Sto trascurando il blog.
Lo so.
La causa di questa latitanza, paradossalmente, è il blog stesso, ma questa non può e non vuole essere una giustificazione.
Per questo oggi mi ero già messo nell’ottica di scrivere due righe.
Dopo un’attenta analisi mi ero convinto della necessità, anche solo personale, di dare maggiore risalto alla questione Birmana e quindi avrei scritto volentieri di quello. Sarebbe stato un post abbastanza banale, ricco di domande tipo: “Come mai se non c’è di mezzo il petrolio o comunque una qualche possibilità di lucro, diventa così di scarso interesse esportare la democrazia?”, tutta roba che, per quanto vera e saccrosanta, è decisamente poco stimolante da scrivere, leggere ed eventualmente commentare.
Mi fa male sapere che nel mondo ci siano situazioni così tragiche, mi fa stare ancora peggio sapere che nessuno è intenzionato ad alzare un dito a riguardo e addirittura rabbrividisco all’idea che nonostante il continuare incessante dei morti in loco, la notizia slitterà pian piano dalla prima, alla terza, alla quinta, ad un trafiletto in ultima pagina.
Come pensavo, ho scritto una serie di ovvietà ed il fatto che siano tali non mi fa certo stare meglio, visto che nulla sembra in procinto di cambiare.
Meglio parlare d’altro e ad aiutarmi nella scelta di un nuovo argomento è intervenuta questa mattina “La Repubblica”.
Oggi il quotidiano riportava un’inchiesta di Curzio Maltese sui costi del Vaticano per i cittadini italiani. A differenza della questione Birmana, questo problema secondo me è un po’ meno scontato da affrontare, per diversi motivi:
1 – E’ una questione più vicina a chi mi legge e quindi probabilmente più interessante (altra triste ovvietà).
2 – E’ un problema di cui non si parla molto in giro.
3 – E’ qualcosa su cui forse è possibile intervenire.
Riporto l’articolo per intero, così da non attuare anche involontarie interpretazioni erronee.
Buona lettura.
L’otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro
I conti della Chiesa
ecco quanto ci costa
“Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati”. Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l’arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall’arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel “ventennio Ruini”, segretario dall’86 e presidente dal ’91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all’interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI.
Le ragioni dell’ascesa di Ruini sono legate all’intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un’altra chiave per leggerne la parabola si chiama “otto per mille”. Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all’anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.
Dall’otto per mille, la voce più nota, parte l’inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il “prezzo della casta” è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all’anno. “Una mezza finanziaria” per “far mangiare il ceto politico”. “L’equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all’anno”.
Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all’ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.
Per la par condicio bisognerebbe adottare al “costo della Chiesa” la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.
Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione (“Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire”, nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per “aiuti di Stato”. L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime “non di mercato” dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno, più qualche decina di milioni.
La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il “costo della democrazia”, magari con migliori risultati.
Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell’otto per mille sull’Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all’epoca “di sinistra” come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce “otto per mille” ma grazie al 35 per cento che indica “Chiesa cattolica” fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.
Ma pur considerando il meccanismo “facilitante” dell’otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio “ritorno sociale”. Una mezza finanziaria, d’accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l’impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma “quanto” veri?
Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull’otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all’estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all’autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come “esigenze di culto”, “spese di catechesi”, attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l’altro paradosso: se al “voto” dell’otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.
Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul “come” le gerarchie vaticane usano il danaro dell’otto per mille “per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa”. Una delle testimonianze migliori è il pamphlet “Chiesa padrona” di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo “L’altra faccia dell’otto per mille”, Beretta osserva: “Chi gestisce i danari dell’otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici”. Continua: “Quale vescovo per esempio – sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale – alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?”. “E infatti – conclude l’autore – i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere…”.
A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di “Chiesa padrona”, rifiutato in blocco dall’editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al “dirigismo” e all’uso “ideologico” dell’otto per mille non è affatto nell’universo dei credenti. Non mancano naturalmente i “vescovi in pensione”, da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: “I vescovi non parlano più, aspettano l’input dai vertici… Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato”. Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte “il dirigismo”, “il centralismo” e “lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa”. Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: “Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono”.
