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Luglio 2013

Il gioco delle tre carte

[…]
– E’ che, senza il congresso, qui non c’è molto di fare. E anche il congresso non era molto… – Snijders fece un verso strano con la bocca.
– Non era interessante? Forse era un po’ fuori dai suoi argomenti.
– Sì, anche, ma non solo. È che ormai sento sempre le stesse cose. È raro trovare un po’ di fantasia, di inventiva. In particolare gli italiani hanno una cosa strana. Come competenza, intendo.
Ne abbiamo tante di cose strane, bello, a livello di competenza. Sei in un paese in cui le veline parlano di calcio e i preti parlano di sesso e di famiglia.
– E quale?
– Non sono originali. Quasi mai, intendo. Ultimamente vedo gente che fa le stesse cose che faceva venti anni fa. Raffinano. Limano qualcosa. Fanno roba bellissima, a volte. Molto complessa. Ma sempre con gli stessi modelli. Io intendo, parlo in generale. Le eccezioni ci sono. Ma sono rare. E la scienza non è questa. Ci vuole originalità, idee nuove. Le applicazioni le deve fare l’industria. Noi dobbiamo fare ricerca.
Notevole. Nuova sorgente di acqua calda scoperta in località Pineta dal professor Snijders dell’università di Groningen.
– E non capisco il motivo – continuò Snijders, dato che evidentemente l’argomento lo appassionava. – Scientificamente, gli italiani sono sempre stati validi. Preparati bene come studenti. Non come i russi, o gli indiani, ma molto meglio della media europea. È strano.
Massimo si sentì punto sul vivo. Su quell’argomento si era fatto venire il sangue amaro tante di quelle volte che, anche non volendo, ormai sentirne parlare gli attivava un riflesso pavloviano.
– Non è strano – disse mentre porgeva a Snijders la focaccina su un piatto. – Lo sa perché? La ricerca in Italia non è originale perché è comandata da dei tirannosauri. In Italia, il quarantasette per cento dei professori ordinari è gente che ha più di sessant’anni. Sessant’anni. Non ci riusciva Gioacchino Rossini ad essere originale a sessant’anni, e vuole che riesca gente come questa qui?
– Ma perché non vanno in pensione, allora? – chiese Snijders a bocca piena. – Non si rendono conto che non fanno del bene?
– No. Non se ne rendono conto. Perché in questo paese del menga siamo abituati a fare del bene in modo morboso. Le faccio un esempio semplice. Gran parte dei professori dice: «Non posso andare in pensione ora, anche se ne avrei diritto e anche se non ho più voglia di fare una sega, perché prima devo sistemare il mio dottorando, assegnista o qualunque ruolo abbia lo schiavo di turno». Il concetto è che siccome quel tipo ha fatto tesi, dottorato e tutto il resto con me come tutore allora ho una sorta di obbligo morale a sistemarlo. Come no. Peccato che se tu ti levassi dai piedi libereresti i soldi necessari a farne tre, dico tre, di ricercatori. Però magari in questo modo il tuo figlioccio potrebbe non entrare. Specialmente se è una immonda testa di cazzo che ha come unica dote l’ostinazione. Perché il fatto è che negli ultimi anni in Italia non entri all’università per bravura. Ci entri soprattutto per sfinimento. E questo è il primo problema.
– Ah, c’è anche un secondo problema? – chiese Snijders masticando.
– Sissignore. Il secondo problema è che, come giovani, eravamo troppi. Troppi, e con in mezzo troppa gente assolutamente inadatta. Ho visto ammettere al dottorato di ricerca persone che da studenti faticavano per passare gli esami. E perché sono entrate loro? Semplicemente perché quelli più bravi avevano abbastanza iniziativa per andare all’estero, o per andare a lavorare fuori dall’università. Quelli che non erano buoni a levarsi un dito dal culo da soli invece sono rimasti lì, e hanno cominciato la trafila. Il contrattino, il dottorato, la borsa, l’assegno e cazzi vari. Intendiamoci, in questo i professori hanno la loro buona parte di colpa. Invece di fissare una soglia che garantisse la decenza, hanno continuato a prendere un numero di persone fisso, e troppo grande rispetto a quello che sarebbero stati in grado di integrare in futuro. Così, insieme a gente brava che si meritava di fare il dottorato e di rimanere a fare ricerca, hanno raccattato morti e feriti. Che però, dopo aver preso a venticinque anni, dopo il dottorato ne hanno ventotto, e dopo l’assegno trenta o trentadue. E a quel punto o li assume l’industria farmaceutica come cavie oppure te li tieni sul gozzo, perché un laureato di trentadue anni, magari con il dottorato, leindustrie al momento non lo vogliono nemmeno in regalo. Io lo so bene. Sono uno di quelli.
[…]

