Polemichetta
Fa caldo ed è tempo di vacanze, ci sarebbero una tonnellata di cose più edificanti da fare che non gettarsi nella polemichetta, no?
Evidentemente no.
Partiamo da un mini riassunto dei fatti: Sydney Sweeney, che molti di voi ricorderanno per questo motivo, ha fatto da testimonial per un’azienda di jeans americana, American Eagle, in una serie di spot che giocano con l’assonanza tra JEANS e GENES. In pratica il messaggio è che l’attrice è una figa senza senso molto bella per via dei suoi geni.
Panico in sala.
Io vi giuro che non so neanche da dove partire a ridere di sta faccenda, ma ci voglio comunque provare.
Il reato imputato allo spot è di un riferimento alla supremazia della razza. Siccome il fenotipo dell’attrice è quello tipicamente ariano, siccome il fenotipo deriva dai geni e siccome è incontestabile i suoi geni abbiano fatto un discreto lavoro sul piano estetico, allora la razza ariana è superiore. Se mentre leggi questa cosa noti evidenti voragini nella logica non so che dirti, io sono qui solo per presentarti i fatti. Anche volendo però prendere per lineare il ragionamento di fondo, ci sono due aspetti di cui non mi pare si stia parlando abbastanza.
1) Il possibile target statunitense di quello spot dovrebbe essere la fetta di elettorato che si batte per togliere l’evoluzionismo dalle scuole, perchè crede nella bibbia e non nei dinosauri. Il target di quello spot NON LO SA cosa sono i geni o, comunque, non crede nella loro funzione.
Siccome sono propenso a pensare che le campagne marketing di aziende con così tanti soldi siano messe in mano a persone che sanno fare il proprio lavoro, è evidente che lo spot è stato scritto per innescare la polemica e far parlare del brand come di un brand anti-woke, che è il principale metodo di guadagno consenso negli USA ormai da qualche tempo, in maniera direi incontrovertibile. Se ci pensate è una roba veramente divertente. Se nessuno si fosse preso la briga di alzare la polemichetta, il messaggio suprematista dello spot i suprematisti non l’avrebbero colto. Dopo la polemichetta, invece, il vero messaggio che passa è che American Eagle è un brand anti-woke. Ed è molto diverso, perchè i suprematisti in USA sono tanti, ma non così tanti. Mentre il rigetto per il cosiddetto wokeism è davvero trasversale. Per dirla facile: la campagna ha centrato l’obbiettivo, AE probabilmente venderà più jeans, ma questo non deriva dal fatto che negli States siano tutti nazisti. Leggerla così è continuare a non capire perchè Trump ha vinto le elezioni.
2) Se anche volessimo credere che, negli Stati Uniti del 2025, dichiararsi sostenitori della supremazia della razza ariana sia talmente condiviso da fondarci sopra una campagna pubblicitaria volta a vendere indumenti ad un pubblico trasversale, il problema non dovrebbe MAI essere lo spot. Il problema di cui occuparsi dovrebbe essere perchè un’azienda possa pensare che uno spot di quel tipo faccia aumentare le vendite e non il contrario. Discutere della rimozione dello spot è sbagliare mira. Se AE inneggia a Hitler per vendere jeans, il problema non è AE. Il problema sono le persone che comprano i jeans. Io davvero non posso credere che dopo la retromarcia violenta fatta da quasi tutte le grandi aziende USA sul fronte dell’inclusività letteralmente il giorno dopo il riscontro elettorale avuto da Trump, ancora ci siano persone che credono che eventuali manifesti ideologici sbandierati da questa o quella multinazionale riflettano effettivamente dei valori e non unicamente la necessità di vendere a quante più persone possibile. Boh. Mi sembra lunare che se ne stia ancora parlando in questi termini.
Il problema dello scagliarsi contro concetti sbagliati, anche aberranti, con un approccio censorio invece che di dibattito è che si alimenta con microgesti irrilevanti una narrazione completamente inventata relativa al quadro generale. Tipo che escono settordicimila canzoni ogni giorno in cui il rapperino di turno dice che “alla sua troia gli taglia la gola”, ma poi una volta all’anno si decide che il cantante X non può suonare nel contesto Y per via dei suoi testi sessisti e violenti. Unica conseguenza: far ripartire il valzer del “non si può più dire niente”, senza che nessuno si prenda la briga di sottolineare che, dal giorno dopo, le canzoni sessiste e violente in uscita continueranno ad essere settordicimila, se non di più.
Viviamo un’economia di mercato, l’offerta segue la domanda e non viceversa. Chi insegue il grande pubblico gli dà quel che il grande pubblico vuole. Ci sono le nicchie, ovviamente, per fortuna ci sono le alternative. Possiamo e forse dobbiamo esercitare un consumo più consapevole, con tutti i limiti oggettivi che non è il caso di tirare fuori adesso, ma non possiamo illuderci di fermare il vento con le mani o cancellare i problemi semplicemente filtrandoli fuori dall’algoritmo. In altre parole: io posso non comprare America Eagle (facile), posso informarmi al massimo sull’etica reale dietro chi mi vende i jeans (già decisamente più complesso), ma non posso pensare che se AE pensa di vendere agli stronzi con un messaggio stronzo, eliminando il messaggio io stia eliminando gli stronzi. Non funziona così. Al massimo, non vedendo più il messaggio io posso convincermi che gli stronzi non esistano, ma siamo sicuri sia un bene perdere il termometro della società in cui siamo? Perchè poi arrivano le elezioni, puntualmente, e stiamo tutti a dire: “No, ma come è possibile?”.
E’ possibile perchè abbiamo deciso che guardare il mondo per com’era ci triggerava (brrr.) e abbiamo ritenuto più importante evitarci il fastidio che non cambiare il mondo.