La Chiesa di vent’anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall’egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall’universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di “scoprire” l’antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l’impegno di don Italo Calabrò contro la ‘ndrangheta.
Dopo vent’anni di “cura Ruini” la Chiesa all’apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l’agenda dei media e influisce sull’intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent’anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.
Il clero è vittima dell’illusoria equazione mediatica “visibilità uguale consenso”, come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d’inverarsi la terribile profezia lanciata trent’anni fa da un teologo progressista: “La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo”. Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
normalmente non mi sognerei mai di rispondere a plateali appelli pubblici, siano essi per il v-day, per l’affissione di un tricolore alla finestra del tricolore (mi fa sorridere solo scriverlo,il tricolore) o chissà quale altra cazzatadel genere.
nonostante tutto, sotto la giacca di pelle, oggi fa capolino una polo rossa.
sulla questione chiesa evito di pronunciarmi. poi mi scomunicano e non posso più andare a messa la domenica o giocare a figu all’oratorio.
Commento solo l’ultima frase.
Fatalmente vera e terribilmente viva per certe, non poche, persone a me care.
Questo articolo mi è piaciuto, in particolare l’ultima frase e la riflessione collegata.
Sull’8 per mille dico solo una cosa: non trovo del tutto assurdo che uno stato laico destini una parte parte degli introiti a sostegno dei culti presenti sul territorio in base alle scelte dei cittadini. Detto questo non ci vedo granchè di scandaloso se il tutto viene diviso in base alle percentuali delle preferenze. Chi non vuole sostenere una chiesa in particolare può scegliere “stato”; chi non sceglie niente afferma che per lui è indifferente quindi… Ciò non toglie che si possa discutere e ripensare il sistema visto che se il 60% non sceglie niente forse c’è qualcosa che non va…
Non sono d’accordo con te, Robi. Sorpreso? :P Scherzi a parte, il tuo ragionamento andrebbe ancora bene con le seguenti precisazioni:
1- L’8×1000 non è destinabile a qualsiasi culto presente sul territorio, ma solo ad alcuni selezionati non certo dal numero dei fedeli, visto che tra mussulmani, induisti e buddisti non si parla di poca gente. Come dissi una volta, se fossi parte della comunità buddista mi seccherebbe molto non poter avere l’8×1000 di Baggio…
2 – Non scegliere nessuna delle possibilità non equivale a indifferenza, bensì a mancanza di scelta. io non sceglierei niente perchè nessuna delle scelte mi soddisfa.
3 – Sarebbe bello che le comunità religiose venissero sostenute da chi vuole e non per costrizione da tutti noi.
4 – Leggendo l’articolo e parafrasando si capisce che al momento della formulazione della legge sull’8×1000 la chiesa era con le pezze al culo. Come avrà convinto la classe politica, notoriamente inaccessibile a benefattori, a farsi fare una legge per uscire dal letame in cui versava? Provo a buttarla lì: i voti dei credenti? Ecco da dove nasce l’ingerenza e siccome l’ideatore di tutto questo è Ruini non me ne stupisco troppo.
5 – l’ultima frase è volutamente provocatoria (cazzo, possibile che l’abbia intuito solo io?). Ratzinger aveva individuato il problema ed ora che è papa non sta facendo nulla per risolvere la questione.
Detto questo io credo che la prossima volta darò l’8×1000 alla chiesa Valdese, se quanto mi ha detto la bri è vero.
La chiesa valdese ha un ottima politica per quanto riguarda l’8 per mille.
Accetta solo i soldi provenienti da chi ha espressamente scelto di destinare a loro la quota.
Un motto valdese, tra l’altro, è “non giurare, non mentire”.
Non c’entra niente, ma è molto bello, secondo me.
Adesso leggo il post; ogni tanto passo di qui.
gx
Un’altra precisazione: Avere l’8 per mille di baggio non vorrebbe dire avere i suoi soldi, la cifra verrebbe comunque distribuita secondo percentuali sul totale raccolto. La preferenza di baggio conterebbe come quella di chiunque altro.
Penso che buona parte di ciò che dice l’articolo sia vero, bisogna però sempre stare attenti a non sentire una sola campana.
Ti ho inoltrato una mail su questo articolo.
