[…]
Ho conosciuto donne che amano il calcio, e che vanno a vedere un sacco di partite in una sola stagione, ma non ne ho ancora incontrata una che viaggerebbe tutta la notte del mercoledì per andare a Plymouth. E ho conosciuto donne che amano la musica, e sanno distinguere cantanti tipo Mavis Staples da cantanti tipo Shirley Brown, ma non ho mai conosciuto una donna con una collezione di dischi enorme, in continua espansione e in ordine alfabetico nevroticamente perfetto.
[…]
A circa due terzi del set in scaletta c’è “Limousine”.
Jesse si allontana dal microfono, sale su un monitor, ed inizia a gridare alla folla.
We’ll never have to buy adjacent plots of earth…
… We’ll never have to rot together underneath dirt…
La voce all’inizio è morbida, poi si graffia e diventa via via più ruvida. Fino a rompersi. Nel locale cala chiaramente il silenzio. Jesse scende dalla spia e inizia a caracollare per il palco, continuando a cantare a squarciagola. Passa affianco ai microfoni e l’effetto è strano, perché per un attimo soltanto il lamento esce anche dalle casse.
I’ll never have to lose my baby in the crowd…
… I should be laughing right now
A fine pezzo, Jesse è distrutto e in lacrime. C’è una pausa. Vinnie gli si accosta un secondo, sono entrambi di spalle e io non sto capendo cosa cazzo è successo. Immagino di aver avuto un’espressione attonita, conscio di aver appena visto la roba più emozionante, intensa e coinvolgente mai capitatami ad un concerto. Sono pochi secondi in cui penso che forse la vuol finire qui, invece si gira.
E attacca Jesus.
Lo so, tendo ai sensazionalismi quando parlo delle cose che mi piacciono, ma per quel che vale non è questo il caso. Il concerto dei Brand New di Domenica scorsa è uno di quelli che resteranno a lungo impressi nella mia mente. Certo, l’episodio di cui sopra ha caricato il tutto di non poca epicità, ma a prescindere da quello (come si potesse PRESCINDERE da una cosa così. Non avete una cazzo di idea.) il set è stato una vera e propria mina. La scaletta era divisa in blocchi: Daisy per il primo atto, Deja Entendu per il secondo e Devil&God a chiudere. Da Your Favorite Weapon avremo solo due assaggi, ma a questo ci arrivo tra un secondo.
Dicevamo, primo atto per Daisy, il disco che mi piace meno. Apprezzo la scelta perchè sono ideologicamente per i crescendo, tuttavia riconosco che l’impatto dei pezzi nuovi (#AhAhAhCheRidere) dal vivo è notevole. “Vices” non mi piace proprio, ma come attacco e impatto sonoro mi da una bella pettinata. Suoni un po’ confusi, ma ci sta. La voce invece viene fuori benissimo da subito e Jesse non si risparmia. Quando mai. A “Gasoline” sono ancora tiepidino, altro pezzo che non amo tanto, quindi per me il concerto vero inizia con “At the Bottom” e “You Stole” che dal vivo è notevolissima. Sorpresona. Dopo quattro pezzi i preliminari sono finiti.
Secondo atto, Deja Entendu. C’è un salto emotivo e di risposta GIGANTE, quando parte “Sic transit gloria… glory fades”. Non solo per me, ma proprio per tutti i presenti. Il coinvolgimento diventa totale in mezzo giro di basso. In quel momento ci arriva addosso un treno che non lascia scampo nè tregua, in cui vengono suonate “Guernica”, “Ok I believe you…”, “…Spin Light” e “Seventy times 7” giusto per alzare ulteriormente il tiro prima di “The quiet things…”. Senza. Una. Pausa. Sono letteralmente in balia dei quattro sul palco. Giusto il tempo per ricordare l’unica altra data italiana loro nel 2007 (C’ero. E’ stato fighissimo pure quella volta.), fare i classici ringraziamenti e lanciarsi in una battuta molto divertente del tipo: “Scusateci se non siamo venuti spesso da ste parti, ma siamo di NY e la pizza è buona anche lì” e siamo alla volata finale.
Il terzo atto. Apre “Sowing Season” e il singalong è ormai fuori controllo. Il disco da cui si attinge in questa parte finale è il più bel disco che ho in casa e quindi la vivo di conseguenza. Dopo la opening suonano “The Archers Bows Have Broken ” e “Milestone”. Poi è il momento di “Limousine” e di tutto quel che ho scritto al principio, seguita da una “Jesus” che, anche in virtù di quel che avevamo appena vissuto, ci ha rivoltati come calzini. “Degausser”. “You won’t know”. Sono talmente preso bene che manco ci penso ai pezzi che volevo sentire e non hanno suonato. Non ho idea di cosa possa mancare all’appello fino a che parte “Soco Amaretto Lime” e bon, è la fine. Del concerto e della mia voce. Sono completamente dentro la situazione. Non vedo i contorni, è una globo di persone e suoni fuso insieme.
