Lavoro in un’azienda che, tra le altre cose, vende reagenti utilizzati per i test COVID19. In questo momento, pur essendo fermi per larga parte del nostro business, stiamo ovviamente ricevendo una quantità di richieste per quei prodotti semplicemente fuori scala.
Qualche ritardato probabilmente pensa che dovremmo regalarli.
Come se la ricerca per arrivare a concepire quel prodotto non abbia avuto un costo iniziale, come se la produzione di quel prodotto non avesse non avesse un costo oggi, come se dal margine tra costo di produzione e prezzo netto di vendita non dipendessero diverse famiglie, ecc. Se l’azienda fosse mia o se potessi decidere io come stare sul mercato in questo momento, forse opterei per abbattere tutto il profitto non necessario e vendere a quel prezzo imposto, ma è probabilmente un’altra faciloneria idiota perchè è impossibile non tenere conto del fatto che, ad esempio, la mia azienda investe la maggior parte degli utili in R&D, che vuol dire che quanto guadagniamo oggi serve a sviluppare prodotti utili a test che potrebbero essere necessari domani e che, senza quei profitti, non avremo mai.
Non voglio stare qui a far passare il concetto di lavorare per un ente benefico, il presidente della mia azienda non è San Francesco d’Assisi, però il tutto è comunque più sfaccettato del semplice “lucrare sulla pandemia” di cui si sciacquano la bocca tante persone.
Sarebbe diverso se la mia azienda, alla luce della richiesta, avesse iniziato a vendere il prodotto a tre, quattro o dieci volte il prezzo che aveva a metà gennaio, come accaduto per esempio in Amazon per amuchina e mascherine. Il fatto che per molti non ci sia differenza è qualcosa che mi manda completamente ai matti.
Nell’economia di mercato ci sarà sempre qualcuno che guadagna dalle situazioni, per quanto brutte, e capisco che questo concetto possa far incazzare. E’ umano inacidirsi pensando che a questa catastrofe corrisponda un qualche “profitto”, ma forse sarebbe il caso di mantenere un briciolo di lucidità e provare a vedere la questione con una prospettiva più ampia.
In soldoni, c’è un monte di differenza tra il discorso di Cairo (un banalissimo spot motivazionale destinato alla propria forza vendite in cui la roba più rivoltante è la parlata alla Berlusconi) e le risate degli imprenditori che commentano il terremoto dell’Aquila, proprio perchè un’imprenditore è legittimo pensi ai profitti che si sviluppano in un contesto favorevole, ma è una persona di merda se non ha la decenza di rendersi conto che la sua fortuna arriva dalla pelle altrui. E Cairo, a mio modesto avviso, quella decenza l’ha mostrata.
Da qualche giorno ormai evito di seguire il bollettino giornaliero, non ho più la lucidità per farlo e sto cercando in qualche modo di prendere un distacco dalla questione. Quando sarà finita, me lo diranno, fino ad allora ho perso lo spirito per mettermi a ragionare su numeri che sono troppo “parziali” per permettermi di cavarne fuori qualcosa. Non con le mie competenze, quantomeno.
Oggi ci ho guardato però perchè gli 812 morti in realtà sono 811 + la mamma del mio migliore amico.
I Jimmy Eat World me li ero già spesi, ma siamo al ventitreesimo giorno e 23 è una canzone troppo bella per essere ignorata.