Ho letto gli articoli dell’Avvenire che mi hai allegato alla mail e li linko qui di seguito in modo che chiunque voglia partecipare alla discussione possa leggerli..
Per il primo spendo poche parole: insulso e sensazionalista. Passa tutto il tempo a dire che i soldi dati alla chiesa sono ben spesi perchè ben utilizzati. Non mi pare che l’articolo sopra riportato giudichi l’utilizzo che la chiesa fa di quei soldi, ma la loro quantità ed il metodo con cui li ottiene. In sostanza quindi quella di Carlo Cardia è una lagna imbonitrice che svicola dall’analizzare la questione e si limita solo a frignare di aniclericalismo. Vergognoso.
Il secondo , quello di Umberto Folena, pur non trovandomi d’accordo quantomeno si attiene alla questione e cerca di discuterla. Mi è parso interessante. Non entro nel merito delle cifre, perchè non ho le basi per poterlo fare, controbatto solo ad alcune affermazioni che non mi trovano d’accordo:
1- tutta europa ci invidia l’8×1000. Se è vero perchè non se lo istituiscono? Insomma anche gli stati che ci invidiano avranno un organo legislativo. Gli passiamo il testo della nostra legge se proprio non riescono a scriversela da soli. O forse non la invidiano poi così tanto?
2- L’8×1000 è un’alta forma di democrazia. Lo sarebbe se potessi scegliere di non versarlo. Fare l’elemosina in chiesa è un’alta forma di democrazia. L’8×1000 io sono obbligato a perderlo e posso scegliere se darlo allo Stato (che già si prende le mie tasse), la chiesa Cattolica o altre sette e settarelle che in molti casi nessuno conosce (chiesa ebraica a parte, ma sfido un qualsiasi non-ebreo a scegliere di dar loro i soldi). Dove sta la democrazia?
Perchè è stato necessario introdurre una nuova percentuale per chi, laico, vorrebbe finanziare ad esempio la ricerca? Perchè serve un 5×1000 e non è possibile allargare lo spettro delle scelte dell’8×1000? Forse perchè nessun politico si azzarderà mai a togliere i soldi alla curia? Di questa cosa però l’articolo non parla.
Il terzo ed ultimo articolo, quello di cui non è riportato l’autore, è il peggiore di tutti perchè cerca di trovare il marcio dove non c’è. E’ ovvio che chi ha scritto o sostiene l’inchiesta, tiene anche che questa arrivi agli italiani e se a farlo è un politico che ha platealmente sposato la causa, non vedo quale sia il problema. Invece di andare a dirlo in TV come fanno i suoi colleghi, ha fatto girare una mail. Forse anche perchè in TV non è facile reclamizzare un’inchiesta sui soldi della chiesa.
Sempre pronto ad ulteriori confronti.
Manq, commento solo una tua frase: “l’ultima frase è volutamente provocatoria (cazzo, possibile che l’abbia intuito solo io?). Ratzinger aveva individuato il problema ed ora che è papa non sta facendo nulla per risolvere la questione.”
Io la vedo in modo leggermente diverso: credo che Ratzinger sia purtroppo davvero convinto che quello che lui definisce il vero spirito del cristianesimo non sia la carità, bensì l’oppresione mistica, quel senso di soddisfazione beota che riempie l’uomo medio, insicuro per definizione, quando questo si affida ad una religione dogmatica ed intransigente, possibilmente irraggiungibile (vedi messa in latino), per sottolinearne la superiorità rispetto all’immanente.
Insomma temo che il papa stia davvero agendo coerentemente con le proprie parole: dando cioè ai fedeli una grande entità che decida per loro, che li prenda per mano, che li rimproveri, che sia presente in ogni aspetto politico-sociale che impatta sull’individuo, e che si ricordi la parola carità solo quando si tratta di insegnarla.
E’ in quest’ottica che, se i membri del clero accentrano su di sé l’attenzione della gente, la Chiesa, nella sua frase, potrebbe ostacolare il vero spirito del cristianesimo: facendo pensare al fedele che essa sia composta di persone equiparabili a tutti gli altri. In questo modo il fedele non la vedrebbe più come il Punto di Riferimento, il grande padre sempre pronto a elargire carezze e bastoni, che si erge sopra a tutto e tutti. Cosa che invece egli si propone di ripristinare.
