Chi fa un lavoro come il mio ha spesso la possibilità di riflettere su questioni che presto o tardi acquisteranno rilevanza globale. Quello che uno come me dovrebbe fare e che troppo spesso io non faccio, è sfruttare la cosa per provare nel mio piccolo a diffondere questo tipo di notizie e di conseguenza permettere alla gente che per ovvi motivi non ne avrebbe le possibilità, di farsi un’opinione. Il vantaggio dell’apprendere questo tipo di notizie da chi ci è dentro, specie se si tratta di questioni etiche, è poterle ricevere ed analizzare senza che la politica le abbia ancora trasformate in una questione di tifo o fede (intesa non nel senso religioso, ma porprio come accettazione aprioristica di posizioni imposte dall’alto in base non al proprio credo, sempre legittimo, ma al dictat di partito).
Oggi quindi voglio provare a rendere partecipe chi mi legge di un dibattito etico che sta tenendo banco all’International Congress on Human Genetics cui sto partecipando in questi giorni. Si tratta delle potenzialità e dei risvolti di una pratica chiamata “Whole Genome Sequencing”. Mi rendo conto che prima di poter entrare nel merito della questione, un’introduzione sia necessaria. Il genoma non è altro che l’insieme dei geni che determina ognuno di noi. Da una decina d’anni il genoma umano è stato completamente sequenziato, sebbene i geni che lo compongono siano ancora per gran parte sconosciuti. Esemplificando in maniera banale, vuol dire che si conosce il “testo”, ma non se ne comprende ancora appieno il “significato”. Di alcuni geni, che nella mia metafora sarebbero le “parole”, si conosce il “senso”, la funzione, di altri no. Tuttavia l’avere a disposizione il “testo completo” permette di avere un riferimento per l’identificazione di eventuali “errori di battitura”, ovvero le mutazioni (definisco tutte le differenze come mutazioni per semplificare, solo alcune differenze possono considerarsi tali, ma il punto per ora non sta lì). Spero la base sia chiara, perchè altrimenti proseguire con il discorso diventa complicato.
Ad ogni modo, la questione nasce dal fatto che le odierne tecnologie permettono di sequenziare l’intero genoma di ciascuno di noi a cifre relativamente ridicole. Nel giro di poco quindi non solo il sequenziamento dell’intero genoma del paziente diventerà pratica comune nella diagnosi, ma iniziaranno anche a diffondersi servizi che offrono il sequenziamento al pubblico senza necessarie ragioni mediche. Ognuno potrà conoscere il suo “testo”. Perchè può rivelarsi uno strumento diagnostico impagabile? Provo a spiegarlo con un esempio tra le varie applicazioni possibili. Alcune malattie genetiche sono definite “eterogenee”, ovvero dipendono da mutazioni in geni diversi con funzioni diverse. Quando un paziente riporta i sintomi della patologia, i medici iniziano a sequenziare i geni noti che si conosce portino alla patogenesi con lo scopo di individuare mutazioni. Spesso però la mutazione è altrove, in un gene ancora sconosciuto. Fino ad oggi a questo punto identificare il nuovo gene malattia risultava piuttosto complicato perchè era necessario procedere per tentativi in base a nozioni spesso incomplete. Potendo sequenziare tutto il genoma e andare così alla ricerca degli “errori” su larga scala la situazione si potrebbe semplificare un bel po’. Fin qui quindi tutto bene. In realtà la situazione anche in ambito diagnostico è ben più complicata di così, ma teniamoci sul semplice.
