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Live reports don’t tell themselves

Mi sono visto proprio un bel concerto.
I Funeral for a Friend sta sera hanno fatto un grande show. Me li aspettavo precisi e puliti al punto di sembrare finti e mi aspettavo una prova discutibile da parte di Matt alla voce.
Così non è stato.
Il suono era effettivamente impeccabile ed i pezzi tutti suonati con una precisione spaventosa, ma la sensazione era di bravura più che di finzione. Anche la voce, tolti un paio di pezzi di rodaggio all’inizio, non si è certo risparmiata. La scaletta ha toccato tutta la produzione musicale della band, regalando anche la chicca di “10.45 Amsterdam Conversations” tratta da “Seven ways to scream out your name”. I pezzi nuovi in chiave live mi hanno convinto al 100%, ma è sicuramente sulla roba più datata che il concerto ha avuto i suoi picchi. Durante un siparietto volto ad elogiare il pubblico, ho anche appreso una roba abbastanza spiacevole: sembra che il menagement del gruppo abbia loro sconsigliato di fare tappa in Italia durante il tour europeo. Questa rivelazione aveva come scopo quello di dire che invece ci siamo rivelati un pubblico fantastico, tuttavia è abbastanza triste sapere che ci considerino un posto dove non è bello venire a suonare.
Per il bis hanno tenuto due pezzi enormi come “Streetcar” ed “Escape artists never die”. Sull’intro della prima, con il telefono che squilla, Matt ha anche accennato: “Milano, I just call to say I love you”, facendomi molto ridere. Chiudo la parte di post a loro dedicata con due cigliegine. La prima è che uno dei due chitarristi è ormai il sosia ciccione del cantante degli AFI, l’altra è che per la prima volta ho visto una tipa fare il segno del cuore con le mani ad un concerto. Quando me ne sono accorto ho sperato che Matt la vedesse, saltasse dal palco e la limonasse ferocemente.
Nel vedere tutto questo, avrei pianto.
Se la serata è stata molto piacevole gran parte del merito va anche ai Revolution Mother, il gruppo spalla. Trattasi di quattro bikers californiani usciti direttamente dagli anni ottanta e spinti da un’unica passione: l’hard rock. A vederli sembrano lo stereotipo degli harleysti ritratti nei telefilm americani di quell’epoca: bandane, giubbotti di jeans con sulla schiena il logo della banda, tatuaggi, barbone foltissime e tanta tanta attitudine. Che il loro sia un messaggio decisamente vintage è comprensibile al solo guardarli, ma per allontanare qualsiasi dubbio sfoderano una bella cover targata Black Flag, togliendo posto a qualsivoglia malinteso. Sentendoli suonare mi sono subito chiesto cosa ci facessero di spalla ad un gruppo come i Funeral for a Friend. La risposta mi è stata data poco dopo dal cantante della band.
“People ask us: “Why are Revolution Mother touring with Funeral for a Friend?”. Well there are not music categories. There are not music genres. There are only bad music and good music. We and Funeral for a friend play good fuckin’ music and we play it fucking loud!!”
Geniale.
Il loro show dura mezz’ora ed è puro spettacolo. Travolgenti da ogni punto di vista. Quando poi il chitarrista ha scavalcato le transenne per suonare un pezzo in mezzo al pubblico è stato il delirio. Tutti attorno a lui a corna alzate, sottoscritto compreso, in un momento di puro rock and roll!.
Al momento dei saluti si sono rammaricati di non potersi fermare a bere una birra con il pubblico, come loro consuetudine, per via delle serratissime date del tour. Se dovessero ricapitare in italia, non esiterei un secondo nel tornare a sentirli pur non apprezzando particolarmente il genere dal loro proposto.
Veri animali da palcoscenico.
Veri animali.
Chiudo, dopo aver ringraziato Carlo e la Sara per la compagnia, con l’unica nota negativa: il Musicdrome. Acustica buona, per carità, ma locale orribile e servizio sicurezza indisponente.

2 commenti su “Live reports don’t tell themselves”

  1. io invece sono andato a vedere canadians, e regalo un recensione positiva del nuovo garage a sesto (ex rock-house). piccolino, niente di particolare, però acustica decente, atmosfera da club e calendario interessante.
    con le dovute proporzioni mi ha ricordato un po’ il vecchio binario zero.
    peccato fosse semi deserto, ma confido per il futuro.

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