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Esperienza totale

Prendete una spiaggia.
Sì, lo so, non ho mai scritto un post rivolgendomi direttamente a chi legge, però questa sera va così quindi non fate i pignoli e fate quel che dico.
Prendete una spiaggia di notte con un bel falò acceso e le stelle che brillano in cielo.
Mettete duecento, trecento amici intorno a quel fuoco. Chissenefrega se non avete abbastanza amici, fate conto di averceli e metteteli tutti intorno al fuoco con una birra in mano. A questo punto prendete tre chitarre e datele a tre di questi vostri amici d’infanzia che, fortuna vuole, sono anche musicisti che in qualche modo hanno segnato la vostra vita e dite loro di suonare i pezzi più significativi della vostra gioventù in modo che tutti si possa cantare insieme.
Ok, riuscite ad immaginare una situazione di questo tipo?
Io sì, perchè l’ho vissuta questa sera.
Niente spiaggia, purtoppo, ma un freddo localino imboscato nel quartiere di Colonia dove vivo. Roba che ci ho messo una buona mezzoretta a trovarlo, il posto, ma alla fine l’ho reputato veramente carino. Prendete uno di quei bar americani con le freccette, il biliardo, il casino e la cappa di fumo. Metteteci poster di band alle pareti ed una porta che da su uno stanzino con un palco in cui possono entrare per l’appunto circa trecento persone. Ecco, l’Underground di Colonia è così. Una roba che a Milano ce la sognamo e non solo per il divieto di fumo nei locali pubblici.
Ad ogni modo in questo piccolo locale questa sera è avvenuto qualcosa di magico perchè, non scherzo, sembrava veramente di essere in mezzo a gente che si conosce da sempre. Sarà che ero da solo e ho conosciuto più gente che in una vita di concerti “single palyer” in Italia, sarà che l’età media era esattamente la mia, sarà che per tutti i presenti andava in scena a grandi linee la colonna sonora della propria vita, ma non mi ero mai sentito così parte di un qualcosa ad un concerto.
Lo so, fa ridere, ma è così.
Mi rendo conto di non aver ancora precisato quale concerto ho visto sta sera.
Si trattava di Jon Snodgrass + Tony Sly + Joey Cape, tutti in versione rigorosamente acustica.
Non sapendo bene come funzionano le cose da queste parti ed essendo io senza biglietto, ho deciso di recarmi in loco con largo anticipo. Arrivato sul posto nel locale non c’è nessuno, tranne i tre showman impegnati nel soundcheck, così entro e mi sento un paio di pezzi in anteprima prima che Joey Cape venga da me a fare due chiacchiere e chiedermi poi dov’è il bagno. Quando realizza che non sono dello staff ride molto. Rido anche io, e ride anche il tipo al mixer che però poi mi chiede di uscire.
Il set vero e proprio inizia dieci minuti dopo le otto e sul palco ci sono tutti e tre gli artisti per suonare insieme i primi tre pezzi, uno dal repertorio di ciascuno. In realtà Joey Cape ne suonerà due perchè durante “Fatal Flu” Jon rompe una corda, la prima di una lunga serie, ma come appare chiaro si tratta di un fuori programma. Anche di questi ultimi sarà costellata la serata. In ogni caso avvio col botto, tra battute e dialoghi col pubblico che definire esilaranti è poco.
Personalmente non conoscevo Jon Snodgrass, nè gli Armchair Martian nè tantomeno i Drag the River (ok, shame on me). Tuttavia il suo set è fantastico. I pezzi voce e chitarra emozionano davvero e lui è un personaggio geniale, ma geniale sul serio. Esegue praticamente solo canzoni a richiesta, almeno finchè le richieste arrivano, ed alla fine cede il posto a Tony Sly. Non che se ne vada, smette semplicemente di suonare per dedicarsi a fare filmati con la sua compatta digitale. La gente apprezza e anche Tony Sly: “Jon is always great. In his set and even in mine.”
La scaletta del leader dei No Use for a Name non la commento neanche, perchè si parla di uno che ha nel plettro più singoli di Vasco e che quindi da dove pesca pesca sicuro. Il clima è fantastico, roba che ad un certo punto TS chiede ad uno del pubblico di aprirgli una birra, per capirci. Esegue anche tre di pezzi dall’album in uscita, quello da solista in acustico che è in giro a presentare. Il primo è molto simile a qualcosa dell’ultimo album NUFAN, il secondo è bellissimo ed il terzo serve a richiamare sul palco Joey Cape che nel disco canta metà della canzone. Questa sera però JC pare proprio non ricordare di cosa si tratti e così, dope due tentativi a vuoto tra le risate generali, Tony Sly lascia il palco.
A differenza del predecessore, il frontman di Lagwagon e Bad Astronaut decide di proporre diversi pezzi della sua carriera da solista, molti dei quali dedicati all’amico scomparso Derrik Plourde. L’atmosfera è carica di emozione e porta Joey ariflettere su come non sia facile essere allegri quando la maggior parte dei propri pezzi parla di suicidio. Per ri-alleggerire l’ambiente decide così di suonare “Beard of shame”, fermandosi nel ponte strumentale per ammettere di non avere mai avuto la necessità di imparare a suonare quella parte. Ormai il tutto procede da due ore abbondanti ed è quindi il caso di portare al termine la serata.
Sul palco tornano i due colleghi per suonare gli ultimi pezzi, ancora una volta pescandone uno per ognuno. La conclusione del tutto è affidata alla cover di “Linoleum” ed è l’apice di una serata spettacolare.
Almeno, vivendolo credevo fosse l’apice.
Poi è successo che i tre se ne sono andati e che la folla li ha osannati per diversi minuti buoni, fino a farli rientrare per un bis che sembrava del tutto imprevisto.
Scelgono un’altra cover: “Boxcar” dei Jawbreaker.
Jon vorrebbe suonare, ma anche filmare con la sua compattina e quindi chiede a uno del pubblico se può riprendere al posto suo. Questo accetta ed il pezzo parte a coronare il reale apice della serata.
Probabilmente questo racconto è orfano di diversi aneddoti che varrebbe la pena ricordare, ma ora sono un po’ stanco e quindi va bene così.
Esperienza totale.
Senza scherzi, credo sia stato il più bel concerto della mia vita.