Dove nasce allora la questione etica? E’ presto detto. Avendo a disposizione l’intera sequenza e potendola leggere tutta, può saltar fuori qualche informazione diciamo “sgradita”. Possono venir fuori ad esempio predisposizioni genetiche a certe patologie che il paziente al momento non ha e che magari non avrà mai pur essendo predisposto. Che si fa a quel punto? Certo, se lo si avvisa lo si può mettere in guardia, ma questo vuole anche dire abbassare la sua qualità di vita per un rischio solo potenziale. Insomma, il dilemma c’è, ma può essere anche più drammatico. Prendiamo ad esempio mutazioni in geni noti che si sa implicati in gravi patologie. E’ un discorso un po’ complesso, vediamo se riesco a farlo passare con la metafora di prima. Prendiamo una “parola” di cui si conosce il significato e che se contiene determinati “errori” si sa causare una malattia. Bene, mettiamo il caso che in questa parola venga ritrovato un errore di battitura “nuovo”, mai documentato prima, che potrebbe portare la “parola” ad essere sbagliata, ma potrebbe anche risultare ininfluente.Ora, se questa analisi la si fa su un adulto, beh, si fa in fretta a capire se è malato oppure no e quindi se l’errore è patogenetico. Ma spostiamo l’orizzonte alla diagnosi pre-natale e capiamo subito a quante problematiche potremmo trovarci di fronte. Questo perchè, ripeto, pur essendo il testo noto nella sua interezza, il senso del tutto è ben lungi dall’esserci chiaro.
Andiamo ancora oltre. Come accennavo prima il genoma può dare risposte secche, ovvero definire al 100% la causa di una malattia, ma può anche rivelare quelle che sono semplici “predisposizioni”, non solo a malattie vere e proprie, ma anche a disordini comportamentali. Se queste informazioni venissero utilizzate male lo scenario potrebbe prendere tinte spaventose, che vanno dalla discriminazione genetica degli individui alla speculazione possibile da parte delle compagnie assicurative. Insomma, la questione è aperta e tutt’altro che di facile gestione. In questi giorni ho assistito a diversi dibattiti in merito, dibattiti in cui era più o meno opinione comune la necessità di una regolamentazione in ambito, ma soprattutto la necessità di educare la popolazione (tutta, dal paziente, al medico, dal legislatore al giudice, perchè la genetica non è certo di dominio pubblico) in modo da non farsi trovare impreparata di fronte all’avanzare della scienza.
Analizzando quest’ultimo aspetto, mi ha preso abbastanza il panico.
Innanzi tutto ad un congresso chiamato “International Congress on Human Genetics” in cui una grossa ed importante parte della comunità scientifica si interroga su questioni che, ripeto, saranno presto di interesse globale non erano presenti nè organi di stampa internazionali nè, tantomeno, politici o persone che di queste cose dovrebbero essere informati. Io scrivo volentieri due righe sul mio blog in merito e volesse iddio mi piacerebbe ne nascesse una discussione, ma ne parlasse la pagina scientifica del Corriere o di Repubblica forse il tutto avrebbe una rilevanza ed una divulgazione differente.
Perchè senza comprensione del problema ed informazione in merito, si arriverà come sempre a due schieramenti: quelli che, per paura dell’ignoto, preferiscono “fermare tutto” e quelli che, di contro, invocano la “libertà totale”, entrambi ben strumentalizzati all’interno di dinamiche politiche per cui la questione in se non ha rilevanza alcuna ed entrambi ben lontani dal dare alla gente una reale soluzione al problema etico senza aprire a scenari terribili, ma anche senza rinunciare a potenzialità ampissime.
Altra questione. Mi sono reso conto di come il progresso scientifico non vada affatto di pari passo all’educazione. Le scoperte diventano via via più complesse, in tutti i campi, ma l’educazione media della popolazione progredisce in maniera decisamente più lenta. Questo, per forza di cosa, abbassa sempre di più la soglia dell’incomprensibile e porterà la gente a vivere in balia del progresso e non a sfruttarne le potenzialità. Un dato, da una presentazione vista ieri: il 48% degli americani non crede nell’evoluzione. Ora, se una verità comprovata ed assodata da decenni è vista come una favola a cui si può credere o meno da quasi la metà degli individui, come si può pensare di spingerli a farsi un’opinione fondata su questioni molto più controverse e complesse? Dico fondata perchè a farsi un’opinione così, a cazzo, siam buoni tutti.
In tutto questo io sono giorni che mi chiedo se mi piacerebbe o meno conoscere il mio genoma, sapere quali mutazioni ho, a quali malattie sono predisposto e via dicendo. Credo sia l’anticamera alla domanda: “pensi di voler sapere quando morirai?” E io, dopo tre giorni di riflessioni, ancora non so cosa rispondere visto che ho già abbastanza problemi ad accettare che dovrò farlo.
