Che fatica la vita su twitter nel 2018
Forse è il caldo, forse la noia, ma sento l’esigenza di parlare di una questione fondamentale.
Questa:
La Francia ha vinto i mondiali.
E’ una catastrofe, ma ci possiamo fare poco (avremmo potuto provare ad impedirglielo, che ne so, qualificandoci alle fasi finali, ma non vorrei tornare sul fatto che questa sia l’estate più triste della mia vita.).
Han vinto, dicevamo. Bravi.
Va beh, non hanno incontrato mezza avversaria decente e in finale vincevano 2-1 senza aver mai fatto non dico un tiro, ma un’azione d’attacco, ma OK. VA BENE. Lo accetto.
La Francia è campione del mondo.
E’ giusto festeggino. Solo che il social media manager del Louvre non ha trovato nulla di più francese della Gioconda per celebrare la sua nazione e questo a me pare un bel fail. Senza mi pare, anzi, è un fail clamoroso. Questi chiamano il DNA “ADN” e il computer “ordinateur” per non usare parole altrui e poi per auto incensarsi postano la Gioconda?
Son dei babbi, dai.
Cosa che, tra l’altro, non scopriamo certo oggi.
Siccome però viviamo dei tempi davvero difficili, da questa cosa è scoppiato fuori un putiferio.
Da una parte sono ovviamente scattati subito tutti quei disagiati social che ultimamente a quanto pare costituiscono l’opinione pubblica italiana. Quelli che si esprimono come Salvini, quelli che “LA GIOCONDA E’ NOSTRA CE LAVETE RUBBATA!1!”. Va beh. Che in Italia ci sia una fetta importante della popolazione con la sabbia nella scatola cranica non credo sia una scoperta sensazionale. Si sono giustamente fatti blastare dallo stesso social media manager di cui sopra e questo fa un po’ da riferimento, avendo noi appena accertato non si parli di una faina.
Dall’altra parte sono invece insorti tutti quelli che ogni scusa è buona per buttare la questione in politica da bar. Non fossero bastati due giorni di dilemma senza senso tra il tifare Croazia “eh, ma così sto con Bargiggia e Casa Pound” o Francia “che però Macron lascia le donne incinte sui treni e ci fa la predica sull’accoglienza”, mettiamoci anche il carico con centinaia di inutili tweet a cavallo tra la storia dell’arte e il social shaming della propria nazione ignorante.
Non so quale delle due posizioni mi dia più i nervi, dovendo scegliere, ma il peggio è che sia impossibile provare a mettersi in mezzo, a definire una posizione diversa.
O stai coi derelitti che usano la gioconda per ricordare che la Francia in realtà è piena di africani, o stai con quelli che vedono nell’odio sportivo verso i transalpini una vena forzatamente legata ad un rigurgito nazionalista e sovranista.
Me lo spiegate come si tira fuori il nazionalismo da una competizione tra squadre nazionali, per la carità del vostro Dio?
E’ ovvio ci sia, ma è un nazionalismo sportivo. E’ sano? Va bene? Non lo so. Forse è un concetto che nel 2018 dovrebbe risultare anacronistico, forse invece è bene che ogni due anni i paesi europei sfoghino le loro rivalità secolari su un campo da calcio invece che invadendosi a vicenda. Però non si parlava di quello, santa madonna.
Si parlava di un tweet sbagliato fatto dal social media manager del Louvre per celebrare il proprio Paese. Non è complicato, basterebbe leggere le argomentazioni e rispondere a quelle, invece di continuare a sfogare la propria convinzione ideologica quale che sia l’interlocutore.
Poi se volete venirmi a dire che quel tweet non fosse un tentativo di innalzare i colori francesi dopo la vittoria mondiale, ma una più o meno velata operazione di perculaggio ai danni di noi italiani gufi e perdenti allora va bene. Non ci credo manco per un minuto, ma posso concedere il beneficio del dubbio (non si fa processo alle intenzioni).
Come presa per il culo è sicuramente efficacissima.
Permettetemi però di dire che se nel momento della massima vittoria il loro primo pensiero è sfottere un avversario che manco era in competizione, beh, è legittimo gli si imputi una mentalità perdente.
E forse è vero che da quel 2006 si devono ancora riprendere.