Io credo che lo Stato deleghi alla Chiesa (che non è perfetta, lo ammetto subito, ma ha molti dei difetti tipici delle cose gestite dagli uomini, ovviamente) molti compiti. per esempio il coordinamento di tanta parte del volontariato, la cura di mense per i poveri, ma anche più banalmente l’accudire i bambini nei giorni di vacanza quando i genitori ancora lavorano. mi fermo qui, ma basta guardare su qualche sito cattolico per trovare liste infinite di iniziative di carità. per questo non mi sembra sbagliato che lo Stato dia del denaro alla Chiesa, dato che sopperisce a molte carenze assistenziali. se domani, per assurdo, la Chiesa chiudesse e smettesse di operare, credo che ci vorrebbe ben più dell’8 per mille, ma anche dell’80 per mille delle tasse per coprire tutto ciò di cui si è sempre occupata. sbaglio?
don zauker, affermi tutto questo in un clima di disillusione e delusione che coinvolge anche la credibilità della Chiesa. Difficile darti ragione aggratis… ;)
commento un po’ qualunquista. entra nel merito, senza parlare di impressioni e “clima”
Mi spiace che tu risponda in modo così secco nonostante la faccetta che voleva temperare la mia battuta.
Vedi, il punto è che non sono la persona adatta a darti ragione, visto il rancore che ho sviluppato nel corso degli anni verso la Chiesa Cattolica, intesa non come comunione di fedeli in Cristo, cosa che di per sé non avrebbe significato negativo, ma come società che approfittando della popolarità goduta da un visionario due millenni fa ha costruito un impero volto a nutrire l’ignoranza degli uomini e la loro naturale propensione a voler essere informati piuttosto che informarsi, sulla quale questo impero è fondato; e rancore verso il clero, in quanto connivente di suddetta società a scopo di lucro.
Per questo motivo purtroppo non posso darti ragione.
Ed anche dimentichi di citare le altrettante opere laiche di assistenza.
Ed anche perchè se Dio non esiste, come è lampante, perchè prendere soldi in suo nome? Si chiama truffa, ANCHE se parte di quei soldi viene usata per aiutare dei bisognosi.
Chiedo scusa se quest’ultima affermazione può offendere qualcuno, ma se non devo parlare di impressioni, devo anche usare la logica, credo.
Cavoli, un dibattito del genere realizza i miei sogni più segreti. Sono molto contento della partecipazione addirittura di un esponente del clero (ipotizzo: sei [qui do a tutti del tu] l’ex parroco di Roberto e ti ha segnalato lui la pagina?) e quindi non attenderò un minuto di più a rispondere e riaccendere il dialogo.
Vediamo se ho capito il tuo discorso. Tu sostieni che la chiesa si fa carico di molte iniziative sociali che giovano all’italia tutta e che quindi per questo motivo è corretto finanziarla. Dici anche che se così non fosse lo stato necessiterebbe di molti più soldi per farsi carico della medesima mole di lavoro.