Finisce così, senza siparietti, senza encore, dopo un’ora e mezza di musica tiratissima.
Saluto le persone che ho incontrato sul posto, vado al banchetto e compro 25 euro di maglietta.
25 euro.
Più del biglietto.
“The things I do for love” direbbe Jaime Lannister.
C’è questa cosa che i Mineral tornano a suonare assieme.
Siccome in questi giorni BASTONATE fa la settimana grindcore, io penso che parlare della cosa sia un buon modo per infilarmci in mezzo a buffo e così scrivo giù due righe riassumibili con “La reunion dei Mineral è la cosa migliore che ci possa capitare in questo 2014”. Invio il pezzo a chi di dovere e il risultato è una lieve divergenza di opinioni.
Ci sta.
Su twitter però il verbo del potevano risparmiarselo si spande a macchia d’olio e siccome come dice AleBU a me internet fa male, inizio una sorta di crociata sul tema rispondendo più o meno a chiunque si discosti anche marginalmente dall’entusiasmo cieco. Non mi basta. Ero partito con l’idea di scriverci un post sopra e così ci scrivo un post sopra, sul mio blog, che ormai è praticamente l’ultima opzione che mi do quando decido di scrivere qualcosa.
Vi racconto una storia.
Anni fa si sono riuniti i Get Up Kids. Hanno suonato in giro per qualche mese, poi hanno inciso un disco di rara bruttezza e hanno chiuso il giro sciogliendosi di nuovo. In quella parentesi è capitato passassero da Bologna e così anche uno come me che dal vivo non li aveva mai visti ha potuto colmare la lacuna e spararsi un concerto che sicuramente nel 2000 sarebbe stato meglio, ma che mi ha lasciato in ogni caso senza voce e con un sorriso idiota stampato in faccia.
Oggi, quando penso ai Get Up Kids, per prima cosa mi viene in mente il disco della madonna che è Something to write home about e poi penso al concerto. Tristezza per il disco orrendo post reunion? Non pervenuta. L’unico punto negativo di tutta la faccenda è che dal vivo non avevan fatto “Forgive and forget”, per il resto la bilancia quasi si ribalta lato pro.
Per darvi un’idea.
Quindi ok, sarei potuto nascere in Texas e magari oggi non avrei da colmare il vuoto di non aver mai visto una band come i Mineral dal vivo. Forse oggi vivrei armato, farei il mandriano e non sentirei la FOTTA per questa reunion, ma anche senza entrare nel merito di quanto sarebbe effettivamente una figata questa cosa, io non capisco cosa cazzo possa esserci di negativo dall’avere una band figa in più da andare a sentire. Cristo santo, quando da ste parti esce mezzo disco che prova male a copiarli, i Mineral, non si contano le persone che sbroffano e gridano al miracolo. Però l’idea che quelli veri possano anche per sbaglio fare un disco nuovo getta il panico tra i presenti. Anche facesse schifo, non è che lo sovrainciderebbero sulla copia di TPOF che tutti dovreste avere a casa.
Ci sono tonnellate di band che non hanno mai smesso e che si trascinano disco brutto dopo disco brutto forti di un esordio che, in molti casi, non vale la metà di quello di cui stiamo parlando. I Mineral il loro bel disco inutile l’hanno già fatto. Dopo di quello hanno deciso di sollevarci dalla pena di una lunga carriera di paragoni infelici. Minchia GRAZIE. Anche solo per questo io un’altra chance gliela do volentieri.
Il problema vero è la paura e la paura ci castra.
Altra storia, vado a capo.
La ragazza più figa del tuo liceo ti incontra quindici anni dopo e muore dalla voglia di farti un pompino.
Puoi accettare.
Oppure puoi dirle che no, preferisci ripensare a quando era più giovane e senza quelle piccole rughe. Ammazzandoti di seghe.
Ecco, per me non c’è gara, pur conscio che scoparla a 18 anni sarebbe stato probabilmente meglio.
Sono in metro senza molto da fare e in queste situazioni internet diventa un pozzo senza fondo. Il cappello di un mago da cui è facile estrarre una serie di fazzoletti colorati legati l’uno all’altro. Ognuno tuo. E così tiri e tiri con la curiosità di vedere cosa uscirà dopo, conscio che una fine non c’è.
A volte emergono cose che non ricordavi connesse ad altre che non avevi notato, che avevi rimosso o che ti eri sforzato di non vedere. Per come sono fatto io, sprofondare nella malinconia è un attimo, a quel punto.
