Voglio bene a Kris Roe, ma lo prenderei a sberle.
Arriviamo all’HT Factory intorno alle 21.15 forti del fatto che l’evento FB riporta l’inizio del set degli Slimboy per le 21.30. Nel locale, oltre a noi, conto dieci persone.
L’ultima volta che Kris Roe è passato dall’Italia, un paio di anni fa, gli ho dato buca. Credo sia stata l’unica volta dal 1998. Il motivo è che ormai vederlo dal vivo è uno spettacolo piuttosto impietoso e non c’è stata occasione negli ultimi dieci anni (almeno) in cui non mi sia ritrovato a fine concerto a bestemmiargli contro. A volte per la scaletta, altre per la mosceria o per la mancanza di voglia, spesso per un mix delle tre cose.
Qualche mese fa ho attraversato una fase di pesante ritorno ai dischi degli Ataris, spinto dalla necessità di scrivere un pezzo sui vent’anni di Blue Skyes che poi è uscito prima dell’anniversario e sotto tutta un’altra forma (si può leggere qui ed è un bel pezzo, cosa che non mi capita di dire spesso parlando di cose scritte da me).
Nello scrivere quella roba ho anche affrontato un dibattito interiore piuttosto forte il cui risultato è stato essermi sentito una merda per non essere andato a quel concerto di due anni fa. Non mi dilungherò su queste mie menate, la premessa serve solo a spiegare perché io abbia deciso che ieri sera ci sarei stato no matter what. Come dicevo in apertura, ad averlo pensato siamo stati pochi.
La cosa mi prende male.
Indipendentemente dal valore che io do alla sua musica (spropositato), l’idea che un tipo di 42 anni giri l’europa con la chitarra per suonare di fronte a 30 persone mi fa davvero tutto il dispiacere possibile. Sono momenti in cui vorrei andare in camerino e abbracciarlo. Dirgli che mi dispiace, che non se lo merita.
Sono tipo le 23 quando sale sul palco, un’ora più tardi dell’orario indicato sulla pagina dell’evento. Col senno del Poi han provato a tirare lunghi per raccogliere qualche persona in più, compresi quelli che speravano di arrivare a concerto finito per fare serata. Ci mette una decina di minuti a mettersi a posto col fonico: luci, suoni, ritorni in spia. Tutto per una cosa che, a tutti gli effetti, non ha differenze dalle serate in spiaggia con la chitarra intorno al fuoco se non al massimo che qui nessuno vuole limonare. Finito sto teatrino, saluta e dice di avere non solo la bronchite, ma anche un’intossicazione alimentare.
Da tre giorni sta malissimo e non sa quanto potrà suonare, dice.
Voleva annullare la data, ma all’ultimo ha deciso di provarci comunque, dice.
Probabilmente intascarsi il cachet per suonare 20 minuti é più furbo, dico.
Suona dodici pezzi: In this diary, Unopened letter, Saddest song, Summer ’79, SLA, My hotel Year, San Dimas, YBS e 1*15*96. Più tre cover, tra cui ovviamente Boys of Summer.
Scopro oggi che la sera prima a Bologna era andata meglio. Forse c’era più gente e questo lo faceva sentire meno malato. Un po’ lo capisco eh, ma un po’ di più vaffanculo.
La roba che mi sconvolge di più peró è un’altra.
Quanta poca stima per la tua musica devi avere per girare l’Europa chitarra in spalla e poi usare il 25% della scaletta per fare cover?
Magari tutte le altre date ha fatto sold out, non lo so, ma a Milano saranno 10 anni buoni che a vederlo ci vanno una manciata di irriducibili nostalgici e ancora pensa che sia gente che ci va per sentire Boys of Summer. Come può non rendersi conto che il pubblico del grande successo, quello di MTV e di So Long Astoria, non lo caga più da quindici anni?
Kris, mannaggia i preti, è vero che non stai bene, ma il problema ce l’hai in testa, altro che stomaco e bronchi.
Sei l’incarnazione del disagio e vederti così mi fa davvero male. Quando mi ascolto i tuoi pezzi ancora oggi mi si attorciglia lo stomaco intorno al cuore, non reggo all’idea di oscillare tra tenerezza e compassione ogni volta che ti incontro di persona. Diobuono riprenditi. A 42 anni ancora vuoi fare il musicista? Fallo. Scrivi dei pezzi, trova altri tre true believers e vai in giro a suonare la tua cazzo di musica.
Non può andare peggio di così.
Smettila di nasconderti, smettila di ostinarti a compiacere un pubblico che non esiste.
Se prima dello show avrei voluto abbracciarti, ora vorrei darti due sberle. Magari ti aiuterebbero a rinsavire.
Saltare la penultima data italiana forse non è stato giusto, ma probabilmente non è andando ai concerti che mostro a Kris Roe la riconoscenza che penso di dovergli. Quindi provo una strada nuova. Gli scrivo tutte queste cose, nero su bianco, una volta per tutte. Non leggerà mai, ma sento di doverci provare.
Non so se sia giusto vivere la musica come la vivo io, ma non posso immaginare di viverla diversamente.