la mia linea, nella mia testa lo farà argomentando in modo dettagliato ed univoco, fornendomi spunti di riflessione magari nuovi a cui non avevo pensato in partenza.
Quanto ci credo? Nel 100% dei casi.
Quanto succede? Non ho fatto un conto, ma la percezione sta intorno al 10-20%.
Eppure insisto.
Ogni cazzo di volta.
E così accumulo delusioni, amarezza e senso di inopportuno.
Sono le 2:49.
Questo post ho iniziato a scriverlo dopo essermi sfogato con quella santa di mia moglie, che alla 1:00 di tutto aveva voglia, tranne che di sentirsi vomitare addosso le mie menate esistenziali, soprattutto se derivanti dall’ennesima discussione su twitter con un estraneo.
Non sono per nulla convinto, razionalmente, di non essere io lo scemo del villaggio.
Eppure non riesco a prendere in considerazione la cosa e continuo a sentirmi come il tizio che corre sicuro di sé, contromano, in tangenziale.
Secondo me il tuo atteggiamento ti fa onore, Manq. Analizzare una situazione razionalmente e poi confrontarti con altri per esaminare, confutare, farsi confutare, convincere delle proprie idee e farsi convincere da quelle altrui. È un metodo praticamente socratico.
La cosa si infrange contro due aspetti principali:
– uno, moderno, è la sempre più generalizzata atrofia della capacità di dialogare separando il giudizio sulle proprie idee da quello su sé stessi. L’identificazione è così totale che a dire a uno che ti fa schifo, che so, la Juventus, è sufficiente a fargli pensare, se è juventino, che gli stai dicendo che ti fa schifo lui. Non è così, naturalmente, ma è quello che succede.
– un altro aspetto, non moderno ma ancestrale, è che la gente non ama farsi convincere, neppure dalle buone idee. Tutti sono convinti che la propria idea sia quella “giusta”, anche io e te. Ho citato Socrate, prima. Hai mai fatto caso a quante volte, nei dialoghi, Socrate “vince” una discussione? Praticamente mai. I suoi interlocutori se ne vanno prima, imbarazzati (Eutifrone) e a volte rimangono lì ed è lo stesso Socrate a mollare la spugna (Eutidemo).
Non so come aiutarti ad uscire fuori dal disagio di questa tua situazione. Non stiamo nemmeno parlando di discussioni fatte per piacere ma di un argomento sanitario su cui hai una maggior conoscenza di molti altri, quindi una maggiore preoccupazione, eppure finisce che ci fai una figura da Cassandra. Mi spiace davvero.
“Sustine abstine”, anche se immagino che non lo farai – e così il cerchio si chiude :)
Ehi Ste, intanto grazie del commento.
Un po’ perchè mi toglie quel senso di parlare esclusivamente al muro, un po’ perché quel che dici è molto vero.
La roba che a me spaventa seriamente è che con l’andare degli anni io mi stia irrigidendo sempre più e visto che ne ho (quasi) 39 e non 69, mi vedo proiettato in un futuro di misantropia che mi fa orrore.
Forse è il caso di farmi vedere.