Tre dischi tre

Che io non abbia più tanto tempo per scrivere mi pare si intuisca. Anche per questo ho smesso di scrivere di musica per Groovebox, non potendo più garantire una “professionalità” mai richiesta, ma che per me è importante quando si decide di fare qualcosa.
Questa cosa però fa si che se un pomeriggio, come oggi, mi prendesse voglia di scrivere di musica io possa farlo sul mio blog. Just like old times. E quindi eccomi qui, a buttar giù qualche riga su alcuni dischi che di recente ho ascoltato e sto ascoltando e di cui, per un motivo o per l’altro, mi sento di dire due robe. Partiamo.

NOMADS – S/T
Questo disco l’ho scoperto grazie al Fragolone, che l’ha scoperto casualmente grazie a facebook. E’ un disco di post rock strumentale come ce ne sono, immagino, centomilioni di altri. La differenza però è che questo a me non annoia e, anzi, in certi punti commuove proprio. Tipo con “Home”. E’ un periodo questo in cui col post rock sto andando abbastanza d’accordo, anche se sono molte di più le cose che non mi piacciono di quelle che apprezzo. Ho ancora molte difficoltà coi dischi interamente strumentali, che spesso appunto mi lasciano davvero pochino, e anche in questo “Nomads” ci sono diversi punti in cui io ci avrei sbattuto una bella voce sopra. Delle belle linee vocali, a dare al tutto una forma più consona al mio palato. Però a differenza di altri casi (sì, parlo per esempio dei Mogwai), anche senza una voce sopra il disco sta in piedi e riesce ad emozionare. Io gli unici dischi completamente strumentali che riesco ad ascoltare sono “The Earth is not a cold dead place” degli Explosion in the Sky e l’ultimo EP degli End of the Ocean. E poi questo, che tutto sommato non ha moltissimo in comune con gli altri due. Io non faccio magari testo, però oh, se piace a me può piacere a tutti.

DEAFHEAVEN – SUNBATHER
Questo disco invece l’ho scoperto grazie all’internet che ne parla da tempo in termini entusiastici. Ci ho messo un po’ ad approcciarlo. Prima perchè ho confuso il gruppo coi Deerhunter, che non mi piacciono, poi perchè alla fine della fiera si tratta di un disco balck metal. E io credo non ci sia bisogno di ribadire il mio rapporto non proprio d’amore col metal. Però ci ho creduto, me lo sono ascoltato un po’ di volte e alla fine è stato amore. Che poi, se lo chiedete a me, non sono convinto sia davvero un disco black metal. Innanzi tutto la copertina è rosa. Poi i testi, per quanto li abbia letti velocemente, non mi paiono particolarmente metal. A renderlo un disco black sono chiaramente le urla strazianti del cantante (anche se, da ignorante, mi chiedo quale sia il confine tra questo black metal e certo emo violence o screamo o che dir si voglia, ma vabbè) che difficilmente si possono ignorare e che richiedono un po’ di tempo per essere metabolizzate. E io di gente che grida ne ascolto eh, ma così no. Così mai. Una volta assimilata la voce ed equiparata ad un altro strumento musicale distorto, il tutto è in discesa perchè le melodie sono di una bellezza sconfinata. Di una poesia rara. Uno dei dischi più belli che mi siano passati per le mani quest’anno, nonchè uno dei più “estremi” che io abbia mai comprato.

JIMMY EAT WORLD – DAMAGE
Ed eccoci infine alla nota dolente, ovvero il nuovo disco dei Jimmy Eat World, che è sostanzialmente un disco inutile. Ci sono dentro una sfilza di pezzi anonimi, un pezzo decoroso (How’d You Have Me) e un pezzo orribile (ByeByeLove) e non c’è verso di definirlo diversamente nonostante mi sia sforzato di ascoltarlo più volte. L’altro giorno su Facebook il buon Ghibo condivideva un video in cui i JEW suonano la cover di Taylor Swift “We are never getting back together” e quel che ne esce è un pezzo cento volte migliore di qualunque cosa si possa trovare in Damage. Credo sia una roba indicativa.