Ok, spero il post sia leggibile e comprensibile a tutti. Mi piacerebbe qualcuno se ne interessarre, dicesse la sua in merito e provasse a far venir fuori un dibattito. Io, dal canto mio, son contento di far parte di quella piccola fetta di popolazione che di queste cose è a conoscenza e provo nel mio piccolissimo ad ampliare la cerchia degli eletti.
Certo, nel giorno del sex tape di Belen (checchè se ne dica, BOMBA VERA), parlare di genoma è veramente nerd e non nel senso cool che il termine ha ormai assunto.
Bè, i media non ci sono mai quando servono :-)
Ma quando dici “Nel giro di poco” quanto poco intendi? Cmq la questione è interessante. Di per sè trovo che la conoscenza non porti nulla di male quindi che ci sia la possibilità di conoscere il proprio genoma con le indicazioni che hai illustrato mi sembra una cosa positiva. Preoccupa di più l’uso che si può fare di questo “potere”. Quando sarà possibile effettuare queste analisi sarà necessaria una legge molto precisa per garantire la privacy: cioè io devo poter conoscere il mio genoma ma le informazioni non devono poter arrivare a nessuno che sia estraneo al medico che mi sta curando. Altrimenti le discriminazioni alla Gattaca e le speculazioni a cui accennavi diventerebbero la normalità…
Sulla diagnosi prenatale la questione è più spinosa… Su questo io troverei giusto utilizzare solo le informazioni che possono essere certe o quasi e lascerei fuori quelle che rientrano nella parte di “testo” ancora non compreso.
Resta comunque basilare il discorso sull’educazione: sarà impossibile far si che tutti capiscano la questione, sicuramente però bisogna fare il possibile… Ma come? Parlarne prima che la politica ci metta le mani è un buon inizio
Con “nel giro di poco” intendo che e’ gia’ possibile farselo fare spendendo tra i 500 e i mille euro, coi prezzi che sono destinati a scendere ulteriormente.
Io ho provato a scrivere al corriere, a repubblica e al fatto quotidiano per chiedere se sono informati della questione, se la loro redazione scientifica stia pensando di occuparsi della cosa e se reputano che valga la pena parlarne. Ovviamente non ho avuto risposta.
E’ una questione spinosa, davvero, e sara’ anche legata ad un certo qual movimento di denaro. Immagina il business generato dalle cure per malattie che ancora non hai. Significa trasformare ogni singolo essere vivente in un paziente. Senza contare come dicevo le questioni assicurative e altre importanti e possibili derive.
La scienza giustamente non si ferma. Non deve. Il problema e’ che ormai a stare al passo son solo coloro che vogliono o possono guadagnarci sopra, perche’ hanno l’interesse a farlo. Chi dovrebbe invece “tutelare” il bene comune se ne sbatte fino a quando la bomba non esplode e a quel punto prova amettere pezze senza capirci granche’ e, soprattutto, senza aver piu’ modo di farlo. Prova tu a legiferare “contro” multinazionali che muovono miliardi.
Bon dai, non voglio sembrare pessimista o eccessivamente negativo nei confronti del progresso scientifico. Non sto enfatizzando infatti i tanti aspetti positivi che questi sistemi introdurranno a livelo diagnostico e clinico quindi sto dando una visione limitata e parziale dei fatti. Pero’ e’ vero che i lati positivi non necessitano di essere arginati, quindi parlarne e’ al momento non rilevante (se ovviamente ne si riconosce l’esistenza).
Ad ogni modo, credo sia giunto il momento di guardarlo, Gattaca. :P
A me quel film era piaciuto molto! Forse anche perchè in più di una scena il protagonista (Ethan Hawke) era decisamente uguale a shevchenko :-)
Sentiti ringraziamenti da un allievo infermiere per aver condiviso l’argomento. Apre veramente un’infinità di “dilemmi morali” e speculazioni… ma anche l’aspetto senza dubbio positivo della prevenzione, con un eventuale screening regolare, o comunque da la possibilità di effettuare un maggior numero di diagnosi precoci.
Grazie,
N.
Grazie a te per la visita e lieto d’essere stato d’aiuto!