A mio modo di vedere la cosa non è così lineare. La chiesa si occupa effettivamente di un sacco di iniziative sociali, questo è innegabile, ma non trovo corretto che venga finanziata di diritto dallo stato come se questi gli commissionasse una parte del lavoro. Secondo me la chiesa compie opere di carità per propria vocazione, non per smaltire parte degli oneri dello Stato, e per fare questo dovrebbe sottostare alle stesse “regole” di chiunque fa volontariato. Metterci di tasca propria. Se io da domani decido di fare volontariato in Croce Rossa non posso pretendere che mi si paghi, altrimenti vuol dire che in croce rossa mi sono fatto assumere. Per questo vedo abbastanza male l’idea di retribuzione alle opere di carità cristiana e credo che un esponente del clero su questo dovrebbe essere d’accordo con me. Ovviamente però la chiesa da qualche parte i soldi dovrà pur prenderli per fare quello che fa, non sono così ipocrita da negare questa necessità, tuttavia credo che proprio per questo esistono le donazioni/offerte e io mi riserverei semplicemente il diritto di far rientrare anche l’8×1000 tra queste. Chi vuole lo versa, chi non vuole no. Probabilmente alla chiesa arriverebbero meno soldi, probabilmente quindi non potrebbe fare tutto ciò che fa ora (anche se qui sono un po’ scettico, concedimelo, perchè credo che ci sia ampio margine di spreco ove far saltar fuori quei soldi all’interno della curia, trattasi però di sole impressioni personali), ma non credo che allo Stato, e quindi a noi, sopperire costerebbe di più. In fin dei conti quello che la chiesa fa sul territorio è soggetto alle stesse spese cui sarebbero soggette uguali istituzioni laiche. Mi si può dire che opere cristiane costano meno perchè meno soggette a spese fiscali, tuttavia quello che viene abbuonato alla chiesa da quel punto di vista grava comunque sulle nostre spalle e quindi è pur sempre un costo, per quanto indiretto. Per finire, citando proprio quegli articoli dell’Avvenire che ho linkato sopra, solo una piccola parte (1/5) delle entrate della chiesa vanno in carità. Per il resto (4/5) il tuo discorso non tiene e visto che si tratta di parecchi soldi forse permetterebbero allo stato di fare anche di più di quello che fa la chiesa.
A questo punto ti rigiro la domanda e ti chiedo: sbaglio?
Ze: Riguardo il tuo commento sull’ultima frase dell’articolo, non sono daccordo. In quella frase Ratzinger evidenzia come la chiesa sia diventata un ostacolo nel rapporto uomo-Dio, il motivo per cui tanta gente si separa dalla fede (a torto o a ragione non è mio compito stabilirlo). Presa coscienza di questa cosa, perchè inasprire ulteriormente questo aspetto invece di mitigarlo? La tua analisi su quanto questo papa sta facendo mi trova favorevole, ma a differenza tua, la trovo totalmente in contraddizione con quella frase posta alla fine dell’articolo di Curzio Maltese.
chiarisco subito un equivoco: non sono l’ex parroco di roberto. che non conosco. così come non conosco te, sono capitato qui per caso seguendo una serie di link. non sono neanche un prete. il nick che ho scelto è una puttanata: donzauker è, se non ricordo male, uno dei nemici di daitarn 3, il robot dei cartoni. non so da quale angolo della memoria mi sia saltato fuori quando ho scelto un nick per il commento, solo mi sembrava divertemte, dato l’argomento e separando il “don”.
a dopo x una risposta,m ora scusa non ho tempo.
ciao.
donzauker è il più grosso dei meganoidi.
il dibattito quasi quasi mi prende. stasera leggo con calma e vedo di partecipare.
Manq: mmm, non so se Curzio Maltese volesse intendere quel che ho inteso io leggendo quella frase, però ti assicuro che la mia opinione e quella frase sono coerenti, soprattutto alla luce della frase introduttiva di Maltese.
Mettiamola così: se i membri del clero si rendono eccessivamente visibili, mediante scandali o pubblicità, i fedeli inizieranno a vedere il Clero come un insieme di uomini piuttosto che come un’unica entità che materializza la mediazione tra l’uomo e Dio.
Se questo accade, la Chiesa viene depauperata del proprio lato inaccessibile, intoccabile e soprattutto INSINDACABILE che è quello che Ratzinger, dai tantissimi messaggi che sta lanciando, considera “il vero spirito del cristianesimo”.
A me pare che quest’interpretazione sia assolutamente lineare e perfettamente coerente con la recente linea papale.
Ma è ovvio che potrei anche ingannarmi.
donzauker: ho passato tutto il tragitto in macchina ufficio-casa cercando di ricordare da dove venisse il tuo nick! (e c’ero quasi, avevo pensato a Goldrake)
Sapere che don Zauker non è un prete mi ha messo un po’ di tristezza. Nessuno conosce un sacerdote che voglia leggere e dire la sua qui?
Scherzi a parte, attendo risposte sia da ale-bu, che dal sopracitato meganoide, che da Robi.
Discussione stimolante.
Ze: mah, il tuo discorso fila, ma non riesce a convincermi.
Poco male… ;)
Sono d’accordo sul fatto che gli sprechi ci sono, in parte li ho visti di persona quando sono stato in curia a milano mesi fa. Purtroppo è innegabile.