Ma oggi no.
Oggi fuori c’è il sole e così esco dalla metro con un disco nelle orecchie e un sorriso sulla faccia.
Perché a costo di dare torto al comandamento unico di Max Pezzali, ieri non è per forza di cose meglio di oggi o di domani. L’ultima volta che ho pensato una roba del genere non è stato molto tempo fa e non sono passate 24 ore prima che la vita venisse a mettere alla prova le mie certezze. Pesantemente. Ed è difficile scrivere qualcosa che possa sembrare ottimista per uno che, da sempre e ancora oggi, ha paura del futuro. Intorno vedi cose che, effertivamente, ti spaventano. La pressione sale, ti chiedi se e come ce la farai e non hai una risposta. Non puoi averla e non devi cercarla. Non è affatto detto che tutto debba andare bene.
Oggi però non vedo perché dovrebbe andare male e questa, per me, è una vittoria.
Alla fine questo resta a tutti gli effetti il mio diario ed è bello tornare per una volta ad usarlo come tale. Niente domande per favore, non mettetemi nella condizione di non rispondere.
Ultimamente pare non si possa proprio fare a meno di celebrare gli anniversari a tema musicale. A volte con iniziative belle, altre volte con iniziative brutte, troppo spesso con iniziative inutili e pretestuose. Dal 2011, ogni tre mesi parte il treno degli omaggi al ventennale di un passaggio a caso della vita di Kurt Cobain. Settimana scorsa l’ultimo della lista, celebrato worldwide con più adesioni del Natale. A proposito, per chi dovesse sentirsi perso all’idea che l’anniversario del suicidio di Kurt Nostro possa chiudere in qualche modo il ciclo, ricordo che a Giugno fa 25 anni Bleach.
Questo sproloquio iroso per dire che nonostante l’omaggio agli anniversari musicali sia a dir poco abusato nell’intorno temporale in cui ci troviamo, io mi prendo del tempo per celebrare il disco più importante della mia vita. Non il più bello, non quello che ho ascoltato di più, ma certamente il più significativo ed imprescindibile. E’ un omaggio che sentiremo e faremo in pochi. La cosa genera un po’ di quel senso d’orgoglio e appartenenza ridicolo, ma ci sta perchè con gli Offspring mi son fatto tutto il giro: pride a tredici anni, shame a ventitre, di nuovo pride passati i trenta.
Il 1994 è stato l’anno zero della musica e ha dato i natali a tre dischi fondamentali. Del primo si sarebbe dovuto parlare a Febbraio, ma per me è quello meno rilevante, mentre il terzo, il più bello, compirà vent’anni a Luglio.
In mezzo c’è, appunto, Smash e adesso lo racconto per come lo ricordo.
Il disco parte con il tipo che spiega con che approccio affrontare l’ascolto, ma io questo l’ho scoperto quando ho sentito il CD per la prima volta, ben oltre il 1994. Mi ero copiato la cassetta di Ciccio su un nastro da 90′ e, nel farlo, avevo anteposto il Side B al Side A. Avessi capito anche solo mezza parola di inglese, ai tempi, forse me ne sarei potuto accorgere. Non fu così. Il monologo di “Time to relax” oggi lo so a memoria, a differenza di quasi tutte le altre canzoni del disco di cui, a mente fredda, non saprei ricordare poi molto del messaggio. Non so se l’intento di attaccare un disco punk-rock suggerendo di mettersi comodi e rilassarsi fosse o meno ironico, l’esegesi del testo la lascio perdere volentieri. Fa sorridere che per me, ai tempi, era impossibile pensare di ascoltare una roba così senza saltare per casa rimbalzando contro i muri, mentre oggi sdraiarmi sul divano e ascoltare un disco è l’apoteosi del relax, quali che siano il disco ed il suono che ne esce.
Il primo pezzo vero è “Nitro” ed è, tutt’oggi, uno dei più fighi dell’intera discografia degli Offspring. Bello veloce, con una buona melodia e tutti gli Stop&Goes necessari a fare genere allora. E poi ci sono “Uooo-oohhh” a pioggia, che quando sei giovane e non sai l’inglese fanno comodo per sfogare la voglia di cantare. Una bomba.
La seconda traccia è “Bad Habit” e avrò già raccontato cento volte di come mi abbia iniziato al pogo, quindi non sto a riprendere il concetto. Sparo invece altri due aneddoti. Il primo è che sempre in virtù della cassetta di cui sopra, per me “Bad Habit” s’è intitolata “Nitro” per diversi anni. Il secondo è che anche un ignorante come me sapeva che alla fine c’erano un sacco di parolacce e, da bravo ribelle in erba, me le ero imparate.
