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Music, I promise

Reduce dalla serata “Phard Rock” del Rocket mi appresto a mantenere la promessa fatta soprattutto a me stesso di ridare spazio alla musica su questo blog. Certo però che prima di cominciare due cose sullo show di Barbarella bisogna proprio dirle. La prima è che lei è imbarazzante. E’ totalmente incapace di mettere i dischi ed è ancora peggio come vocalist. Arriva addirittura ad irritare.
Almeno fosse figa.
La seconda è che proprio a Barbarella vanno fatti i complimenti perchè senza saper fare nulla di nulla e senza essere la Fabiani è riuscita a diventare una star del mondo “pseudo-alterna-indi-rockcomemianonna-facciocosevedogente” di Milano. Non che sia un traguardo eclatante, ma viste le potenzialità c’è solo da esserne contenti.
Bene, ora mi lancio sul topic del post.
Ultimamente mi sono rimesso ad ascoltare un po’ di musica. Non che io abbia mai smesso, semplicemente avevo accantonato la parte della ricerca e della curiosità, quella che ti spinge a girare per la rete a leggere recensioni e ti porta a scaricare il disco di quella band che è simile a quell’altra band che fa un genere che sulla carta potresti anche apprezzare.
Solitamente il processo mi porta a mettere le mani su roba che poi mi fa abbastanza schifo, ma capita anche di trovare materiale interessante e quando questo succede, puntualmente, la soddisfazione è doppia. Oltre a questa attività di ricerca poi, mi sono gettato anche su qualche “nuova uscita” che per paura o per pigrizia ancora non avevo approcciato.
Questo per dire che carne al fuoco ce n’è, indi è bene incominciare.
Il primo disco di cui voglio parlare è quello con cui sono più in trip al momento: “The feel good record of the year” – No Use for a Name. Per me è stato un ritorno di fiamma, dopo la delusionissima di “Keep Them Confused”, disco sentito una volta e subito dismesso non senza risentimento verso una band a cui sono da sempre molto legato. L’impressione che avevo era che, semplicemente, i No Use avessero finito quel che avevano da dire e avessero iniziato a sfornare dischi fotocopia che, esattamente come le fotocopie, perdono in qualità con l’andare delle riproduzioni. Per questo è con un certo grado di paura che mi sono accostato al nuovo lavoro, invogliato più che altro dal titolo geniale che gli hanno dato.
Pochi secondi e parte “Biggest Lie”.
Subito la paura passa.
A mio parere l’open track del nuovo disco è un pezzo della madonna.
Un “Invincible”, un “On the Outside”, un “Not your savior” per capirci.
Uno di quei pezzi che mi hanno portato ad amare questo gruppo, uno di quei pezzi che puoi ascoltare in loop senza stancarti e cantando sempre più forte, uno di quei pezzi che mettono a rischio la patente se stai guidando.
Il disco poi prosegue con altre tredici tracce che riescono a far combaciare il suono classico del gruppo e la voglia di qualcosa di nuovo senza far storcere il naso nè dando l’impressione di essere di fronte ad una rivisitazione di ciò che è già stato scritto. E’ chiaro che essere originali facendo un CD HC melodico non è semplice, soprattutto se questo è il nono che si sforna in quasi vent’anni, e quindi già non annoiare è da considerarsi un buon risultato. “The feel good record of the year” però va oltre perchè a me addirittura piace. Per questo, data per assodata la partecipazione al concerto del 21 Aprile al Musicdrome, è facile che mi prenda mezza giornata di ferie per vedermi anche lo showcase acustico che faranno il pomeriggio dello stesso giorno, perchè se su disco qualche passo falso l’hanno anche fatto, dal vivo hanno sempre spaccato. Sempre.
Stesso approccio, ma diverso risultato per un altro macigno della mia gioventù: Millencolin – “Machine 15”. Non posso parlare di delusione perchè su di loro non facevo proprio più conto, tuttavia un po’ di amarezza ce l’ho visto che l’estratto che mi era capitato di sentire prima del disco, “Brand New Game”, è un bel pezzo, capace di colpirmi soprattutto per il testo decisamente toccante. Il resto del disco però è semplicemente roba che non mi piace, roba che non fa per me. In questo caso, l’adesione all’evento live è già più in discussione perchè sebbene l’ultima volta che li ho visti in un concerto “tutto loro” abbiano sfoderato uno dei migliori live cui mi sia capitato di assistere, sta volta le premesse per un fiasco sono ampie. “Kingwood” come disco era mille volte meglio pur essendo mille volte peggio di quel che avrei voluto da loro e questo non è poco. Credo che la discriminante per la mia adesione sarà prettamente economica.
Ora vado invece a parlare di due mie nuove scoperte. La prima sono i My Own Private Alaska, gruppo scelto anche per la sezione multimediale di questo mese.
Sono un trio: pianoforte, batteria e voce e sono fenomenali.
Davvero.
Io sono riuscito a trovare solo tre brani loro, poichè l’omonimo EP è scariabile per intero, ma protetto da password che al momento non sono ancora riuscito a decrittare, tuttavia sul loro myspace è possibile ascoltare “Ego Zero”, un’ulteriore prova, forse la più grande, della loro valenza. Struggente, malinconica, pregna di una carica emotiva fuori dal comune. Definire il genere eseguito dal terzetto è difficile, a naso direi screamo/post HC, ma potrei dire stupidate, sta di fatto che l’antagonismo spiccato tra le morbide e sinuose linee di piano e la voce straziante del cantante coinvolgono al primo ascolto pur non trattandosi di roba prettamente fruibile.
Secondo me valgono veramente molto.
La seconda scoperta invece è un po’ meno motivo di vanto, visto che si tratta di un disco uscito nel 2006. Trattasi di “Insomniac doze” degli Envy. Documentandomi ho appreso che gli Envy sono una formazione nipponica da sempre dedita all’emo hardcore puro e semplice, che però con questo disco ha voluto fare un tuffo nel post-rock. Atmosfere evocative, tempi dilatati e pezzi interminabili sulla scia di Godspeed You Black Emepror, Mogwai ed Explosion in the sky, uniti alla carica emotiva e dilaniante delle grida che il cantante alterna a parti quasi parlate e realmente commuoventi (o commoventi?).
Tutto, ovviamente, in giapponese stretto.
“Further Ahead of Warp” è la prima traccia del disco e secondo me merita un ascolto approfondito.
E’ veramente molto bella.
Avrei voluto parlare anche di altri dischi come il “nuovo” Coheed and Cambria e il “nuovo” Linea 77, ma penso di essere già andato fin troppo per le lunghe.
Sono ufficialmente morto di sonno e seriamente in dubbio se uscire o meno sta sera.
Domani grigliata.
Questa è l’unica cosa che scriverò, riguardo a domani.

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