Sulla questione 1/5 – 4/5 mi rifaccio al secondo articolo che spiega come non sia possibile stabilire quanti soldi vadano in cosa basandosi sulle voci “carità” “sostentamento” “culto e pastorale” ecc… Secondo l’articolo le opere di assistenza non rientrano solo in “carità” ma anche nelle altre e la cosa mi sembra plausibile. Non sto a ripetere le parole dell’articolo, chi vuole lo legga dal link messo da manq.
Anche io penso che non sarebbe sbagliato destinare l’8 per mille anche ad altre realtà, ma sono altrettanto convinto che la cifra devoluta alla chiesa, data allo stato non produrrebbe gli stessi risultati. Così come non sono così convinto che le opere laiche di carità eguaglino in numero quelle religiose.
In conclusione, se la chiesa con la sua vocazione al servizio è di qualche aiuto allo stato, trovo giusto che riceva aiuti economici. E visto che lo stato deve necessariamente prendere i soldi dai cittadini l’idea dell’ 8 per mille non è poi così scandalosa.
ragionando in termini laici e lasciando stare la fede, credo che la Chiesa lavori comunque meglio e di più delle associazioni laiche perchè ha un “credito di credibilità” accumulato con anni di volontariato -nella maggior parte dei casi- del tutto disinteressato. e che dunque attira migliaia di volontari. la cultura del volontariato è stata creata, per tanta parte, dalla Chiesa. meriti ne ha. detto questo, la risposta piccata e stizzita di avvenire mi sembra sbagliata nei toni. e chiedere più trasparenza e dettaglio ai conti della Chiesa mi pare legittimo se non necessario, adesso che la cosa è messa in discussione. soprattutto per evitare che gli errori di pochi gettino fango sull’impegno di molti.
e per rispondere puntualmente a manq: non sbaglieresti nel dire che la Chiesa potrebbe essere trattata alla stregua di ogni altra associazione, ma solo se si partisse da zero e ridistribuendo tutte le carenze cui sopperisce la Chiesa. ma capisci che la cosa è impossibile: dobbiamo partire dallo stato delle cose e, come dicevo, se si fermasse la Chiesa si impantanerebbe molta roba. (scusa la retorica) a partire dalle esigenze di chi ha problemi.
allora, una premessa fondamentale: manq, ma davvero pensavi che potesse esistere un sacerdote che si chiamava don zauker??? ma negli anni ottanta dov’eri invece di farti lobotomizzare dalla tv come tutti noi???
tornando serio, e cercando di non andare a letto alle due. la questione dell’otto per mille è, a mio avviso, molto meno complicata di quello che si vuole farla sembrare. questo, sempre imho, perchè tutto ciò che pare complicato è più difficile che venga cambiato. essendo consolidata la natura laica dello stato in cui viviamo, non discuto che si POSSA destinare volontariamente una parte del gettito fiscale personale ad una associazione religiosa. e, parlando di percentuali, tra coloro che scelgono di destinarla trovo plausibile che la chiesa cattolica riceva introiti esponenzialmente superiori alla già citata rispettabilissima comunità valdese. quello che non accetto è la gestione della “non scelta”. e per un motivo pratico. troverei assolutamente più logico che i soldi che non si sceglie di destinare ada altro rimangano al titolare dell’intero gettito fiscale. tutto qui. se in un negozio compro un libro che costa 20 euro e mi chiedono: “vuoi che 2 di questi vadano a quella associazione che protegge i macachi o a quell’altra che protegge gli scimpanzè?” io, che provo idiosincrasia per tutte le scimmie dico “a nessuna delle due”. i miei soldi presumibilmente rimandono al negozio. senza che io sia costretto a esplicitarlo. mi scuso per la banalità dell’esempio. e in realtà le scimmie mi stanno pure simpatiche.