“Gotta get away” non mi piaceva tanto perchè era un pezzo lento. Oltretutto c’era il video che girava su TMC2, quindi era commerciale.
Avanti con “Genocide”, capolavoro ineguagliabile. Tutt’ora il mio pezzo preferito degli Offspring nonostante quelle fucine creative di Noodles e Dexter ne abbiano usato il riff principale per tirar fuori almeno metà della loro discografia. Il bridge (?) con quelle martellate pesantissime mi distruggeva ogni volta e, ancora oggi, se capita di sentirlo mi gasa parecchio.
Il disco corre, ed è difficile la vita per un pezzo come “Something to believe in” che, a tutti gli effetti, serve solo a separare “Genocide” dal primo singolone di Smash. La soluzione scelta è infilare una sequela ineguagliabile di “Uoooh-oooh” e, come si può immaginare, vince facile.
Siamo a “Come out and play”. Non l’avessi sentita suonare praticamente in tutti i locali “rock” in cui sono stato in questi vent’anni e da tutte le band liceali più scarse e ingiustificabili con cui sono entrato in contatto, probabilmente mi piacerebbe ancora. La prima volta in vita mia in cui ho potuto mettere mano su una batteria, istintivamente, ho provato a rifare quell’attacco, picchiando un po’ ovunque non ci fossero le pelli. Per la cronaca, fu anche una delle ultime volte.
Di “Self esteem” non ci sarebbe neanche da dire nulla. Pezzo clamoroso anche questo. Il fun fact in merito è che pensavo si chiamasse SELF EXTREME e immaginavo parlasse di essere estremi. A volte mi chiedo se sia davvero necessario espormi così, gratuitamente, al pubblico ludibrio.
La canzone successiva si intitola “It’ll Be a Long Time” e mentre scrivo il pezzo non mi viene in mente come faccia, quella seguente è “Killboy Powerhead” che invece ricordo benissimo, ma scopro solo ora essere una cover. Dopo ancora c’è “What happened to you?”. Mi piacerebbe dire che è un pezzo che mi ha sempre fatto cagare come solo lo SKA può farmi cagare, ma sappiamo tutti che sarei un bugiardo. E se anche non lo sapessimo tutti, lo saprei io, quindi non si può proprio. Pezzo più debole del disco, certo, ma non così brutto. Specie per un gruppo capace di cose come “Why don’t you get a job?”.
Il finale è tutto un crescendo. “So Alone”, “Not the one” e “Smash”. Madonna, che bomba atomica che è la traccia che da il titolo al disco.
“I’m not trendy, asshole”.
Da sola, questa frase, mette in fila tutte le brillantissime bio di twitter con cui ci troviamo a convivere tutti i giorni.
Il disco finisce lì, anche se c’è spazio per una chiusa nuovamente a carico del tipo che parla e per un motivetto simpatico sul riff di “Genocide”. Mi pare di ricordare ci sia anche una ghost track con un secondo motivetto strumentale, derivato da “Come out and play”, ma non ci scommetterei. Di solito io riprendevo l’ascolto dall’inizio immediatamente dopo la fine di Smash.
Questo è il mio personale e sentitissimo omaggio al disco più importante della mia vita e l’ho scritto abbastanza di getto e senza troppe riletture, nonostante l’idea sia di pubblicarlo tra diverse ore, allo scattare dell’8 Aprile. Non so quanti percepiscano un disco in maniera così cruciale come io faccio con Smash. Un disco capace di generare, da solo, quel cambiamento radicale che innesca il processo di crescita e formazione tipico dell’adolescenza.
Spero in tantissimi, perchè è davvero una sensazione bellissima.
PS: nello stesso giorno in cui Smash fa vent’anni, Manq ne fa 33 ed è una di quelle coincidenze assurde che rendono la vita affascinante.
E così è finito anche “How I met your mother”.
Ho appena visto il season finale e sono triste e arrabbiato, ma soprattutto arrabbiato. Inizio ad averne un po’ piene le palle di serie che mi accompagnano anni per poi buttare il finale nel cesso, quindi ora parto con una filippica che potrebbe durare millemila battute e contenere ogni genere di spoiler su questa serie o altre serie che ho visto in passato.
Il primo show il cui finale mi ha innervosito è stato Lost, ma io mi sono sparato tutte e sei le stagioni nel giro di tre mesi quindi il risentimento è stato minimo. Vuoi che non ho avuto modo di passare anni a fare ipotesi assurde per domande a cui mai sarebbe stata prevista risposta, vuoi perchè l’impressione avrebbe svaccato era forte da poco più di metà del cammino, non ne ho sofferto particolarmente. Resta un finale dimmerda eh, intendiamoci, ma a bilancio son più i pro che i contro direi. Poi è stato il turno di Dexter, ma anche lì poco giramento di cazzo perchè, sebbene si tratti del peggior finale mai realizzato per qualsivoglia opera televisiva, un po’ tutta la serie ad esclusione della prima stagione (per altro autoconclusiva) e di qualche momento sparso s’era dimostrata ampiamente una merda.