5 commenti su “Esperienza totale”

  1. Questo venerdì sarà a Bologna a godermi lo spettacolo. ciò che hai scritto mi ha gasata ancora di più.
    Sapresti stilare una sorta di scaletta dei pezzi? ok ok..quelli che ti ricordi. :D

  2. Prima di tutto ciao e grazie per la visita al blog.
    Fare una scaletta è dura, davvero, perchè è passata quasi una settimana e non sono il tipo che annota i pezzi. Tony Sly ha fatto di sicuro “Not your savior”, “Life size mirror”, “Sara Fisher” (!), “Gene And Paul, I Hate You Most Of All And Ace, You’re The Ace And Peter You’re The Cat” (!!!), “Redemption song”, “Coming too close”, “Soulmate”, “Fatal Flu”, “On the outside”, “Feels like home”, “Internationa you day”, le due inedite che non saprei nominare e forse dell’altro.
    Joey Cape ha fatto di sicuro “Violins”, “Alien 8”, “Angry days”, “Brodeo”, “Making friends”, “May 16th”, “Days of new”, “Beard of shame”, “Break Your Frame” e probabilmente altre che non ricordo.
    Alla fine però un po’ te le ho dette, dai. :P
    C’è da dire che, da che ho capito, soprattutto JC ama cambiare la scaletta e suonare sempre roba diversa (eccezione forse per qualche brano che se non lo suona gli sparano).
    Mi dirai com’è stato a Bologna.
    A presto!