@don zauker. avendo vissuto il mondo del volontariato laico (CRI) come tanti altri, posso dire che il tuo discorso poteva avere senso fino a un po’ (parecchi) anni fa. la componente laica del volontariato, con tutte le sue contraddizioni che non mancano mai quando si fa affidamento sulla buona volontà delle persone, ha assunto ormai una dimensione tale da non poter essere considerata così inferiore a quella religiosa. e in questo non bisogna farsi traviare da happening oceanici simil feste di cl, meeting di loreto etc etc. le folle richiamate non rispecchiano assolutamente il numero di persone occupate quotidianamente nel settore, in perenne asfissia, dell’attività di volontariato pratica. perchè se così fosse, a guardare i numeri dei partecipanti alle feste dell’unità degli anni ’80 al centro della bandiera italiana presumibilmente dovrebbero comparire ancora due famosi attrezzi per lavori manuali.
detto questo, siccome il dialogo stimola, consiglio un breve pamphlet, scritto da un mio professore universitario, giulio giorello. si intitola “di nessuna chiesa”, edito feltrinelli. in un’enfasi di relativismo e razionalismo, forse per alcuni – non per me – eccessiva, è una risposta chiara e documentata a come la famosa pretesa dell’assolutezza delle radici cristiane del nostro paese (per non parlare di una più ampia realtà europea) sia in realtà confutabile con argomentazioni più che valide.
“Sappiamo più di quel che non era che quello che era: non era della Chiesa di Roma, non era della Chiesa di Inghilterra. Non essere di alcuna chiesa è pericoloso.” – Samuel Johnson
ps: non ho riletto. se ho scritto qualche cagata, sorry. vado a letto.
Robi: cito dal tuo commento. “se la chiesa con la sua vocazione al servizio è di qualche aiuto allo stato, trovo giusto che riceva aiuti economici.”. Parafrasando la chiesa vende un servizio e mi pare abbastanza contrario ai principi stessi cui la chiesa dice di ispirarsi: la parola di Gesù. Carità cristiana a pagamento? Mi sembra un concetto proprio brutto, anche perchè se passa la legittimità di questo discorso il salto alla giustificazione delle indulgenze è breve (qui mi ispiro alla vostra demagogia “diagnosi prenatale -> eugenetica”. Ho imparato bene? :P) Scherzi a parte, non mi piace vedere la chiesa come ente che “vende” opere di bene.
don Zauker: chiedere trasparenza alla chiesa è come chiedere pudicizia a cicciolina. La chiesa, non potete negarlo, è una “società” chiusa su se stessa e da cui deve uscire il meno possibile. Emblematico, in senso tragico, è il caso della direttiva che vieta a membri della chiesa di parlare in sede giuridica esterna alla chiesa stessa di fatti, ad esempio, di pedofilia. La chiesa terrena, intesa sempre come gruppo governativo della comunità cattolica, è una società chiusa, con le sue regole ed i suoi dogmi insindacabili. Questo è agevolato molto dal fatto che, se un cittadino può pretendere limpidezza da chi lo governa, un fedele non può pretendere nulla dalla chiesa perchè la chiesa è voce di Dio e, nel bene e nel male, si richiede fede anche in quello. E’ qui il punto più fastidioso, perchè nessuno può avere da ridire sulla fede incondizionata in un Dio, ma ci sarebbe molto da dire sulla fede incondizionata in altri uomini, per quanto spacciati come emissari dell’altissimo.
La chiesa, per come è costituita e soprattutto per la piega che il suo nuovo leader le sta dando, non è e non sarà mai trasparente. Oltretutto è agevolata dal fatto che ha anche uno stato terreno con le sue leggi a cui nessun altro stato può fare le pulci. Per questo motivo, secondo me, è sbagliato che altri stati la finanzino senza poter sapere poi che fine fanno realmente quei soldi, solo “sulla fiducia”. Possiamo discutere giorni del fatto che la chiesa sia o meno meritevole di tale fiducia, ma non è lì il punto. Il punto è che finche i fedeli la inondano di offerte e lei se le spende come vuole senza dire nulla a nessuno non ho da obbiettare, se però il mio stato la finanzia ufficialmente, la cosa non mi sta più bene.
Io, da infedele ateo anticlericalista convinto, non ho diritto nel chiedere trasparenza alla chiesa o più in generale nel dire alla chiesa come deve operare. A meno che questa si intrometta nella mia vita di cittadino italiano infedele ateo e anticlericalista convinto. Quando questo accade, allora mi incazzo.