Discorso a parte, quindi, per HIMYM, perchè io a differenza di molti l’ho sempre trovato godibile e ben riuscito, in tutte le sue fasi che pur riconosco altalenanti. Di conseguenza, l’amarezza per questo finale così BRUTTO è quasi ai massimi storici.
Mo parto con un analisi del perchè il finale fa schifo come episodio di HIMYM in generale, proseguo sul perchè la scelta di concludere così la serie sia discutibile, e finisco dicendo la mia sulla storia del “che conta è il viaggio non la fine”.
Via.
L’episodio conclusivo di HIMYM è una porcheria essenzialmente per due ragioni. La prima è che non fa ridere. Ora, la serie a me risulta sia una comedy e, come tale, mi aspetto che possa puntare anche a commuovermi/intenerirmi/emozionarmi, restando chiaro che di base debba però farmi ridere almeno un po’. Dal punto di vista delle battute, delle gag e del divertimento quest’ultima puntata non ha nulla da offire. Zero. In quaranta minuti manco un sorriso. Però non è che sia voluta la cosa, intendiamoci. Non è un episodio pensato per essere amaro, le gag ci sono. Però fanno schifo. Il Playbook vol.2 e Jim Nacho? Seriously? Quindi ecco, a prescindere da tutte le implicazioni sul finale è un episodio venuto male. E’ anche sviluppato male. Quaranta minuti per condensare una quantità spropositata di elementi con cui avrebbero tranquillamente potuto riempire una stagione. Affrontandoli come si deve, magari, e senza dare l’impressione di aver voluto arrabattare tutto per tirare le fila della questione quando ormai non si sarebbe più potuto rimandare oltre. Così assistiamo al personaggio di Barney che in 20′ ritorna sui passi compiuti in, tipo, quattro stagioni. E il gruppo che si sfalda per ragioni che, ok possono starci, ma erano lì da sempre e non hanno comunque mai portato i cinque ad allontanarsi. Tutto di corsa, tutto arrabattato per giustificare un finale discutibile che, però, si sarebbe potuto preparare meglio senza questa folle corsa al “colpo si scena” che, oltretutto, non ha di fatto sorpreso nessuno. Episodio brutto, quindi, ma andiamo oltre.
Discutiamo della scelta finale. A differenza di altri casi, qui non è sulla coerenza che possiamo scagliarci. Per come la serie è stata concepita e portata avanti il tutto ha una sua logica. Fa schifo, ma è coerente. Sono meno propenso di altri però a definirlo come unico finale possibile. Si poteva chiudere con un cazzo di happy ending e io avrei voluto un cazzo di happy ending perchè altrimenti, invece di una comedy, nove anni fa avrei iniziato a guardare un’altra cosa. C’era margine per chiuderla bene, di conseguenza s’è scelto di chiuderla male e per questo io odio profondamente gli autori. I melodrammi tristoni li evito come la peste perchè non sento il bisogno di vederne anche di finti in TV, quindi mi rotea il Cristo se mi vengono buttati in faccia a tradimento. Sta cosa è l’equivalente di Gordon Ramsey che mette la carne nei piatti vegetariani. Ma poi, la madre si ammala e muore giovane? La stessa madre che ben prima di Ted avrebbe dovuto sposarsi con il suo uomo perfetto se questo non fosse stato ucciso da un pirata della strada? #HowIMetLaSFIGA eh. Ah no, aspetta, l’uomo ideale di lei che muore rende the mother in tutto e per tutto uguale a Ted… è quello il punto? Beh, è un punto di merda. Sorvoliamo anche sulle cause di rottura tra Robin e Barney che dire pretestuose è poco e io non ho più sufficiente livore per argomentare. Passiamo al punto tre della disamina.
“La fine non conta, quel che conta è il viaggio”.
Sto. Cazzo.
La fine conta come conta tutto il resto, nell’analisi di un’opera. Questo finale rende meno belli gli episodi precedenti? No, neanche un po’. Rende meno bella la serie? Sì, di brutto. Ne ho pieno il cazzo di dover sempre affrontare un’analisi schierandosi o con la parte CAPOLAVORO IN TOTO o con la sua rivale MERDA SENZA APPELLO. Si può amare una serie riconoscendone i difetti o criticarla sottolineandone i pregi. Si può e si dovrebbe sempre fare così, perchè di serie perfette io ne ho viste poche.