  3. Ciao Manq,

    sono capitato per caso in questo spazio, senza nemmeno sapere a chi appartenga e che scopo abbia, ammesso ce ne sia uno e non di più.
    In ogni caso, volevo solo complimentarmi per la descrizione “fluida” delle emozioni che ti hanno avvolto.
    Li ho visti anch’io, meno di una settimana fa.
    In Italia, nella triste – perchè lo è! – Milano: prima che il concerto iniziasse ho avuto la possibilità di realizzare 16 minuti d’intervista a Tony Sly (faccio il giornalista, anche).
    Lui, Joey e Jon hanno suonato ininterrottamente per quasi due ore, proponendo molti dei pezzi che preferisco.
    Tony Sly, per cultura, umanità e “pelle”, ritengo sia una persona guidata da una sensibilità superiore, tanto dal punto di vista musicale quanto da quello umano. Ho 28 anni e ascolto i NoUse da quando ne ho 12, perchè a quei tempi stavo negli USA e crescendo ho visto molti dei loro conncerti …
    Beh, mi fa piacere ti abbiano entusiasmato. Sono grandi artisti, la cui portata a molti non è chiara.
    Una cosa è certa: se avessi voluto intervistare un signor Nessuno italiano (che ne so, un Marco Carta o un artista emergente da un talent-show qualsiasi, oppure -peggio- un artista già affermato), probabilmente non mi avrebbe cagato di striscio. Anzi, l’aiuto dell’aiuto del vice-aiuto della segretaria di uno di questi stronzi, mi avrebbe fermato ancora prima delle transenne che precedono l’ingresso all’area dei camerini.
    Invece Tony Sly mi ha suonato un pezzo in anteprima, dedicandomi un quarto d’ora abbondante, e firmando volentieri ogni singolo album dei NoUse che avevo portato con me (almeno 9 cd e 3 vinili).
    Direi che un concerto con artisti di cuore e davvero in gamba come Cape, Sly e Snodgrass meriti di essere visto, soprattutto per il prezzo irrisorio del biglietto (in ogni club tra 5 e 10 Euro – 5, a Milano), piuttosto che sbattere nel cesso fior di quattrini per assistere ai nuovi cani italiani, che a fine serata non aspettano altro che rilasciare interviste ai canali più “cool”, sperando di essere ospitati l’indomani in un patetico rotocalco condotto da qualche mezza conduttrice succhiacazzi.

  4. Innanzi tutto grazie per il complimento, mi fa piacere sia passato il concetto che volevo esprimere, ovvero le emozioni della serata.
    Riguardo al resto, beh, si parla per quanto mi riguarda di gente che mi suona nelle orecchie ormai da 15 anni e che da sempre mantiene lo stesso atteggiamento.
    Credo non c’entri molto con il concetto di musica, o soprattutto di artista, che si ha in Italia. Questa è gente che suona perchè è la sua vita, nel bene e nel male. Nel bene perchè possono permettersi di creare un side project just for fun con i loro amichetti e farci tour mondiali (vedi i Me First and the Gimme Gimmes). Nel male perchè, se quel che ho letto è vero, credo che la chitarra acustica sia l’unico modo che rimane a Joey Cape per portare in giro la propria musica. I Lagwagon non sono più una band itinerante e, a quarant’anni, forse in giro per il mondo a suonare punk-rock ci vai con i tuoi amici e non con i primi sostituti che ti passano sotto mano. Altrimenti, giustamente, desisti e ti dedichi alla famiglia. Insomma si parla di gente che ci ha sempre creduto e che se continua a farlo è perchè ancora ci crede, non essendoci a mio avviso nessun altro motivo che possa spingerli.
    Riguardo poi al tipo di concerto ed al prezzo, beh, si apre un’altra parentesi amara per la Milano che conosco. Città in cui ormai la musica non solo è ghettizzata a certi volumi, certi orari e certe location, ma anche sottoposta a prezzi che hanno sempre di più del ridicolo.
    Grazie di essere passato dal mio blog.
    Per rispondere alla tua domanda iniziale, questo spazio ha lo scopo di dare voce e forma ai miei pensieri. Spesso questo riguarda la musica perchè è la mia più grande passione, ma ovviamente non è solo di quello che amo scrivere.
    Spero tu possa capire meglio continuando a passare di qui.
    A presto.

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