Non starò a farla lunga.
Molto oltre il tempo massimo salgo sul vagone della #CASOMANIA. Ho preso il disco su Amazon perchè sono una brutta persona, uno che avrebbe potuto andare a sentirlo millemila volte e avrebbe potuto comprargli il CD al banchetto, parlargli e stringergli la mano, ma non l’ha mai fatto.
Sono dieci tracce che, se si da loro il tempo, entrano dentro e non escono più.
Di seguito trascrivo a mano il testo della mia preferita, si può ascoltare qui.
Disco dell’estate, con solo un’estate di ritardo.
Prendi questo cielo in scala di grigi, nella foto in bianco e nero è molto simile al reale. Prendi le facciate delle case appiccicate l’una all’altra sembrano fatte di cartone. Quante volte sotto il porticato abbiam picchiato i piedi forte convinti di farle cadere; oggi sono ancora lì allo stesso posto che ci guardano dall’alto e non temono alcun passo. Prendi questa come una canzone tra le tante, poco memorabile, scritta da un anonimo cantante che spesso ha puntato il dito contro il mondo e ora prova a rigirarlo su se stesso quasi come una presa di coscienza o un’ammissione di colpa, o come scusa per suonar la propria voce un’altra volta.
Abbiam riso di mio padre perchè ha un italiano scarso e ha rimpianti che san di 1900, ma al momento di levarci i nostri sassi dalle scarpe ci siamo accorti di non aver saputo fare di meglio; siam stati cavalieri erranti del nuovo millennio antieroi e antipatici un po’ persino a noi stessi. Gridavamo forte contro i grattacieli, diretti discendenti dei mulini a vento. Prendi come lecito il sospetto che a romper le vetrine sia stata più l’invidia che la rabbia: troppo lunga il giorno dopo quella coda dei pretendenti al posto fisso in banca. Tutti con le righe scritte bene, le esperienze formative, nella foto sorridenti, tutti san parlare inglese. E a ripeterci tra noi “non siamo parte del sistema”, ma attendiamo il nostro turno tutti quanti in fila indiana. E ora in questo tempo devastato e vile far la parte di chi è in lotta sembra quasi un’occasione. Da chi fa partire il coro a chi sta in ultima fila, a chi sa far la voce grossa solo sopra una tastiera, c’è un megafono per tutti quando accendi raramente hai un’idea di quanto è spesso il muro che hai davanti. Forse siamo solo stanchi di sentire le nostre voci ritornare così in fretta. Chiediti dove son finite ora le convinzioni di un tempo: intransigenza e fierezza da sostenere fino in fondo alla battaglia o almeno fino in fondo alla notte. Questo è il nostro mattino dopo: la voce roca accordata un tono sotto, i sogni erano illusioni e si son spenti tra le poche idee e i troppi mozziconi. Però abbiamo imparato anche a sorridere assieme alla premura di sputare il fumo fuori dalla finestra. Ci stringe un po’ al collo e un po’ ci somiglia questa armatura moderna da levarci con un gesto la sera e riporre nell’armadio assieme alle altre tutte uguali sulla gruccia. Dentro sogni di ragazzi giocavamo a far la storia con le nostre pistole di legno; siam cresciuti e siamo scesi in piazza, ma quelle nuove eran di plastica con il tappino rosso. Ti ricordi i fucili, quelli veri del tuo nonno cacciatore sotto chiave in salotto? Troppo presi a fare “bang” con la voce non ci siam chiesti ancora che fine han fatto.