Ok, ho scritto fin troppo e il sonno inizia a farsi strada.
Quest’anno sarà la volta anche del season finale di True Blood, che per me resta una delle cose migliori in circolazione. Magari farà cagare, magari no. Vedremo.
Chiudo con un interrogativo: dopo questo season finale, quante chances ha l’imminente “How I Met Your Dad” di fare anche solo un briciolo di ascolti?
Questa settimana ci sono un paio di concertini che secondo me vale la pena andare a vedere, di conseguenza li segnalo.
Mercoledì 19/03/2014 – Arci Acropolis (Vimercate, MI)
Mercoledì i The singer is dead presentano il loro primo EP all’Acropolis. Il disco lo si può sentire in streaming su bandcamp e secondo me è un bel disco. Segue lista di motivazioni a supporto della precedente affermazione: 1) non annoia 2) è suonato bene 3) le linee di batteria sono pulite e precise, senza strafare, ma senza tirarsi indietro 4) il basso suona come piace a me 5) le chitarre fanno bruttissimo 6) le melodie sono fantastiche 7) anche uno come me non ci sente la mancanza delle voci (RIP) 8) è ben prodotto e ben mixato 9) i pezzi non durano ore 10) l’ultima traccia è una bomba atomica che sembra presa di peso da un disco degli Envy. In sintesi.
Non è un disco perfetto per i seguenti motivi: 1) la prima traccia mi suona ripetitiva 2) in rari casi avrei scelto altri suoni per le chitarre (es: un passaggio in distorsione proprio nella prima traccia). E basta.
A fronte di tutto questo, io a sentirli ci vado e vediamo se riesco a rivalutare la musica strumentale anche in sede live.
E poi c’è la birra a tre euro.
Sabato 22/03/2014 – Ligera (Milano, MI)
Sabato invece suonano i Lantern al Ligera. Il disco dei Lantern, Diavoleria, è il disco che sto ascoltando di più ultimamente perchè secondo me è una roba clamorosa, senza se e senza ma. E’ anche quello in streaming su bandcamp e quindi lo agevolo qui affianco. E’ un disco HC di quelli che a me prendono lo stomaco e lo rivoltano. Non è la roba più violenta che abbia mai sentito, manco un po’ in effetti, ma è travolgente nelle melodie, nei suoni, nelle atmosfere, nelle urla, nel parlato e nei testi. I Lantern poco tempo fa hanno anche buttato fuori una cover di Shorty dei Get Up Kids che ha fatto cagare tutti e che invece a me piace un botto. Insomma, un gruppo HC che coverizza i GUK è quello che basta dire per inquadrare tutta la questione. Rileggo tutta la storia. Tutte le colpe. Tutti gli errori. Ripeto tutto a memoria.
Di spalla ai Lantern suonano i Winter Dust, che poi sono il gruppo di almeno uno dei tizi de il Fragolone. Io siccome nella community di twitter ci credo a bomba, li supporto duro anche se sono un po’ una persona di merda perchè gli ho scaricato il disco mettendo ZERO su name your price. Il fatto che sia ideologicamente contrario a pagare per dei file audio non toglie nulla al mio essere brutta persona, quindi se hanno il disco formato CD sabato, sia loro che i Lanter, direi che glielo prendo.
In caso stampino solo vinili, penso convivrò a lungo con il mio senso di colpa.
Due concerti in una settimana.
Non mi capitava da, tipo, anni.
The LEGO movie sarà in qualsiasi caso il mio film dell’anno.
Questo un po’ perché io per certe cose mi entusiasmo oltre ogni ragionevole senso, ma un po’ anche perché è un film fighissimo.
Tipo:
Ecco, io sta canzone ce l’ho in testa fissa da Mercoledì sera e non c’è verso, non ne esce. E prende benissimo.
Poi ci sarebbe da parlare di Batman, che è il miglior personaggio mai uscito da un film di animazione. Anzi, da un film in generale. Compresi i film su Batman, ovviamente. E bisognerebbe anche dire qualcosa delle tonnellate di citazioni e omaggi al cinema che ci sono dentro. La scena dell Millennium Falcon. Che poi c’è ancora Batman di mezzo. E voi che vi lamentate per il mancato oscar a Leo Di Caprio (che avrebbe certo meritato), quando Batman non era manco in nomination. Ve lo meritate, la Grande Bellezza (cit.).
Vabbeh, non ha neanche senso stare qui a discuterne perché the LEGO movie è un film coi LEGO sui LEGO e se non l’avete ancora visto e non siete segregati contro la vostra volontà in un posto dove andare al cinema è impossibile, allora siete delle brutte persone.
Madonna, Batman.
A manq piace la figa.
