In questi giorni tiene banco la discussione avvenuta in seno al PD riguardo le unioni omosessuali. Che poi “in questi giorni” fa ridere perchè ne parlano da che il PD esiste e non ne son mai venuti a capo, ma diciamo che la questione è recentemente tornata attuale anche per l’opinione pubblica che, in prossimità di elezioni e in concomitanza alla ridiscesa in campo di Berlusconi, mostra giustamente agli italiani cosa succede sull’altra riva del fiume. Come sempre, il timing scelto dal PD per tirar fuori lo squallore di cui è composto è impeccabile, ma davvero non vorrei divagare.
Dicevamo che all’interno del PD si son manifestate per l’ennesima volta posizioni inconciliabili riguardo temi sociali importanti per il futuro di questo Paese. Essendo il partito per definizione democratico, le diverse personalità che lo compongono hanno provveduto ad esprimere legittimamente le loro posizioni, anche discordanti e spesso inconciliabili, perchè alla fine la democrazia è proprio dar voce a tutti. Io questa cosa la apprezzo anche, perchè se avessi voluto sostenere il pensiero unico avrei tranqullamente potuto votare a destra. Quindi ben venga la discussione, ben vengano le diversità che, da sempre, arricchiscono e ben vengano l’apertura ed il dialogo volti a conciliare posizioni diverse nell’interesse del Paese.
Per essere un partito però su qualcosa bisogna concordare. Questo è necessario per scrivere un programma da presentare agli elettori, programma che dovrebbe appunto sancire le basi su cui il partito in questione fonda la sua idea di governo per l’Italia che verrà. Io, quali siano queste basi, non l’ho mica capito. Anzi, non ho ancora mai sentito di un frangente in cui il PD si sia manifestato unito. Ci sarà una cazzo di cosa su cui sono d’accordo, no?
Così ci ho pensato e, gira e rigira, l’ho trovata. Il punto fondamentale del PD, su cui si fonda la sua corsa alle prossime politiche, è continuare ad esistere. Vincere o perdere non conta. Il PD è l’espressione massima de “l’importante è partecipare”. Altrimenti non si spiega.
Io non ne so moltissimo di politica, nè di economia, ma ho la netta impressione che riguardo i grandissimi temi economici e politici, ormai, i governi dei singoli paesi abbiano ben poca voce in capitolo. L’economia e la politica sono ormai globali e che ci governi Tizio, Caio o Sempronio su quelle cose lì c’è poco da fare. Grazie a Dio, perchè fossero stati decisivi i governi dopo vent’anni di Berlusconi vivremmo sulle piante. Se però c’è qualcosa su cui ancora i governi hanno margine decisionale è la politica sociale e in quest’ambito, il PD, non è un partito perchè non avrà mai un programma. Etica medica, diritti civili, ammortizzatori sociali e pensioni sono alcuni dei temi su cui questo insieme di persone non ha mezza base in comune. La cosa drammatica (per il Paese eh, mica per loro) e che non gli interessa. Il loro scopo è raccogliere voti. Per farci cosa non è importante o quantomeno non è un problema da porsi ora. A guidare la politica del partito è un grosso, gigantesco pallottoliere.
La cosa che fa rabbrividire è che ad usarlo però, non son neanche tanto capaci. In primo luogo, se c’è stato uno sconfitto alle precedenti amministrative è stato il centro moderato di stampo cattolico. In che modo la rincorsa alle posizioni recentemente sconfitte e l’alleanza coi recenti perdenti possano o debbano aiutare i numeri del PD, giuro, ma non lo comprendo.
In seconda analisi, è facile a mio avviso constatare come, oggettivamente, il PD sia un partito inutile perchè overlappante posizioni già definite. Non esistesse, con ogni probabilità il 50% dei suoi iscritti starebbe con l’UDC, il 40% con i vari partitucoli di “sinistra” che vanno da SeL all’IdV passando per Grillo, e un buon 10% con il PdL o qualunque altra realtà di destra fosse disposta a dar loro una poltrona. Nessuno si troverebbe scoperto o privo di una realtà capace di portare avanti le i propri ideali con coerenza molto maggiore a quanto il PD saprà mai fare.
E allora fatelo, perdio, disintegratevi. Toglieteci dalla vista sto prodotto indecente e smettetela di provare a far credere che in Italia ci sia un partito di sinistra al 30%.
Quoto ogni singola parola. Applausi ;-)
Si,
ma quindi.
Io, cosa voto?
Vota manq
Ahahah… esatto, vota me.
Scherzi a parte, per quanto mi riguarda sono entrato da tempo nella fase: “Esprimo il mio totale dissenso andando a votare, ma annullando la mia preferenza”. Sono convinto che, per quanto scarsamente probabile (leggi utopistico), se tutti facessero come me sarebbe l’inizio del cambiamento.
Il motto, per quanto mi riguarda, è “DELEGITTIMIAMOLI”.
Io introdurrei una semplice riforma per dare un “senso pratico” al voto di protesta/non voto: se alle elezioni non si registra perlomeno un’affluenza del 40-50% (dove per affluenza intendo voti validi, escluse le schede bianche, gli insulti e via dicendo) le elezioni NON sono valide e vanno ripetute, col vincolo che chi si è presentato (come capo lista?) nell’elezione “annullata” non possa più ricandidarsi.
Eh, non sarebbe male, ma è abbastanza infattibile. Seguirebbe all’elezione un momento di stasi politico in cui devi riformare le liste, ripresentare nuovi candidati e nessuno governa il paese. O peggio, resta in mano a quelli di prima che, con ogni probabilità, son quelli che la gente ha scelto di non votare.
E’ complicato.
Eh, lo so che è un po’ complicato, ma non riesco a pensare a un modo migliore per resettare in tempi ragionevoli la classe dirigente…
Anche perchè serve un ricambio rapido e, soprattutto, spezzare gli attuali meccanismi di reclutamento e (auto) selezione, che fanno si che i nuovi siano spesso, paradossalmente, ancora peggio dei vecchi!
Il problema è che col tuo metodo la nuova classe dirigente dovrebbe generarsi da sola, dopo la botta di astensioni. Nessuno va a votare el tutti quelli che si son presentati devono sparire. Ok. Ma poi chi eleggiamo? Da dove dovrebbero uscire i nuovi candidati?
Ma naturalmente da questo blog :-D