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Una cosa la so, comunque, ed è che nel combattimento al coltello esistono due fondamentali scuole di pensiero: quella realista, in base alla quale ogni volta che si combatte contro qualcuno dotato di una certa abilità è inevitabile incorrere in qualche ferita, e quindi tanto vale prepararsi (come quei tipi che, prima di incrociare le lame, si avvolgono il giubbotto di pelle attorno all’avanbraccio sinistro), e quella idealista, che suggerisce di evitare con la massima attenzione ed energia ogni rischio di ferita. Per esempio, cercando di tenere la lama sempre più avanti di qualsiasi parte del corpo.
Entrambe le scuole seguono un paio di regole basilari. Ricordarsi, intanto, di allungare pedate e cazzotti a ogni minima opportunità, perchè i coltelli incutono una tale paura che la gente tende a focalizzare l’attenzione soltanto su di essi. E mai pugnalare nessuno. E’ un gesto idiota, che lascia scoperta fin troppa parte del corpo in cambio di una minima prospettiva di successo. Invece menare fendenti, tagliare, sfregiare ogni bersaglio a portata di mano (come le nocche della mano dell’avversario, quella che impugna il coltello) è una prassi doverosa. I punti più indicati sono l’interno delle braccia e delle cosce, là dove corrono i vasi sanguigni più grossi. Così facendo, è possibile provocare una forte emorragia e, quasi sempre, la morte: l’identica tattica utilizzata dagli squali.
Per principio – e anche perchè al momento indosso un minuscolo camice da paziente ospedaliero invece di un giubbotto di pelle – io sarei orientato verso la scuola idealista. Certo, sarei ancora più propenso ad avere un coltello, cosa che non è.
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NdM: libro geniale, questo. E scritto con un numero di incisi, parentesi, note a margine e periodi interminabili che io non posso che amare alla follia.
Nota: aggiornata la sezione “letture”.
in realtà sono caludia…è piaciuto un sacco anche a me il libro, e uno degli incisi migliori e la parte su lech walesa….