Il titolo voleva essere questo, ma mi sembrava un po’ forte e questo è comunque un blog moderato (come vuole il nuovo governo), quindi ecco il perché del taglio.
“A manq piace la figa” non è però uno statement volto a precisare o a prendere le distanze. Non ha lo scopo con cui lo userebbe Bossi, per dire, ma getta unicamente le basi a quanto segue.
Da quasi due mesi ormai viaggio in metropolitana per due ore al giorno. Nella tratta che va da Gessate a Lodi Tibb mi trovo a contatto con un’ampia gamma di modelli di fanciulla che coprono più o meno tutte le tipologie che siete soliti trovare nei porno (maiali!). Si va dalle teens che scendono in zona licei, alle young che vanno in università, fino alle milfone da combattimento che vanno in ufficio. Un ampio campionario di analisi da cui nasce l’esigenza di scrivere un post.
Già perché, dopo anni di solitarie traversate in macchina, essere inserito in questo contesto mi da l’opportunità di fare uno studio sociologico e di costume a riguardo. In giro ci sono molte più belle ragazze di quel che si pensi. Se la cosa non emerge è perché in molti casi sono totalmente incapaci di vestirsi.
Ecco, sta manfrina per dire che adesso metto giù le cose che vanno e quelle che non vanno della moda donna early 2014.
1) I leggins. Come non partire dai leggins, a conti fatti la migliore invenzione dopo la ruota. Su un campione statistico importante come quello a mia disposizione, questo indumento vince la sua scommessa e supera i dubbi dei detrattori grazie anche ad un comune senso del pudore che ne impedisce l’utilizzo “fuori contesto”. Fortuna che, ad esempio, il jeans a vita bassa non ha mai avuto.
2) Le scarpe. Qui invece la donna non conosce vergogna. Ci sono essenzialmente due tipi di problemi: le scarpe brutte e le scarpe che rendono brutte. Il primo caso è semplice da descrivere, soprattutto di questi tempi. Avete presente tutti quegli stivali bassi con la punta tonda, la fibia e le borchie? Ecco, io vorrei sapere cosa cazzo vi dice il cervello. Oppure le allstar (uoo-u-uo-u-ua) col pelo dentro. E magari, per non farci mancare nulla, altre borchie. Va beh. La seconda categoria invece è piu ampia e concettuale e scatenerà le classiche accuse di sessismo, ma non posso tacere rispetto alle scarpe basse. Di ogni tipo, dalle ballerine (che in un mondo ideale sarebbero illegali), agli stivali senza tacco, corrispettivo della birra senz’alchol. Se siete sotto l’1,75 e vi mettete quelle robe ai piedi l’effetto è subito “bassa e tozza”. È inutile che a pranzo mangiate una carota per “perdere un paio di chili proprio lì”, mettetevi 5 cm di tacco e avrete già risolto il problema. Mica servono I trampoli, perdio, basta qualche centimetro. “Eh ma sono scomoda al lavoro!”. A parte che nel 90% dei casi state poi sedute tutto il giorno, ma il problema è proprio concettuale. Perché non uscite in pantofole allora? No perché l’uomo invece gode a mettere giacca e cravatta da maggio a settembre, con fuori l’asfalto che liquefa. Eddai su. Ultima nota: ai miei tempi le ragazzine mettevano le Buffalo, oggi mettono le Vans. C’è speranza per un domani migliore.
3) Gli occhiali grossi. Oh, non so che dire, a me l’occhiale è sempre piaciuto sulle donne, però un po’ state esagerando. C’è stato un momento preciso, qualche mese fa, in cui l’equilibrio si è spostato da pornosegretarie a Steve Urkel e questo non funziona. Serve moderazione. Però come dicevo, per me l’occhiale è sempre più sì che no e quindi lo promuovo.
4) I pantaloni corti sulla caviglia. Ecco, no. Ma proprio no perché, oltretutto, li abbinate alle scarpe di cui sopra e l’effetto ridicolo è dietro l’angolo.
Quindi questo è quanto, e ve lo dico perché in molti casi è davvero un peccato vedervi conciate in quella maniera. Dovreste puntare di più sul look quotidiano. Siete tutte brave a tirarvi fighe il sabato sera, ma la sfida vera è il martedì mattina. Le belle ragazze della MM2 difficilmente non lo saranno anche il fine settimana. Il contrario invece, lo sappiamo tutti, non è per nulla scontato.
E, soprattutto, piantatela di leggere i fashion-blog, che di solito son scritti da gente che starebbe bene pure vestita di rifiuti umidi. Ascoltate me.
Questo post, tutto sommato inutile, l’ho scritto col telefono per testare il nuovo wordpress.
