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E.R.

Ieri sera ho avuto un piccolo incidente domestico e sono andato al pronto soccorso dell’ospedale di Cernusco sul Naviglio.
Arrivato in loco spiego all’infermiera di turno il mio problema all’orecchio destro e questa, dopo averne preso accuratamente nota, mi indica un posto dove attendere il mio destino.
Già a partire da quel momento in me nasce un primo pensiero: “a che punto della carriera di infermiera si perde la gioia di vivere e ci si trasforma in donne dalla personalità urticante?”.
Due mie compagne del liceo fanno le infermiere e mi spiacerebbe vederle ridotte così.
Magari chiederò a loro.
Sta di fatto che immerso in questa riflessione sociologica passo una buona ora abbondante in sala d’attesa, fino a quando la sopracitata signorina intona a gran voce il mio nome, con il timbro che usano genitori e professori quando devono rimproverarti. Scosso dalle mie riflessioni ed un po’ spaesato mi chiedo: “Dove ho sbagliato? Perchè la maitresse ce l’ha con me? Dovevo forse sedermi altrove?”. Senza il tempo di poter rispondere ai miei quesiti mi viene indicata la via da seguire per giungere alla guarigione ed io, speranzoso, la percorro a grandi passi.
Giungo ad una porta.
E’ una di quelle scorrevoli, tutta grigia, monito al malato che mai deve abbandonare il suo stato di tristezza e depressione.
Quando mi viene aperta, l’uomo che ho di fronte è piuttosto alto e brizzolato e porta un cartellino al camice recante la scritta “dottore”. Sorride. La cosa un po’ mi solleva e mi dico: “Finalmente qualcuno che capisce che non sono qui per scelta, nè per rompere i coglioni, ma semplicemente perchè necessito assistenza.”. Ricambio il sorriso e faccio per sedermi, ma l’amico medico stronca sul nascere ogni mia velleità di distensione e mi comunica che l’otorino la sera non è in ospedale e che sarei dovuto tornare l’indomani mattina. Lo dice tutto di un fiato e termina con un sorriso, come tra noi non fosse cambiato nulla e l’amicizia che ci lega da anni restasse inviolata. Lo guardo perplesso, cerco la telecamera nascosta, ma non vedo specchi. Da perplesso viro ad indispettito.
Lo guardo di nuovo e chiedo se è normale che io debba passare la notte in quelle condizioni, ma prima che mi potessero rispondere pongo una seconda domanda, la cui risposta mi interessa nettamente di più: “Non potevate dirmelo all’ingresso invece di farmi aspettare più di un’ora? Se vengo perchè ho problemi ad un orecchio con chi vi aspettate che voglia parlare, con l’addetto mensa? Se l’otorino non è andato via da due minuti esatti, potevate fare la cortesia di risparmiarmi un’ora e passa di attesa inutile.”. L’uomo mi guarda, stupito, dopodichè risponde: “Cosa vuole, che la visiti io?”. L’aria è di sfida. “Evidentemente il cartellino ingannatore che porta al camice è semplicemente il bedge per il parcheggio che questo imbecille ha rubato ad un vero dottore – penso – e se usa una eventuale sua visita come una minaccia forse è il caso di desistere dall’intento di essere curato qui ed ora.”. Restando calmo chiedo indicazioni su come agire e il netturbino, penso fosse quella la sua reale professione, mi spiega di tornare l’indomani mattina. “Venga dopo le nove e trenta.” aggiunge, perchè l’otorino non deve certo alzarsi all’alba per me. Ancora indispettito mi allontano dalla corsia e torno a casa.
Stamane, come da accordi, alle nove sono all’ospedale. Non mi aspetto di trovare il dottore che, come detto, deve pur dormire, tuttavia spero almeno di poter sbrigare le pratiche burocratiche ed ottimizzare un po’ i tempi.
L’accoglienza è buona. L’infermiera allo sportello è al telefono con la famiglia. Non sono certo un maleducato, quindi mi faccio solo vedere, ma non dico nulla. Lei mi vede. “Ok, adesso dice che richiama dopo e mi da retta.” penso. Illuso. Evidentemente ha questioni più importanti della mia salute di cui discorrere e quindi non accenna a mettere giù. Da indispettito viro a visibilmente seccato. Non parlo comunque, mi sforzo a non sbottare. “Devi andare? Ok, ti richiamo dopo!” dice l’infermiera. Mi viene da sorridere. Il tipo con cui è al telefono deve andare. Peccato. Lei avrebbe parlato volentieri ancora per un po’ ed invece si trova costretta a soccorrermi. La voglia è di darle una testata sul naso e così mi limito a fornire in silenzio il foglio di cui ero stato munito la sera prima. Vengo indirizzato al secondo piano.
Mi incammino.
Incontro la Pedro, amica di mia cugina, anche lei dalle parti del pronto soccorso. La saluto un po’ in fretta (mi scuso) e proseguo. Giungo a destinazione e ad accogliermi c’è l’ennesima infermiera. Ormai prevenuto, la tratto con leggero disprezzo, tuttavia si dimostra essere cordiale ed educata, nonchè propensa ad aiutarmi. Abbasso un po’ la guardia, le sorrido e le consegno il foglio. Lei ricambia il sorriso per un attimo, poi legge il foglio. Improvvisamente cambia espressione e vedo il rammarico fare capolino dai suoi occhi. Titubante abbassa lo sguardo e dice: “Mi scusi, ma ci deve essere un errore. Oggi non c’è l’otorino in ospedale, deve venire domani.”
Bestemmio. Forte.
Lei tuttavia reagisce bene e cerca comunque di aiutarmi. Mi chiede chi mi abbia mandato lì. In breve ricostruisce il mio recente passato e si mobilita, telefonando in cerca di qualcuno che possa darmi quello per cui sono venuto: soccorso. Magari non pronto, ma non è certo il caso di sottilizzare. I minuti passano ed io non faccio che imprecare e chiedere di poter vedere il “dottore” della sera prima, così da poter dare sfogo al mio umore. Ovviamente non c’è, comprensibile avendo fatto il serale la sera prima.
Arrivano invece un paio di altre infermiere, attirate credo dal mio atteggiamento non proprio compassato. Mi dicono che ho ragione, che quello della sera prima non dovrebbe fare il medico, ma l’idraulico e che devo andare a Melzo se voglio sperare di risolvere il mio problema in giornata.
Così tempo di fare la strada e sono a Melzo, dove in circa mezz’ora vengo visitato ed il mio problema viene risolto. Anzi, c’è addirittura di più.
L’otorino estende l’ispezione a tutte le aree di sua competenza e, dopo attenta analisi, mi dice che ho problemi al setto nasale e che, di conseguenza, il mio cronico naso tappato non è di natura allergica come pensavo. Neanche il tempo di farmi rendere conto di quanto mi stava dicendo, che passa allo step successivo e mi propone un intervento in day hospital che potrebbe ridonarmi la capacità di utilizzare il naso per respirare con soli quattro giorni di ricovero. La verve chirurgica tuttavia scema subito dopo e, prescrittemi le medicine per eliminare i residui di infiammazione all’orecchio, mi augura buon giorno e mi lascia libero di andare.
Che esperienza.

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