Nei prossimi giorni cercherò di parlare di qualche disco, ma GTA5 non mi sta lasciando molto tempo libero.
Quella che sta succedendo in queste ore, a parer mio, è una cosa brutta. Per il Paese, dico. Le ragioni politiche alla base della mia affermazione in questo momento mi risultano ovvie e non ho voglia di stare a parlarne. Poi magari con l’andare del post verranno pure fuori, non posso garantire. Tanto qui ognuno fa quel cazzo che gli pare quando gli pare. Sta a vedere che devo essere io a mantenere coerenza in un blog che nessuno legge e che io stesso ormai ignoro spesso e volentieri.
Qui vorrei parlare di perché sia una cosa brutta per me.
In primo luogo mi sento tradito ed è una cosa che non fa mai piacere. Mai. Però ci sono delle sfumature.
C’è la tipa con cui non avresti mai pensato di uscire e che, invece, decide di accettare di stare con te. Per un po’, fino a quando non rinsavisce e ti pianta per uno meglio. In quel caso è ovvio che tiri il culo, ma a pensarci, sarebbe buona cosa ringraziare per quel che s’è avuto e tirare avanti.
Non è questo il caso.
Qui è proprio tutto un altro scenario.
Sei stato tradito da quella con cui ti sei messo essenzialmente per non stare più da solo. Manco ti piaceva davvero, non del tutto intendo, ma vedevi in lei la possibilità di cambiamento che la tua vita attendeva da un po’. Non sarebbe stato per sempre, ma pensavi saresti stato tu a decidere per quanto. Cazzo, era lei ad aver bisogno di te, porca puttana, non il contrario. Bam. Cornuto e maziato da una per cui, a dirla tutta, i tuoi amici ti pigliavano pure per il culo.
Parentesi.
Tutti bravissimi, tutti che l’avevano detto, tutti che sapevano tutto. Però ecco, sono anche sempre un po’ quelli che parlano male di qualunque tua morosa: la scassacazzi, la bruttina, la puttanella, l’antipatica. Che prima o poi ci prendano, se vogliamo, è statistica.
Chiusa parentesi.
E chiusa pure la metafora, direi.
Io quel che sta facendo Matteo Renzi non lo capisco. Una delle ragioni per cui gli avevo creduto, e ci avevo creduto, era che fosse l’unico in grado di dare un taglio alla vecchia concezione politica del PD. Sia come establishment, che pure come vocazione autolesionista.
E invece eccolo pronto ad inchiodare il coperchio della bara. Da dentro, però, una roba che manco Houdini.
La cosa che mi fa incazzare più di tutto, però, è che l’uomo che mi aveva rimesso voglia di andare a votare PD poi non me lo faccia fare. Cristo, se ci penso do davvero di matto.
DOVEVI ESSERE QUELLO CHE, FINALMENTE, VOTAVO CONTENTO. CONVINTO.
Votare per e non contro.
Te lo ricordi il programma?
Vincere. Governare. Cambiare le cose.
In quest’ordine.
Vabbè, non c’è molto altro da dire. Come capitatomi già mille altre volte, eccomi al momento in cui “basta, mi avete rotto il cazzo. Andatevene affanculo e non venite più a chiedermi il voto, merde!”. In questo momento, come ovvio, mi pare che la frattura tra me e il PD (e di conseguenza tra me e il Paese) sia incurabile. Le cose potrebbero cambiare, in futuro, ma anche no. Non saprei. Di certo, io, se per un qualche errore di calcolo il governo Renzi non avesse i numeri e cadesse dopodomani, a votare non ci andrei.
Manco se mi venissero a prendere a casa.
Poi oh, magari governa tre anni e fa un sacco di cose fighissime.
Però dubito, perchè è una maggioranza del cazzo, composta da gente del cazzo, che inchioderà di nuovo il Paese all’immobilismo fino al 2018, quando potremo finalmente avere una sana campagna elettorale con protagonista Berlusconi, per allora ormai fuori dai problemi giudiziari e libero di ricatapultarci per l’ennesima volta nello stesso squallido teatrino. Che noi a certe cose ci teniamo, sia mai.
Matteo, vacca troia, potevamo farcela.
E invece te ne esci a ridefinire LO SBAGLIO.
Dio, che nervi.
Lo so che qualcuno leggendo il parallelismo di cui sopra potrebbe pensare cose tipo: “Si vabbè, ma che tristezza. Che mancanza di autostima. Chi si infilerebbe in relazioni di quel tipo?”.
Tutti.
Pure tu.
Fattene una ragione, è molto più onesto.
Così non fosse, come riconosceremmo le relazioni buone?
Non ho idea del perchè questo mio blog usi i cookies, ma li usa quindi vedi tu come muoverti.
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